Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
UN SONDAGGIO DA’ IL 40% AL CANDIDATO DELLA SINISTRA CECCUZZI, IL 29% A CORRADI DEL TERZO POLO, SOLO IL 20% A NANNINI DI PDL-LEGA… IL TERZO POLO CONTRO IL GRANDE ABBRACCIO SENESE TRA POLITICA, CAPITALISMO, MASSONERIA, OPUS DEI E MONTE DEI PASCHI
“Un groviglio armonioso”.
Cosl, con immagine vagamente esoterica come gli compete, Stefano Bisi, presidente del Collegio dei Venerabili della Toscana –110 Logge e 3 mila massoni del Grande Oriente d’Italia – definisce Siena, che in maggio va alle urne con altri 27 capoluoghi italiani per eleggere il nuovo sindaco.
«Un groviglio sl, ma bituminoso», controbatte Claudio Martelli, ex vicepresidente del Consiglio, ex ministro, exvicesegretario del Psi con Bettino Craxi, che, redivivo dopo molti lustri, a 67 anni si candida capolista di una formazione che porta il nome del candidato sindaco Gabriele Corradi, padre dell’attaccante dell’Udinese, insieme all’Udc, a Fli e all’Api, di Casini, Fini e Rutelli.
Il Nuovo Polo – «attenzione non Terzo» awerte lo storico ex sindaco comunista Pierluigi Piccini, che ha contribuito a metterlo insieme–promette di scardinare quel blocco di potere che vede qui uniti da decenni in un grande abbraccio politica, capitalismo, Chiesa, Opus Dei e massoneria, sotto l’ala benefica del Monte dei Paschi, terzo gruppo bancario d’Italia che si fregia del titolo di più antica banca del mondo.
In nome dell’arcidiacono Sallustio Antonio Bandini che «la dottrina della libertà economica insegnò prima per la prosperità », come recita l’iscrizione ai piedi della statua che svetta davanti al castellare duecentesco dei Salimbeni, dove ha sede il Monte.
Città -banca, o, se volete, banca-città o addirittura città -Stato, che Giuseppe Mussari, assiso da presidente nella rocca sotto l’affresco della Madonna della misericordia dipinto da Benvenuto di Giovanni del Guasta, traduce in «centralità millenaria», costruita intorno al Monte, che nei secoli passati ebbe potere di vita e di morte non solo sui dipendenti, ma anche sui clienti.
Quel che a Roma Berlusconi divide, qui il Monte e la massoneria uniscono, persino in un segreto afflato d’amorosi sensi tra il Pd, che governa da decenni nelle sua varie incarnazioni, e il Pdl.
I senesi, si sa, sono gente di contrada, un po’ anarchici, un po’ spocchiosi e anche parecchio smaliziati.
Come togliere a molti di loro dalla testa che il candidato sindaco berlusconiano Alessandro Nannini, expilotaautomobilistico, fratello della cantante Gianna e continuatore delle pasticcerie paterne, non troppo quotato politicamente, sia stato scelto da Denis Verdini che, nonostante i guai giudiziari della Cricca P3 e della sua ex banchetta fiorentina, qui comanda ancora, per favorire Franco Ceccuzzi, deputato, ex segretario del Pd locale e candidato del centrosinistra? Gli equilibri vanno preservati.
Perchè, come ci ha spiegato il sindaco uscente Maurizio Cenni con incantevole sfoggio di senesità : «Noi qui, bonini bonini, abbiamo due o tre cose su cui non ci si divide mai tra destra e sinistra: la banca, il Palio e la nostra indipendenza». Non a caso, Ceccuzzi e Nannini hanno usato quasi le stesse parole contro il ministro Michela Brambilla, la rossa pasionaria berlusconiana che aveva attaccato il Palio: «farneticante» l’uno, «insensata» l’altro.
Nella banca, in fondazione e in consiglio d’amministrazione, sono tutti equamente rappresentati su designazione della politica e tutti hanno il loro tornaconto piccolo o grande di potere.
I partiti, la Chiesa, la massoneria che qui, al tempo stesso, è partito della borghesia, come diceva Gramsci, e del ceto medio impiegatizio commerciale, come sosteneva Croce.
Tutti rappresentati tranne i gay, i quali infatti più di una volta hanno pubblicamente protestato: «A Siena siamo più noi dei cattolici, perchè la curia ha un posto in fondazione per il signor Alessandro Grifoni e noi no?».
Ma oggi la politica è moribonda, la massoneria, che il presidente della regione pd Enrico Rossi ha appena definito un benemerito centro di «spiritualità laica», è scossa dalla guerra in corso contro il Gran Maestro del Goi Gustavo Raffi, e anche la banca non sta tanto bene.
Per non dire dell’università , altra istituzione-cardine cittadina, con 15 mila iscritti, che il ministro Tremonti vorrebbe chiudere perchè ha messo insieme qualcosa come 250 milioni di buco.
Il Maestro Bisi, assai vicino al Gran Maestro Raffi, protesta che bisogna smetterla di denigrare, come fanno la squadra nuovopolista di Corradi-Martelli-Piccini e la candidata della Sinistra per Siena Laura Vigni.
La città è da un decennio ai primi posti in Italia per qualità della vita,’ ottava nel reddito pro-capite (28.620 euro) e, con serena armonia, fa passeggiare dalla mattina alla sera i suoi cittadini in un circuito topo-nomastico massonico che va da Giovanni Amendola a Silvio Gigli, da Goffredo Mameli a Artemio Franchi, da Camillo Benso di Cavour a Luciano Bianchi, ex sindaco ed ex presidente del Monte, icona della convergenza di poteri, come Bisi documenta in un libro intitolato Stradario massonico di Siena, che fa il paio con La carica dei 101 e più, medaglioni dei senesi illustri di oggi.
Naturalmente, in percentuale quasi bulgara sono dirigenti, dipendenti, ex dipendenti e pensionati del Monte.
Che dal 2007 ha perso il 70 per cento del valore in Borsa e fatica ancora a digerire il boccone dell’Antonveneta, presa per 9 miliardi, più ammennicoli, dopo la saga dei furbetti del quartierino.
La Banca d’Italia ora vuole un aumento di capitale di almeno 2 miliardi, che cambierebbe gli equilibri senesi se la fondazione dovesse perdere la maggioranza, che sarà difesa a oltranza.
A fare il controcanto, la voce solitaria di uno scrittore locale che sforna in continuazione libri di denuncia.
Si chiama Stefano Ascheri, ha collezionato un cesto di querele raccontando gli scandali senesi.
La lista è lunga: dal mega-aeroporto che si vorrebbe ad Ampugnano, a un tiro di schioppo dal centro, per il quale è indagato per concorso in turbativa d’asta il presidente del Monte, all’intervento senese per ripianare 3 milioni di scoperto di Denis Verdini nella sua ex banchetta fiorentina, dall’inchiesta sul presidente dell’Antonveneta Andrea Pisaneschi, ai presunti brogli nell’elezione del rettore dell’università , sui quali è stata interrogata anche il ministro Maria Stella Gel-mini, fino agli interessi della famiglia Monti-Riffeser, proprietaria della Nazione, del Carlino e del Giorno, che punta a una speculazione edilizia nella tenuta di Bagnaia, dove convolarono a nozze Pierferdinando Casini e Azzurra Caltagirone, figlia di Franco, vicepresidente del Monte.
Ma la vicenda più sulfurea è quella dell’incendio all’interno della curia vescovile per il quale il pm Nicola Marini ha accusato monsignor Giuseppe Acampa, quarantenne economo della diocesi, legato all’arcivescovo Antonio Buoncristiani, difeso da Mussari, che, oltre ad essere presidente del Monte, fa l’avvocato penalista.
Se fu Acampa davvero ad appiccare l’incendio, perchè lo fece se non per far sparire documenti sulla gestione di lasciti e beni della Chiesa?
E qui entra in scena anche un industriale delle scarpe del Nord-Est, Renè Caovilla, che sarebbe stato favorito dal monsignore nell’acquisto del complesso immobiliare del Commendone, ricevuto in eredità dalla Chiesa.
Armoniosi grovigli.
«Quanto basta–secondo Martelli–per spiegare perchè, con il 45 per cento alle regionali, il primo partito di Siena è ormai quello degli astenuti, che non ne possono più di un sistema che vede complici centrosinistra, centrodestra, massoneria, potere bancario e religioso. Nulla ho contro la massoneria, se è alla luce del sole, ma qui l’intrico di poteri ha poco di trasparente».
Le ambizioni del Nuovo Polo sono superlative.
Martelli, in coro con Piccini, si dice certo che al ballottaggio andrà il loro candidato e non il berlusconiano Nannini, anche lui proveniente da sinistra, ed esibiscono un sondaggio che dà il Pd Ceccuzzi a140, loro al 29 e Pdl più Lega al 20.
Velleitarie aspirazioni terzopoliste?
O davvero c’era una volta Siena la rossa col suo groviglio armonioso?
Statera Alberto
(da “La Repubblica“)
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Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
DAL VERTICE CON IL MINISTRO DEGLI INTERNI FRANCESE IL GOVERNO ITALIANO ESCE SOLO UN IMPEGNO COMUNE A PATTUGLIARE LE COSTE TUNISINE…IN COMPENSO ORA PURE MALTA CI ACCUSA DI ESSERE DEGLI IRRESPONSABILI E DI AVER VIOLATO LE NORME INTERNAZIONALI
«Per sollecitare la Ue a contrastare l’immigrazione clandestina abbiamo concordemente deciso un pattugliamento comune sulle coste tunisine fra Italia e Francia per bloccare le partenze dalla Tunisia».
Lo ha annunciato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, al termine dell’incontro bilaterale con l’omologo transalpino Claude Gueant, preceduto alla vigilia da dichiarazioni tutt’altro che concilianti tra i due Paesi.
Il governo francese aveva minacciato di rimandare in Italia tutti gli immigrati che valicheranno la frontiera in possesso del solo permesso temporaneo di soggiorno che le autorità italiane hanno deciso di rilasciare agli immigrati sbarcati nelle ultime settimane a seguito delle crisi nord-africane.
E Maroni aveva replicato spiegando che «mettere le truppe, come a Risiko, alla frontiera tra noi e la Francia è la cosa più sbagliata» e che c’è un solo modo per i francesi di impedire che i migranti circolino liberamente anche in territorio francese: «che la Francia esca da Schengen o sospenda il trattato». Dopo l’incontro milanese sembra invece profilarsi un clima di collaborazione, anche se sull’applicazione delle norme europee in materia di accoglienza le posizioni restano distanti.
La disputa maggiore era proprio sull’interpretazione del trattato di Schengen, che prevede la libera circolazione entro i confini dei Paesi che vi aderiscono. La Francia aveva fin dall’inizio sostenuto che il solo permesso di soggiorno temporaneo non sarebbe stato sufficiente e che i migranti avrebbero dovuto avere con sè quantomeno un passaporto valido e le risorse economiche necessarie al proprio sostentamento.
«I permessi temporanei di soggiorno rilasciati dal governo italiano – ha precisato Gueant al termine dell’incontro con Maroni – aprono la possibilità di libera circolazione ma nel rispetto dell’articolo 5 di Schengen, che prevede il possesso di risorse finanziarie e documenti».
Il ministro di Sarkozy ha poi sottolineato che «spetta ad ogni paese verificare queste condizioni».
Non è dunque passata la linea italiana che con i permessi temporanei riteneva di avere trovato la chiave per far sì che anche altre nazioni facessero la propria parte nell’accoglienza ai migranti.
Molti dei quali, tra l’altro, hanno dichiarato di essere sbarcati in Italia per questioni di vicinanza ma di essere in realtà interessati a raggiungere altri Paesi, in primis proprio la Francia, punto di riferimento naturale (a causa del suo passato coloniale) per tutte le popolazioni dell’area maghrebina.
Ma proprio per questo il governo di Sarkozy teme una vera e propria invasione e per questo ha stabilito ulteriori restrizioni per l’ingresso di stranieri sul proprio territorio.
Il vertice milanese di questa mattina si è limitato in realtà a ratificare un’intesa che era già stata trovata ieri. I termini della “pace” erano stati comunicati infatti in serata a Bruxelles.
Marcin Grabiec, ricordando come “le decisioni prese da un paese abbiano conseguenze anche sugli altri”. Grabiec, ha poi confermato che “la Commissione ha ricevuto ieri sera tardi la lettera del governo italiano e quella del governo francese”, nella quale vengono spiegate a Bruxelles le disposizioni prese dai due governi relativamente alla concessione dei permessi di soggiorno temporanei da parte dell’Italia agli immigrati tunisini ed alle condizioni poste dalla Francia, secondo gli accordi di Schengen, per permettere l’ingresso nel Paese.
Su questi punti, Grabiec ha ribadito che “avere un permesso di soggiorno temporaneo non garantisce automaticamente il diritto a viaggiare negli altri paesi”, essendo condizionato al rispetto di alcune condizioni previste dagli accordi di Schengen, elencate nella circolare diramata due giorni fa dal ministro dell’Interno francese, Claude Gueant.
Per l’Italia si apre però ora un nuovo fronte diplomatico con Malta.
Il ministro dell’Interno maltese, Carm Mifsud Bonnici, ha accusato infatti le autorità italiane di essere “irresponsabili” per essersi rifiutate di accogliere 171 migranti soccorsi in mare da una motovedetta maltese.
“Gli italiani hanno violato i loro obblighi giuridici e umanitari e l’atteggiamento è sbagliato quando si tratta di tali circostanze”, ha affermato Bonnici.
Secondo il ministro, le autorità italiane hanno negato il permesso per il trasporto dei migranti a Lampedusa che dista circa 13 miglia nautiche dal punto del soccorso in mare e quindi molto più vicina di Malta.
I migranti, per lo più eritrei e libici tra i quali tre bambini, erano partiti dalla Libia e sono stati soccorsi dalla motovedetta maltese dopo che le autorità italiane avevano dato l’allarme, ha aggiunto Bonnici.
Sulla questione immigrazione è intervenuto oggi anche il presidente della Camera Gianfranco Fini.
“E’ un paradosso – ha commentato – nello stesso momento in cui risulta evidente a tutti che l’Unione Europea deve avere politiche comuni, l’Unione Europea balbetta”.
“Le istituzioni europee – ha aggiunto – appaiono inadeguate rispetto alle sfide di oggi. Proprio oggi, che servono politiche comuni si hanno maggiori difficoltà “.
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Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
NELLA MAGGIORANZA SI TEME CHE IL PARERE DEL CSM “PESI” SUL QUIRINALE…ALFANO PREVEDE CHE LA RIFORMA SIA LEGGE ENTRO MAGGIO…COSI’ ANCHE LA MINA DEL PROCESSO MILLS VIENE DISINNESCATA CON L’ENNESIMA LEGGINA AD PERSONAM
E’ un calcolo, chiuso in un cassetto del Csm, la mina che potrebbe mettere in crisi la prescrizione breve.
Quella stima, studiata a ridosso del parere in cui la nuova norma “salva Silvio” viene considerata “un’amnistia sostanziale”, parla di un 10% di processi a rischio, per un numero più o meno pari a 15mila.
Tanti sarebbero, in Italia, i dibattimenti destinati a finire al macero.
Con imputati fino a quel momento incensurati, e quindi liberi fruitori della prescrizione in versione scontata.
Ben 15mila pur di chiudere subito un processo di Berlusconi, il caso Mills; forse, nel 2013, un altro suo guaio giudiziario, il caso Mediaset.
Al Csm si preoccupano, ma non si stupiscono.
Perchè, come spiega chi in questi anni a palazzo dei Marescialli ha sempre studiato le norme ad personam cucite su misura per Berlusconi, la logica è sempre la stessa: guardare al caso concreto, quello del premier, cercare di affrontarlo con l’obiettivo di chiuderlo, senza curarsi degli effetti che questo poi provoca sul sistema giudiziario italiano.
È accaduto con la legge blocca-processi d’inizio legislatura, centomila dibattimenti a rischio, poi con le intercettazioni, poi con il processo breve. Come dice l’autorevole fonte del Csm: “È il loro modo di intendere la politica della giustizia, a misura di premier”.
Senza curarsi “dell’odiosa lista dei reati che finiranno impuniti”.
Le truffe, gli omicidi colposi, le corruzioni.
Reati che hanno un tempo ordinario medio di prescrizione tra io sette e i dieci anni. A cui bisogna toglierne due o tre perchè il delitto non si scopre subito. Restano, ben che vada, cinque o sei anni per fare tre gradi di giudizio.
Un tempo risibile rispetto all’attuale durata media dei processi nel nostro Paese.
Quella stima rimbalza alla Camera. Dove, già da 48 ore, la maggioranza teme che il giudizio tranchant del Consiglio possa allarmare il Quirinale e innescare dei possibili dubbi sulla legge.
C’è chi, tra i berlusconiani, teme di rivedere un film già visto.
Il presidente della Repubblica che, nel momento di passaggio del ddl da una Camera all’altra, quando il Parlamento tace, chiama a sè il Guardasigilli Alfano, o esercita un’efficace moral suasion attraverso i suoi uffici legislativi, per spiegare che forse qualche dettaglio va ripensato.
Sarà un caso, ma è accaduto sia per le intercettazioni che per il processo breve.
Potrebbe accadere anche per la prescrizione breve?
Altrimenti, ragionano gli uomini del Cavaliere, perchè il presidente avrebbe autorizzato il Csm a chiudere così in fretta, e con un contenuto così duro, il parere sulla prescrizione breve per gli incensurati?
Da via Arenula spiegano però che il ministro della Giustizia è tranquillo. Angelino Alfano, da quando si è aperto il dibattito a Montecitorio, non ha mai lasciato il banco del governo.
Attorniato dalle donne ministro, soprattutto la Gelmini e la Prestigiacomo, ha diretto la maggioranza, ha retto le critiche dell’opposizione.
All’insegna di una considerazione che gli è abituale: “Chi fa ostruzionsimo poi non può chiedere il dialogo”.
Non ha battuto ciglio quando, per tre volte durante l’ostruzionismo dei futuristi, Nino Lo Presti lo ha rimproverato di non aver fornito al Paese “i dati dell’impatto sui processi”, di non aver detto “quanti aborti clandestini, quanti maltrattamenti in famiglia, quante violenze private, quante corruzioni resteranno impunite”.
Il Guardasigilli sta pensando di dire la sua opinione sulla legge chiudendo la discussione mercoledì prossimo.
Assumendo sulle spalle l’onere politico della prescrizione breve.
Del resto il fronte del ministero della Giustizia sta all’opposto rispetto al Csm.
I tecnici di Alfano hanno studiato e hanno garantito al loro ministro due cose. La prima: oggi in Italia sono già 170mila i processi che “muoiono” per prescrizione.
Quindi non si può parlare di effetto amnistia, come fa il Csm, se a questa cifra già pesante se ne aggiunge una di impatto ben minore, quei 15mila in più.
La seconda questione è più pregnante e, a quanto dicono quelle stesse fonti, avrebbe “tranquillizzato” del tutto il Guardasigilli.
Nel 2005, quando fu approvata la legge Cirielli che già rimaneggiava i tempi della prescrizione riducendoli in generale, ma con una scansione modulata sulla recidiva, non ci furono problemi nè con il Quirinale, nè con la Consulta. L’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi, che pure aveva bloccato altre leggi sulla giustizia (famoso lo stop all’ordinamento giudiziario), firmò questa senza problemi.
Egli riconobbe, secondo l’attuale maggioranza, che era discrezione del governo regolare in modo differente i tempi di estinzione dell’azione penale. Questo è considerato adesso “il punto di forza maggiore dell’attuale legge”, quello che “mette a tacere” sia gli allarmi del Csm, che quelli dell’opposizione. Per questo Alfano sta in aula senza imbarazzi.
Convinto che non solo essa passerà a Montecitorio, ma che entro una settimana sarà al Senato.
E lì può diventare legge subito dopo il voto per le amministrative.
Il processo Mills si chiuderà grosso modo qualche giorno dopo.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
PER PASSARE TRE ORE A CUNEO (DALLA FIDANZATA?) HA USATO UN VOLO DI STATO…IL 19 GENNAIO VISITA LAMPO DEL MINISTRO CON UN AIRBUS 319CJ: I GRILLINI PRESENTANO UNA DENUNCIA PER ABUSO D’UFFICIO…IL MINISTRO SI GIUSTIFICA MOTIVANDO SOLO IL RITORNO CON L’URGENZA DI DOVER RIENTRARE A ROMA PER UNA RIUNIONE CHE PERO’ RISULTA INESISTENTE
Con tutte queste inutili leggi da semplificare (e magari da bruciare), rimane davvero poco tempo per la vita privata.
Giusto, dunque, approfittare di ogni momento libero.
Questa volta, però, il ministro Roberto Calderoli, forse, ha un po’ esagerato: per passare tre ore a Cuneo – dove risiede la sua compagna Gianna Gancia, presidente della Provincia – la mattina del 19 gennaio 2011 ha usato un volo di Stato.
Questo è quanto sostiene Fabrizio Biolè, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle (nonchè cuneese doc) che ha presentato un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica del capoluogo della Granda ipotizzando il reato di abuso d’ufficio: “So da fonte certa — racconta Biolè — che il mattino del 19 gennaio 2011 è atterrato all’aeroporto di Cuneo Levaldigi un Airbus 319 CJ dell’aeronautica Militare da cui è sceso il ministro Calderoli. L’aereo, poi, è ripartito per Roma dopo poche ore, per un conto totale di circa 20 mila euro a carico della collettività ”.
Ma che ci faceva Calderoli quella mattina a Cuneo?
Non si sa di preciso, e i malevoli hanno un’idea: che si sia trattato di un blitz (anche) a uso personale?
Di certo il velivolo fa parte della flotta di Stato di stanza a Ciampino a disposizione del Presidente della Repubblica (e dei suoi predecessori), dei presidenti del Consiglio, delle Camere e della Corte Costituzionale.
Quanto ai ministri, secondo la direttiva del presidente del Consiglio del 25 luglio 2008, l’utilizzo dei voli di Stato è limitato ai casi in cui sussistano “comprovate ed inderogabili esigenze di trasferimento connesse all’efficace esercizio delle funzioni” o non siano disponibili “altre modalità di trasporto compatibili con l’efficace svolgimento di dette funzioni”.
“Inderogabili esigenze” che, nel caso specifico, non sembrano particolarmente evidenti: “Sono stato a Levaldigi — dichiara Biolè — per avere informazioni sul volo di Stato in qualità di consigliere regionale, mi è stato risposto che il passeggero del volo in questione aveva una copertura di sicurezza ‘di terzo livello’ e dunque non ho ottenuto nessuna informazione ufficiale”.
Biolè non molla e denuncia pubblicamente il fatto, senza peraltro fare il nome di Calderoli, ma dicendo comunque abbastanza, dal momento che l’entourage del ministero sente immediatamente il bisogno di rispondere al consigliere grillino: “Hanno confermato il viaggio di Calderoli, ma solo per il viaggio di ritorno, che in un primo momento avrebbe dovuto partire da Linate per poi essere dirottato su Cuneo, motivandolo con un impegno ufficiale in Commissione Federalismo. Ma il 19 gennaio 2011, come si può facilmente verificare, non c’è traccia della seduta in nessun resoconto dei lavori parlamentari”.
Dal ministero sbuffano di aver già chiarito la questione: “Non c’è nulla da aggiungere — dichiara il portavoce di Calderoli — per noi la questione è chiusa”.
In effetti il ministro della Semplificazione, quel giorno, risulta aver relazionato alla commissione Bilancio della Camera le modifiche del governo al decreto sul fisco comunale.
Rimane il fatto che, pur avendo un impegno di tale importanza, Calderoli è corso a Cuneo per poche ore “costringendosi” così a viaggiare in volo di Stato per non mancare all’impegno romano.
Forse potrà spiegarlo direttamente al Parlamento visto che, su sollecitazione di Biolè, è stata presentata un’interrogazione in Commissione Affari Costituzionali, il cui primo firmatario è il deputato Emanuele Fiano.
Stefano Caselli e Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
IL NODO RESTA IL PERMESSO DI SOGGIORNO: IN REALTA’ NON CONSENTE AUTOMATICAMENTE LA LIBERA CIRCOLAZIONE NEI PAESI UE… BERLUSCONI TEME IL CROLLO DEI VOTI, NELLA LEGA DELLE CONTRADIZIONI CRESCE IL NERVOSISMO
“Sull’emergenza immigrazione ci giochiamo le amministrative, rischiamo di perdere anche il 5% dei voti”.
Silvio Berlusconi lancia l’allarme.
Italia e Francia sono di nuovo ai ferri corti.
Per Roma i permessi di soggiorno sono in grado di far circolare nel resto d’Europa i migranti sbarcati a Lampedusa. Per Parigi no.
Accuse e minacce sono ormai all’ordine del giorno, con il governo italiano che non riesce a risolvere l’emergenza immigrati. I
l premier allora si sfoga con i suoi fedelissimi. E in vista delle elezioni la Lega è ancora più spaventata. La partita si gioca tutta nei prossimi giorni.
Oggi alla prefettura di Milano il vertice tra il ministro degli Interni Maroni e il collega francese Gueant.
Lunedì il summit dei ministri dell’Unione europea a Lussemburgo. La strada è tutta in salita.
Da Bruxelles arrivano notizie sconfortanti: al momento non c’è una maggioranza in grado di sostenere la richiesta italiana di attivare la direttiva europea che imporrebbe a tutte le capitali di accogliere i migranti arrivati in Italia.
E sul contenzioso italo-francese la Ue non si sbilancia, limitandosi a dire che i permessi non consentono automaticamente la libera circolazione in Europa.
A questo punto il Cavaliere non ha più molte carte da giocare, se non quella delle minacce. Più o meno velate.
Chi ieri gli ha parlato spiega: “Se non troveremo un accordo con la Francia o un sostegno dagli altri governi europei faremo capire a tutti che non siamo più in grado di controllare le frontiere, non solo quelle con la Francia”.
Come dire, partirà l’esodo dei migranti anche verso Austria e Slovenia, da dove poi si riverseranno nel resto del continente.
Che la tensione sia alle stelle lo conferma il ministro degli Esteri Frattini: “Siamo convinti che i nostri permessi valgano per circolare in tutta Europa, al riguardo abbiamo anche un parere dell’avvocatura di Stato. Ma ormai la partita è politica”. Anche perchè, aggiunge, solo la Corte di giustizia Ue potrebbe dirimere la disputa, “ma i tempi sarebbero troppo lunghi”.
E così il governo trema.
Berlusconi e Maroni chiedono a Bossi di tenere a freno le esternazioni anti-immigrati dei leghisti, ansiosi di smarcarsi per non perdere voti ma in grado di mettere a repentaglio le trattative internazionali.
Trattative che sono partite ieri.
A Bruxelles la prima riunione tra gli ambasciatori Ue in vista del vertice dei ministri degli Interni di lunedì. Qualche risultato l’Italia lo porterà a casa. I governi chiederanno a Bruxelles di dare a Roma nuovi fondi per gestire l’emergenza e di farsi sentire nei negoziati con i paesi di origine e di transito dei migranti, promettendo aiuti in cambio di chiusura delle frontiere, rimpatri e lotta ai trafficanti di esseri umani.
Ma i guai inizieranno quando si chiederà di ripartire gli immigrati tra i 27 paesi Ue.
L’attivazione della solidarietà è stata chiesta 10 giorni fa da Malta e solo ieri dall’Italia con una lettera ufficiale alla Commissione Ue.
Ma oltre a Spagna e Grecia non sono in molti a sostenere il governo italiano (la decisione passa a maggioranza qualificata).
Con i nordici, guidati dai francesi, decisamente contrari.
Oltretutto l’eventuale solidarietà varrebbe solo per i rifugiati e non per gli “immigrati economici”, come i tunisini sbarcati a Lampedusa.
L’Italia chiederà di estendere l’accoglienza anche a loro, spiegano dalla Farnesina, ma sarà difficile.
Frattini avverte: “I governi che voteranno contro se ne dovranno assumere la responsabilità “.
Di fronte alle rispettive opinioni pubbliche (in questi giorni bombardate dalle immagini delle tragedie nel Canale di Sicilia, fa notare un europarlamentare italiano).
E sulle possibili fughe di massa dall’Italia.
Ma la tensione a Roma resta alta.
Ieri al consiglio dei ministri in molti si sono scagliati contro la Francia. Poi il dibattito è stato troncato da una telefonata del capogruppo pdl Cicchitto: ha chiesto Berlusconi di spedire i ministri alla Camera per dare manforte sulla prescrizione breve.
Assorto nei problemi sulla giustizia, Berlusconi resta comunque convinto di poter chiudere la partita nel vertice con Sarkozy del 26 aprile.
Ma potrebbe rivelarsi una speranza vana, visto che anche Sarkò sull’immigrazione si gioca l’Eliseo.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)
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Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
IL VIAGGIO DA ROMA DI LA RUSSA IL 5 APRILE CON UN AEREO P180 DEI CARABINIERI CON RITORNO SU UN AEREO N. MM62210 DELL’AERONAUTICA PER VEDERE INTER-SCHALKE… IL VIZIETTO DEGLI ABUSIVI: DA MASTELLA ALLA BRAMBILLA, TANTO PAGHIAMO NOI
Può un ministro della Repubblica usare l’aereo di Stato come fosse un taxi per andare allo stadio? Ignazio La Russa lo fa.
Lo ha fatto martedì 5 aprile, per andare da Roma a Milano, dove giocava la sua Inter, e poi tornare in nottata nella capitale.
E lo ha fatto altre volte in passato.
Come un Clemente Mastella qualsiasi.
È atterrato a Milano attorno alle 18.30 di martedì.
Ha viaggiato a bordo di un aereo P180 dell’Arma dei carabinieri proveniente da Roma.
È poi ripartito attorno alle 23, con un aereo dell’Aeronautica militare, identificativo MM 62210.
In mezzo, la partita allo stadio di San Siro, dove l’Inter è stata sconfitta 5 a 2 dallo Schalke, la squadra decima in classifica del campionato tedesco.
Dopo la batosta sportiva, il ministro della Difesa ha avuto anche tempo di dare una stoccatina all’allenatore dell’Inter, Leonardo, dichiarando alla Gazzetta dello sport: “Kharja non l’avrei tolto, avrei levato Motta. Con una condizione così carente, l’atteggiamento tattico dovrebbe essere meno fantasioso”.
La Russa stava vivendo a Roma giornate difficili.
Nella mattinata di martedì 5, l’ufficio di presidenza della Camera dei deputati aveva deciso di sanzionarlo con la censura, per il suo comportamento in aula del mercoledì precedente, quando aveva tirato un “vaffa” al presidente Gianfranco Fini.
Dopo quello show, il ministro rimette piede a Montecitorio proprio nel pomeriggio di martedì 5, mantenendo un basso profilo e sedendosi nei banchi dei deputati del Pdl e non in quelli (peraltro tutti occupati) del governo.
“Ho attraversato gli anni di piombo senza una condanna”, dichiara all’agenzia Dire, “comando il mio partito a Milano da 17 anni, anche negli anni della corruzione. E mai mi è stato contestato qualcosa”.
Poi cerca di dare una spiegazione del suo ormai proverbiale nervosismo: “Non è semplice superare quello che è successo in questi mesi nel mio partito, sto metabolizzando la rottura con Fini”.
Poi via, verso San Siro, a bordo dell’aereo di Stato. Incassata la sonora sconfitta in campo, il ministro torna a Roma, con un altro aereo, ma sempre a spese del contribuente.
La mattina del giorno dopo, la Camera vota il conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato, con l’obiettivo di bloccare il processo a Silvio Berlusconi per il caso Ruby. La maggioranza è traballante, dunque tutti i deputati Pdl sono precettati in aula, compresi i 14 ministri che (come La Russa) hanno un seggio a Montecitorio.
Il centrodestra attaccò duramente Clemente Mastella, quando era ministro della Giustizia del governo Prodi e usò un volo di Stato per andare, nel settembre 2007, al Gran premio di Monza di Formula 1.
La Padania allora titolò: “L’inGiustizia vola al Gran premio”.
E il Giornale argomentò: “Non dicevano di voler tagliare i costi della politica? Forse usare l’aereo di Stato più faraonico che ci sia per assistere al Gp di Monza non è il miglior modo di risparmiare. O no? Per dire: il Gran premio lo trasmettevano pure su Raiuno, il cui segnale, ci risulta, dovrebbe arrivare fino a Ceppaloni”.
Anche la partita Inter-Schalke è stata trasmessa in tv ed era visibile dunque anche a Roma, su Sky e Mediaset premium.
Il malcostume di centrosinistra diventa accettabile quando ha protagonisti di centrodestra? Ci sono dei precedenti.
Il 25 maggio 2009 il ministro La Russa, accompagnato dal coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e da altri esponenti di partito, era arrivato a bordo di un Boeing 737 dell’Aeronautica militare all’aeroporto Baccarini di Grosseto.
Per partecipare a un aperitivo elettorale in sostegno di un candidato locale del Pdl.
Lo stesso La Russa ha firmato nel 2009 il contratto alla Fonsai dell’amico Salvatore Ligresti che si è aggiudicato l’appalto dei servizi assicurativi per i rischi aeronautici connessi al trasporto aereo di Stato e di governo.
In quella occasione, la copertura assicurativa è stata allargata non soltanto ai presidenti della Repubblica, della Camera e del Senato, agli ex capi di Stato e ai presidenti del Consiglio, ma anche agli estranei imbarcati sui voli.
Una copertura assicurativa amplissima: i passeggeri dovranno essere risarciti in caso di infortunio, avvelenamento, punture di insetti e molto altro; pochissimi i rischi esclusi, tra cui i danni da fusione nucleare.
La direttiva sui voli di Stato voluta nel luglio 2008 dal governo Berlusconi stabilisce che per autorizzare il volo devono sussistere “comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento connesse all’efficace esercizio delle funzioni istituzionali”; e che devono non essere “disponibili voli di linea nè altre modalità di trasporto compatibili con l’efficace svolgimento di dette funzioni”.
La partita dell’Inter rientra nelle funzioni istituzionali del ministro della Difesa?
La regina di Spagna, Sofia, quando ha dovuto correre da Madrid a Londra per andare a trovare il fratello, Costantino di Grecia, ricoverato in ospedale, ha preso un volo Raynair, comprando il biglietto online con la carta di credito. Altro stile.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO LA DECISIONE ITALIANA DI CONCEDERE IL PERMESSO DI SOGGIORNO TEMPORANEO, IL GOVERNO FRANCESE INVIA UNA CIRCOLARE ALLE PREFETTURE CON LE ISTRUZIONI IN CINQUE MOSSE PER LIMITARE L’IMPATTO DEGLI ARRIVI
I permessi temporanei garantiti dal governo italiano ai tunisini già sbarcati a Lampedusa, che potrebbero così entrare liberamente in Francia, provocano la reazione di Parigi.
Il ministro dell’Interno, Claude Guèant, ha emanato una circolare destinata a tutti i prefetti che chiarisce la condotta da tenere quando gli immigrati si presenteranno con il loro documento provvisorio rilasciato dall’Italia.
L’obiettivo è evitare che il permesso temporaneo sia giudicato sufficiente per restare sul territorio francese.
Ecco allora le cinque condizioni che devono essere soddisfatte perchè un immigrato entrato in Europa da Lampedusa possa rimanere in Francia.
«I cittadini di Paesi terzi in possesso di un documento di soggiorno rilasciato da uno Stato membro non possono essere considerati in situazione regolare, a meno che non soddisfino le cinque condizioni seguenti, da verificare in questo ordine:
1) Essere minuti di un documento di viaggio in corso di validità (passaporto) riconosciuto dalla Francia
2) Essere in possesso di un documento di soggiorno in corso di validit�
3) Poter dimostrare di avere risorse economiche sufficienti (62 euro al giorno a persona, 31 euro se dispongono già di un alloggio)
4) Non costituire una minaccia per l’ordine pubblico
5) Non essere entrati in Francia da più di tre mesi.
Il governo francese spera così di continuare nell’opera di respingimento dei tunisini giunti alla frontiera con l’Italia, e di fermare il più possibile l’afflusso in Francia, che resta la meta principale di chi cerca di sbarcare in Italia.
Secondo le cifre ufficiali, sui 2500 clandestini controllati in Francia, soprattutto nella zona vicino al confine con Ventimiglia, dall’inizio dell’emergenza, circa la metà sono stati rinviati in Italia.
Il ministro Claude Gueant, indica “la condotta da mantenere” quando questi stranieri si presenteranno in Francia con il loro titolo di “soggiorno provvisorio” concesso dall’Italia.
Fra l’altro si precisa che – oltre “ad essere in possesso di un titolo di soggiorno valido emesso da uno stato membro della convenzione di schengen” – gli interessati dovranno avere un “passaporto nazionale valido” ma anche “essere in grado di giustificare lo scopo e le condizioni del loro soggiorno in Francia”.
In pratica una interpretazione rigidissima delle limitazioni alla libera circolazione previste dal trattato europeo di Schengen.
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Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
PER MOLTO TEMPO IL MODELLO DELLA TPA ERA STATO ESPORTATO ALL’ESTERO COME ESEMPIO DI SVILUPPO IN TEMA DI RIFIUTI…URSO L’AVEVA VOLUTA PRESENTE IN TRE MISSIONI ESTERE…ORA E’ ACCUSATA DALLA PROCURA ANTIMAFIA DI RICICLAGGIO DI DENARO SPORCO
E’ stata una tra le aziende portate sempre in palmo di mano dal finiano Adolfo Urso, quando questi era vice ministro al commercio estero del IV governo Berlusconi.
La Tpa Srl di Santa Giustina in Colle, della stessa provincia di Urso, ovvero Padova, rappresentava allora un vanto per l’industria del rifiuto italiano.
Tanto da accompagnare il rappresentante del Governo in almeno tre missioni estere: Cile, Turchia ed Emirati Arabi, come esempio di modello di sviluppo e di fantasia imprenditoriale all’italiana.
Oggi quell’azienda è sospettata di un reato molto grave: aver riciclato i soldi della camorra, ottenendo con quelli la possibilità di spiccare il volo e di scalare posizioni nel mercato estero e nazionale.
Gli agenti del centro operativo di Napoli con i colleghi della distrettuale antimafia di Padova hanno effettuato infatti un sequestro di beni nel capoluogo patavino ai danni di Franco Caccaro, 49 anni, padovano, presidente di Tpa — Tecnologia per l’ambiente srl.
Il provvedimento è stato spiccato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed è partito da un avvocato, Cipriano Chianese, 57 anni, del casertano, al quale la magistratura ha bloccato ben 13 milioni di euro in capitali investiti.
Soldi che il professionista, titolare di imprese attive nello smaltimento dei rifiuti ed attualmente a giudizio con l’accusa di associazione mafiosa, avrebbe ricevuto dal clan un tempo retto da Francesco Schiavone detto “Sandokan”.
Secondo l’accusa Chianese era la vera figura che al nord Italia stava dietro una serie di beni e società formalmente intestate a Franco Caccaro.
Come la Tpa, azienda leader nel settore delle macchine per la triturazione dei rifiuti ma che improvvisamente, senza una reale ragione economica, attorno al 2005 ha sviluppato di molto la sua attività .
Non per propri meriti, dicono i magistrati, ma per l’ingresso di ingenti capitali sporchi.
Tra cui i tre milioni di euro che secondo i pm napoletani arriverebbero da due assegni intestati alla Resit, la storica azienda di Chianese, che Caccaro ha giustificato come crediti personali, dovuti a lui stesso.
L’accusa, però, sostiene che di quella somma vantata l’imprenditore padovano non abbia le prove.
E così il calcio giocato su fondo artificiale può aver involontariamente aiutato la camorra.
La Tpa di Caccaro, infatti, è titolare di un brevetto per la triturazione delle gomme per auto, per il conseguente reimpiego dei granuli così ottenuti sul fondo dove vanno installati i fili d’erba in plastica.
Dopo l’ok della Fifa ai campi sintetici quello divenne uno dei business del futuro.
E fu anche sulla scorta di progetti innovativi come questo, che l’allora vice-ministro Urso — naturalmente estraneo alla vicenda di oggi — portò con sè nel 2004 la Tpa in una missione in Turchia.
Paese nel quale oggi l’azienda protagonista del provvedimento giudiziario, ha una propria sede operativa.
Come pure in Francia, Brasile, in Australia e negli Stati Uniti, dove può vantare un ufficio in Wall Street, la strada della finanza a New York.
A Caccaro è stato inoltre sequestrato un grande capannone industriale situato a Santa Giustina in Colle, nel padovano, sempre intestato alla Tpa.
La società di Caccaro ha oltre 200 dipendenti e sedi operative a New York, in Turchia, Australia, Francia e Brasile.
In base alle dichiarazioni di diversi pentiti era già emerso che Chianese stesse cercando di creare società operanti nel settore dei rifiuti nel nord dell’Italia.
La posizione dell’imprenditore padovano s’è aggravata perchè non sia riuscito a giustificare il flusso di denaro che gli ha consentito l’estromissione dei vecchi soci dalle sue società e alcuni aumenti di capitale, proprio per importi equivalenti a quelli forniti con gli assegni di Chianese.
Rimane qust’ultimo il vero collegamento con la camorra, che già nel 1993 e nel 2007 aveva ricevuto due ordinanze di custodia cautelare per vicende connesse al traffico dei rifiuti e per la presunta appartenenza al clan di Francesco Schiavone.
Fu la sua figura del riciclatore di rifiuti senza scrupoli a ispirare uno dei personaggi del film “Gomorra”.
La Resit Srl di Chianese, infatti, portò in Campania scarti tossici ed industriali da mezzo settentrione.
È probabile anche dal Veneto, dove si scopre era in affari con Caccaro.
Fu proprio quest’ultimo a fare un’offerta all’amministratore giudiziario dei beni di Chianese — sotto sequestro e poi confiscati a causa delle sue vicende giudiziarie — per l’acquisto di due Ferrari: una 360 spider e una “Enzo Ferrari”, dal valore di un milione di euro circa.
Ma anche dietro questa transizione c’era l’inghippo.
Secondo gli inquirenti il tentativo di acquisto delle due fuoriserie aveva lo scopo di farle riavere a Chianese.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 8th, 2011 Riccardo Fucile
LA SPERANZA DI PDL E LEGA E’ CHE, CON IL PERMESSO TEMPORANEO, GLI ATTUALI CENTRI SI SVUOTINO E CHE POSSANO ESSERE USATI PER I NUOVI ARRIVI…IL GOVERNO SOTTO IL PERENNE RICATTO LEGHISTA PENALIZZA IL CENTROSUD PER NON URTARE I FIGHETTI PADANI
Neppure una strage del mare riesce ad avere ragione del cinismo di chi coltiva e alimenta la differenza delle “due Italie”.
L’ennesimo trucco, la rinnovata ipocrisia che divide il Paese tra la solidarietà e la compassione delle sole parole (quella dei governatori di centro-destra del Nord) e la solidarietà dei fatti, dei centri di accoglienza e delle tendopoli alzate ovunque nel Centro e nel Mezzogiorno, tornano infatti a manifestarsi.
Due sere fa Enrico Rossi, governatore della Toscana, lascia Palazzo Chigi e la quarta “cabina di regia” Stato-Regioni convocata per «l’emergenza profughi».
Rossi smaschera l’uno (il trucco) e l’altra (l’ipocrisia) con la lucidità di chi ha dato sin qui una lezione di umanità , solidarietà ed efficienza al Paese con il suo modello di accoglienza diffuso.
Dice: «Voglio che da oggi sia chiara una cosa. Che la Toscana non accoglierà altri profughi fino a quando non vedrà che anche le altre Regioni italiane si fanno carico di allestire strutture di accoglienza. Un giro di giostra tocca a tutti. Non è possibile che in questo Paese esistano già due Repubbliche. È evidente che la Lega è nell’angolo. Ma del resto raccoglie oggi quel che ha seminato in questi anni con la sua cultura della paura».
Le parole di Rossi fotografano uno stato d’animo comune al governatore della Puglia (Vendola), dell’Emilia (Errani), della Sicilia (Lombardo), della Basilicata (De Filippo), del sindaco di Torino (Chiamparino).
E, formalmente, trovano la «comprensione» di Palazzo Chigi e del Viminale che siglano un nuovo accordo con le 20 Regioni, in cui si ribadisce «l’impegno alla condivisione dell’emergenza profughi sull’intero territorio nazionale», per un piano complessivo di accoglienza di 50 mila migranti.
Ma è appunto nell’uso del termine “profughi” e nel dettaglio del percorso che il Governo e il Viminale immaginano di qui ai prossimi giorni che si nasconde l’ennesimo rinvio della solidarietà delle Regioni del Nord leghista.
Per quanto ne riferiscono fonti qualificate presenti alla riunione della “cabina di regia”, il quadro che il ministro dell’Interno Roberto Maroni sottopone a governatori e sindaci suona infatti così.
Primo: l’accordo con Tunisi consentirà di respingere alle nostre frontiere i profughi che vi sbarcheranno da venerdì in avanti, considerandoli tutti e senza distinzione “clandestini”.
Secondo: gli oltre 22 mila tunisini già sbarcati godranno di un permesso di soggiorno temporaneo che gli consentirà di raggiungere altri Paesi dell’area Schengen.
Dunque – ragiona il ministro e con lui Berlusconi – le tendopoli si svuoteranno non appena arriveranno i permessi di soggiorno e il problema si porrà , di lì in avanti, «solo per i profughi che arriveranno dalla Libia».
Al momento – dice Maroni – sono 2.600. Un numero esiguo, e dunque fronteggiabile. Anche perchè – aggiunge – se è vero che «tutto fa pensare che il loro numero possa crescere nelle prossime settimane», è altrettanto vero che «la capienza degli attuali centri di accoglienza è in grado di ospitarne, al momento, fino a 7 mila».
Insomma, il problema di trovare nuovi centri al nord per i futuri profughi si porrà solo se quella soglia di 7 mila dovesse essere superata.
Ma – scommette Maroni e con lui la Lega – sarà un problema rinviabile.
Anche perchè, per quel giorno, i profughi tunisini, con il permesso di soggiorno in tasca, avranno ragionevolmente abbandonato le tendopoli e i centri di accoglienza del Centro e del Sud che oggi abitano.
E che potranno così aprirsi ai «libici», i nuovi ospiti.
Un gioco sporco delle tre carte, che potrebbe rivelarsi inutile se gli altri Paesi europei non permetteranno l’ingresso dei tunisini, bloccandoli di fatto in Italia.
A quel punto il tentativo di scaricare tutti gli immigrati sul centro sud si rivelerà vano.
Così come se dovesse aumentare il flusso dalla Libia.
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