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“VILLA DI LAMPEDUSA A BERLUSCONI? E’ UNA BUGIA, CONOSCO IL PROPRIETARIO”: PAOLO MIELI A BALLARO’ SVELA L’ULTIMA BUFALA DEL PREMIER

Aprile 6th, 2011 Riccardo Fucile

LA NOTIZIA ERA SERVITA A CONFEZIONARE IL SOLITO TEATRINO DELLA POLITICA AL SUO ARRIVO SULL’ISOLA, TRA PREMI NOBEL E CAMPI DA GOLF…L’ENNESIMA PRESA PER I FONDELLI, GIA’ ANDATA IN SCENA ALL’AQUILA E A NAPOLI, STAVOLTA SI SVELA SUBITO UN PACCO USO GONZI

Vengo, arrivo, compro.
Tra gli altri impegni, urgenti ed importanti, Silvio Berlusconi questo lo aveva annunciato non appena sbarcato a Lampedusa.
«Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese. Anch’io diventerò lampedusano», ha annunciato tra gli applausi dei suoi neo concittadini. A Cala Francese, l’unica nell’isola con spiaggia «personale», ci sono solo tre case sul mare.
Quella che ha acquistato Berlusconi si chiama Villa due Palme: «Sì è quella al centro della spiaggia – conferma il premier – farò tutt’intorno dei sentieri di ciotoli secondo lo stile di Positano, resterà  semplice e mediterranea».
Un cancelletto porta direttamente dal bel giardino, con piante di bouganville, alla spiaggia dai colori caraibici che dista solo pochi metri.
La casa, nei colori del bianco e blu, ha una cucina, un living con camino, due stanze da letto e un bagno al piano giardino, una stanza da letto piu’ grande, terrazzo e bagno al piano di sopra.
La villa accanto a quella del premier, la prima a ovest verso il paese, apparteneva al generale Raffaele Giudice, ex comandante della Guardia di Finanza, noto anche per le sue vicende giudiziarie legate alla P2.
La terza, ad est sugli scogli e con gran vista, una casa rustica e solare, è invece di un noto professore universitario del Policlinico di Palermo.
Finita la passerella a Lampedusa, già  nei giorni seguenti sia il presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, sia alcuni giornali e molti blog avevano definito la notizia una bufala.
Una delle proprietarie della villa è Caterina De Stefani, nipote della scrittrice palermitana Livia De Stefani e figlia di Giuseppe De Stefani, l’aristocratico siciliano che comprò negli anni settanta quel terreno a dieci metri dal mare e vi costruì una villa bianca e mediterranea.
E non ha mai confermato l’acquisto da parte del premier.
Ora si espone Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera che ieri sera a Ballaro’ ha sferrato l’attacco finale: «Conosco il proprietario di quella villa che è una delle più belle di Lampedusa e so per certo che non è stata acquistata da Berlusconi, è una bugia».
Dato che Mieli non è uno che parla a caso, Walter Veltroni ha subito preso la parola per dire che «se non è vero quello che ha detto il presidente del consiglio di fronte a tante persone che soffrono», Berlusconi «dovrebbe fare quello che si fa in un paese civile, ossia un passo indietro».
«Se è vero che ha ingannato i cittadini – ha aggiunto l’esponente Pd – dovrebbe risponderne».
Il ministro Raffaelle Fitto, presente in studio e visibilmente imbarazzato, non ha saputo fare altro che protestare, accusando la sinistra di «avere una fissazione», quella anti-berlusconiana.
«Ma è stato lui a parlare della villa, mica Mieli…», gli ha ribattuto Veltroni.
Giù il sipario, anche questa volta il cabarettista mascherato si è trasformato in illusionista per la gioia delle casalinghe: se la caverà  dicendo che la villa era troppo rumorosa per la vicinanza con la pista dell’aeroporto e che ne sta trattando un’altra.
L’importante è che ci sia ancora qualcuno disposto a credergli.

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CASO RUBY: BERLUSCONI CONTUMACE, UDIENZA LAMPO, AGGIORNAMENTO AL 31 MAGGIO

Aprile 6th, 2011 Riccardo Fucile

IL PREMIER ASSENTE “PER IMPEGNI ISTITUZIONALI”, RUBY NON SI COSTITUIRA’ PARTE CIVILE…FOLLA DI GIORNALISTI ARRIVATI DA TUTTO IL MONDO…NESSUN ABUSO NELLE INTERCETTAZIONI

Si è aperto ed è stato subito aggiornato al prossimo 31 maggio come ampiamente previsto il processo a Milano sul caso Ruby a carico del premier. Silvio Berlusconi, assente, è stato dichiarato contumace dai giudici della quarta sezione penale.
Il presidente del Consiglio, tramite il suo collegio difensivo, ha fatto avere alla corte una lettera nella quale spiega di non poter essere presente in aula per impegni istituzionali, ma consentendo comunque lo svolgimento dell’udienza. “Fermo restando che è mia intenzione partecipare alle udienze – scrive Berlusconi – consento espressamente, nel caso di specie, trattandosi di prima udienza di smistamento, che si proceda in mia assenza, ancorchè impedito, come da certificazione allegata, essendo impegnato per ragioni istituzionali che non mi consentono in alcun modo di essere presente”.
Come è noto Berlusconi è accusato di avere avuto rapporti sessuali con Ruby quando la giovane era ancora minorenne, tra il febbraio e il maggio 2010, e di aver fatto pressioni sulla questura di Milano per rilasciare la giovane marocchina nella notte tra il 27 e il 28 maggio dell’anno scorso e per farla affidare alla consigliera regionale Nicole Minetti.
Malgrado sia durata neppure cinque minuti, dall’udienza è emersa comunque una notizia importante.
L’avvocato Paola Boccardi, legale di Karima el Maroug, in arte Ruby, ha annunciato infatti che la sua assistita non si costituirà  parte civile nel processo dove è considerata parte offesa rispetto al reato di prostituzione minorile.
“Abbiamo deciso di non costituirci parte civile nel processo contro il presidente Berlusconi – ha chiarito la Boccardi – perchè questo significherebbe ammettere che Ruby andava ad Arcore a prostituirsi”.
Il legale, spiegando di aver sconsigliato a Ruby di essere presente in aula, ha poi aggiunto: “Non ha ritenuto giusto costituirsi parte civile perchè ritiene di non aver subito alcun danno per essere andata qualche volta ad Arcore nè per aver frequentato il premier”.
Come darle torto: visti i versamenti di centinaia di migliaia di euro che il premier ha fatto a Ruby e la richiesta di 5 milioni di euro che è emersa da una intercettazione telefonica per “fare la pazza” ci mancherebbe che la marocchina si costituisse pure parte civile…
La notizia è stata accolta naturalmente con soddisfazione dalla difesa di Berlusconi. “Oggi l’elemento significativo dell’udienza è che nessuna persona, si è costituita parte civile”, ha commentato l’avvocato Giorgio Perroni, legale del premier “.
Questa mattina, già  a oltre un’ora dall’apertura del processo, l’aula era gremita di giornalisti arrivati a Milano da tutti i continenti.
Secondo una procedura studiata per l’occasione, a partire dalle 7.40, ciascun cronista è stato identificato e dopo una mezz’ora è stato concesso l’ingresso in tribunale solo su chiamata nominale.
Alle televisioni non è stato consentito però di essere presenti con le loro telecamere.
Per il momento i network internazionali si sono dovuti accontentare di presidiare il piazzale davanti il tribunale, dove centinaia di troupe sono schierate dall’alba.
La vigilia del processo è stata segnata dalle proteste della difesa di Berlusconi per le tre intercettazioni raccontate ieri dal Corriere della sera, in cui a parlare è il presidente del Consiglio.
Non dovevano essere trascritte e non dovevano finire negli atti depositati dalla procura di Milano secondo gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo. La procura replica spiegando quali sono state le scelte della pubblica accusa, fin dall’inizio dell’indagine.
1) non utilizzare nel processo le telefonate con la voce di Berlusconi. Conversazioni legittimamente acquisite, perchè a essere intercettato non era il premier, ma altri che parlavano con lui.
Le si potrebbe utilizzare, ma soltanto dopo aver chiesto l’autorizzazione al Parlamento.
La procura ha però deciso di non farlo, escludendo dal processo le telefonate del presidente del Consiglio anche per una sorta di garbo istituzionale.
Per questo le sue intercettazioni non sono indicate tra gli elementi di prova mandati al gip per ottenere il giudizio immediato.
2) le telefonate, anche quelle con la voce di Berlusconi, possono essere utilizzate a carico di altri indagati, per esempio Nicole Minetti, Lele Mora ed Emilio Fede.
Lo saranno? La procura si riserva di decidere più avanti.
3)   perchè, se non saranno utilizzate, le intercettazioni con la voce di Silvio sono state depositate ai difensori?
Perchè è un obbligo della procura farlo.
I magistrati che indagano non possono nascondere nessuno degli atti d’indagine, non possono far sparire qualcosa sotto il tappeto.
Così ai difensori di Berlusconi sono stati consegnati non soltanto il brogliaccio delle tre intercettazioni in questione (con Nicole Minetti, con Raissa Skorkina, con Marysthelle Garcia Polanco), ma anche un cd audio con decine di telefonate del presidente del Consiglio.
La procura ha deciso di non utilizzarle nel processo, dunque sono destinate a rimanere segrete e a essere distrutte, però la difesa ha il diritto di averle, tutte, anche perchè potrebbe avere interesse a usarne qualcuna come elemento a discolpa dell’imputato
Ma allora, perchè quelle tre telefonate del presidente del Consiglio (e altre ancora) sono state trascritte?
La procura risponde spiegando che non è stata fatta alcuna “trascrizione”, che è un’operazione realizzata dai periti, in accordo con le parti.
Quello che è stato consegnato a Ghedini e Longo (ed è finito sul Corriere) è soltanto il brogliaccio delle intercettazioni, cioè il primo resoconto dei colloqui – in forma riassuntiva o in forma di dialogo – che viene redatto dalla polizia giudiziaria che sta eseguendo le intercettazioni e che è necessario per districarsi nel mare delle telefonate, anche per decidere quali sono da distruggere.
E’ curioso comunque che, dopo la pubblicazione delle tre intercettazioni, la discussione e la polemica si siano incentrate solo sulla forma – certo essenziale nelle questioni giuridiche – senza però alcuna attenzione alla sostanza.

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GLI IMPRENDITORI DI VICENZA E TREVISO SCARICANO BOSSI: “DOBBIAMO FARCI CARICO DELLE ESIGENZE UMANITARIE”

Aprile 6th, 2011 Riccardo Fucile

GLI IMPRENDITORI VENETI FRENANO LA DEMAGOGIA LEGHISTA: “ATTENZIONE ALLE CAMPAGNE MEDIATICHE CONTRO GLI STRANIERI, CI VUOLE ACCOGLIENZA”…IL SISTEMA ECONOMICO LOCALE VIVE SULLE BRACCIA EXTRACOMUNITARIE: 20 MILIARDI DI EXPORT L’ANNO E IL 20% DELLA MANODOPERA E’ STRANIERA… “QUA LA CONVIVENZA E’ TRANQUILLA, BASTA SOFFIARE SUL FUOCO”

«Svuotare la vasca», sibila Umberto Bossi.
«Il problema immigrazione va risolto alla radice, ma intanto dobbiamo farci carico delle esigenze umanitarie…», aiutando chi fugge da Lampedusa, rispondono i presidenti di Confindustria Treviso e Vicenza, la vandea della Lega.
«Ognuno deve fare la propria parte, anche Treviso», precisa Alessandro Vardanega, leader degli imprenditori della Marca.
«Non si può semplicemente rilevare il problema e poi dire ma tanto si arrangeranno alcune aree del Paese».
«E’ doveroso, nell’emergenza, che ciascuno faccia il proprio dovere», rincara il collega vicentino, Roberto Zuccato.
«Vale per il governo nazionale che deve approntare un piano per gestire la situazione nel rispetto dei diritti umani, per le regioni che hanno il dovere di accogliere i rifugiati che il governo destinerà  al loro territorio, e per l’Ue che non può pensare che gli sbarchi siano un problema solo italiano».
Peraltro, «abbiamo già  dimostrato di essere un Paese in grado di gestire situazioni complesse, con il giusto equilibrio tra solidarietà  e fermezza…».
Insomma, dopo l’appello del vescovo trevigiano Gianfranco Agostino Gardin – «noi cristiani non possiamo dire mandiamoli via ed è tutto risolto» -, anche gli imprenditori locali, tradizionale riserva forzaleghista, battono un colpo. Vicenza e Trieste sono le due grandi province manifatturiere venete dov’è più densa l’immigrazione.
Nella Marca il Carroccio spopola: alle scorse Regionali ha preso il 48,5% dei consensi stracciando il Pdl (15,5%).
Idem nel Vicentino: 38,1% contro il 25,2% dei berluscones.
«Maroni fa il ministro, ma qui la Lega non ci sta…», tuona da giorni il bossiano Giampaolo Gobbo.
Eppure nessuno dei padroncini si sogna di cacciare coi forconi l’orda che potrebbe salire dal Maghreb, anzi. «Attenzione alle campagne mediatiche anti stranieri», spiegano dalle stanze confindustriali.
Il sistema economico trevigian-vicentino vive da tempo sulle braccia extracomunitarie.
Insieme fanno 20 miliardi di export l’anno e più del 20% degli addetti industriali è straniero.
Non a caso le due province leghiste, al netto degli slogan alla Gentilini, sottopelle sono campioni di integrazione. Il lavoro è da sempre un passepartout potentissimo.
A certificarlo, i rapporti Caritas-Migrantes.
Nel Vicentino ci sono 93 mila stranieri residenti (10,8% della popolazione) e il 23,6% dei nati 2009 è figlio di genitori stranieri.
Nel Trevigiano gli extracomunitari sono 96 mila (11% del totale), di cui 16 mila nati in provincia.
«La convivenza è tranquilla, sarebbe sbagliato soffiare sul fuoco anche per la ripresa economica», ragiona Gigi Copiello, segretario uscente della Cisl vicentina.
Questa è l’altra ragione della fronda confindustriale alla propaganda leghista che vorrebbe ricacciare i profughi in Nordafrica.
«Dopo aver pagato la prima fase della crisi con il crollo delle assunzioni (-10,3%) e 10.500 posti di lavoro stranieri bruciati nel saldo 2008/2009, nel 2010 la percentuale è tornata positiva», spiega Bruno Anastasia di Veneto Lavoro.
«A trainare la piccola ripartenza occupazionale sono proprio Vicenza e Treviso (rispettivamente +12 e +9% sul 2009), riducendo di 3 mila unità  i disoccupati extracomunitari nell’industria».
Per questo gli imprenditori locali frenano la demagogia padana.
Ne va della ripresa.
Tanto più nella terra del leghismo di governo.

Marco Alfieri
(da “La Stampa“)

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NEGOZIATO ITALIA-TUNISIA, LE FATICHE DI UN’INTESA DEBOLE: NON CI SONO DATE, NE’ CERTEZZE

Aprile 6th, 2011 Riccardo Fucile

MARONI: “NON C’ERANO ALTERNATIVE”….LA TELEFONATA A BERLUSCONI: “O INTERVIENI O LASCIO”…NON C’E’ NEANCHE UN ACCORDO SCRITTO, SOLO UN PROCESSO VERBALE, NULLA DI REALMENTE VINCOLANTE… E I PERMESSI DI SOGGIORNO SONO RINNOVABILI

Adesso comincia la parte più difficile.
Perchè l’estenuante negoziato condotto ieri ha mostrato in maniera netta che nessun affidamento si può fare sul governo tunisino.
E, dunque, il decreto che sarà  firmato questa mattina dal presidente del Consiglio per il rilascio del permesso temporaneo a fini umanitari a tutti i tunisini già  approdati in Italia rimane l’unica strada per «svuotare la vasca», come chiede Umberto Bossi.
E per evitare, almeno per il momento, la creazione di nuove tendopoli al Nord.
«Non c’erano altre alternative», ripete il ministro dell’Interno Roberto Maroni al termine di una giornata trascorsa a tentare di convincere il collega tunisino Habib Essid a collaborare per fermare il flusso dei migranti.
E in questo modo spera di indurre anche la Lega ad allentare quella presa che sta mettendo in seria difficoltà  la tenuta dell’esecutivo.
Lo sa bene Maroni che entro qualche ora la Tunisia potrebbe fare marcia indietro pure rispetto a quel poco che è stato concesso.
Anche perchè la firma non è stata messa in calce a un «bilaterale», ma a un «processo verbale» e basta questo a comprendere che è la stessa natura del patto a renderlo soggetto a possibili e numerose modifiche.
Ma soprattutto perchè nel testo non c’è alcun piano concreto che riguardi quegli 800 rimpatri promessi.
Se ne parla, però le date e le modalità  dei voli che dall’Italia dovranno riportare a casa chi è arrivato a Lampedusa non sono state ancora fissate.
E dunque è possibile che le autorità  locali comunichino di aver bisogno di altro tempo per pianificare quanto hanno assicurato di voler fare.
Nulla è stato definito neppure sui rimpatri di chi arriverà  nel nostro Paese a partire da oggi, sebbene se ne faccia riferimento in uno degli articoli dell’intesa.
Ed è proprio per questi motivi che il titolare del Viminale ha preteso il via libera del premier Silvio Berlusconi prima della sigla.
Del resto, già  pochi minuti dopo l’arrivo a Tunisi e nonostante una base di mediazione ottenuta dal prefetto Rodolfo Ronconi, si era capito che da parte del governo tunisino non c’era alcuna volontà  di fornire certezze sulla riammissione di chi è fuggito e sul pattugliamento delle coste dove gli scafisti continuano a farla da padroni.
«È come se stessimo in un suk», ripetono i tecnici quando si tratta di spiegare come mai una missione che doveva concludersi in poche ore vada avanti per tutto il giorno.
E soltanto alla fine si scopre che in almeno due momenti c’è stato il rischio che saltasse tutto e si sfiorasse la rottura delle relazioni diplomatiche.
Accade a metà  pomeriggio, quando il ministro dell’Interno Habib Essid chiede che venga inserita una clausola che condiziona i rimpatri «alla volontà  dello straniero».
Maroni spiega che si tratta di una condizione inaccettabile. Il collega insiste.
A questo punto Maroni contatta Berlusconi: «O convinci il premier tunisino a togliere questa limitazione o io lascio».
Berlusconi parla con Beji Caid Essebsi, lo convince.
Richiama il ministro e assicura che tutto è a posto. Ma si sbaglia.
Essid ribadisce che i rimpatri devono essere volontari. «Allora non se ne fa niente», conclude Maroni.
L’ambasciatore Piero Benassi lo convince ad andare avanti, pur sapendo che alla fine il risultato sarà  molto modesto.
«Ho firmato perchè questa carta serve comunque a impegnare il governo tunisino», afferma il ministro sull’aereo che lo riporta a Roma senza nascondere il suo disappunto.
Sa che la strada per risolvere l’emergenza continua ad essere in salita, soprattutto alla luce dell’incontro che avrà  oggi con i presidenti delle Regioni per convincerli a garantire l’accoglienza ai nuovi arrivati. Il permesso temporaneo potrà  infatti essere rilasciato soltanto a chi è già  in Italia.
Il beneficio durerà  sei mesi, ma sarà  rinnovabile.
Il limite di tempo servirà  ad impedire che gli stranieri godano automaticamente della copertura sanitaria.
Resteranno esclusi tutti coloro che hanno precedenti penali o che risultano aver ricevuto un precedente provvedimento di espulsione.
La partita per sistemare chi approderà  nei prossimi giorni a Lampedusa e sulle altre coste italiane è ancora tutta da giocare.

Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)

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ALTRO FLOP DI MARONI: I TUNISINI RESTANO DA NOI, AL NETTO DELLE CHIACCHIERE

Aprile 6th, 2011 Riccardo Fucile

PROCESSO VERBALE, ACCORDO TECNICO, MA LA SOSTANZA E’ CHE A TUTTI QUELLI GIA’ ARRIVATI SARA’ RILASCIATO UN PERMESSO DI SOGGIORNO PROVVISORIO DI SEI MESI E SARANNO LIBERI DI CIRCOLARE PER IL PAESE…QUELLI CHE ARRIVERANNO IN FUTURO POTRANNO ESSERE RIMPATRIATI, MA NON SONO STATE PRECISATE LE MODALITA’…LO STOP ALLE PARTENZE RESTA UN’INCOGNITA

La trattativa tra Roma e Tunisi è chiusa e il suo esito definisce quello che sarà  il percorso con cui Palazzo Chigi, da oggi, conta di «rientrare dall’emergenza».
Un piano che lascia molto freddo persino il ministro dell’Interno Roberto Maroni e che, all’osso, per quanto ne riferiscono fonti qualificate del Viminale, funzionerà  così: i 20 mila profughi che hanno lasciato la Tunisia all’indomani della caduta di Ben Alì e sono arrivati in Italia, qui resteranno, ospiti delle strutture regionali di prima accoglienza.
Otterranno un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari che il presidente del Consiglio riconoscerà  con decreto legge.
Ciò consentirà  loro di circolare liberamente all’interno del nostro Paese.
In attesa che ulteriori accordi bilaterali dell’Italia (con la Francia ad esempio) ovvero decisioni collegiali in sede europea estendano la loro libertà  di movimento all’intera area dei Paesi Schengen.
Chi, al contrario, di qui in avanti, prenderà  il mare per raggiungere le nostre coste sarà  teoricamente respinto e riconsegnato alla Tunisia senza alcun passaggio amministrativo intermedio, come accade oggi per i provvedimenti di espulsione.
Ma non è stato precisato con quali modalità  e in che numero: concetto quindi vago che dovrà  essere definito nel dettaglio dalle autorità  di polizia dei due Paesi.
Insomma, una “sanatoria” a monte che riconosce, nei fatti e come voleva il governo di Tunisi, il carattere straordinario dell’esodo e la necessità  di una risposta umanitaria.
Altro che “fuori dalle balle”, sono entrati tutti con regolare permesso.
Unita a una vaga promessa di “inflessibilità ” per il futuro che dovrebbe scoraggiare nuovi sbarchi.
Se funzionerà , lo dirà  il tempo. Che, del resto, non dovrebbe essere lungo.
Il presidente del Consiglio si prepara infatti nelle prossime ore alla firma di un decreto legge che, richiamando l’articolo 20 della legge Bossi-Fini, riconoscerà  ai profughi tunisini ancora in Italia quel permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari che dovrebbe raffreddare la tensione all’interno delle tendopoli.
Il destino dei cittadini tunisini, con un documento elettronico in tasca, a quel punto dipenderà  anche dagli impegni che l’Unione Europea vorrà  assumere. Il tempo dovrebbe anche dimostrare la reale capacità  delle autorità  tunisine di contenere l’esodo dei profughi.
E’ prevista da parte italiana, non a breve e solo in futuro, una fornitura di materiali da 100 milioni di euro destinata alle forze di sicurezza tunisine (sei imbarcazioni per il pattugliamento, dieci veicoli fuoristrada, apparecchiature elettroniche per il controllo notturno della navigazione) e che comunque esclude qualsiasi forma di sorveglianza marittima congiunta.
Quindi possibilità  di verifica italiana pari a zero.
Un sostegno che in ogni caso non esaurisce il programma di cooperazione allo sviluppo con Tunisi che dovrebbe vedere l’Italia, al di là  dei rapporti bilaterali, parte diligente in Europa nel definire un piano complessivo di crediti allo sviluppo per circa 4 miliardi e mezzo di euro.
In conclusione ci siamo giustamente presi in carico 20.000 tunisini che vivono un’emergenza umanitaria, anche se il governo non sa ancora dove sistemarli dopo aver creato il caos a Lampedusa, abbiamo fatto la voce grossa per settimane e alla fine i leghisti se lo sono preso in quel posto.
Tanto valeva farlo subito e organizzare l’accoglienza come una nazione civile, invece che parlare di clandestini da ricacciare in mare.
Ne avremmo guadagnato in immagine, coerenza e rispetto della dignità  umana.

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IL LEGHISTA BELSITO SI SDOPPIA: MANIFESTA CONTRO LA FRANCIA MENTRE STA CON MARONI CHE TRATTA

Aprile 6th, 2011 Riccardo Fucile

IL SOTTOSEGRETARIO DALLE DUE LAUREE FANTASMA SI MANIFESTA A VENTIMIGLIA E DIVENTA “UOMO DI LOTTA E DI GOVERNO”… CON LA CIURMA LEGHISTA URLA “I CLANDESTINI A ST. TROPEZ”, MENTRE IL GOVERNO RAPPRESENTATO DA MARONI STA TRATTANDO…CHE GRANDE UOMO DELLE ISTITUZIONI CHE LA LIGURIA ESPRIME A ROMA

I clandestini? “A Saint Tropez”.
C’era anche Francesco Belsito, il sottosegretario ligure della Lega, l’uomo dalle lauree fantasma mai esibite, il “pancho villa de noiatri” che parcheggia la sua Porsche Cayenne nei parcheggi riservati della Questura genovese, il miracolato buttafuori da discoteche divenuto, per grazia ricevuta e per successione balocchiana, custode dei segreti amministrativi leghisti, il distributore di biglietti da visita trovati nelle tasche di prostitute minorenni, a declamare lo slogan della protesta leghista domenica a Ventimiglia.
Sotto accusa la Francia che rispedisce in Italia i nordafricani.
Un uomo di lotta e di governo, al sud sarebbe certamente definito un “uomo di panza”, capace di accordarsi per interesse politico con i suoi eterni detrattori locali interni alla Lega che non lo potevano vedere fino a pochi mesi fa.
Poi una mano lava l’altra, si sa,   e Belsito ha recuperato, dopo essersi anche   raccomandato al Cristo degli Abissi nel corso di una rapida immersione e trichechica riemersione a uso media e di fronte al “Capo”.
A Ventimiglia ha lasciato la giacca delle istituzioni e ha indossato la camicia pistacchio del militante padano, lasciando peraltro solo un altro leghista, il consulente orale Maroni, che nello stesso momento doveva invece indossarla per tamponare l’emergenza profughi, trattando sia con Tunisi che con Parigi.
Un comportamento, quello di Belsito, definito da molti politici locali di “una contraddizione incredibile”, tanto che lo stesso “Secolo XIX” ha sottolineato che “chi siede al governo sarebbe meglio che non andasse a protestare” per una vicenda che lo vede anche coinvolto nel suo ruolo istituzionale.
Ma forse c’è una spiegazione alle proteste di Belsito contro Parigi: che abbia magari conseguito una terza laurea alla Sorbona e non gliela vogliano riconoscere?

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LA “POLTRONA RESPONSABILE”: LA SILIQUINI ORA PUO DIRE “OK IL PREZZO E’ GIUSTO”

Aprile 6th, 2011 Riccardo Fucile

AVEVA TRADITO FINI ALL’ULTIMO MINUTO PER ANDARE TRA I RESPONSABILI: “NON LO FACCIO PER INTERESSE A UNA POLTRONA”…ORA E’ STATA NOMINATA DAL GOVERNO NEL CDA DI POSTE ITALIANE, UNA POLTRONA CHE PESA

“E’ lei?” domanda il cronista dell’Ansa, scorrendo l’elenco delle nomine.
“Sì, sono io. Non ho omonimi” risponde l’onorevole Maria Grazia Siliquini, di Iniziativa Responsabile, il gruppo di Scilipoti.
Ieri l’hanno nominata nel cda delle Poste Italiane per il triennio 2011-2013, una poltrona che pesa. “Quando sarò il momento lascerò lo scranno di Montecitorio” ha annunciato, prevenendo eventuali polemiche su un conflitto d’interesse.
Sessantadue anni, torinese, avvocato penalista, una certa facilità  ai disamori politici — nel ’94 fu eletta con la Lega, nel ’96 con il Ccd, nel 2001 con An — è l’ultima Responsabile ricompensata per il voto di fiducia che il 14 dicembre salvò Silvio Berlusconi.
“Deciderò all’ultimo. Andrò in bagno dieci minuti prima della chiamata in aula, mi guarderò allo specchio e deciderò”, raccontò in quella vigilia convulsa.
Lo specchio le disse di votare no alla sfiducia.
Il 30 luglio aveva lasciato il Pdl per passare con i futuristi di Gianfranco Fini. Non condivideva il modo in cui il premier vedeva le donne.
I giornali l’etichettarono come “fustigatrice delle veline”.
Aveva cambiato idea in soli cento giorni.
A Roberta Zunini del Fatto, che il 16 dicembre le chiedeva conto di quella giravolta, rispose senza battere ciglio: “Ma erano altri tempi! Ora sono apparsi all’orizzonte ben altri problemi”.
Davanti a Dino Martirano del Corriere giurò solenne: “Dicono che ho scambiato il voto per un posto di sottosegretario? Sbagliato. Non m’interessano i posti di potere”.
Anche il Tg3 la inseguì lungo piazza Montecitorio, chiedendole cosa avrebbe ottenuto in cambio, e lì l’onorevole Siliquini perse giustamente la pazienza: “Come ve lo devo dire?”
“Niente posti di potere”.
In Italia i politici responsabili cambiano idea all’incirca ogni cento giorni.

(da “Ritagli“)

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PER 10.000 EURO IL DEPUTATO FINISCE IN CARCERE: OVVIAMENTE A LONDRA

Aprile 6th, 2011 Riccardo Fucile

JIM DEVINE, EX DEPUTATO LABURISTA, DAVANTI AI GIUDICI PER RISPONDERE DI RIMBORSI SPESA FALSI PER 8.385 STERLINE, E’ STATO CONDANNATO A SCONTARE 16 MESI DI RECLUSIONE…E’ IL QUARTO PARLAMENTARE CONDANNATO

Jim Devine, 57 anni, ex deputato laburista, è andato ieri davanti al giudice per rendere conto dei rimborsi spese falsi per 8.385 sterline (circa 10 mila euro) ed è stato condannato a scontare 16 mesi di reclusione.
All’Old Bailey, come si chiama il Tribunale Penale di Londra, non si scherza.
Qui non si fanno sconti a nessuno, tantomeno ai parlamentari.
Anzi, i parlamentari pagano di più, perchè oltre al reato commesso, devono anche rendere conto dell’oltraggio al buon nome dell’istituzione.
Devine è stato accusato per aver chiesto il rimborso di lavori di ristrutturazione e ritinteggiatura mai eseguiti.
È il quarto parlamentare a essere condannato nell’ambito dello scandalo sulle note spese che l’anno scorso aveva scosso Westminster.
David Chraytor, 61 anni, sta scontando 18 mesi per 22 mila sterline; Eric Illseley, 55, è stato mandato in prigione l’anno scorso per 14.500 sterline di rimborsi ottenuti “disonestamente” e il conservatore Lord Taylor of Warwick, 58 anni, è in attesa di giudizio per una frode da 11 mila sterline.
Nei guai erano finiti anche altri 381 parlamentari definiti “disonesti” dai giornali per aver chiesto il rimborso di spese personali.
Laburisti, conservatori e liberaldemocratici, senza distinzione di colore politico, erano stati tutti colti con le mani nel sacco.
Chi aveva presentato il conto della gabbietta del pappagallo, chi lo scontrino del cibo per il gatto, l’hi-fi , la scopa nuova, la donna delle pulizie…
Nella maggior parte cose da poco, un piccolo danno all’erario statale, ma gravissimo per chi è abituato alla legge inglese, a quel “Theft Act” che punisce ladri e truffatori, ma soprattutto stigmatizza chi viola la moralità  politica.
Per Devine le note spese erano riferite al periodo tra il luglio 2008 e il maggio 2009: in Italia finire in carcere con una condanna definitiva dopo un anno potrebbe essere considerato un processo per direttissima.
Interessante il motivo della condanna di Devine, fin dall’inizio in una condizione giudiziaria peggiore per aver presentato note per spese mai avvenute (quindi doppia frode).
Il tutto aggravato dal fatto che ha mentito di fronte alla Corte durante il processo, tentando di incolpare il suo amministratore e ha perseguito nella truffa nonostante i giornali fossero già  pieni di notizie riguardanti lo scandalo.
Leggere i giornali inglesi stamattina e immaginare il premier italiano costretto a varcare il portone dell’Old Bailey e rivolgersi al giudice con un “My Lord”, come è uso per i magistrati dell’Alta Corte, è un pensiero che non ho potuto scacciare.

Caterina Soffici
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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