Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
SINGOLARE TESI GIURIDICA DEL PARTITO DELLA LEGALITA’: “DATO CHE SI E’ VOTATO, L’ELEZIONE E’ VALIDA”… DECISIONE SCANDALOSA NONOSTANTE CHE L’ON CONTE, CHE AVEVA PRESIEDUTO IL CONGRESSO, SI FOSSE ESPRESSO PER L’ANNULLAMENTO…ORA I GIURECONSULTI BOCCHINIANI FANNO ANCHE LE LEGGI
Triste, squallido epilogo per Fli Varese: respinto il ricorso del candidato Piero Garavaglia per l’annullamento del congresso provinciale.
E sì che di motivazioni ce n’erano, e più d’una: la commissione di Garanzia era saltata, nelle liste del candidato Ferrazzi era stata trovata almeno una firma falsa, a seguito c’erano stati atteggiamenti minacciosi da parte dei membri in quota Ferrazzi verso i due indicati dal gruppo dell’avv. Garavaglia. Ancora, a seguito delle loro proteste, in quanto, rifiutavano di firmare il verbale, l’ex assessore regionale Larussiano si scagliava verso uno dei presenti cercando di colpirlo con una testata e veniva fermato per un pelo da un ispettore della Digos.
Ce n’era talmente tanto di materiale per annullare il Congresso che il Presidente on. Giorgio Conte decideva di chiamare al voto i presenti esclusivamente per evitare che la situazione degenerasse, ben consapevole del fatto che la non sottoscrizione del verbale – oltre alle minacce e alla tentata aggressione- avrebbe portato alla nullità del voto.
Per lo stesso identico motivo l’avv. Garavaglia chiedeva ai suoi di lasciare la sala e si avvertivano gli altri di non raggiungere il locale del Congresso altrimenti si sarebbe rischiata la rissa e l’intervento della polizia.
Le relazioni allegate al ricorso, firmate dai 2 membri della Commissione e quella dell’ispettore della Digos non lasciavano spazio a tentativi di minimizzare: vecchi sistemi, quelli brutti, quelli di una politica becera che la gente non vorrebbe più vedere..quelli che il presidente Fini non ha mai amato e che questo nuovo Partito aveva garantito tra le righe che non si sarebbero mai visti. Invece oggi la risposta.
Poche ore fa la Segreteria dei Congressi ha deciso che siccome si è arrivati al voto l’elezione è valida.
Anche se sostanzialmente nullo – non essendo stato firmato da 2 su 4 membri il verbale che garantisce la regolarità delle candidature ed essendo verificabile la falsità di alcune di queste- anche se il neoeletto Coordinatore provinciale si è esibito in un deprimente tentativo di spaccare la faccia con una testata (la classe non è acqua) va tutto bene.
Fli ha fatto la sua scelta. avallando le firme false e le minacce.
Ma Fli non era il partito del merito, della trasparenza e della legalità ?
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Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
LA RICOSTRUZIONE INTERNA DI UN CONGRESSO TAROCCATO, CON FIRME FALSE E VERBALI NON FIRMATI
Alla Segreteria Generale dei Congressi
di Futuro e Libertà
Relazione accadimenti congresso provinciale di Varese del 3 dicembre 2011
In data odierna , si è tenuto in Varese il Congresso Provinciale di Futuro e Libertà .
Al fine di poter procedere regolarmente all’elezione del coordinatore per la Provincia di Varese, veniva nominata ed eletta a suffragio dei presenti la Commissione di verifica dei poteri, con il compito di appurare la corrispondenza tra i nominativi degli iscritti a Futuro e Libertà della Provincia di Varese e le liste di presentazione dei due candidati : Garavaglia Piero e Ferrazzi Luca .
La commissione, costituita da 4 membri e un Presidente, iniziava i lavori esaminando, dapprima, le liste di presentazione del candidato Garavaglia Piero.
Una volta controllati oltre la metà dei nominativi delle liste dei sostenitori di Piero Garavaglia, il Presidente della Commissione Liccata proponeva di proseguire la verifica dei nominativi secondo una modalità diversa da quella sino a quel momento utilizzata, e più precisamente, suggeriva di procedere con un controllo “a campione”.
I sigg.ri Marco Macchi e Barbara Zavaglia, entrambi membri della Commissione, dichiaravano apertamente di opporsi a tale modalità di verifica in quanto non ispirata nè a criteri di trasparenza nè di legittimità , poichè veniva proposta ad operazioni già in fase avanzata, creando, di fatto , una diversità di trattamento tra i due candidati.
A questo punto, preso atto del dissenso da parte dei suddetti membri, il Presidente della Commissione metteva ai voti la sua proposta.
Nonostante i dissensi palesati dalla sig.ra Zavaglia e dal sig. Macchi anche sulla validità di tale votazione ( alla quale lo stesso Presidente prendeva parte), la verifica sui nominativi proseguiva secondo la modalità “a campione” sulle sole liste del candidato Ferrazzi.
Nel corso delle operazioni veniva richiesto a più riprese da parte del sig. Macchi e dalla sig.ra Zavaglia di verificare la validità , ai fini della presentazione, di decine di nominativi, inseriti nelle liste dei sostenitori del candidato Ferrazzi, sui quali era sorto il fondato timore ( data la notorietà o la conoscenza personale ) che potessero essere stati iscritti a loro insaputa, poichè contemporaneamente iscritti in altre liste partitiche, nella fattispecie il PdL.
Inoltre, veniva contestata la firma di tale Valentina Testa, inserita sia nelle liste di presentazione del candidato Ferrazzi che nelle liste del candidato Garavaglia.
In merito veniva rilevato come Valentina Testa fosse persona conosciuta personalmente dal sig. Macchi e la cui firma era stata raccolta dallo stesso a favore di Garavaglia.
Sulla scorta di tali evidenti irregolarità , Macchi e Zavaglia reiteravano la propria richiesta di procedere al controllo integrale dei nominativi.
Il Presidente, noncurante di tutto ciò, non accoglieva la legittima richiesta dei Commissari, sulla base di giustificazioni del tutto prive di qualsivoglia fondamento.
Al riguardo, infatti, il Presidente e gli altri due membri ribadivano che, anche laddove fossero state provate dette circostanze ( sic!) ,nondimeno, i numeri dei rimanenti iscritti sarebbero stati sufficienti per procedere ad una regolare elezione.
Medio tempore, giunti al termine del controllo dei nominativi scelti a campione sulle liste del candidato Ferrazzi, il Presidente procedeva alla stesura del verbale della seduta al quale, tuttavia, i sigg.ri Zavaglia e Macchi si rifiutavano di apporre la propria sottoscrizione, in ragione dei gravi accadimenti meglio sopra descritti.
A questo punto, il Presidente e gli altri membri della Commissione, con notevoli ed incalzanti “pressioni,” tentavano di indurre Macchi e Zavaglia a sottoscrivere il verbale, per poter così procedere con le operazioni di voto.
Zavaglia e Macchi, fermi nella propria determinazione di non avallare un tale atteggiamente, del tutto avulso dai criteri di trasparenza e legittimità cui viceversa si dovrebbe essere ispirati, chiedevano di poter verbalizzare gli accadimenti in questione.
Per tutta risposta il Presidente della Commissione perseverava nella sua posizione, affermando la legittimità delle operazioni appena concluse.
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Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
L’ATTUALE MINISTRO DELLO SVILUPPO E DELLE INFRASTRUTTURE GIA’ STUDIA DA CANDIDATO: GLI ELOGI DI ENRICO LETTA, IL RAPPORTO CON DI PIETRO, LA SIMPATIA VERSO IL TERZO POLO
La stella di Mario Monti ha già smesso di brillare nel chiacchiericcio della politica: il professore di Varese è stato già archiviato come tecnico puro senza futuro.
Adesso è il momento del ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture Corrado Passera. Ha undici anni meno del premier e non fa mistero di considerare l’incarico nel governo di emergenza come trampolino per una vera carriera da leader.
Domenica sera, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa (Rai3), ha detto: “Non so se sono capace, non so se imparerò in tempi rapidi. Occuparsi del bene comune, però, è il più bello dei lavori”.
Antonio Di Pietro, che lo conosce bene, non ha dubbi. In contemporanea alla quasi esplicita discesa in campo dell’ex banchiere, ha spiegato a In onda (La7): “Sarà lui il soggetto che dovremo tenere in conto per la politica dei prossimi anni. In queste ore stanno facendo a gara a chi può accaparrarselo tra centrosinistra, centrodestra e Terzo Polo”.
Di Pietro parla con cognizione di causa: nel 1995, quando preparava la sua entrata in politica, non si capiva se da destra, da sinistra o dal centro, aveva come consigliere proprio l’allora quarantenne amministratore delegato dell’Olivetti. Il quale adesso replica quello stesso copione, proponendosi come leader buono per il centro ma anche per il centro-sinistra, attraverso il sapiente dosaggio di messaggi mai casuali.
Mentre alcuni suoi colleghi di governospingono sull’acceleratore delle scelte “dolorose ma necessarie”, nell’intervista a Fazio Passera ha sfoderato alcune eleganti veroniche sempre con lo sguardo rivolto a sinistra. Anche a costo di distinguersi dal presidente del Consiglio.
Prima mossa: dopo settimane di tentennamenti governativi, che hanno attirato sull’esecutivo tecnico l’accusa di essere prono agli interessi di Berlusconi, è stato lui a intestarsi la svolta sulle frequenze televisive: “Non è tollerabile darle gratis”, ha detto, annunciando lo stop al cosiddetto beauty contest e rinviando però prudentemente la vendita dei canali tv di un anno.
Seconda mossa: smentendo Monti – che aveva fatto dire in Parlamento al ministro Giarda che l’accordo con la Svizzera per tassare i capitali italiani esportati oltre confine era giuridicamente improponibile – ha annunciato che la cosa va fatta al più presto per dare una stangata ai 150 miliardi di euro nascosti nelle banche elvetiche. Non a caso ieri il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, ha salutato con soddisfazione la svolta di Passera sulle frequenze e rivolto un appello al governo per “riconsiderare la questione della Svizzera”: tradotto, un appello a Monti perchè dia retta a Passera.Passera dispone di una serie di requisiti considerati decisivi per una leadership riformista moderata.
È cattolicissimo, è lombardo, cioè uomo del nord, non è un politico di professione (finora).
Viene dalla scuola di Carlo De Benedetti, icona imprenditoriale del riformismo di centro-sinistra, è stato chiamato da Romano Prodi a risanare (con successo) le Poste, è stato chiamato dal banchiere Giovanni Bazoli, padre nobile del centro-sinistra, alla guida della Banca Intesa Sanpaolo.
Ha votato alle primarie del Pd, ma solo fino a un certo punto, perchè quando il potere di Berlusconi è apparso definitivamente inscalfibile (elezioni del 2008) il manager di Como si è avvicinato al centro destra, flirtando con B. soprattutto come regista del salvataggio Alitalia a spese dello Stato.
Ma adesso, mentre il governo Monti diventa anti-popolare agli occhi dei critici, Passera sta bene attento a non confondersi nella foto di gruppo dei nemici del popolo. Castiga Berlusconi sulle frequenze, dichiara guerra ai grandi evasori, annuncia che si batterà per le liberalizzazioni, che sono il vero totem del suo schieramento di riferimento: il Terzo Polo, in primis, ma anche la sinistra del Pdl e la destra del Pd.
La sua scommessa è di conquistare la leadership dimostrando la capacità di attrarre verso il centro pezzi della destra e della sinistra.
Come vuole convincere la sinistra moderata l’abbiamo visto.
Per la destra che guarda al centro appare per ora sufficiente la giusta dose di continuismo di Passera, simboleggiata dalla determinazione ad andare avanti con i miliardi spesi (spesso inutilmente) nei cantieri delle grandi opere.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
VELENI DA BERLSCONI: “AUGURI”… E IN SERATA INCONTRO SEGRETO CON BOSSI PER RICUCIRE LO STRAPPO DEI “LADRI DI PISA”
Il Cavaliere stavolta ha usato una freccia imbevuta di veleno.
Un gruppo parlamentare di Tremonti? «Tanti auguri», ha sibilato gelido Berlusconi ai cronisti che lo interpellavano al tribunale di Milano.
Ed è un addio definitivo, senza rimpianti, all’uomo che l’ex premier ritiene in fondo il vero responsabile della sua caduta. «Perchè se non ci avesse messo sempre i bastoni tra le ruote, se non mi avesse fatto passare in Europa per quello che voleva annacquare la manovra, a quest’ora sarei ancora a Palazzo Chigi ».
Così ieri, quando un giornalista gli ha chiesto di un ipotetico strappo parlamentare del suo ex ministro, il Cavaliere ha riposto in quel modo, ben sapendo in realtà che l’operazione era tramontata da tempo.
Da almeno due settimane, quando Tremonti ha capito che il progetto – pur accarezzato dopo la caduta del governo – aveva scarsi margini di praticabilità . «Berlusconi – spiega un amico di Tremonti – l’ha voluto solo umiliare, ormai il professore ha altro in mente che non intestarsi un gruppo».
L’idea, al contrario, sarebbe quella di creare una Fondazione e attorno ad essa dar vita a un nuovo centro di azione politica per il futuro.
Ma niente gruppo parlamentare.
I maligni (e nel Pdl i nemici di Tremonti non si contano) raccontano che l’ex ministro si sia dato effettivamente da fare nei giorni scorsi per saggiare la disponibilità di alcuni deputati del Pdl a seguirlo in una nuova avventura fuori dai confini.
Maurizio Del Tenno, deputato di Sondrio e già collaboratore della Brambilla, sarebbe uno di questi. Insieme a Giorgio Jannone e Maria Teresa Armosino.
Ma gli avvicinati, pur apprezzando Tremonti, avrebbero declinato l’offerta.
Arrivare a venti deputati, la soglia minima per costituire un gruppo autonomo, si sarebbe rivelata impresa ardua, pur contando su alcune anime perse parcheggiate nel gruppo misto in attesa di un salvatore.
Sta di fatto che Tremonti, nel Pdl, non ha più cittadinanza. Il gelido benservito del Cavaliere – «tanti auguri» – è arrivato giusto a tre giorni di distanza dall’altro attacco, pronunciato alla presentazione del libro di Vespa: «Non voglio parlare di Tremonti, ci sarebbero conseguenze negative».
Una stroncatura ufficializzata ieri da Angelino Alfano che, a domanda sull’ipotesi di un gruppo Tremonti, si è limitato a dire che «il Pdl è un partito solido».
«La vicenda di questi anni – ha aggiunto il segretario di via dell’Umiltà – ha diverse chiavi di lettura. Non tutte coincidono con le convinzioni di Tremonti».
Berlusconi può permettersi di allargare il solco con Tremonti anche perchè al professore di Sondrio è venuta a mancare nel frattempo la sponda del Carroccio. Al contrario è proprio su Bossi che il Cavaliere sta ora concentrando tutte le sue energie nel tentativo di un recupero dell’ex alleato «senza il quale – ripete – diventa persino inutile presentare liste al Nord».
L’incontro di ieri sera ad Arcore con il Senatur (ma senza conferme ufficiali) avrebbe tuttavia dovuto restare segreto su precisa richiesta della Lega.
Bobo Maroni resta infatti contrario al riavvicinamento con l’ex premier, preferisce che il «Capo» non si faccia irretire dalle offerte del Cavaliere. Ma Berlusconi ha giocato d’anticipo, di fatto rendendo pubblica la notizia mentre la smentiva con poca convinzione.
Nel salotto di Arcore si sarebbe parlato di alleanze alle amministrative. Ma anche della sorte di Nicola Cosentino e dell’asta sulle frequenze tv.
Tra Berlusconi e Bossi, del resto, già venerdì a Montecitorio, al riparo da occhi indiscreti, c’era già stato un primo abboccamento per sgombrare il campo dalle punzecchiature dei giorni passati.
Ieri a Milano, dopo aver lodato Alfano per l’ennesima volta, il Cavaliere ha pure scherzato su un possibile ingresso in politica della figlia Marina: «Se accadesse la diserederei».
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA CHE GARANTISCE: “MAI PIU’ LEGGI AD PERSONAM”…MA SOGNA UNA LEGGE SUI DETENUTI E NON CHIUDE LA PORTA ALL’AMNISTIA
Carceri umane, ma anche lotta alla corruzione. Il Guardasigilli Paola Severino ha ancora addosso quella che definisce la “grande emozione” d’essere stata accanto al Papa a Rebibbia e di aver ascoltato le voci dolenti dei detenuti.
Le prigioni sono una delle sue più importanti sfide. La considera ormai la sua mission.
Ma non vuole passare per quella che produce leggi “svuota carcere”. Anzi, nella sua prima intervista a tutto campo, invita tutti “al confronto costruttivo” e apre su altri grandi temi del diritto penale, come la lotta alla corruzione, fino a pensare di inserire nel codice una nuova fattispecie di corruzione, quella “privata” all’interno delle imprese.
Non le sembri bizzarro, ma le chiedo subito quale legge vorrebbe che fosse battezzata “legge Severino”?
“Sicuramente una che riguarda il carcere”.
Lei ha intenzione di continuare a fare politica dopo questa esperienza? Si candiderà alle elezioni?
“Mi considero un cittadino qualunque cui è stato chiesto di ricoprire una funzione pubblica, quando essa cesserà io tornerò a fare il cittadino qualunque”.
Quando Monti le ha proposto di fare il Guardasigilli ha pensato all’eredità pesante che avrebbe raccolto sulla giustizia?
“Sono pienamente consapevole della serietà dei problemi che ruotano intorno a questo mondo, ma ho sempre pensato che le difficoltà non debbano scoraggiare nessuno, specie quando si tratta di compiti istituzionali”.
Lei garantisce che non proporrà , nè asseconderà leggi ad personam come quelle di Berlusconi?
“Non ho mai pensato alla legge come un qualcosa che possa essere contro qualcuno o a favore di qualcuno. Il legislatore deve intervenire quando c’è bisogno. Sicuramente, ad esempio, c’è bisogno di una riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, perchè il comune sentire sociale lo richiede e perchè ci sono figure giuridiche nuove da inserire nel codice come la corruzione privata all’interno delle imprese, e cioè una forma di corruzione che non riguarda solo i pubblici ufficiali”.
Il terreno è assai delicato, da anni oggetto di scontro. Lei si tufferebbe nel ginepraio?
“Una buona riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione dev’essere preceduta da un intervento di revisione delle procedure decisionali e di gestione. Proprio per questo, con il ministro dello Sviluppo economico Passera e della Funzione pubblica Patroni Griffi, stiamo costituendo un tavolo di confronto per la semplificazione dei rapporti tra pubblica amministrazione e impresa”.
Non teme di etichettare subito il suo ministero come quello che ha fatto una legge svuota carceri?
“È necessario, a volte, che passi del tempo perchè il contenuto di certi provvedimenti possa essere compreso. L’espressione con cui è stato battezzato il decreto è in parte fuorviante. C’è chi teme e lamenta che possa essere messo in libertà chi suscita allarme sociale. Non è così, perchè ho prestato la massima attenzione proprio a questi aspetti. A decidere sull’alternativa tra carcere e libertà dopo la camera di custodia, solo per reati di competenza del giudice monocratico e destinati al giudizio per direttissima, sarà sempre un magistrato. Come avviene già oggi proprio per quei reati. Non c’è nulla di nuovo, se non il luogo in cui la persona è momentaneamente trattenuta in attesa di essere portata in tribunale”.
Lei ha timore che dal Pdl vogliano frenare le sue misure?
“Credo che non si debba avere timore del confronto di idee. Naturalmente, come faccio sempre, terrò nella massima considerazione le critiche, se esse sono costruttive. Ma quando leggo che taluno vorrebbe solo dei miglioramenti e che l’Anm dà un giudizio sostanzialmente positivo aggiungendo che servono solo “alcuni accorgimenti tecnici” rispetto a un meccanismo che già ora è quotidiana prassi, allora siamo sulla strada giusta”.
Se le chiedessero di soprassedere sulle camere di sicurezza, viste le critiche di Mantovano, Pecorella, Costa?
“Al mio vecchio amico Pecorella dico che se ha delle idee me ne parli subito. Qui, però, stiamo discutendo di una misura tampone. Sullo sfondo c’è un pianeta carcere dove i suicidi aumentano e dove bisogna intervenire con urgenza con misure che consentano di arrivare alla situazione ideale, ampliando, ad esempio, il numero dei posti disponibili nelle carceri. Tra l’altro oggi ho qualche speranza in più, visti i 57 milioni di euro che posso destinare all’edilizia penitenziaria”.
Alla fine però il suo primo decreto passerà come “l’operazione detenuti in questura”.
“Sarebbe un errore, perchè sull’altro piatto della bilancia ci sono le misure alternative, su cui c’è una grande convergenza dei vertici laici e religiosi. Nei discorsi di Napolitano e del Papa ho avvertito una sorprendente sintonia e coincidenza di idee su molti aspetti, dalla funzione rieducative della pena, al rispetto della persona, alle pene alternative alla detenzione”.
C’è un’ostilità Pdl perchè nel pacchetto non è entrata quella che sarebbe stata subito battezzata “norma Papa”, per via del deputato finito in carcere, che avrebbe reso obbligatorio per il giudice dare i domiciliari anzichè mandare l’indagato in cella?
“Credo e spero che riusciremo ad uscire dalla logica delle leggi ad personam e contra personam perchè ogni norma incide sui processi in corso e sulla posizione di persone che sono sotto inchiesta. Ma una norma, se ha un’oggettiva validità , va portata avanti, al di là che possa avvantaggiare o svantaggiare una persona”.
Garantisce che non l’hanno sollecitata a inserire questa norma con un’offerta di scambio?
“Assolutamente no, non ne ho mai avuta nè la percezione, e neppure un indiretto sospetto”.
Proprio lei da avvocato non ha paura di lanciarsi nell’uso delle camere di custodia, come preferisce chiamarle? Non teme soprusi, violenze, scarsità di controlli?
“Timori di strumentalizzazioni ce li abbiamo tutti, ma la mia certezza è che un fatto grave e anomalo possa accadere sia in quelle, sia in un penitenziario. Per Cucchi, ad esempio, c’è tuttora il dubbio se sia stato picchiato in cella di sicurezza o in carcere. In entrambi in casi, sarebbero degenerazioni che non dovrebbero mai verificarsi. Non stiamo paragonando le camere di custodia a un albergo a cinque stelle, ma mettiamo sul piatto della bilancia da una parte tre giorni in carcere, dall’altra due in camera di custodia”.
E la sua conclusione?
“I traumi dell’ingresso in carcere possono essere superiori a quelli della temporanea detenzione in una camera di custodia. A chi non la pensa come me non posso non ricordare i traumi psicofisici che si accompagnano all’ingresso in una prigione”.
Sia sincera, non teme agguati in Parlamento?
“La prossima settimana mi presenterò davanti alle commissioni parlamentari e ritengo che il loro contributo sia fondamentale per condurre in porto il provvedimento”.
Amnistia. I detenuti l’hanno chiesta al Pontefice a Rebibbia. Non va detto un sì o un no per evitare illusioni inutili
“Innanzitutto, durante e dopo la cerimonia, non ho sentito mai pronunciare la parola amnistia, ma solo frasi commoventi per dire “grazie per quello che state facendo per noi”. Solo alla fine qualcuno lo ha detto”.
Un appello comunque c’è stato.
“Non posso che ribadire quello che finora ho detto, non spetta al governo proporre un’amnistia, ma al Parlamento. Se lì si formerà la maggioranza richiesta, certamente non mi opporrò”.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
DAL 6 DICEMBRE E’ VIETATO OGNI TRASFERIMENTO IN CONTANTI SUPERIORE A 999,99 EURO…MA SONO TANTI AD ACCETTARE ESCAMOTAGE
L’anello che voglio regalare alla mia fidanzata costa 8200 euro.
Il gioielliere strabuzza gli occhi quando glielo indico. Non gli pare vero. Da quasi un anno è lì in vetrina a prendere polvere. Nessuno fino ad allora gli aveva chiesto nemmeno di vederlo.
La crisi! Anzi, per invogliarmi a comprarlo mi fa uno sconto del 10%, si vuole proprio rovinare.
E se non dovesse andare bene? «Veniamo fino a casa e lo cambiamo».
E per il pagamento? Si può fare in contanti? Sa, per ragioni fiscali… «Ma certo, per noi non c’è nessunissimo problema, è proprio l’ultimo dei pensieri. Se vuole può anche dividerli in due tranche… Ma anche tre, quattro, cinque… Insomma, come le fa più comodo, per noi è indifferente».
Tanto indifferente non dovrebbe essere viste le nuove norme antievasione fiscale varate dal governo Monti.
Dal 6 dicembre 2011è vietato qualsiasi trasferimento in contanti superiore a 999,99 euro. Tutto, sopra questa cifra, deve essere tracciabile. Dovrebbe.
Trovare gioiellieri che applicano la regola è davvero dura. Si deve entrare negli store delle grandi griffe del lusso per sentirsi dire un «No, non possiamo accettare contanti».
Nonostante una sanzione pecuniaria che può arrivare fino al 40% dell’importo pagato, sono in tanti ad accettare gli escamotage.
E chi pensa al solito furbetto si sbaglia. Da Nord a Sud l’Italia è unita. Napoli, Milano, Roma. La storia è sempre la stessa.
Abbiamo simulato l’acquisto di un anello. Costo: dai 1300 agli 8200 euro.
Possiamo pagare in contanti? «Certo, nessun problema» ci hanno risposto nella maggioranza dei negozi.
A Roma entriamo in una gioielleria che si trova proprio di fronte palazzo Chigi. Più che un gioielliere sembra un consulente dell’evasione. «Può pagare in contanti e se non vuole figurare possiamo dividere l’importo in più parti così risulta un prezzo inferiore ai mille euro. Faremo in modo che non dovrà spiegare come ha speso questi soldi».
Ci spostiamo nel cuore dello shopping capitolino: via Condotti. Qui l’attenzione dovrebbe essere altissima. Invece accettano il pagamento in contanti di 5800 euro. Non fa eccezione il centro di Milano: corso Buenos Aires. «Vanno bene i contanti ma lo scontrino fiscale non posso farglielo. Se per lei non è un problema…».
La proposta è chiara: l’acquisto in nero di un anello da 5200 euro.
Niente carta di credito, niente scontrino e per il Fisco non esistiamo, nè lui nè noi. Poco più avanti entriamo in un’altra gioielleria che accetta contanti per il pagamento di un solitario da 8200 euro.
Eppure le nuove disposizioni le conoscono tutti. «Ah si, si… Questo è il discorso dei mille euro… lo scontrino… come l’hai comprato… etc… – ci dice un gioielliere napoletano -. Ne parlavo poco fa con un mio amico finanziere e pure lui mi diceva che hanno rotto con tutti questi controlli. Vogliono sapere tutto. Non si lavora più».
Che l’Italia sia il Paese dell’evasione fiscale lo sanno anche i turisti, come ci spiega una vecchia negoziante romana.
Da due anni a questa parte nel suo negozio entrano solo cinesi e russi. «Si presentano in negozio con le valigie piene di soldi, pagano sempre in contanti, tutto in nero… Ha capito che voglio dire?».
Antonio Crispino
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
BUSINESS, BUONA STAMPA E POLITICA: IL MODUS OPERANDI DI UN MANAGER SOPRAVVISSUTO A TUTTE LE STAGIONI POLITICHE….TAGLI DEL 10%, ABBANDONO DEI TRENI REGIONALI, INVESTIMENTI SULLE FRECCE ROSSE: TRENITALIA USO UOMINI D’AFFARI
C’è un Truman show alle Ferrovie come c’era nel-l’Italia di Berlusconi.
Con un mattatore indiscusso: Mauro Moretti, amministratore delegato, 58 anni.
Da quando nell’autunno del 2006 è diventato il dominus dei binari ha cambiato tutto. Non in meglio.
Le vecchie e polverose Fs che macinavano soldi, ma che almeno tentavano di portare dignitosamente la gente da una parte all’altra della Penisola senza dimenticare la loro funzione pubblica, sono state sostituite da un’altra Cosa.
Un’entità che grazie a una propaganda tenace, asfissiante e aggressiva è stata spacciata come il Mulino bianco dei binari.
Cosa d’èlite
Ma dietro i tagli dei nastri a ripetizione, le interviste a briglia sciolta e le pubblicità a pagine intere con i convogli rosso fuoco che sfrecciano in campagne rigogliose sullo sfondo di cieli azzurrini, la realtà resta pedestre e le attuali Fs non sono belle a vedersi. Sono una Cosa pubblica dal punto di vista della proprietà , ma nemmeno per un istante pensata ancora per tutti i cittadini.
Sono diventate una Cosa d’èlite.
Di statale conservano parte dei finanziamenti e a malapena la ‘ s ‘ dell’acronimo, di recente cambiato pure quello (ora ufficialmente si chiamano Ferrovie dello Stato italiane). Come se sui 16.701 chilometri di binari viaggiassero solo i Frecciarossa e fossero figli di nessuno i 9 mila normali treni al giorno, quelli dei pendolari maltrattati come cittadini di serie zeta, i treni regionali e quelli della gente comune che in maniera possibilmente decente dal nord vorrebbe spostarsi al sud e viceversa, i frequentatori dei notturni, i viaggiatori dei convogli sulle lunghe distanze.
A tutti questi è come se lo Stato ad un certo momento avesse fatto dire da Moretti: arrangiatevi.
La cosa più stupefacente è che tutto ciò è avvenuto con la politica in stato di abulia. Governo e Parlamento si sono voltati dall’altra affidando in pratica una delega in bianco a Moretti che è diventato così come il prototipo di quella logica che poi ha partorito i tecnici al governo.
Anche lui la delega l’ha assunta in pieno, concentrando ogni attenzione sui servizi definiti “a mercato”, i treni Roma-Milano soprattutto, su cui viaggiano manager, businessmen e direttori di giornali e che garantiscono quattrini, immagine e buona stampa.
Secondo un recente studio del Politecnico di Milano questi collegamenti sono cresciuti quasi del 3 % dal 2009.
E aumenteranno ancora quando sulle stesse tratte tra qualche mese correranno i convogli privati della montezemoliana Ntv.
Nello stesso periodo, però, sono arretrati tutti gli altri collegamenti delle Fs pubbliche: di oltre il 18 % il servizio universale senza contribuzione e più del 10 il servizio non a mercato e non contribuito. Mentre i treni merci statali sono diventati Cenerentole. L’unico freno imposto a Moretti dalla politica è che le Ferrovie non aprissero nuove voragini nei conti pubblici.
Moretti ha eseguito infierendo anche sull’organico ridotto sotto il suo regno da circa 87 mila a 77 mila ferrovieri.
Nessuno nel frattempo ha fatto il conto di quanto costa agli italiani la progressiva erosione delle ferrovie come bene di tutti.
Quella di Moretti è stata, in pratica, una gigantesca manovra di classe, sostenuta da un apparato propagandistico all’erta 24 ore su 24 a sostegno delle ragioni del Capo identificate con quelle dell’azienda e dell’Italia.
Alle Ferrovie e in qualche misura anche fuori di esse non c’è posto per chi si oppone, ma neanche per chi osa solo dire ma.
Come i familiari delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio, per esempio, venuti a Roma il giorno dell’inaugurazione della stazione Tiburtina e neanche degnati di uno sguardo da Moretti.
Finchè è possibile, giornali e giornalisti sono blanditi, altrimenti redarguiti con letterine a cui l’ufficio stampa si dedica con diuturno e pedagogico zelo.
Fino a negare l’evidenza, come è successo proprio di recente al Fatto, accusato di propalare “palesi falsità ” per avere raccontato la storia degli 800 licenziati dei treni notte. Non di rado scatta pure la querela a scopo intimidatorio.
Per ironia della sorte tutto ciò è opera di un uomo che in passato aveva impugnato un’altra bandiera, quella rossa dei comunisti e della Cgil.
Moretti è stato a lungo un dirigente di quel sindacato e non uno tra i tanti, ma proprio il capo dei ferrovieri (Filt).
Un sindacalista competente, sorretto da una preparazione specifica non comune, maturata all’università di Bologna dove si era laureato con la lode in ingegneria ferroviaria.
Alle Ferrovie fu assunto per concorso 33 anni fa, allora prendeva meno di 1 milione di lire al mese, ora riscuote almeno 100 volte di più. I binari li ha sempre visti da lontano. Da sindacalista già frequentava villa Patrizi, sede romana Fs, quando presidente era Lodovico Ligato, poi ucciso dalla ‘ ndrangheta il 27 agosto 1989.
Dopo la parentesi di Mario Schimberni fu Lorenzo Necci a trasformarlo da sindacalista a manager.
E quando Necci fu travolto dagli scandali, Moretti fu l’unico di quel gruppo a sfangarla.
Il nuovo arrivato, Giancarlo Cimoli, lo nominò amministratore di Rfi.
E passato anche Cimoli, il dalemiano ex sindacalista Moretti con Elio Catania amministratore cominciò a carezzare il sogno di diventare lui il numero uno, coltivando allo scopo relazioni a destra e a manca, da Gianni Letta a Ercole Incalza, dirigente craxiano finito nei guai ai tempi di Necci, poi consigliere dei ministri Pietro Lunardi e Altero Matteoli.
Nessuno più di Moretti incarna la continuità ferroviaria.
Nessuno più di lui ha stravolto le ferrovie.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
TRATTE CANCELLATE, BAGNI FATISCENTI, CARROZZE SENZA RISCALDAMENTO E BIGLIETTI AUMNETATI DEL 12%…LA RICERCA DI LEGA AMBIENTE “PENDOLARIA 2011”
Tra le peggiori c’è la Morengo-Bariano (Bergamo), una tratta in completo stato di abbandono, senza personale e neppure sala d’aspetto, dove è impossibile andare in bagno men che meno obliterare il biglietto.
Ma non se la passano meglio, secondo “Pendolaria” — il rapporto di Legambiente che sarà presentato domani —, quelli che salgono sugli arrugginiti regionali che dalla stazione di Cervignano Aquileia Grado arrivano a Venezia.
La domanda che si fanno ogni giorno 2. 829. 567 persone è: “Ma le Ferrovie dello Stato fanno ancora servizio pubblico?”.
Un quesito più che legittimo viste le condizioni in cui sono costretti a viaggiare i pendolari d’Italia.
Quelli che scelgono (o sono obbligati a farlo) il treno per i loro spostamenti quotidiani. Quasi tre milioni di persone di cui 821. 719 abbonati; di fatto un esercito al quale Fs, riserva gli ultimi vagoni degli ultimi treni.
Per la verità , a leggere gli annunci fatti dall’amministratore delegato di Trenitalia, ormai si viaggerebbe solo sulle Frecce azzurre, argento o rosse che siano e dunque i treni ad alta velocità sembrano essere gli unici che meritano attenzione.
Ma nel finto lusso della seconda classe delle Frecce non sale proprio tutta l’Italia.
I contratti con le Regioni Basta prendere l’Ic Roma Termini-Venezia Mestre delle 10. 26. All’esterno spicca la scritta “restaurato” a cui fa seguito la data.
All’interno tra carrozze fredde e sporche di posti a sedere liberi non ce ne sono poi tanti. Segno che non tutti possono permettersi 76 euro di Freccia argento che arriva due ore prima dell’Ic che di euro ne costa 45, 50.
A proposito di costi e tagli: complessivamente le tariffe nel solo 2011 sono aumentate del 12 % e i tagli al servizio ferroviario hanno sfiorato quota 8 %.
Ma le cose sono destinate a peggiorare visto che il totale dei contratti di servizio che Trenitalia ha stipulato con le Regioni (fino al 2014) è di 2 miliardi l’anno ma è molto probabile che le amministrazioni regionali non saranno in grado di rispettarli.
Quindi? La cosa più semplice: ulteriori soppressioni di treni.
La roulette degli orari In Liguria sono i pendolari genovesi che si dirigono verso Chiavari a subire le più drammatiche conseguenze dei tagli ai treni.
Con il nuovo orario, tra l’altro, è stato soppresso un Eurostar City senza essere sostituito se non da un vecchio treno regionale che effettua tutte le fermate (per un tempo di percorrenza di 55 minuti) con un relativo orario di arrivo del tutto inutile alla maggior parte dei lavoratori.
Sul versante ligure di ponente la situazione non migliora; per i pendolari di Savona diretti nella Valbormida (in Piemonte) non esiste più la possibilità di usufruire di un regionale nelle ore mattutine per cui il servizio è stato prima sostituito da due bus e poi cancellato completamente.
Ovviamente ai pendolari rimasti senza mezzo pubblico non viene rimborsato alcun tipo di abbonamento tra l’altro inutilizzabile perchè non ci sono altri treni che permettono loro di arrivare in orario al lavoro. I bus sostitutivi Lombardia, Lazio, Campania, Piemonte, Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, Puglia e Liguria si viaggia molto in treno (oltre il 91 % del dato nazionale) con oltre 2, 6 milioni di viaggiatori al giorno.
Eppure, ad esempio, in Toscana la linea Porrettana dal valore storico e architettonico, sarebbe molto utile per i pendolari diretti a Bologna come alternativa alle altre tratte percorse dai treni ad Alta velocità e a lunga percorrenza (e che transitano per Prato e Firenze), eppure attualmente sono stati sostituiti 12 treni con 24 autobus (2 per ogni treno) per risparmiare circa 750. 000 euro.
Conseguenze?
Un drastico crollo dell’utenza perchè gli Appennini in bus non sono il massimo della comodità soprattutto in inverno.
Le cose non sembrano andare meglio in Veneto dove dal 1 gennaio 2012 sparirà la biglietteria della stazione di Schio, mentre quella di Thiene subirà una notevole riduzione di orario, garantendo solo un servizio di poche ore.
Per i cittadini del vicentino si tratta di ulteriori disagi che si sommano ai treni sovraffollati e non sufficienti a trasportare la quantità di persone che ogni giorno si dirige nelle principali città della regione.
Tutto messo nero su bianco da Legambiente che alla stazione Termini di Roma (lato via Marsala) darà ufficialmente inizio a “Pendolaria” 2011: un intero mese di appuntamenti, incontri e manifestazioni nelle stazioni italiane organizzati insieme ai circoli regionali che tra l’altro hanno raccolta dati e informazioni che fotografano la situazione terzomondista del servizio ferroviario italiano.
“Si profila una stagione di tagli e, inevitabilmente, di stop agli investimenti nei nuovi treni per via delle incertezze — afferma Edoardo Zanchini vicepresidente di Legambiente —. Ben altra attenzione è stata riservata invece, come sempre, agli autotrasportatori e ai cantieri delle grandi opere”.
Le indicazioni del governo parlano chiaro: la manovra recupera un miliardo di euro all’anno per l’autotrasporto per rimborsare l’accisa sui carburanti che sarà pagata da tutti gli automobilisti (compresi i pendolari che usano l’auto).
Per le infrastrutture, il Cipe ha previsto 4, 8 miliardi di investimenti pubblici in grandi opere, come la Tav sulla linea Milano-Genova e Brescia-Treviglio, il Mose, il Tunnel del Brennero, la statale Jonica e altri interventi Anas.
L’unica infrastruttura urbana inserita nell’elenco è la metropolitana di Napoli.
Intanto però in Campania (nella sola area di Napoli dove viaggiano 467 mila persone al giorno) vengono eliminate un terzo delle corse, chiuse 22 biglietterie, oltre all’ormai insostenibile affollamento delle banchine di attesa.
Così i pendolari tornano a usare l’auto. Zanchini parla di strabismo nel premiare i cantieri delle grandi opere a scapito della mobilità urbana e pendolare che accomuna.
“Di certo non c’è stata discontinuità tra i ministri Lunardi, Di Pietro, Matteoli e Passera. L’augurio è che, con una manovra che ci dovrebbe permettere di rimanere in Europa, impariamo dagli altri Paesi a investire nelle città e nella mobilità sostenibile, aiutando così anche le famiglie”.
Uniti nella beffa Il disservizio pubblico di Fs ha delle punte di eccellenza. In Puglia (110 mila pendolari al giorno) ad esempio sulla Bari-Barletta, alle stazioni di Giovinazzo e S. Spirito, i controllori devono vietare la salita a nuovi passeggeri.
Nel profondo nord, in Trentino, dal Brennero alla Valsugana è critica la situazione del materiale rotabile utilizzato, ormai vecchio e in pessime condizioni, tanto da portare in alcuni casi alla cancellazione delle corse stesse mentre in Piemonte spostarsi da Alba a Torino ha corse imposte e senza alternativa: partenza alle 6,55 e rientro da Torino alle 18,45. Marche e Emilia-Romagna sono accomunate dai tagli delle corse mentre la Sicilia, in attesa del fantomatico Ponte, può contare solo su 10 treni che la collegano al continente.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
LO STORICO ORGANO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA CESSERA’ LE PUBBLICAZIONI IL 31 DICEMBRE
La società editrice è giunta alla dolorosa determinazione di sospendere cautelativamente le pubblicazioni il 31 dicembre prossimo, onde evitare l’aggravarsi di uno squilibrio economico gestionale nel prossimo esercizio”.
Così Marco Gelmini, amministratore unico della società che edita Liberazione, ha fissato la data di una chiusura più volte annunciata.
Si convochi immediatamente un tavolo al sindacato per gestire la posizione di giornalisti e poligrafici, ha scritto in una lunga lettera inviata ieri a tutte le parti interessate: è ora di calcoli e carte da firmare per una minaccia diventata realtà .
Liberazione sarà in edicola ancora per due settimane, poi basta.
I numeri di Gelmini sono espliciti: “Relativamente all’esercizio 2010 — spiega la lettera — si registrerà un minore ricavo del 15 per cento a causa delle ridotte provvidenze dell’editoria (-511 mila euro).
Relativamente all’esercizio 2011, si può prevedere un minor ricavo da provvidenze per l’editoria nell’ordine del 70 per cento (superiore quindi ai 2 milioni di euro rispetto alle previsioni di bilancio della società editrice!)”.
Il direttore Dino Greco traduce: “Di fatto siamo al capolinea, hanno deciso di tenere l’acqua sporca e gettare il bambino. Con un piccolo aiuto alle testate che fanno davvero informazione si poteva portare avanti un patrimonio economico, prima ancora che libertario. Come mai questi tecnici non lo capiscono? E come mai la gente invoca la selezione selvaggia del mercato senza rendersi conto che sindacati fuori dalle fabbriche e giornali col bavaglio sono la ricetta già vista in Italia nel 1933?”.
Di certo la sinistra italiana rischia di sparire in blocco dalle edicole: Unità , Europa, Manifesto, Liberazione.
“In vent’anni non avevamo mai smesso di uscire, mai — spiega Carla Cotti del cdr —. Siamo molto preoccupati. Dopo il sacrificio degli ultimi anni ci bastava poco per ripartire. L’organico al lavoro è passato da 30 a 7 redattori, da 20 a 6 i poligrafici, tutto per mantenere una testata storica, e libera. Vogliamo lasciare l’Italia in mano solo ai grandi editori? Perchè non sostenere la piccola stampa con un fondo di solidarietà a carico di chi si spartisce la pubblicità ?”.
Liberazione, nata negli anni Settanta per gemmazione gratuita del settimanale edito dai Radicali, dal 1991 a oggi ha rappresentato la voce dei comunisti italiani.
Lanciata da Oliviero Diliberto, magnificata da Sandro Curzi nel suo momento di massima affermazione intorno agli anni Duemila, ha poi vissuto un declino costante. La gestione di Piero Sansonetti, cercando il rilancio e aumentando le spese, aveva lasciato un conto pesante.
Con Dino Greco, dopo tre anni di sacrifici, la scialuppa era tornata sulla linea di galleggiamento. Stavolta, però, sta mancando l’acqua, si va tutti in secca.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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