Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
FUORI DA FLI CHI FA ALLEANZE CON I RAZZISTI E CON CHI “COL TRICOLORE SI PULISCE IL CULO”….FUTURO E LIBERTA’ DEVE AVERE UN’UNICA PREGIUDIZIALE: “MAI CON LA FECCIA LEGHISTA”…E SE A ROMA QUALCUNO PROTEGGE CERTI MANUTENGOLI LOCALI, TORNI PURE AD OCCUPARE LA POLTRONA CHE SILVIO GARANTISCE AI SERVI
«Lega becera, arrogante, che conserva nello Statuto come articolo unico la secessione. La Lega che vuole la Padania fuori dall’Italia e l’Italia fuori dall’Europa. E con Castelli che dichiara che non possiamo sparare agli emigranti…per ora. Non possiamo accettarlo, noi non vogliamo essere un supporto per i politicanti della Prima Repubblica che si vendono per una poltrona, ma ci stiamo rendendo conto che l’entusiasmo, lo spontaneismo che ci hanno guidati fin dall’inizio iniziano a essere soffocati da queste logiche di interessi».
Parole dure, quelle espresse in una lunga lettera inviata al Futurista, da parte di una giovane militante di Futuro e libertà .
La notizia che ha spinto un gruppo di giovani a protestare contro la “logica della poltrona”, è stato l’accordo elettorale — stretto a Gallarate, in provincia di Varese — tra la Lega e una lista civica messa in piedi da esponenti “finiani”: un progetto che mira a fare fuori il Pdl in occasione delle prossime elezioni amministrative.
L’accordo sarebbe stato siglato dal consigliere regionale ex An Luca Ferrazzi, responsabile provinciale di Fli, e dal coordinatore provinciale della Lega Stefano Candiani.
Nella lettera, la giovane militante esprime amarezza.
E ricorda quando l’assessore ai servizi sociali di Malnate, Barbara Mingardi, che scrisse su Facebook che “il tricolore va usato come carta igienica” (riprendendo l’ormai celebre invettiva del Senatùr).
O quando in occasione della festa della Repubblica il 2 giugno, in presenza del ministro Maroni l’inno d’Italia venne sostituito da “la gatta” di Gino Paoli, per un “evento totalmente a carico dei contribuenti italiani”.
“La società civile rientra nei ranghi, torna a non credere più che il presidente Fini aveva teso loro una mano. Questa politica non gli piaceva prima, e continua a non piacergli”, dice sconsolata.
Questa vicenda merita una riflessione.
Mentre in Fli sta prendendo corpo, in varie parti d’Italia, una base giovanile militante e “futurista”, proiettata verso nuovi obiettivi e rinnovate metodologie operative, è innegabile che all’interno del partito permangano le incrostazioni della vecchia politica.
Personaggi che, anche a livello nazionale, non perdono occasione di richiamare il Fli al presunto dovere di fedeltà a quella fogna a cielo aperto che è l’alleanza affaristico-razzista tra Pdl e Lega.
Personaggi che rappresentano solo le quinte colonne del “gran puttaniere” e di quella congrega che ha sputtanato la destra italiana a livello internazionale, con conseguenze che la destra pagherà per anni.
Un piede dentro a Fli e uno quotidianamente fuori, costoro non contano un cazzo a livello interno, ma ogni giorno stilano pagelle su ciò che è permesso e ciò che non sarebbe opportuno.
Neanche qualcuno gli avesse riconosciuto una laurea honoris causa sui valori della destra italiana.
Perchè se avessero solo seguito la prima lezione del teorico corso dell’ateneo in questione, avrebbero appreso che una destra vera non può avere nulla a che fare con puttanieri, inquisiti, corrotti, razzisti e secessionisti.
Questa è l’unica pregiudiziale che dovrebbe avere Fli nella ricerca delle alleanze alle prossime amministrative: se Terzo Polo deve essere, si abbia la coerenza di presentarsi sempre come tale.
Qualche poltrona in meno poi, non potrà che fare bene, scremerà la classe dirigente del partito e allontanerà chi pensa di ricavarne qualche beneficio, monetizzando la sua scelta.
Che da Roma qualcuno scelga: o si rappresenta la base o il furbetto del quartierino gallaratino.
Se poi a qualcuno la cosa dà fastidio, può sempre togliere il disturbo.
Possibilmente prima di essere accompagnato alla porta con metodologie meno raffinate.
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Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
BANDIERE TRICOLORI IN PIAZZA PER DIFENDERE LA LEGALITA’: ACCANTO AL POPOLO VIOLA ANCHE UNA RAPPRESENTANZA DI FLI, CON GRANATA, PERINA E CROPPI
Nessun imbarazzo, si era detto quando — in piazza Santi Apostoli, per la “notte bianca della democrazia” — le bandiere di Futuro e libertà avevano sventolato accanto a quelle dell’Italia dei valori, del Pd e di Sinistra e libertà . Nessun imbarazzo, quando si tratta di difendere il nostro recinto comune, la res publica, la Costituzione, la decenza.
E allora nessun imbarazzo nemmeno ieri, quando si è replicato davanti a Montecitorio mentre in Aula la maggioranza continuava ad approvare pezzi di quel “processo breve” con cui il concetto di “legge ad personam” trova la sua massima espressione.
«Mai avremmo pensato di poter cantare l’inno nazionale assieme agli amici di Fli», grida al megafono un esponente del popolo viola.
E mentre arrivano Flavia Perina, Fabio Granata e Umberto Croppi, una militante “vendoliana” si mescola ai ragazzi del circolo romano, perchè «è tempo di andare oltre i colori in nome delle idee». E l’idea, adesso, è soprattutto una: la difesa dell’Italia e delle sue istituzioni.
C’è rabbia, c’è voglia di farsi sentire, c’è voglia di gridare.
“Sei circondato da estetiste, ma brutto eri, schifoso sei e flaccido resti”, si legge su un cartello.
Si inneggia contro la Lega, si chiede l’intervento di Napolitano, si canta “Fratelli d’Italia”, si sventolano le bandiere di partito e i tricolori, si leva un dito medio collettivo contro la sottosegretaria Daniela Santanchè che ha la sventura di passare lì davanti.
E ci sono i comitati delle vittime delle stragi di Viareggio (32 morti), dei terremotati dell’Aquila (309 morti), del Moby Prince (140 morti), dei morti sul lavoro, che chiedono giustizia per quelle vittime che non hanno ancora un colpevole e che – grazie allo scempio approvato in Parlamento – non l’avranno mai.
Basterebbe solo questo, per capire che è davvero ora di urlare tutti insieme la propria indignazione.
Eppure a qualcuno verrà il mal di pancia, e ci sarà chi rispolvererà ancora una volta quel “fasciocomunisti” con cui si cerca, forse, di esorcizzare la paura per qualcosa di nuovo.
Paura per una nuova “emozione”, che sta chiudendo definitivamente gli anni di piombo e che spazzerà via decenni di retorica e di guerra fredda.
Paura, soprattutto, per il seme di una politica nuova.
Che non potrà che crescere — e si capiscono i mal di pancia di qualcuno — sulle macerie di questa mai nata Seconda Repubblica.
(da “Il Futurista“)
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Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
LA STORIA DI 15 ANNI DI TENTATIVI (RIUSCITI) DEL PREMIER PER EVITARE DI ESSERE PROCESSATO COME ACCADE AI COMUNI CITTADINI
A furia di cercare gli “altri” processi che svaniranno nel nulla grazie a prescrizione breve, si perde di vista il principale motivo di incostituzionalità dell’ennesima porcheria approvata ieri a tappe forzate: la legge è fatta apposta per abolire il processo Mills a carico del mandante della legge medesima, imputato per aver corrotto un testimone che è già stato giudicato colpevole dalla Cassazione di essersi fatto corrompere da lui per testimoniare il falso e salvarlo in due processi.
Ricapitolando.
Dal 1994 Berlusconi è indagato e dal 1996 imputato perchè quattro sue società , fra cui Telepiù, hanno corrotto la Guardia di Finanza per ammorbidire le verifiche fiscali.
Se i finanzieri avessero fatto il loro dovere, avrebbero scoperto che B. era il proprietario occulto di Telepiù in barba alla legge Mammì e dunque la Fininvest avrebbe perso ipso facto le concessioni a trasmettere con Rete 4, Canale 5 e Italia 1. Cioè sarebbe fallita.
Sapendosi colpevole e rischiando i denti, B. compra il testimone chiave Mills perchè al processo Guardia di Finanza non dica tutto quel che sa sulle società off-shore del gruppo create da lui e usate per schermare la reale proprietà di Telepiù.
Nel 1998 Mills, come racconterà lui stesso al suo commercialista in una lettera del 2004, fa la sua testimonianza reticente.
Così B., per le mazzette alle Fiamme Gialle, viene assolto in Cassazione per insufficienza di prove: prove che sarebbero state sufficienti a condannarlo se Mills avesse detto tutta la verità .
Nel novembre 1999 l’avvocato riceve 600 mila dollari in Svizzera da un manager Fininvest, Carlo Bernasconi: il prezzo della sua falsa testimonianza pro domo Silvii.
Ma nel 2004 la sua lettera al commercialista viene scoperta dal fisco inglese e trasmessa alla Procura di Milano. Che, nel 2005, fa rinviare a giudizio lui e B. per corruzione giudiziaria.
Essendo i fatti del ’99 e prescrivendosi la corruzione giudiziaria in 15 anni, per giudicare corrotto e corruttore c’è tempo fino al 2014.
Quanto basta per arrivare a sentenza definitiva.
Infatti, nel giro di qualche settimana, B. fa approvare in tutta fretta dal Parlamento una versione emendata della legge Cirielli, talmente ignobile che la disconosce persino Cirielli.
La legge ex Cirielli taglia la prescrizione per gli incensurati: per corruzione giudiziaria il reato si estingue non più dopo 15 anni da quando è stato commesso, ma dopo 10.
Dunque, per fare i tre gradi di giudizio, c’è tempo solo fino al novembre 2009. In Tribunale inizia la corsa contro il tempo.
B. si tira subito fuori con due leggi incostituzionali, che sospendono i suoi processi prima che la Consulta le fulmini: lodo Alfano e legittimo impedimento.
Intanto si procede separatamente contro Mills, condannato in primo e secondo grado a 5 anni.
Purtroppo la sentenza di Cassazione su Mills arriva solo nel febbraio 2010: per due mesi, il reato è prescritto, anche se la colpevolezza è confermata, tant’è che l’avvocato è condannato a risarcire la Presidenza del Consiglio (dove siede il suo corruttore) con 250 mila euro.
Ma ciò vale solo per Mills: per B., tornato sotto processo, la prescrizione slitta di 2 anni e 3 mesi per recuperare il tempo perduto a causa delle leggi incostituzionali.
C’è tempo fino al febbraio 2012 per giungere alla sentenza di primo grado e forse anche di appello (l’ultima di merito).
Cioè di accertare se l’Italia è governata da un criminale o da un perseguitato. Essendo più probabile la prima che la seconda, ecco un’altra legge che taglia la prescrizione: non più 10 anni, ma 9 anni e 4 mesi.
Così il processo muore a maggio, per evitare anche la sentenza di primo grado.
La partita, quando iniziò, durava 15 anni.
Poi il capitano di una squadra, temendo di perdere, si travestì da arbitro e decise che sarebbe durata solo 45 minuti.
Ma temeva ancora di perdere, così ieri ha dato il fischio finale alla mezz’ora. Oggi andrà in tv, si ritravestirà da calciatore e dirà che ha vinto il migliore, cioè lui.
Che aspetta l’arbitro, quello vero, a espellerlo?
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
APPROVATA LA PRESCRIZIONE BREVE, VESTITINO FATTO SU MISURA, COME QUELLO A STRAPPO DELLA MINETTI PER LA LAP DANCE… CONDONATO MILLS, NIENTE GIUSTIZIA PER LE STRAGI, URLA DI PIDUISTA A CICCHITTO E DI “MUNNEZZA” A SCILIPOTI
Alle otto e venti di sera l’ultima immagine sono i cartelli alzati dai deputati dipietristi.
Indicano i processi ammazzati dalla legge ad personam voluta dal Caimano. Su uno giallo c’è scritto: “Strage di Viareggio, nessuna giustizia”.
Il processo breve, anzi la prescrizione breve come precisa il democrato Fassino, già guardasigilli, è stato appena approvata.
Alla votazione nominale numero 138 della maratona di due giorni imposta dal centrodestra.
In aula i presenti sono 610. Votano a favore 314, contro 296. Fine.
Dopo qualche minuto il Cavaliere tronfio e trionfante annuncia: “Adesso, avanti come i treni”.
Un film tragico che ha nei titoli di coda l’intervento grottesco e un po’ stantio di Fabrizio Cicchitto.
Il capogruppo del Pdl, già socialista, fa la dichiarazione di voto e ritira fuori la solita solfa dei due pesi e delle due misure di Tangentopoli, dei pm che hanno salvato il Pci (cita Di Pietro, Occhetto e la famosa storia del miliardo portato da Gardini a Botteghe Oscure ma non si sa a chi).
Imita pure, sfondando il muro del ridicolo, il Moro democristiano che nel pieno dello scandalo Lockheed gridò: “Non ci faremo processare nelle piazze”.
Nè nelle “aule giudiziarie”, aggiunge Cicchitto qualora non si fosse ancora capito.
A quel punto dai banchi del Pd parte un coro perentorio.
Al falco berlusconiano viene ricordata la sua provenienza piduista, tessera numero 2232: “Pi-due, Pi-due, Pi-due”.
Cicchitto reagisce sbattendo in faccia all’intera opposizione l’esito di uno scrutinio segreto su un emendamento dell’Italia dei valori, di tre ore prima: “Alcuni voti vostri sono venuti a noi”.
È accaduto alla votazione numero 91 delle 17 e 15.
La maggioranza che da due ore oscilla tra 307 e 310 s’impenna d’improvviso: 316 recitano i due tabelloni luminosi.
Sono sei franchi tiratori che mandano segnali rassicuranti al premier, che due settimane fa circa parlò di nuovi sette arrivi.
I sospetti si addensano tutti verso i banchi di centro tendenti a destra di Futuro e Libertà , il partito del presidente della Camera, dove il gruppetto delle colombe di Urso e Ronchi è da tempo in sofferenza e cerca il pretesto per la rottura definitiva.
Ma forse qualche mal di pancia a rischio c’è anche nel Pd.
La tappa finale della prescrizione breve, dopo la “notturna” di lunedì, comincia alle 9 e 40.
Il processo verbale offre una lunga sequenza di epiteti e aggettivi che l’opposizione adopera per il Caimano: “criminale”, “delinquente” , “eversivo e dannoso”.
Viene evocata “la suburra triviale” delle sue residenze private.
Qualcuno motteggia: “Berlusconi non è fortunato in amore ma con la giustizia sì”.
Il premier è il Grande Assente che incombe su Montecitorio.
La sua sedia ai banchi del governo rimarrà quasi sempre vuota (occupata simbolicamente da Tremonti per un’ora), a conferma del “conflitto d’interessi” generato dalla prescrizione breve (parole di un La Malfa di nuovo all’opposizione applaudito finanche da Di Pietro).
Il mattatore della mattinata è l’ormai famoso Domenico Scilipoti detto Mimmo, l’ex Idv passato con i Responsabili filoberlusconiani .
Scilipoti sgambetta avanti e indietro per l’aula, poi accelera per votare.
Ma l’imprevisto è in agguato. Il suo congegno elettronico non funziona. Rosy Bindi è la presidente di turno. Segnala col microfono i deputati in difficoltà , che non riescono a esprimere il voto.
Nomina “Scilipoti” tre volte e partono gli sfottò.
Poi un coro a due dei dipietristi Barbato e Borghesi. Un grido alto e nitido: “Munnezza”.
Spazzatura in dialetto napoletano. Il finiano Menia infierisce: “Signor presidente, Scilipoti è la terza volta che non riesce a votare. Suggerisco di trasferire lui e la Siliquini (ex di Fli ricompensata con una poltrona nel cda delle Poste, ndr) direttamente ai banchi del governo. Così otterranno un pagamento anticipato”.
Alle tredici e trenta la seduta viene sospesa per la farsesca pausa pranzo che consente ai ministri impegnati nel voto di fare una riunione di governo.
Si riprende alle tre del pomeriggio.
Ancora un grido di Barbato e Borghesi a Scilipoti: “Munnezza”.
Il centro-destra procede blindato una votazione dopo l’altra e boccia tutti gli emendamenti, compresi quelli per salvare i processi dell’Aquila e di Viareggio.
Alle sette di sera comincia il giro finale delle dichiarazioni di voto.
Antonio Di Pietro conia la figura del “delinquente del terzo tipo”: “Ai tempi di Tangentopoli o facevi il latitante ad Hammamet oppure venivi da me e confessavi. Adesso invece prevale la logica del ‘me ne vado in Parlamento e mi faccio la legge’”.
Casini e Fassino prevedono che la legge non reggerà all’esame della Corte Costituzionale.
Per la Lega parla la Lussana, moglie di un futuro sottosegretario centrista, il calabrese Galati.
Poi Cicchitto, che ammette il vero intento della legge contro la “persecuzione ad personam” del Caimano.
Il centro-destra fischia anche i morti, quando la finiana Chiara Moroni, figlia del socialista Sergio, suicidatosi nel ’92, invita a non strumentalizzare le vicende di Tangentopoli.
Si vota e i deputati del Pd alzano le copie della Costituzione.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
NON CI SONO SOLO PUTTANIERI E ISTIGATORI A DELINQUERE A RAPPRESENTARE L’ITALIA, MA SERVITORI DELLO STATO CHE MOSTRANO RISPETTO E SOLIDARIETA’ VERSO MIGRANTI… COLORO CHE ARRIVANO SULLE NOSTRE COSTE SONO CERTAMENTE MIGLIORI DI QUEI DELINQUENTI CHE VORREBBERO SPARARGLI
Una forte carica religiosa domina le immagini che arrivano da Pantelleria.
C’è rispetto nelle coperte militari che coprono le due donne morte. Le forze dell’ordine verso i migranti mostrano sempre rispetto e solidarietà .
È lo stesso rispetto di quei due uomini in borghese, un finanziere e un poliziotto, che non trascinano ma sorreggono, non arrestano ma accolgono una donna nera con la lunga gonna scura, la maglia rosso sgargiante, la collana di conchiglie e i piedi nudi.
Insomma, non si è messa comoda, la signora. Ha scelto il suo vestito migliore per sbarcare a Pantelleria. Sembra pronta a partecipare ad una gioiosa danza propiziatoria.
Ovviamente non sapeva che le acque agitate di Pantelleria, molto più che una metafora sono la sostanza dell’Italia, in Parlamento e per le strade, nelle aule di giustizia, al governo, nell’impresa…
Conosco bene quella costa che è una crosta tagliente e dunque capisco a fondo la lezione che gli Italiani hanno impartito all’Italia lungo una riva che è davvero inaccessibile quando il mare si alza.
Altro che sparare, altro che fora dai bal!
I carabinieri e i finanzieri che ieri si sono gettati nelle acque agitate di Pantelleria e hanno salvato 250 naufraghi sono come le donne di Manduria che hanno regalato soldi e cibo ai tunisini in fuga, sono come i ragazzi che li hanno guidati tra i campi e i villaggi sulla rotta di rifugi tra loro collegati che sboccano persino sottoterra, nelle famose grotte della Puglia, nelle sue caverne, dovunque pur di sfuggire all’uso etnico della polizia-pulizia invocato dai leghisti al governo.
E non è vero che a Pantelleria si sono limitati a fare il loro dovere.
Guardate le immagini, osservate le foto degli uomini in mare.
Chi frequenta quegli scogli sa che lì, statisticamente, muoiono più salvatori che naufraghi perchè raramente i buoni sentimenti riescono a fermare l’indifferenza delittuosa della natura, e la generosità è micidiale quando l’acqua – come dicono in Sicilia – “non ha luogo”, acqua ostile come e peggio della lava, come e peggio dei terremoti.
Guardate infatti quanto si somigliano tutti quegli uomini, salvatori e naufraghi, nell’acqua che appunto non ha luogo, che li copre e li scopre: “ad acqua e fuoco date un luogo” dice il proverbio.
Se non ci fossero il colore della pelle e le divise sarebbe dunque difficile distinguere i soccorritori e i soccorsi perchè in un mare dove solitamente i corpi si recuperano solo quando sono ormai sfatti dall’acqua, in quel mare che non si può addomesticare, tutti i visi dei vivi, dei bianchi e dei neri, sono solcati dalle stesse onde anomale e gli aliti e i venti minacciano tutti allo stesso modo.
Nè basta qui il solito clichè degli italiani brava gente, dove c’è ancora la furbizia, l’emozione facile, l’imprudenza del salvatore che è gemella e speculare all’imprudenza del salvato.
C’è più dello stereotipo in tutti quei contadini poveri di Mineo che portano ai rifugiati tunisini magliette, giocattoli, radioline e ovviamente le arance che, invendute, spesso marciscono sugli alberi.
E c’è molto di più nel viso di quel carabiniere con il bimbo nero in braccio, finalmente sulla terra ferma di Pantelleria: nello sfinimento del salvatore c’è una magnifica generosità di cuore ma anche di testa, una generosità che tanto più è valorosa e meritevole proprio perchè è adeguata, è efficace, disciplinata e intelligente.
C’è, insomma, la tecnica del rischio, la scienza del salvataggio nelle mani che afferrano la corda tesa sino alla barca: sono le mani forti e sapienti dei capitani coraggiosi d’Italia, non le mani degli “italiani brava gente” che su queste stesse coste si esibiscono sulle barche d’agosto, topless e champagne, ma non sanno neppure nuotare.
A Pantelleria, come a Lampedusa, come in tutto il nostro Sud bagnato dal mare, gli abitanti si dividono in costieri e naviganti.
Si sa che i primi sono romantici e stanziali, spesso ironici e decadenti, mentre i naviganti sono i predatori senza patria.
Questi due generi di uomo meridionale solitamente non si frequentano perchè entrambi si considerano appartenenti ad un ordine cavalleresco rispetto al quale gli altri sono plebe appiedata.
Ebbene, nessun Castelli e nessun Bossi, nessun Speroni e nessun governo Berlusconi riuscirà a convincere costieri e naviganti d’Italia che bisogna scrutare il mare per cacciare e non per accogliere, per sparare e non per salvare.
Mi raccontano che molti si stanno organizzando: chi esce in barca porta sempre qualche giubbotto salvagente in più perchè non si sa mai…
Anche in quell’ecatombe che avvenne al largo di Lampedusa erano ancora le nostre motovedette che stavano andando a salvare i disperati che i maltesi si rifiutavano di aiutare benchè fossero nelle loro acque.
Gli italiani che stanno affrontando questa ondata di immigrati sono consapevoli di sè, lo fanno con serenità , con una generosità persino giocosa e con una solidarietà fisica anche perchè, malgrado le ingiurie dei vari Bossi, si sono subito accorti che questi uomini sono spesso laureati, parlano le lingue e sono speciali: non fuggono dall’indigenza, ma dall’inciviltà della guerra, dalle sopraffazione tribali.
Nel Sud hanno capito che gli extracomunitari che stanno arrivando sulle nostre coste sono spesso migliori di noi, e certamente di quelli che vorrebbero sparare su di loro.
È soprattutto il Sud d’Italia che si oppone al naufragio della prima grande invasione di extracomunitari che non è invasione di cafoni.
Guardate tutti quei giovani che sono sbarcati a Lampedusa, guardate bene le tante immagini di queste settimane: non sono la schiuma della terra, ma nella loro terra sono la crema.
E un po’ lo sono anche nella nostra.
Francesco Merlo
(da “La Repubblica“)
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Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
IL SOTTOSEGRETARIO LEGHISTA TRASCORRE PIU’ TEMPO A GENOVA CHE A ROMA, MA HA UNA SCORTA DI AGENTI ROMANI CHE LO “PROTEGGE” ANCHE IN LIGURIA… I COSTI DELLA LORO MISSIONE FUORI SEDE POTREBBERO ESSERE RISPARMIATI CON UNA SCORTA DI AGENTI GENOVESI, VISTO CHE GIA’ NON VI SONO RISORSE PER LA SICUREZZA
L’origine della scorta al sottosegretario leghista Francesco Belsito è misteriosa, trattandosi di personaggio più da fumetti che di nobile taglio politico.
Un passato da autista di Alfredo Biondi, quando militava in Forza Italia, da buttafuori di discoteca, da laureato fantasma in un ateneo estero mai rivelato, da portaborse leghista in Regione Liguria.
Fino a diventare segretario amministrativo della Lega, dopo la scomparsa di Maurizio Balocchi.
Appena nominato gli è stata assegnata la scorta a causa pare di un proiettile recapitatogli per posta.
I maligni che pensavano che avesse più nemici all’interno della Lega ligure che fuori sarebbero così stati smentiti.
Anche se qualcuno ritiene esagerata un misura di protezione per un semplice sottosegretario al nulla (ovvero alla Semplificazione di Calderoli), non certo obiettivo sensibile rispetto a personaggi leghisti ben più in vista.
Sempre che all’origine della minaccia postale vi sia una motivazione politica e non di altro genere personale.
In ogni caso Belsito non rinuncia certo al suo status symbol, anzi, con la scusa della minaccia, parcheggia pure il Porsche Cayenne nei posti riservati della Questura, abitando nei pressi.
I sindacati di polizia hanno già protestato per questo privilegio e il questore ha dovuto precisare che il Belsito è “sotto protezione”, anche se pare più probabile che si faccia del male da solo, con i suoi atteggiamenti, rispetto all’ipotesi che qualcuno glielo possa fare.
Ora ritornano alla carica i sindacati di polizia: “la sua scorta con agenti romani fuori sede costa circa 50.000 l’anno, mentre i fondi per le pulizie degli uffici e delle caserme sono stati dimezzati”.
“Abbiamo una cronica carenza di risorse economiche: il governo lancia slogan mediatici, ma nei fatti è incoerente”, dicono i sindacalisti del Silp.
E arrivano a Belsito: “Non si capisce perchè il Viminale abbia affidato il servizio al personale di Roma e non di Genova, quando il Belsito si trova nel capoluogo genovese in media 20 giorni al mese”.
Con un costo di circa 50.000 euro annuali, dato che ogni giorno di missione fuori sede dei due agenti romani costa 220 euro, straordinari esclusi.
Costi che potrebbero essere risparmiati con una scorta di Genova.
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Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
ACCUSE DI UN IMPRENDITORE AL PRIMO CITTADINO: “MI HA CHIESTO 50 MILA EURO”: UN AUDIO COMPROMETTENTE CONFERMA LA RICHIESTA DI DENARO…E PER IL SINDACO PDL PARAFULMINE SCATTA L’ACCUSA DI CONCUSSIONE
“Li hai presi i diecimila euro che ti ho mandato tramite l’assessore?”. “Sì, certo”.
Storia di concessioni edilizie e tangenti a Lampedusa.
L’ha raccontata ieri nell’aula del Tribunale di Agrigento l’imprenditore settantenne Pasquale De Francisci e ha portato le prove.
Una cassetta registrata di nascosto a Palermo in Piazza Politeama durante un incontro con Bernardino De Rubeis, detto Dino, il sindaco
dell’isola.
Un politico diventato personaggio grazie all’emergenza immigrati di questi mesi.
Gli italiani lo ricordano, lui altissimo, accanto a Berlusconi.
Sull’isola ancora risuonano i suoi ordini secchi, impartiti pochi minuti prima dell’arrivo del Cavaliere in piazza.
“Ma che minchia fate? Abbassate questa minchia di cartelli se no il presidente non parla con voi”.
C’erano slogan e scritte “non gradite”, c’erano contestatori e Silvio aveva chiesto solo applausi e consensi.
I cartelli sparirono.
La cassetta dell’imprenditore no.
È spuntata ieri durante il processo a carico di De Rubeis e ha provocato il finimondo.
L’accusa nei confronti del sindaco cambia, si aggrava: non più tentata concussione, ma concussione consumata.
Perchè nella registrazione fatta dall’imprenditore si parla di soldi dati, almeno diecimila euro, di altri da dare, altri 40mila per arrivare alla cifra totale di 50mila.
Tanto, secondo De Francisci (uno dei tre imprenditori che accusano De Rubeis di aver intascato mazzette), il sindaco gli avrebbe chiesto per una concessione edilizia.
La registrazione con i dialoghi tra De Rubeis e l’imprenditore è stata secretata e acquisita agli atti, l’accusa si aggrava.
Per il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo la concussione si è consumata.
La storia inizia il secolo scorso, nel 1992, quando De Francisci presenta un progetto di lottizzazione per una delle zone più belle di Lampedusa, Cala Croce.
L’intenzione è quella di costruire un albergo di piccole dimensioni e alcuni dammusi (le costruzioni tipiche dell’isola).
La vicenda si trascina fino al 2005, perchè solo allora la pratica comincia a prendere forma .
Ci sono i “titoli autorizzativi”, manca solo la concessione.
Passano ancora tre anni e all’imprenditore arriva la richiesta del pagamento degli oneri di urbanizzazione, come sempre avviene in questi casi, si tratta sulla quantità e sulle forme del pagamento. La cifra finale è di 23 mila euro.
L’imprenditore li versa, ma la concessione ancora non si vede.
“A novembre del 2008 — fa mettere a verbale De Francisci — mi recai in Comune e il sindaco mi disse che avrei avuto tutto, ma mi sarebbe costato un po’. Più precisamente mi fece il segno con la mano aperta per indicare la somma che avrei dovuto pagare a lui per ottenere la concessione edilizia”.
La mano aperta con cinque dita in bella mostra.
L’imprenditore equivoca, pensa a cinquemila, il sindaco (secondo la testimonianza di De Francisci), “abbassando il tono della voce, mi rispose che la somma richiesta era di 50 mila euro”.
Alcune settimane dopo i due si incontrano a Palermo, l’imprenditore proprio non vuole pagare, ritiene ingiusta la richiesta di una mazzetta e si arma di registratore.
Il colloquio col sindaco (tutto in stretto dialetto siciliano, una cosa da far impazzire Camilleri) nella splendida piazza palermitana viene fissato su nastro.
De Francisci chiede se i primi 10 mila euro sono arrivati, De Rubeis: sì.
I due prendono un caffè, ma litigano sulla somma: 30 mila, no, pagano tutti 50 mila.
Si usa così a Lampedusa.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
I DETENUTI SONO SEMPRE 67.648 RISPETTO AI 45.000 POSTI MASSIMI DISPONIBILI E IN MOLTI ISTITUTI LE CONDIZIONI DI VITA SONO DISUMANE…AUMENTANO I SUICIDI E I FERIMENTI DELLE GUARDIE CARCERARIE…IL PIANO PROMESSO DA ALFANO DOPO 15 MESI E’ SEMPRE FERMO E 700 MILIONI SONO INUTILIZZATI IN BANCA
Scene da far west, di là dal muro che divide le persone libere da quelle recluse.
Otto detenuti si fronteggiano con l’uso di lamette, alcune delle quali applicate a piccole aste, in modo da formare rudimentali rasoi.
Alcuni di loro rimangono feriti. A dividerli i troppo pochi agenti penitenziari. Accade il 10 marzo, nel carcere di Reggio Emilia, in cui vivono 322 persone, 150 in più rispetto al numero previsto.
Due giorni dopo parte la protesta nella casa circondariale di Porto Azzurro, sull’Isola d’Elba: a orari stabiliti i detenuti percuotono i cancelli delle celle con pentole e ogni oggetto reperibile.
Sono rinchiuse qui 310 persone contro una capienza di 238.
Il 21 marzo il teatro della rivolta è il Marassi di Genova: due risse nell’arco di una sola giornata, tunisini contro albanesi, anche in questo caso tutti armati di lamette. Uno di loro rimane sfigurato al volto.
Lo scorso fine settimana, a Novara, un detenuto aggredisce due sovrintendenti della polizia penitenziaria.
Nello stesso giorno, a Sollicciano, un agente si è ritrovato con la frattura del setto nasale.
Proteste pacifiche invece a Venezia, dove il vicesindaco ha chiesto l’intervento del ministero della Giustizia e l’Ordine degli Avvocati la chiusura della struttura.
Il motivo delle rivolte è, ovunque, lo stesso: in cella non si vive, costretti a stare anche in otto persone, in letti a castello a tre piani, senza neanche la possibilità di stare tutti in piedi contemporaneamente.
Con i cessi accanto alla branda, con gli spazi comuni che diventano formicai per poche decine di minuti al giorno.
Senza attività ricreative, senza rieducazione, senz’aria.
Rispetto a una capienza media di 45 mila, quasi 68 mila persone (67.648 secondo i dati dell’associazione “A buon diritto”) vivono così, anzi, non vivono così.
Ecco perchè sono quotidiane le risse, così come i suicidi.
Mehedi Kadi era un 39enne algerino, arrestato nell’ottobre del 2008 in seguito a una rapina.
Il 3 aprile si è tolto la vita impiccandosi nel carcere “Due Palazzi” di Padova. Mario Germani, 29 anni, è ricoverato in condizioni gravissime dopo aver tentato di suicidarsi nella sua cella del penitenziario di Viterbo il 2 aprile.
Era stato arrestato nei giorni precedenti per essere evaso dai domiciliari. Nello stesso giorno è morto a Novara un suo omonimo, Mario Coldesina, 42 anni.
Secondo i primi accertamenti, il decesso è avvenuto per soffocamento. Giovedì scorso a non farcela è stato Carlo Saturno, il ragazzo barese di 22 anni per la morte del quale la Procura sta procedendo con l’ipotesi di istigazione al suicidio.
Dall’inizio dell’anno sono già 39 le persone morte nelle carceri italiane.
La loro età media era di 37 anni.
“Vige una cappa censoria — spiega Irene Testa, segretaria radicale de “Il detenuto ignoto” —. Nessuno ne parla. Non lo fanno i parlamentari, non lo fa il governo, non lo fanno gli enti locali, non lo fa la tv. Gli italiani non sanno cosa accade oltre i muri”.
La deputata radicale Rita Bernardini qualche mese fa ha depositato un disegno di legge per estendere anche ai sindaci e ai presidenti delle Province la prerogativa di sindacato ispettivo.
“Se anche i primi cittadini potessero entrare in carcere come i parlamentari — prosegue Testa — forse si renderebbero conto dell’emergenza”.
Finora alla proposta hanno aderito 62 sindaci e 21 presidenti di Provincia.
Nel gennaio 2010, il ministro Alfano decise lo stato d’emergenza .
Sarebbe dovuto cambiare tutto e invece, 15 mesi dopo, la situazione è peggiorata.
Il Piano straordinario è morto nei cassetti del Guardasigilli e del commissario Franco Ionta.
È stato inaugurato qualche padiglione che poi è rimasto vuoto per mancanza di poliziotti.
Ionta ha dichiarato a Rai News che i 700 milioni di euro necessari al Piano carceri sono depositati su un conto presso la Banca d’Italia.
Non si comprende dunque perchè non vengano subito spesi.
E il famoso ddl “svuotacarceri” tanto sbandierato?
Ne sono usciti 1500.
Vergogna nella vergogna: per far “non vivere” 68 mila persone, lo Stato ha speso — tra il 2001 e il 2010 — oltre 28 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i fondi stanziati per il Piano e la spesa per l’assistenza sanitaria, 90 milioni annui.
Il 79 per cento dei costi dipendono dal personale, solo il 13 per cento dal mantenimento dei detenuti, il 4 per cento dalla manutenzione delle carceri.
Silvia D’Onghia
argomento: criminalità, denuncia, economia, emergenza, Giustizia, governo, PdL, Politica, radici e valori, Sicurezza | 1 Commento »
Aprile 14th, 2011 Riccardo Fucile
LA FEDERAZIONE LANCIA UNA CAMPAGNA ANTI-RAZZISMO DOPO LA VICENDA CHE A COMO AVEVA COLPITO ABIOLA WABARA… NEL PROSSIMO FINE SETTIMANA TUTTI GLI ATLETI SI TINGERANNO LA PELLE DI NERO IN SEGNO DI SOLIDARIETA’
Il basket scende in campo contro il razzismo e lancia la campagna ‘Vorrei la pelle nera’ dopo la vicenda che ha colpito la giocatrice Abiola Wabara.
La federbasket ha annunciato che nel prossimo fine settimana i giocatori dei campionati, a partire dalla A, si tingeranno la pelle di nero in segno di solidarietà .
L’invito a colorarsi di nero è rivolto anche ai tifosi.
“Il basket è sempre stato caratterizzato dalla multirazzialità . I giocatori stranieri e di altre etnie hanno, nel tempo, permesso al nostro sport di crescere e di affermarsi -spiega la Federazione-. La Fip chiede a tutte le componenti del movimento e agli appassionati, nella prossima giornata di campionato, di colorare la propria pelle con un segno nero, ben visibile, in rappresentanza dei colori di tutte le etnie, per sentirci tutti uguali”.
Il modello da seguire, secondo Dino Meneghin, numero uno della Fip, è quello degli Stati Uniti, dove i tifosi razzisti vengono allontanati subito dagli impianti: “Le società li individuino e li caccino, li prendano per la collottola e li portino fuori – ha detto -. Così questi mentecatti capiscono come comportarsi. Non vogliamo che queste cose si ripetano. Purtroppo manca nel regolamento una norma che permetta agli arbitri di fermare le partite in caso di cori razzisti. Dobbiamo lavorarci”.
Wabara, 30 anni, italiana di genitori nigeriani, gioca con la maglia della Bracco Geas di Sesto San Giovanni (Milano), formazione di serie A1 femminile.
Mercoledì scorso, in occasione di gara 2 dei quarti di finale dei playoff a Como, è stata a lungo insultata da un gruppo di tifosi di casa, che alla fine del match le hanno anche sputato ripetutamente.
Gli arbitri non hanno ritenuto di interrompere l’incontro e il giudice sportivo, sulla base del loro referto, non ha preso provvedimenti.
Sull’episodio ha poi aperto un’inchiesta la procura federale, sollecitata dalla Federbasket.
argomento: Costume, denuncia, Immigrazione, radici e valori | Commenta »