Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
ALL’HOTEL BRISTOL UN CONGRESSO PROV. PER POCHI INTIMI (60 PERSONE SU 750 ISCRITTI) SANCISCE LA SPARTIZIONE DELLE POLTRONE VOLUTA DA ROMA…POI MUROLO SI METTE A PARLARE DI POLITICA E INIZIANO LE GAFFE: PARLA DI TERZO POLO (ALLEANZA CHE A GENOVA NON ESISTE) E ADDIRITTURA DI UNA POSSIBILE INTESA CON IL PDL, IPOTESI SEMPRE SMENTITA PROPRIO DAL CANDIDATO SINDACO ENRICO MUSSO
Ai tempi della guerra fredda, sembrava che le quadrate legioni dei due contendenti
contassero su centinaia di uomini e donne pronti alla pugna.
Ognuno dei due schieramenti era pronto a giurare che avrebbe portato almeno 300 persone a votare per l’elezioni del coordinatore prov. di Futuro e Libertà di Genova.
Quando Roma ha consigliato loro di darsi una calmata e dividersi le poltrone hanno mobilitato lo stesso i loro simpatizzanti: non fosse mai che all’ultimo momento l’altro giocasse qualche brutto scherzo e non rispettasse il patto del “via libera a Murolo per il coord. prov. e a Nan a gennaio per il regionale”.
Sono persino raddoppiati gli iscritti in una settimana (passati da 450 a 750), salvo assistere alla sparizione delle tessere di 30 aderenti, a loro invisi, che, poveretti, avevano versato la quota a Roma con regolare bonifico di 300 euro incassato dal partito (imputato a quale voce a questo punto lo stabilirà qualcun altro).
Con queste premesse,tutto lasciava pensare alla necessità di affittare una sala da 500-600 persone, poi hanno ripiegato su una da 80, alla fine hanno anche ridotto la durata del congresso a solo un paio di ore, stile mordi e fuggi.
Il risultato del tesseramento “gonfiato” è stato che i presenti in sala alla fine sono stati circa 60 su 750 aventi diritto, un degno epilogo per una farsa che durava da mesi e che abbiamo sempre stigmatizzato nella completa e colpevole indifferenza romana.
Complimenti ai vertici nazionali di Futuro e Libertà che su Genova non ne azzecca mai una: hanno cacciato decine di militanti e centinaia di iscritti per ottenere questo bel risultato, roba da Guinnes dei Tafazzi.
Ora Roma ha avuto la dimostrazione di quanto siano rappresentativi i loro referenti.
Ma ecco la prima nota di agenzia sul congresso che vale la pena di commentare:
“Il nuovo coordinatore di Fli a Genova è Giuseppe Murolo. Attualmente consigliere comunale, eletto nelle file del PDL Murolo ha seguito la fuoriuscita di Gianfranco Fini dal partito di Berlusconi.
Da neo coordinatore ha indicato in Enrico Musso il candidato a sindaco di Genova che sarà sostenuto dal terzo Polo mentre non esclude l’ipotesi di eventuali alleanze con il PDL”.
Peccato che il neo coordinatore si sia dimenticato di dire:
1) Che lui sarà nella lista personale di Musso “Oltremare” e non gradisce quindi una lista di Fli in quanto lo oscurerebbe e lo danneggerebbe a livello di preferenze.
2) Che non esisterà a Genova una lista del Terzo Polo in quanto Udc e Api vanno con il Pd, quindi solo Fli appoggerà Musso che peraltro gode, per sua fortuna, di un seguito personale trasversale.
3) Quanto ad una alleanza con il Pdl, Musso l’ha sempre respinta e definita “una bufala” anche recentemente: “Non siamo nè in rapporti nè in trattativa con il Pdl”.
Di che parli Murolo lo sa solo lui…
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Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
DOVE E’ POSSIBILE FARLI: SPESE DEL PARLAMENTO, VITALIZI, AUTO BLU E SCORTE…E POI BENEFICI FISCALI PER CHI SOSTIENE I PARTITI, AUTO E VOLI BLU
Li vuole davvero, Mario Monti, dei suggerimenti sui tagli possibili ai costi esorbitanti della politica come ha detto in tivù l’altra sera?
Sono tante le cose che si possono fare stando alla larga dal qualunquismo, dal populismo, dalla demagogia.
Purchè abbia chiaro che si metterà contro il più grande dei partiti italiani, il Pti: Partito Trasversale Ingordi.
Vuole partire dal Parlamento?
Ci provò, quattro anni fa, Tommaso Padoa-Schioppa, che avrebbe voluto imporre un taglio delle spese correnti, cresciute tra il 2001 e il 2006, al di là dell’inflazione, del 15,2% a Montecitorio e addirittura del 38,8 a Palazzo Madama.
Un’impennata inaccettabile. Tanto più che il Paese da anni non cresceva. E subito, nei corridoi delle Camere, si levò un grido di rivolta: «Il Parlamento è sovrano!». Fausto Bertinotti e Franco Marini presero carta e penna e risposero assai piccati che per «autonoma assunzione di responsabilità » avevano deciso di rinunciare ad aumentare i costi in linea con il Pil nominale, accontentandosi dell’inflazione programmata.
Come fosse una rinuncia epocale.
Risultato: dal 2006 al 2010 le spese correnti di Montecitorio, con la sinistra e con la destra, sono salite ancora del 12,6% per un ammontare di 149 milioni.
Quelle di Palazzo Madama del 9,4%, per altri 46 e mezzo. Totale: 195 milioni in più. Negli anni della grande crisi.
Senza ledere alcuna autonomia, nè rischiare ricorsi alla Corte Costituzionale, il governo ha in mano una leva: il potere di affamare la politica più insaziabile. E sarebbe un peccato se esitasse a usarla.
A partire dal meccanismo che, ipocritamente, sostituì il finanziamento pubblico abolito dal referendum.
I rimborsi elettorali
Ogni cittadino italiano (senza considerare i contributi ai gruppi parlamentari o ai gruppi consiliari regionali) spende per mantenere i partiti circa 3 euro e 30 centesimi l’anno.
È molto più rispetto alla Spagna (2 euro e 30) ma il doppio della Germania (1,61 euro, anche se lì vengono finanziate pure le fondazioni che ai partiti sono strettamente legate) e due volte e mezzo rispetto alla Francia (1,25 euro).
Giulio Tremonti e Vittorio Grilli lo scorso anno ci avevano provato, a ridurre i rimborsi del 50%.
Battaglia persa: il taglio fu ridotto al 30, poi al 20, poi al 10%.
La motivazione? Inconfessabile: il rischio che con i partiti a corto di soldi la corruzione avrebbe ripreso vigore.
La risposta è nella umiliante classifica di Transparency appena pubblicata, dove per onestà amministrativa siamo sessantanovesimi.
Un’impennata del 1110% in un decennio dei rimborsi elettorali non ha alcuna giustificazione.
È cambiato il mondo, rispetto all’anno scorso.
Se il nuovo premier vuole può riprovarci, a tagliare lì. E vediamo chi avrà il fegato di votargli contro.
«Total disclosure»
Sulla trasparenza basterebbe copiare il Regno Unito. Introdurre cioè l’obbligo di pubblicare su Internet non solo i redditi e le situazioni patrimoniali di tutti i parlamentari e i titolari di cariche elettive, ma anche gli interessi economici che fanno capo a ciascuno.
Identico obbligo di trasparenza dovrebbe valere per i contributi privati ai partiti e ai singoli politici, oggi consultabili solo da chi fisicamente si presenta a un certo sportello della Camera.
Vanno messi tutti su Internet, cominciando con l’abolire il limite dei 50 mila euro introdotto nel 2006 al di sotto del quale quei versamenti possono restare occulti.
In Inghilterra Tony Blair, lasciando Downing Street, fu costretto a mettere in vendita 16 dei 18 orologi (due li comprò a prezzo di mercato) che gli aveva regalato il Cavaliere: che da noi si possano segretamente donare 100 milioni di vecchie lire a un partito è assurdo.
Va da sè che in parallelo, finalmente, dovrebbe essere imposto a tutti i segretari amministrativi l’obbligo di certificazione dei bilanci.
Benefici fiscali
Basta un decreto per spazzare via la più indecente delle leggine, quella che spiega come «le erogazioni liberali in denaro» a organizzazioni, enti, associazioni di assistenza si possono detrarre dalle imposte per il 19% fino a un tetto massimo di 2.065 euro e 83 centesimi.
Tetto che per i finanziamenti politici è cinquanta volte più alto.
Di qua un risparmio di 392 euro per chi regala 100.000 euro alla ricerca sulle cardiopatie infantili, di là uno di 19.000 per chi versa la stessa somma ad Alfano o Bersani.
I risparmi non sarebbero molti? È una questione di principio. Ineludibile.
Bilanci
Tutti i rendiconti (dallo Stato a quelli degli enti locali) devono essere resi omogenei, confrontabili e leggibili.
I capitoli di spesa devono essere chiari e trasparenti.
Un esempio? Spulciando nel bilancio di palazzo Chigi il neoarrivato Mario Monti troverà 50 milioni di euro sotto la voce opaca «Fondo unico di presidenza»: che cosa sono? Spese di rappresentanza?
Dotazioni delle Camere
Secondo l’istituto Bruno Leoni per mantenere il Parlamento ogni cittadino italiano spende 26,33 euro, contro 13,60 di un francese, 10,19 di un britannico, 5,10 di un americano.
Camera e Senato, mentre votano una manovra con tagli che spingono al pianto il ministro Elsa Fornero, continuano a chiedere allo Stato sempre gli stessi soldi fino al 2014?
Se davvero non si può, come dicono, interferire nella loro autonomia, il governo potrebbe tuttavia ridurre la loro dotazione a carico del Tesoro.
Tanto più che a Montecitorio e Palazzo Madama c’è un tesoretto accumulato fra avanzi di amministrazione e fondi «di solidarietà » che si aggira sui 700 milioni di euro. Con la crisi che c’è, rompano quel loro «salvadanaio».
Palazzo Chigi
La presidenza del Consiglio è arrivata a occupare 20 sedi in un progressivo gigantismo che ha ridicolizzato le promesse di asciugare l’apparato che oggi occupa circa 4.600 persone: più del triplo del Cabinet office, la corrispondente struttura del Regno Unito.
Per farlo, però, è fondamentale una norma che riporti la presidenza del Consiglio sotto la Ragioneria generale dello Stato, com’era fino al 1999 (senza rischi nè umiliazioni per la democrazia…) prima che D’Alema rivendicasse l’autonomia finanziaria.
Vitalizi e pensioni
Stravolte pesantemente le pensioni di alcuni milioni di italiani, è essenziale un segnale dall’alto netto.
Quello arrivato finora, che fa scattare il contributivo dal 2012 per i vitalizi parlamentari, è insufficiente.
E anche qui è assai discutibile che il governo sia impossibilitato a intervenire. Potrebbe infatti decidere un prelievo eccezionale sugli altri redditi dei titolari di vitalizi parlamentari o regionali, più elevato per coloro che ancora non hanno raggiunto l’età per la pensione di vecchiaia.
Sono diritti acquisiti? Lo erano anche quelli dei cittadini che si sono visti «cambiare il contratto» che avevano firmato con lo Stato quando erano entrati nel mondo del lavoro.
Di più: oggi deputati e senatori che durante il mandato istituzionale intendono continuare ad accumulare anche la pensione, possono farlo versando soltanto il 9% della retribuzione relativa alla loro vecchia attività : magistrato, professore, medico, dirigente d’azienda…
Il restante 24% è un contributo figurativo che grava sulle casse dell’ente di previdenza. Cioè quasi sempre dello Stato.
Porre l’intero 33% a carico del beneficiario sarebbe una misura di giustizia elementare.
Regioni
È dimostrato che un consiglio regionale come quello della Lombardia e dell’Emilia-Romagna possono funzionare con un costo di circa 8 euro a cittadino.
Molto dignitosamente. Applicando questo standard a tutte le regioni (alcune arrivano a costare procapite 50 volte di più) si potrebbero risparmiare ogni anno 606 milioni di euro.
Lo Stato non può intervenire sulle autonomie regionali, pena l’immancabile causa alla Consulta? Il governo potrebbe aggirare l’ostacolo decretando un taglio ai trasferimenti alle Regioni corrispondente alla differenza fra gli 8 euro procapite e la spesa attuale.
Gettoni di presenza
Equiparare i livelli dei gettoni di presenza nei consigli comunali, spesso diversissimi da città a città nella stessa Regione (45,90 euro a Padova, 92 a Treviso, 160 a Verona) è urgentissimo.
Si fissi un parametro basato sulla popolazione e fine.
Altrettanto urgente è frenare gli abusi resi oggi possibili dalle leggi sugli enti locali. Un consigliere comunale di Palermo, come abbiamo raccontato, può arrivare a intascare 9 mila euro al mese.
Ricordate? Per legge il Comune deve compensare il datore di lavoro per le ore perdute dal consigliere a causa degli impegni istituzionali.
Capita quindi che qualche consigliere, in precedenza disoccupato o con una retribuzione modesta, si faccia assumere appena eletto da un’impresa di famiglia con uno stipendio stratosferico: il Comune non ha scampo, deve pagare all’azienda «amica» i «danni» per quel consigliere perennemente impegnato in municipio.
Una pratica molto diffusa, da stroncare: non c’è posto al mondo dove un consigliere comunale, in gettoni e rimborsi vari, possa guadagnare 10.000 euro al mese.
Auto blu
Lo Stato vuole avviare un grande piano di dismissioni del patrimonio edilizio pubblico? Bene.
Ma perchè non fare la stessa cosa con lo sterminato parco di auto blu, mettendole in vendita? Ne guadagnerebbe anche l’immagine della politica.
Si dirà che il maggior numero di auto blu è in periferia, e su quelle il governo non può intervenire. Fissi degli standard, basati sulla popolazione e la chiuda lì.
Voli blu
In Inghilterra tutti i voli di Stato sono sul web: aeroporto di partenza, di arrivo, chi c’era a bordo, dove andava e perchè aveva quel tale ospite con nome e cognome. La sola trasparenza, possiamo scommettere, ridurrebbe moltissimo decolli e atterraggi. Con risparmi conseguenti.
Scorte
Che per Roma girino ogni giorno otto auto di scorta a politici e magistrati contro una sola gazzella dei carabinieri o volante della polizia impegnata sul fronte della sicurezza dei cittadini è inaccettabile. Il ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri lo sa. E sa quanto i cittadini aspettino un segnale: più auto per la sicurezza, meno per le scorte.
Dirigenti
Il governo Prodi aveva introdotto il tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici intorno ai 289 mila euro lordi l’anno. Una norma che aveva fatto a lungo discutere finchè con Berlusconi era stata sostanzialmente svuotata. Non sarebbe il caso, visti i tempi, di ripristinare il tetto? Vietando, soprattutto, cumuli inaccettabili come quelli di cui godono alcuni magistrati i quali incassano lauti stipendi da componenti di authority continuando a percepire la retribuzione da magistrato «fuori ruolo»?
Conflitti d’interessi
L’Italia è il Paese dei conflitti d’interessi e intervenire a tutto campo è laborioso. Ma alcune cose si possono fare subito.
Perchè non stabilire che per i consigli delle società pubbliche (tutte, senza esclusione) non ci possano essere più di tre amministratori?
E perchè non vietare per almeno cinque anni a chi ha avuto un incarico elettivo o di governo di diventare consigliere?
Sparirebbero d’incanto molte delle circa 7 mila società controllate da enti locali e Stato.
Almeno quelle che servono solo a dare una poltrona ai trombati. I risparmi? Considerevoli: gli amministratori e gli alti dirigenti di quelle società sono 38 mila. Ancora più urgente, però, è fissare un paletto insuperabile: chi governa ha il diritto di scegliere gli amministratori delle società pubbliche o miste.
Ma deve anche rispondere dei bilanci che essi presentano: basta con i buchi colossali che emergono da bilanci «distrattamente» approvati nella speranza che poi, a tappare la voragine, arrivi lo Stato.
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
LE MISURE SONO DISPERSE IN VARI CAPITOLI: UNA UNICA TASSA SUI PATRIMONI SAREBBE STATA DIFFICILE DA INTRODURRE SUBITO
Se proprio non piangono, certo non ridono. 
Anche i “ricchi” pagheranno “lo sforzo dell’emergenza”, precisa il premier Monti, illustrando la manovra in commissione Bilancio alla Camera.
Lusso, capitali scudati, pensioni d’oro, super-liquidazioni, seconde case e attività finanziarie (in Italia e all’estero): su questi capitoli si abbatterrà un prelievo.
Piccolo o medio, una tantum o strutturale.
Comunque sia, “un intervento sul patrimonio – dice Monti – equo e razionale”. Così, avversata da destra, evocata da sinistra, alla fine la patrimoniale nella manovra Salva-Italia – benchè non “ufficiale” e dispersa nei vari capitoli del decreto – c’è.
Contribuirà a salvare l’80% delle pensioni, le più basse, dal mancato adeguamento all’inflazione.
E a introdurre il quoziente familiare nell’Ici-Imu. Quanto richiesto anche dai sindacati.
Ne va fiero il presidente Monti. Che ha sfidato critiche agguerrite sulla scarsa equità del provvedimento. “Riteniamo di aver introdotto, senza drammi, l’imposta patrimoniale fattibile per il nostro Paese in questo momento”, rivendica Monti.
Il presidente del Consiglio spiega di aver “chiesto ai tecnici” se una patrimoniale secca sulle grandi ricchezze fosse praticabile da subito.
“Mi hanno risposto che servivano due anni di lavoro”.
Inutile farla ora, in fretta e male: “Avremmo abbaiato e non morso”. In più, il rischio di fuga di capitali. Invece ora “non pagheranno i soliti noti, abbiamo cercato i “nuovi noti””.
I “nuovi noti”, in attesa di un intervento organico, sono dunque individuati.
Chi ha barche, auto molto potenti, aerei personali o elicotteri, immobili anche all’estero, cospicue ricchezze finanziarie in Italia e fuori.
E chi riceve pensioni e liquidazioni notevoli. La tassa sul lusso, innanzitutto.
Un emendamento dell’ultima ora riesce in realtà a mitigarla (con sconti che scattano dopo 5, 10 e 15 anni dalla data di costruzione dell’auto e della barca, dopo 20 anni non è più dovuta). Ma rimane.
Per le auto sopra i 185 chilowatt, c’è l’addizionale erariale: 20 euro per ogni chilowatt in più dal 2012.
Per le barche, arriva la tassa di stazionamento (dal primo maggio 2012): da 5 a 703 euro al giorno, a seconda della lunghezza degli scafi.
Per gli aeromobili privati, in base al peso massimo al decollo: da 1,50 a 7,55 euro al chilo (il doppio per gli elicotteri).
Il capitolo immobili è severo e pesa per 10 miliardi (ma solo 2,4 dalla prima casa). Rendite catastali rivalutate del 60 per cento, aliquota del 4 per mille sulle prime abitazioni e del 7,6 per mille su seconde e terze. Stesso prelievo (7,6 per mille) anche per gli immobili all’estero, ma calcolato sul valore d’acquisto o di mercato.
I capitali scudati alla fine verseranno il 10 per mille nel 2012 e il 13,5 per mille nel 2013. Ma, altra novità , il 4 per mille ordinario, strutturale, dal 2014 in poi: il bollo per l’anonimato, è stato soprannominato.
L’imposta di bollo sul deposito titoli, introdotta da Tremonti qualche mese fa, viene estesa a tutte le tipologie di attività finanziarie: non più fissa per scaglioni (da 34,2 a 680 euro), ma proporzionale sul valore (1 per mille nel 2012 e 1,5 per mille dal 2013). Non solo.
Dal 2013 salterà il tetto fissato in 1.200 euro.
L’imposta dunque colpirà anche i capitali oltre 1,2 milioni di euro. In modo proporzionale: più hai, più paghi. Bollo anche sulle attività finanziarie all’estero: 1 per mille per il 2011 (retroattivo) e il 2012, sale all’1,5 per mille dal 2013.
Le pensioni d’oro verseranno ancora: 15% sulla parte che eccede i 200 mila euro (si aggiunge al contributo di solidarietà in vigore: 5% oltre i 90 mila euro, 10% oltre i 150 mila).
Le liquidazioni sopra il milione di euro, infine, formeranno il reddito tassato ai fini Irpef con l’aliquota massima del 43%.
“Con le ultime modifiche la manovra è diventata più equa – ammette il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi – ma il peso delle nuove tasse è eccessivo e aumenterà in modo drammatico per gli italiani. Mentre i tagli alla spesa risulteranno insufficienti”.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
FERROVIE A DUE VELOCITA’: VELOCI, FUNZIONALI E COSTOSI I CONVOGLI A LUNGA PERCORRENZA SULLE TRATTE PIU’ REDDITIZIE… QUALITA’ E TEMPISTICA DA TERZO MONDO SULLE TRATTE REGIONALI
Per andare in treno da Matera a Potenza, 102 chilometri, un’ora e ventinove minuti in auto, servono sette ore e due cambi.
Bisogna transitare in Puglia, cambiare a Bari, quindi a Foggia e rientrare in Basilicata. Si sale e scende tra regionali e nazionali.
La velocità media del trasferimento è di 14,5 chilometri orari.
Un fondista con tempi da Olimpiade, correndo tra i due capoluoghi, impiegherebbe un’ora in meno.
L’alternativa per il Matera-Potenza è un regionale su binario unico con cambio ad Altamura: impiega dalle tre ore alle quattro e quaranta, ma in “orario da pendolare” ne passa soltanto uno al giorno.
Da Cosenza a Crotone (110 chilometri tutti in Calabria e un cambio) si impiegano tre ore.
Per coprire Ragusa-Palermo (250 chilometri tutti in Sicilia, tre cambi) i convogli regionali di Trenitalia hanno bisogno di sei ore e dieci minuti.
L’orario invernale prevede due treni, tutti e due a ridosso dell’ ora di pranzo.
O a Ragusa becchi questi o cerchi un pullman o fai l’autostop.
La littorina è così lenta, poi, perchè non è stata progettata per affrontare le curve del percorso: se aumenta la velocità , deraglia.
Ma lo “slow train” non è solo un problema da profondo Sud.
Per coprire la distanza da Acqui Terme a Genova (74 chilometri) ci vuole un’ora e mezza e si viaggia a 50 l’ora.
Mauro Moretti, l’amministratore delegato del risanamento e rilancio delle Ferrovie di Stato, in questi giorni sta presentando i vagoni del silenzio sui nuovi Frecciarossa, annuncia un “Roma-Parigi” tutto coperto con la luce del giorno.
Lo scorso maggio, a Piacenza, sul treno pendolare destinato a Fiorenzuola un impiegato bancario di 55 anni è dovuto uscire dal finestrino.
Le porte del treno erano bloccate, quasi tutte.
Treni lenti, sporchi, in ritardo. E sempre di meno.
Della Ferrovia Porrettana – il primo collegamento attraverso l’Appennino tosco-emiliano, dal 1864 scavalca la dorsale collegando Bologna a Pistoia – sono rimaste sei coppie di treni.
Carrozze eliminate, la Rete ferroviaria italiana (ancora Fs) ha rimesso su strada 24 pullman.
E in Calabria è dato in via d’ estinzione un altro storico treno per pendolari, il “Tamburello” che collega Melito di Porto Salvo a Reggio Calabria quindi a Rosarno. Le politiche ferroviarie di questi tempi si possono osservare in maniera chiara nel Tigullio ligure: sono saltate diverse fermate per i treni a servizio universale, i rivieraschi devono prendere altrove freccerosse più care a cui poi mancano le coincidenze per tornare a casa.
Su questo tratto di costa a forte richiamo turistico due Intercity non si fermano più, altri due non si fermeranno nel 2012.
È per questo che i pendolari occupano i binari? È per questo che dal Veneto alla Puglia si assiste alla rivolta degli abbonati?
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
ADOTTARE L’APPLICAZIONE SUI “TEMPI CERTI NEI PAGAMENTI” DA PARTE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
In Veneto si paga (di media) a 140 giorni, che salgono addirittura a 400 – oltre un anno, se
fosse sfuggito – per alcuni fornitori della sanità pubblica.
Un ritardo ormai fisiologico, al quale l’intero sistema economico si è andato giocoforza adeguando perchè così fan tutti, ma è un ritardo che può uccidere.
Lo ha dimostrato, in tutta la sua drammaticità , il suicidio dell’imprenditore edile di Vigonza (Padova) Giovanni Schiavon, che si è tolto la vita con un colpo di pistola per l’impossibilità di riscuotere i suoi crediti di lavoro – 250mila euro, una cifra molto importante – e fare fronte così all’esposizione verso le banche e verso i fornitori.
Per non morire di asfissia da mancanza di liquidità , un rimedio esiste.
E dell’urgenza di quel rimedio – che è stato previsto dalle normative europee ma non ancora recepito dal governo italiano – il Corriere del Veneto ha deciso di farsi portavoce, ospitando l’appello al presidente del Consiglio, Mario Monti, sottoscritto dalla moglie e dalla figlia dell’imprenditore padovano suicida e dai rappresentanti delle principali categorie economiche del Veneto, ancora una volta regione di frontiera e avanguardia del sistema-Paese.
Se il governo Monti, per sua stessa definizione, sta lavorando a un pacchetto di misure «salva-Italia», parte necessaria e indifferibile di questi provvedimenti è il recepimento – come chiede l’appello a Monti – della Direttiva europea che impone, come norma di civiltà e sopravvivenza economica, tempi certi di pagamento per le imprese, sia dalla Pubblica amministrazione verso i privati, sia tra soggetti privati.
Tempi certi e non biblici: 30 giorni nella normalità e 60 solo per i casi eccezionali, dice l’Europa, pena il pagamento di interessi di mora progressivi che scattano già dal trentesimo giorno e partono dall’8% per salire insieme al protrarsi del ritardo.
Una sollecitazione in questo senso è arrivata al governo proprio ieri mattina, nella sede più ufficiale che si possa dare – l’aula della Camera dei deputati – per iniziativa della parlamentare trevigiana Simonetta Rubinato: «Il suicidio dell’impresario edile padovano Giovanni Schiavon, ultimo di una triste serie – ha citato testualmente Rubinato, rivolgendosi al ministro per i rapporti con il Parlamento, Piero Giarda – è il gesto estremo di chi, costretto ad attendere anche più di 400 giorni per il pagamento dei lavori da parte di privati ma anche dell’amministrazione pubblica e degli Enti locali alle prese con il patto di stabilità , finisce vittima di una stortura tutta italiana. Occorre che il governo e il Parlamento – ha aggiunto – mettano all’ordine del giorno con urgenza il recepimento della Direttiva europea sul ritardo dei pagamenti, rinviato dal precedente governo alla fine di ottobre ».
A quell’epoca, infatti, la commissione Bilancio della Camera stralciò dal testo della legge comunitaria il provvedimento sul ritardo dei pagamenti, considerandolo troppo oneroso per i bilanci della Pubblica amministrazione.
Alessandro Zuin
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
“MUROLO VERSO L’ELEZIONE, MA I DISSIDENTI CRITICANO IL PARTITO…IL CONSIGLIERE COMUNALE UNICO CANDIDATO, MA SCOPPIA LA QUERELLE SULLA COMPRAVENDITA DELLE TESSERE PER IL “PESO” POLITICO”
La convocazione del congresso prov. di Futuro e Libertà somiglia tanto a un telegramma: “Il coordinatore regionale ligure di Fli, Enrico Nan, ha convocato per domenica 18 dicembre il congresso provinciale di Genova. L’appuntamento è all’hotel Bristol, il congresso sarà presieduto da un parlamentare di Fli.
Verrà eletto il coordinatore prov. di Fli. Il cons. com. genovese Giuseppe Murolo ha presentato la propria candidatura”.
Insomma due righe stringate per comunicare che verrà eletto, salvo sorprese dell’ultima ora, Giuseppe Murolo, cons, com. che aderisce al gruppo “L’Altra Genova”.
Non mancano però i “falchi”.
Che nella fattispecie sono rappresentati dal movimento “Destra di popolo”, lesto nel fare le pulci al congresso Fli.
Mettendo nel mirino, in particolare, il sospetto quanto vertiginoso aumento di tessere: “Non passerà magari alla storia per le profonde analisi politiche degli interventi, ma un merito al congresso genovese di Fli non gli potrà essere negato:aver fatto crescere gli iscritti in uan sola settimana da 450 a 750- scrivono i rappresentanti del mivimento – Peccato che tra le tante tessere emerse dal nulla nessuno abbia avuto interesse a “ritrovare” quelle trenta di cui avevamo denunciato la scomparsa”.T
Tra i 750 iscritti ratificati risultano peraltro ancora 250 “dissidenti”, nonostante le dimissioni rassegnate da molti di loro.
La cartina al tornasole sarà la presenza “reale” degli iscritti in sala per “acclamare” il vincitore designato, l’unico che peraltro ha presentato la proppria candidatura, il cons. com Giuseppe Murolo (ex Pdl).
Soluzione pilotata dai vertici romani (e dai rispettivi referenti) che hanno “spinto” per arrivare a un tacito accordo tra Murolo e Nan, affinchè il primo abbia via libera al provinciale e il secondo alle regionali di Febbraio.
Tutto finito in apparenza a tarallucci e vino.
(da “Il Corriere Mercantile- La Stampa“)
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Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
“NASCE IL MOVIMENTO “LIGURIA FUTURISTA”…FLI ORGANIZZA LA TREGUA E SCOMPARE DALLE SCHEDE ELETTORALI”
Futuro e Libertà prova a fare pace. O meglio, almeno una tregua. Ma riesce comunque a
perdere qualche pezzo. Oltre che il simbolo alle prossime comunali dove, con ogni probabilità , non comparirà neppure sulle schede. Oggi al Bristol è in programma il congresso degli storici compromessi.
Forte di 750 tessere, raddoppiate nel corso degli ultimi 10 giorni, il partito darà a Giuseppe Murolo il compito di leader provinciale, e nessuno proverà a opporgli una lista diversa.
La stessa cosa accadrà a gennaio, quando Enrico Nan sarà confermato coordinatore regionale senza nessun rompiscatole tra i piedi.
Nessun dibattito, soprattutto nessuna frattura, anche perch’ tutto è stato deciso a livello romano per mettere fine a una guerra che avrebbe portato il partito ad avere più tessere che voti.
Questo accordo tra le correnti nazionali produrrà peraltro la scomparsa del Fli dalle prossime elezioni.
Perchè se è certo che i finiani appoggeranno la candidatura a sindaco di Enrico Musso, sembra quasi scontato che sulla scheda non ci sarà il simbolo di Futuro e Libertà , bensì quello della Lista Civica rappresentata dalla Fondazione Oltremare.
Una mossa spiegabile con il fatto che probabilmente il senatore teme di perdere voti identificandosi con il movimento di Fini, visto che comunque non avrebbe l’appoggio della parte principale del Terzo Polo, cioè l’Udc, ma anche dell’Api.
L’escamotage porterebbe a una brutta figura per Fini, neppure in grado di presentare una lista, ma consentirebbe a Murolo di candidarsi comunque tra i mussiani e di essere anche più facilmente eletto.
Tutto un compromesso dunque, che ovviamente non va giù a una parte del Fli. O almeno a quella parte che ufficialmente è ancora iscritta (in circa 250 vengono ancora conteggiati per avere i numeri del congresso) ma che si è dimessa da circa un mese.
Un gruppo di attivisti, iscritti a Fli fin dalla sua nascita, ora ha deciso di presentare un «manifesto futurista», al quale attenersi per restare legati ai valori più che ai ruoli di partito.
«Mentre Fli, in poche ore e senza alcun approfondimento politico, celebra il suo congresso provinciale con le truppe cammellate, mera ratifica di una lottizzazione delle tessere degna della prima Repubblica, la vera base futurista militante genovese che ha come unico riferimento il manifesto programmatico di Bastia Umbra, ricco di spunti e di analisi della società civile, decide di operare una svolta e creare “Liguria Futurista” – spiegano in un comunicato -. Un contenitore di idee, aperto al contributo di tutti, ispirato ai principi della legalità , della giustizia sociale e dell’unità nazionale. Un movimento dove non potranno avere cittadinanza giochetti di corridoio, manipolazioni di tessere e collusioni, frequentazioni con pluri-inquisiti, concezione della politica come mera occupazione di poltrone».
(da “Il Giornale“)
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Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
A FRONTE DI UN FLI LOCALE INEFFICIENTE, COMPROMESSO E IN CUI PREVALGONO SOLO LOGICHE SPARTITORIE, LA BASE MILITANTE LANCIA LA SFIDA FUTURISTA: FEDELI SOLO AI PRINCIPI DEL MANIFESTO DI BASTIA UMBRA, MA LIBERI DI AGIRE E LIBERI DI PENSARE
Mentre “Futuro e Libertà “, in poche ore e senza alcun approfondimento politico, celebra all’hotel Bristol il suo congresso provinciale con un unanimismo di facciata, mera ratifica di una lottizzazione delle tessere e della spartizione delle cariche degna della prima Repubblica, la vera base futurista militante genovese che ha come unico riferimento il manifesto programmatico di Bastia Umbra, ricco di spunti e di analisi della società civile, decide di operare una svolta e creare “Liguria Futurista”.
Un contenitore di idee, aperto al contributo di tutti, ispirato ai principi della legalità , della giustizia sociale e dell’unità nazionale.
Un movimento dove non potranno avere cittadinanza giochetti di corridoio, manipolazioni di tessere e collusioni, frequentazioni con pluri-inquisiti, concezione della politica come mera occupazione di poltrone.
Dopo un anno di completa assenza di Fli sul territorio genovese e di palese incapacità a “fare politica”, confrontandosi sui reali problemi di Genova e della Liguria, con i cittadini, le categorie sociali, le fasce di sofferenza ed emarginazione che la crisi economica rende sempre più visibili, “Liguria futurista” vuole porsi come avanguardia etica, sociale e politica del rinnovamento della classe dirigente della destra ligure, come testa pensante e braccio operativo di un nuovo modo di fare politica.
Al servizio dei giovani e delle donne, a tutela dei diritti civili e della integrazione degli immigrati, declinando valori e principi di riferimento di una nuova destra repubblicana, nazionale e sociale che sappia contemperare diritti e doveri.
“Non ha importanza da dove provieni, ma dove intendi andare” sarà la nostra linea guida di aggregazione e un “movimentismo operativo” il nostro metodo di intervento.
Per andare oltre i vecchi logori schemi, le rigide categorie, le appartenenze ideologiche.
I congressi pre-confezionati e senza anima li lasciamo ai vecchi notabili, tristi e logori figuranti del teatrino della politica che ha massacrato l’Italia e ucciso i sogni delle nuove generazioni.
Nell’Italia dei privilegi delle caste e della prassi della corruzione, noi vogliamo restituire dignità a chi privilegia ancora il diritto di sognare un Paese migliore.
Liberi di agire, liberi di pensare.
Ufficio di Presidenza
LIGURIA FUTURISTA
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Dicembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER NON RIESCE A TRATTENERE L’ESODO….LA PAURA CHE IL PARTITO ESPLODA DOPO LE AMMINISTRATIVE
Sono le lettere di addio che lo fanno soffrire di più. 
Quelle firmate dalle donne il Cavaliere le ha sempre tollerate meno delle altre.
E il voltafaccia ultimo di Stefania Craxi, se possibile, è stato ancora più doloroso dei tanti che ormai in sequenza si susseguono.
«Non capisco, conoscevo suo padre» confida al capannello di deputate che lo hanno circondato in aula, mentre Gabriella Carlucci, poco lontano, attraversa l’emiciclo senza neanche rivolgergli uno sguardo e raggiungendo i banchi Udc dove è approdata un mese fa.
«Ingrata, mi deve tutto» era stato allora il commento acido.
Letizia Moratti è sulla scia. Un esodo rosa che per chi «ama le donne e ne è amato » sa di contrappasso dantesco.
Silvio Berlusconi si trattiene quasi due ore a Montecitorio, nel tentativo di rianimare le truppe, allude a elezioni poco lontane («Un grande partito è sempre in campagna elettorale»), dà ragione ai malpancisti («Nulla è da escludere nei prossimi mesi»).
Ma in via dell’Umiltà l’allarme è alto, il rischio deflagrazione è dietro l’angolo. Se in 26 si sono ribellati disertando il voto di fiducia – da Crosetto a Martino, da Lunardi alla Nirenstein – e in quattro si sono astenuti (Bergamini, Moles, Marini e Castiello), quando alle 22 arriva il voto finale sulla manovra, gli scranni vuoti del Pdl sono ancora più numerosi.
D’altronde «non è la nostra manovra» andava ripetendo ancora l’ex premier, che prima di lasciare nottetempo la Camera si congedava da Monti solo con un freddo saluto da lontano.
La luna di miele, per Berlusconi, può pure finire qui.
«Voti contrari? Abbiamo consentito che accadesse visto che non c’era alcun pericolo per la maggioranza» spiega il leader Pdl.
«Ma no, nulla di organizzato, solo malesseri isolati» taglia corto il vicecapogruppo Pdl Osvaldo Napoli. Eppure Berlusconi teme soprattutto di non reggere l’impatto dei suoi.
«Continuano a chiamare tutti me per lamentarsi del partito, eppure il segretario ora è Angelino» si lamentava ieri con un ex ministro.
Ma la battuta rivolta dall’insofferente ex An Ignazio La Russa in Transatlantico al portavoce di Fini, Fabrizio Alfano (approfittando dell’omonimia col segretario Pdl) la dice lunga: «Segretario, stai sempre a parlare, ma smettila, tanto non conti nulla, noi ascoltiamo solo Berlusconi».
Giù risate.
Il Cavaliere sa che non può defilarsi. Le amministrative sono dietro l’angolo e un Pdl in caduta libera alle urne farebbe scattare il “liberi tutti”.
Ai deputati che lo circondano in aula confessa i suoi timori per una Lega sempre più in rotta e che rischia di far danni al Nord.
Ma il vero timore è l’emorragia verso il Terzo polo di scontenti e interi partiti satelliti.
In Transatlantico non è passato inosservato il lungo colloquio tra Casini e Saverio Romano, capo del Pid.
Nelle stesse ore, Berlusconi riceveva a Palazzo Grazioli Nick Cosentino, in attesa del voto della settimana prossima sulla richiesta di arresto: stavolta a rischio, col voto della Lega.
L’ex sottosegretario furente, ma Berlusconi si attende almeno le dimissioni da coordinatore campano del Pdl.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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