Dicembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
GLI EX AMICI DI LA RUSSA CONFLUITI IN FLI HANNO VINTO IL CONGRESSO PROV. CON APPENA 98 VOTI SU 1.000 ISCRITTI… PRESENTATO DAI DISSIDENTI UN RICORSO A ROMA PER ANNULLARE IL RISULTATO
Nessun iscritto dell’ultima ora e nessun blitz. Secondo Piero Garavaglia, la sua candidatura alla segreteria provinciale di Fli avrebbe avuto l’appoggio di gran parte degli iscritti al nuovo partito di Fini.
E lo dimostrerebbero i «soli 98 voti su mille iscritti» che hanno garantito l’elezione di Luca Ferrazzi.
All’indomani del primo congresso provinciale di Fli, che ha visto emergere con violenza le due anime interne al partito, Garavaglia vuole fare chiarezza su ciò che è avvenuto prima e dopo le votazioni.
«Sono tre le questioni su cui mi preme fare chiarezza – spiega – Intanto non ci sono stati blitz e candidature a sorpresa, come invece ha lasciato intendere il nuovo segretario Ferrazzi. Il gruppo che ha deciso di spingere la mia candidatura, in contrapposizione alla sua, è iscritto al partito da tempo. E Ferrazzi conosceva questa realtà , che ha ignorato per via di quell’atteggiamento monopolistico padronale del partito che noi contestiamo».
Secondo Garavaglia lo stesso Ferrazzi avrebbe proposto un accordo alla sua corrente, per arrivare al congresso con una posizione unitaria.
«Accordo che prevedeva un riparto di incarichi che noi abbiamo rifiutato. Le proposte spartitorie non ci piacciono perchè non rientrano nella logica di Fli – continua – Rappresentano al contrario quella carenza strutturale e politica del partito, che noi contestiamo».
In particolare si contesta quella logica che appartiene agli ex politici di An, «che vogliono monopolizzare il nuovo partito lasciandolo in una situazione asfittica che non lo farò mai crescere».
Lo dimostrerebbero i pochi voti con cui Ferrazzi è stato rieletto segretario provinciale. L’elenco degli iscritti a Fli, infatti, contava un migliaio di persone.
Un numero in netto contrasto con quello registrato alle votazioni e con quello dei partecipanti all’assise di sabato (poco più di centinaio i presenti all’ex cinema Rivoli).
«Il partito a livello regionale e nazionale appoggia e incentiva strutture come il circolo a cui appartengo, proprio per far crescere il dibattito nel partito. L’atteggiamento dimostrato da Ferrazzi e dai suoi sostenitori è stato al contrario di chiusura nei confronti di chi la pensa in modo differente. Le dichiarazioni rese a fine congresso sono state una boutade che fa torto al partito e al dibattito interno, fatte per allontanare le contestazione che si concretizzano nel risultato congressuale. E il partito farà giustizia di questa situazione».
Sulle elezioni del congresso, infatti, pende un ricorso che potrebbe invalidarne l’esito. A contestare le votazioni anche il gruppo che fa capo a Laura Caruso.
(da “La Provincia di Varese”)
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Dicembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
STUDIO DELLA CGIA DI MESTRE: INCLUDENDO LE MISURE PRESE DAL GOVERNO BERLUSCONI L’ESBORSO E’ DI 6.402 EURO IN QUATTRO ANNI
Avevano detto che la medicina sarebbe stata amara.
Adesso ne conosciamo anche il prezzo: 635 euro a famiglia.
«La manovra “salva-Italia” peserà sulle famiglie italiane con un importo medio pari a 635 euro.
Se teniamo conto anche delle manovre estive elaborate dal precedente governo Berlusconi, l’importo complessivo che graverà sulle famiglie italiane, raggiungerà , nel quadriennio 2011-2014, i 6.400 euro» ha detto il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, dopo aver stimato, assieme al suo Ufficio studi, gli effetti economici che la manovra Monti – e quelle d’estate redatte dal governo Berlusconi – avranno sui bilanci delle famiglie italiane.
Per quanto concerne la manovra «Salva-Italia», sottolineano dalla Cgia, l’importo è pari a 30 miliardi di euro lordi.
Se a questa cifra si sottraggono i 10 miliardi che saranno destinati allo sviluppo e si rimuovono anche i 4 miliardi che andranno ad evitare il taglio delle agevolazioni nel 2012, l’effetto complessivo della manovra sulle famiglie sarà pari a 16 miliardi di euro.
Pertanto, questa entità inciderà mediamente su ciascuno dei 25 milioni di nuclei familiari italiani per un importo pari a 635 euro nel triennio 2012-2014.
Se a questa misura si aggiungono gli effetti delle manovre d’estate stilate dal Governo Berlusconi, il carico complessivo sulle famiglie salirà a 6.402 euro.
«Complessivamente – conclude Bortolussi – queste 3 manovre avranno un effetto complessivo nel quadriennio 2011-2014 pari a 161,1 miliardi di euro. Una vera e propria stangata che, probabilmente, riuscirà a far quadrare i conti ma rischia di mettere in ginocchio l’economia del Paese».
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
SI APRE UNA SETTIMANA DECISIVA PER IL FUTURO DELL’EUROPA: MONTI DEVE SANARE I GUAI DI DECENNI DI CATTIVA POLITICA, MA IL CETO MEDIO FINISCE PER ESSERE SEMPRE CONSIDERATO COME UN BANCOMAT
Nella conferenza stampa che ieri sera ha fatto seguito al Consiglio dei ministri il nuovo governo presieduto dal professor Mario Monti ha dato una confortante prova di stile.
Ha mostrato agli italiani che hanno potuto seguirla in tv o via Internet competenza e senso di responsabilità .
E l’annuncio che il primo ministro rinuncerà ai compensi che gli spettano è un segno di compartecipazione ai sacrifici richiesti che va sicuramente apprezzato.
Può servire a ricreare quel feeling tra il Palazzo e il Paese reale di cui avremo sicuramente bisogno nei giorni e nelle prove difficili che ci attendono.
Del resto la settimana che si apre oggi si presenta decisiva per il futuro dell’Europa e il governo di Roma persegue l’obiettivo di presentare l’Italia dal lato delle soluzioni e non da quello dei problemi.
Siccome lo stile è importante ma i contenuti dell’azione di governo di più, è del merito del decreto approvato ieri che bisogna discutere senza timore di sottolinearne alcune evidenti contraddizioni.
Il completamento della riforma previdenziale e la riduzione dei costi delle Province, solo per limitarsi a due esempi, sono sicuramente provvedimenti che vanno nella direzione giusta e che rispondono a esigenze complementari.
Mettere in sicurezza il nostro sistema pensionistico ma nel contempo dimostrare la volontà di ridurre i costi della politica, di cominciare a tagliare quell’eccesso di intermediazione che prevede tra il cittadino e lo Stato ben tre livelli di rappresentanza politica (Comuni, Regioni e per l’appunto le Province).
Il cuore della manovra però – purtroppo – non sta tanto in questi pur importanti provvedimenti, quanto in un’amara medicina: l’aumento della tassazione che colpisce duramente la casa e riesuma qua e là un vecchio armamentario di imposte e balzelli. Fortunatamente alla fine il Consiglio dei ministri ha scelto di soprassedere all’idea di dar corso a un aggravio delle aliquote Irpef che avrebbe sbilanciato ancor di più il decreto dal lato dell’imposizione fiscale.
Certo è che rimarrà nel ceto medio italiano la sensazione di essere considerato dai governi di turno – politici o tecnici che siano – come una sorta di bancomat, un portatore sano di liquidità che può essere drenata con facilità .
Nei tempi ristretti che ha avuto a disposizione il governo dei tecnici non ha potuto produrre riforme incisive e strutturali per ridurre il dualismo del mercato del lavoro e rilanciare davvero la crescita.
Alcune prime norme sono state previste, altre sono state annunciate e scadenzate per un prossimo e non lontano «secondo tempo».
Se le aspettano le organizzazioni internazionali che avevano messo all’indice il governo Berlusconi proprio per questa carenza di iniziativa e se le aspettano le parti sociali.
Imprenditori e sindacati sanno che almeno sul breve l’introduzione di nuove imposte, necessaria come tampone, non potrà che acuire i segni della recessione e aprire un pericoloso gap temporale tra i sacrifici richiesti agli italiani e la tenuta dell’economia reale.
Dario Di Vico
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
LA MANOVRA COLPIRA’ MILIONI DI ITALIANI: MENO MACELLERIA SOCIALE DI QUELLA TEMUTA, MA DAL GOVERNO DEI PROFESSORI CI SI ATTENDEVA QUALCOSA DI PIU’
Le lacrime di Elisa Fornero sono una buona metafora di questo “decreto salva-Italia”. Un’operazione chirurgica di tasse e di tagli senza anestesia, sul corpo vivo della società italiana. Farà piangere alcuni milioni di persone, anche se farà un po’ meno “macelleria sociale” di quanto si temeva. Diciamo la verità . Dal governo dei Professori ci saremmo aspettati qualcosa di più.
In termini di qualità e di equità .
Non serviva un autorevolissimo tecnico prestato alla politica come Monti, che con i suoi atti ha combattuto in Europa i grandi trust del pianeta e che con i suoi articoli si batte da anni per la modernizzazione del Paese, per varare una manovra che ha comunque un vago sapore di stangata vecchio stile.
Non serviva una squadra d’èlite per mettere insieme un pacchetto di misure che comprendono la solita infornata di imposte per i contribuenti e la solita carestia di risorse per gli enti locali.
Su questa “cura” grava in parte la stessa ipoteca che aveva pesato sulle ultime due manovre del governo Berlusconi-Tremonti, che tra luglio e agosto avevano razzolato la quasi totalità del gettito sulle tasse, e solo per una quota marginale sulle spese (di cui l’80% sulle riduzioni per ministeri, enti locali e sanità ).
Ora, il pacchetto di misure varato dal Consiglio dei ministri ripete parzialmente lo schema: su un totale di 30 miliardi “lordi”, 17 sono aumenti d’imposta, 13 sono riduzioni della spesa.
Ancora una volta, la necessità di fare cassa fa premio sull’opportunità di ripensare più a fondo la natura e la struttura del bilancio pubblico.
È vero che urgeva ed urge una terapia d’urto, e che come dice il premier “il debito pubblico non è colpa dell’Europa, ma è colpa di noi italiani”.
Ma se è vero quello che la Banca d’Italia ripete da tempo, e cioè che nel prossimo biennio la pressione fiscale viaggia verso il record del 43,7% del Pil e la spesa primaria al netto degli interessi corre verso il 43,3%, allora la manovra resta ancora troppo squilibrata dal lato delle entrate.
Sul fronte fiscale, il “saio” cucito addosso ai contribuenti è pesante.
Monti (come del resto Tremonti) aveva promesso il passaggio della tassazione dalle persone alle cose.
Nella sua manovra di questa traslazione c’è una traccia ancora insufficiente.
Le “cose” vengono ri-tassate. La casa subisce un duplice, gravosissimo colpo: l’introduzione dell’Imu e l’aggiornamento degli estimi catastali.
I beni di consumo subiscono un’altra frustata: l’aliquota Iva aumenterà di altri 2 punti nel secondo semestre 2012, dopo il rialzo agostano già decretato dal governo forzaleghista, con un’alea difficile da calcolare sul possibile “propellente” inflazionistico che può generare. In compenso, con una scelta saggia propiziata anche dalla moral suasion dei partiti della “Grosse Koalition” all’italiana, le “persone” vengono tassate un po’ meno del previsto.
Il cospicuo ritocco dell’ultima aliquota Irpef, dal 43 al 46%, è stato opportunamente rimosso dal menù.
Si è risparmiato così l’ennesimo tributo sul ceto medio, e si è archiviata l’idea, non del tutto realistica, che i “ricchi” in Italia siano quelli che dichiarano più di 75 mila euro l’anno.
In realtà questo è anche il bacino sociale del lavoro dipendente che paga le tasse fino all’ultimo centesimo, mentre il lavoro autonomo continua a ripararsi dietro dichiarazioni dei redditi scandalose, che non superano i 25-30 mila euro l’anno.
In compenso, salirà l’addizionale Irpef delle regioni.
La manovra di Monti ha recuperato in extremis un barlume di equità .
Con la pistola del Cavaliere alla tempia, il premier ha dovuto rinunciare a spostare drasticamente il prelievo, dal reddito al patrimonio.
È deludente che un governo tecnico non sia stato in grado di varare un’imposta sulle grandi fortune sul modello francese, e non abbia nemmeno tentato di riequilibrare l’imposizione sulle rendite finanziarie (ferma al 20%) rispetto a quella sul lavoro (ormai a quota 36%).
Ed è deludente che abbia rinunciato a tentare un affondo più convinto contro gli “invisibili” del sistema tributario, che ogni anno nascondono al Fisco 120 miliardi di euro: si poteva osare di più, e non limitarsi a reintrodurre la tracciabilità del contante solo dai 1.000 euro, dopo aver annunciato alle Camere l’intenzione di “chiedere di più a chi ha di più” e la volontà di “colpire l’evasione fiscale” per impiegare il maggior gettito per abbattere le imposte sui lavoratori e sulle imprese.
Ma in compenso, grazie alle pressioni del Pd, uno sforzo di giustizia sociale è stato fatto grazie alla tassa una tantum dell’1,5% sui capitali rientrati con l’ultimo scudo fiscale di Tremonti.
E sulla stessa linea si iscrivono l’estensione dell’imposta di bollo su diverse operazioni finanziarie (e non più solo sui conti correnti bancari), la tassa di stazionamento aggravata sugli yacht e i rincari del bollo sulle auto di lusso.
Misure che incidono effettivamente sulle categorie più benestanti, risparmiate in tutti questi anni dai sacrifici.
Tuttavia, anche in questo campo si poteva fare di più e di meglio, per rendere socialmente più tollerabile la distribuzione del prelievo.
Nel “decreto salva Italia” c’è comunque un elemento di qualità .
Sul fronte della spesa, l’intervento sulle pensioni è serio e strutturale.
È giusto correggere le iniquità del sistema dell’anzianità , anomalia tutta italiana nella quale si frantuma una parte del patto tra le generazioni.
È giusto superare la disparità del metodo di calcolo (retributivo o contributivo) a seconda che si sia stati assunti prima o dopo il 1978.
È giusto equilibrare le aliquote contributive delle categorie autonome che in questi decenni sono state abbondantemente al di sotto della media.
È anche giusto, benchè doloroso, accelerare l’innalzamento ed equiparare l’età di vecchiaia per uomini e donne, anche se non si può non accompagnare un vero e proprio “scalone” sull’accesso alla pensione femminile con un sistema di Welfare finalmente inclusivo per chi deve coniugare lavoro e cura della famiglia e dei figli.
Ma il blocco della rivalutazione degli assegni, sia pure salvando quelli al minimo e fino al limite dei 940 euro al mese, è a tutti gli effetti una “tassa sul pensionato”, che oltre tutto non risparmia i trattamenti compresi tra i 1.000 e i 2.000 euro al mese.
Il 48% del totale, e in questa fascia sociale non si tratta certo di “pensioni d’oro”.
Per il resto, sui tagli di spesa non c’è molto altro di veramente “qualificante”.
L’abbattimento dei costi della politica è ancora allo stadio iniziale, a dispetto del gesto di buona volontà del premier che rinuncia al suo stipendio. Il colpo di scure sulle Autority e sulle Province, oppure la soppressione dell’Enit o dell’Agenzia per il nucleare, aiutano ma non risolvono.
Volendo amputare sul serio la spesa improduttiva e gli enti inutili si sarebbe potuto e si potrebbe affondare la lama molto più in profondità .
La stessa cosa si può dire per il pacchetto di misure sulla crescita presentate dal ministro Passera.
Le liberalizzazioni si limitano ai farmaci di fascia C nelle parafarmacie, e con una serie dettagliata di vincoli. Il credito d’imposta per la ricerca è troppo basso.
La deduzione Irap sui costi del lavoro, a vantaggio delle imprese, è solo un primo passo, ancora troppo timido.
Monti, in queste settimane, aveva costruito la sua manovra su una “triade” inscindibile: rigore, equità , crescita.
Dei tre assi, per ora ne ha calato davvero uno solo, cioè il primo. Era necessario.
Ma se il premier non si affretta a giocare fino in fondo anche gli altri due, la sua partita sarà difficilissima.
In Parlamento, e soprattutto nel Paese.
Massimo Giannnini
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
LATITANZA E LIBERTA’: L’EX SOCIO DI NUCERA E SUO AVVOCATO STORICO, ENRICO NAN, COORDINATORE REGIONALE DI FLI, ASSICURAVA CHE L’IMPERO DI NUCERA ERA SOLIDO…INFATTI E’ CROLLATO MISERAMENTE
Enrico Nan, avvocato storico (e già socio) di Andrea Nucera, rassicurava che l’impero Nucera era solido, anzi solidissimo.
Ormai ci credeva solo lui, tanto che lo stesso Andrea Nucera si era già ritirato ad Abu Dhabi (dopo Dubai) perchè sapeva bene che la barzelletta raccontata da Nan non lo avrebbe salvato, questa volta.
Ed infatti, passo dopo passo, con rapida sequenza, l’impero Nucera che dai tempi del “teardismo” (con i Giovanni e Francesco Nucera) la faceva da padrone nel savonese, e che sembrava intoccabile, è crollato!
Adesso, dopo la contestazione della bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta di capitali, con sequestro di 125 milioni di beni, sono scattate le manette.
Andrea Damele, braccio destro del Nucera nelle sue società (ed anche nel Progetto Ponente con Arte) è stato arrestato, mentre Andrea Nucera è formalmente latitante.
Entrambi sono difesi dall’avv. Enrico Nan che il Damele lo aveva anche candidato alle ultime elezioni amministrative per il Comune di Savona per “Futuro e Libertà ‘”… e che era anche nella società Thea Srl dove tra i soci vi era – sino ai primi scricchiolii dell'”impero” – anche la società del Nan, ovvero “La Famiglia srl”.
Se per Nucera la latitanza è iniziata (ma lo si può sempre andare a prendere!) per “Futuro e Libertà ” in Liguria non è certo un bel momento.
Gianfranco Fini aveva appena rinnovato la sua fiducia in Nan (era sabato 26 novembre) mentre mandava a quel paese i giovani che con la loro protesta contro i rapporti di Nan con i Mamone e Nucera, hanno contribuito ad evitare, quantomeno, che la sede regionale ligure di “Futuro e Libertà ” fosse quella data in uso gratuito da un latitante, ex socio e difeso proprio dal Coordinatore Regionale di Fli, ovvero Nan.
Ufficio di Presidenza
Casa della Legalità
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Dicembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
E’ STATO NECESSARIO PERSINO L’INTERVENTO DELLA DIGOS PER PLACARE GLI ANIMI… SU 1.000 PRESUNTI ISCRITTI NON SI PRESENTA NEANCHE IL 33%, E’ STATO INUTILE MOBILITARE I VECCHIETTI DELLE CASE DI RIPOSO… RICORSO DI GARAVAGLIA CONTRO FERRAZZI: LA DECISIONE AVVERRA’ A ROMA
Nella giornata di ieri di buon mattino ho deciso di recarmi come semplice osservatore a Varese, dove si teneva il Congresso Provinciale di FLI.
Nella notte, qualcuno ha imbrattato muri con scritte del tono di “Fini Boia”, si suppone siano stati militanti di Forza Nuova ma, visto che non c’erano scritti nomi e cognomi e visto lo svolgimento della giornata congressuale, potrebbe essere stato chiunque.
Già alle 9 del mattino, si poteva tagliare la tensione con una motosega, era così tanta che l’ha percepita anche il radar di terra dell’aeroporto della Malpensa.
Le persone arrivano alla spicciolata, dopo aver fatto una rapida conta, dei posti a sedere, circa centoventi, le poltrone libere sono poco più di una sessantina.
Alcuni giovani di Generazione Futuro, sono in piedi sul lato destro della Sala Montanari, quindi, presenti in sala non più di ottanta persone in riciclo continuo, tra quelli dentro e quelli fuori a fumare (come dicevo la tensione, era tanta).
Diamo quindi come numero massimo di partecipanti non più di novanta persone (i numeri della votazione diranno di più ma in seguito capirete il perchè).
Alcuni tesserati chiedono che nelle commissioni siano inseriti altri nomi di persone che fanno parte del gruppo che appoggia Garavaglia e il Presidente On. Giorgio Conte, acconsente perchè questo fa parte di un “sano confronto politico”.
La tensione però comincia a diventare sempre più dura (a questo punto ci voleva una circolare con lama al tungsteno per tagliarla).
Strano e oserei inopportuno, sentire voci di richieste di ritiro di Garavaglia.
Ma ancor più strano e ancor più inopportuno, sentir minacciare che “… se mi salta il congresso, faccio saltare il congresso di Milano…”.
Poi un nugolo di persone che in mezzo al piazzale controllano liste di nomi, mentre all’interno, vanno al termine gli interventi degli iscritti, fino al momento in cui il Presidente del Congresso On. Giorgio Conte dà il via alle votazioni.
La Commissione di controllo nel frattempo non ha ancora terminato il suo lavoro di controllo degli aventi diritto al voto.
Nel mentre che le votazioni vanno avanti, nell’atrio della sala Montanari si scatena il putiferio incivile creato da chi non ha alcuna intenzione di mollare l’osso e di perdere l’incarico per qualsivoglia ragione.
Volano insulti, si arriva quasi alle mani, in ricordo di una vecchia scuola politica che di buono non ha portato nulla, anzi.
L’intervento di alcuni agenti della Digos presenti in sala, in borghese e fuori servizio, calmano gli animi aggressivi.
Nel frattempo il candidato Garavaglia, ritira i suoi ormai pronti al voto, circa una novantina di persone, senza però ritirare la candidatura e annuncia il ricorso per gravi irregolarità , non accettando alcun compromesso con l’avversario Ferrazzi.
Pertanto, nonostante Ferrazzi abbia scomodato uno stock di vecchietti dalle loro case di riposo per avere più voti (veramente triste vedere tutto ciò… fortuna che FLI dovrebbe essere un partito giovane come “urlato” da Politi in corso d’intervento tutto contro Garavaglia), nonostante neanche Ferrazzi abbia votato per se stesso, ma soprattutto per la completa mancanza di quel 33% degli iscritti necessario ad essere eletto (Varese conta oltre 1000 iscritti), il “sano confronto politico” tanto invocato dall’On. Giorgio Conte non c’è stato e per Varese, saranno le Commissioni Romane a decidere la validità di questo Congresso e il relativo Coordinatore Provinciale.
Pensavo ormai che di Varese ne avrei sentito parlare più avanti, ma al mio ritorno a Milano, mi ritrovo sul profilo di Facebook un articolo pubblicato su Varese News, che non corrisponde affatto a quello che ho visto e sentito per tutta la giornata se non parzialmente.
Mi lancio quindi alla ricerca di altri articoli in merito, ne trovo tre, il più sincero è della Provincia di Varese.
A me cominciano a sorgere una serie di atroci dubbi… qualcuno sta giocando con le nostre idee e la nostra necessità di una politica pulita, qualcuno sta scambiando favori per salvarsi culo e carriera…
Quindi, il passato non ha insegnato nulla a questi signori che, rimangono ben radicati in un passato d’intrallazzo che vogliono traghettare nel nostro futuro.
Ero un semplice osservatore, come tale rimango e, tale rimarrò.
DA “LA PROVINCIA DI VARESE”: CONGRESSO-RISSA DEL FLI: URLA, SPINTONI, INSULTI ….FLI ELEGGE FERRAZZI MA E’ UN CAOS
Luca Ferrazzi nuovo coordinatrice provinciale di Fli.
Ma l’elezione ieri è arrivata al termine di un congresso, all’ex Rivoli, a dir poco caotico. Urla, insulti, qualche spintone e l’ordine riportato dalla Digos.
Il clou della tensione è stato in ogni caso raggiunto quando ha preso forma un vero e proprio blitz per il controllo del partito in alternativa a Ferrazzi e al gruppo dirigente uscente.
Un blitz con 130 iscritti, che in gran parte si sono iscritti al partito on line nella notte.
Tra loro anche pure un candidato alla segreteria, il bustocco Piero Garavaglia, avvocato e docente all’università di Torino, senza alcuna esperienza politica alle spalle, ma in affinità col progetto di Fini.
Quello cioè di costruire un partito che prescinda dal gruppo degli ex An.
Il gruppo di Garavaglia ha trovato il sostegno della corrente guidata da Laura Caruso, presidente dei circoli Fli, che per prima durante gli interventi aveva chiesto il commissariamento del partito a Varese.
«A cui contesto la mancanza di chiarezza – ha detto la Caruso -, e ho dubbi sull’elenco degli iscritti anche a causa della possibilità di aderire on line. Comunque resto nel partito. Proseguirò il mio lavoro, anche grazie al sostegno da Roma degli esponenti dell’associazione Arcipelago Nazionale».
Il culmine della tensione è stato raggiunto al momento delle elezioni.
Alcuni militanti sono arrivati addirittura alle mani e c’è voluto l’intervento di due agenti della Digos per riportare i congressisti alla calma.
Dopo mille polemiche i frondisti di Garavaglia hanno deciso di non partecipare al voto annunciando però un ricorso agli organismi di garanzia del partito.
Scontato, quindi, l’esito del voto a favore di Ferrazzi (98% dei consensi). Ma restano tante polemiche e il giallo delle iscrizioni in massa poche ore prima del congresso.
«Ci sono state delle stranezze, su cui valuterà la commissione nazionale – ha detto il parlamentare Giorgio Conte, chiamato a presiedere l’assemblea – ma non c’è stata alcuna irregolarità . Auspico che Ferrazzi sappia lavorare per sanare le divisioni che si sono palesate».
Valentina Fumagalli
(da “La Provincia di Varese”)
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Dicembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
ABBANDONARE L’EURO COSA COSTEREBBE ALLA NOSTRA ECONOMIA E QUANTO INCIDEREBBE NELLA NOSTRA VITA QUOTIDIANA?
Molti sono convinti che dovremo prima o poi abbandonare l’euro.
Ma quali sono i vantaggi di cui abbiamo goduto e a cui dovremmo rinunciare?
Chi dice che con la vecchia lira si stava meglio, non sa (o fa finta di non sapere) che l’euro ha portato grandi vantaggi all’economia italiana.
In primo luogo, ci ha garantito quasi 15 anni di bassa inflazione.
In altre parole, il potere d’acquisto dei salari e dei risparmi degli italiani ha goduto di condizioni che non avevamo più visto dai tempi dell’ormai mitico miracolo economico degli anni Sessanta.
Senza l’euro avremmo subito in modo ben più grave i rialzi dei prezzi (in dollari) delle merci a cominciare da quello del petrolio.
Se soffrite ogni volta che fate il pieno, pensate che con la vecchia lira, che non si sarebbe certo rafforzata rispetto al dollaro, sarebbe stato molto peggio.
L’euro ha portato vantaggi alle imprese italiane?
Con una lira debole al posto di un euro forte, le imprese italiane avrebbero probabilmente esportato di più.
Il condizionale è d’obbligo perchè oggi non ci si può illudere di competere con i Paesi asiatici solo grazie a prezzi bassi.
La qualità e la tecnologia sono fattori ben più importanti.
E la perdita di competitività delle imprese italiane non dipende dai salari (che sono cresciuti anche meno degli altri Paesi), ma dalla bassa produttività che dipende anche da insufficienti investimenti in ricerca e sviluppo, cioè problemi che l’industria italiana aveva anche prima di entrare nell’euro.
È poi certo che le imprese hanno pagato tassi di interesse molto bassi sui loro debiti. Secondo i dati Mediobanca riferiti a tre quarti del sistema produttivo italiano, nel 2010 gli oneri finanziari erano il 3 per cento del fatturato, contro il 5,5 del 1991.
Se si considera che oggi l’utile netto si colloca al 4,8 per cento del fatturato, è facile capire che con l’incidenza di allora degli oneri finanziari, i profitti sarebbero praticamente dimezzati.
…e la Germania?
Anche la Germania ha avuto grandi vantaggi, in primo luogo perchè ha potuto esportare più facilmente i suoi prodotti all’interno di Eurolandia, che rappresenta la stragrande maggioranza del suo commercio estero.
Non solo: a fronte dei suoi surplus commerciali ha acquisito crediti nei confronti dei Paesi che importavano.
È sbagliato quindi dividere l’Europa in cicale spendaccione e formiche laboriose: le prime compravano anche Mercedes e Volkswagen e si indebitavano con le banche tedesche.
Era una situazione squilibrata d’accordo, ma finora le banche e le imprese delle formiche hanno prosperato grazie alle cicale che hanno comprato i prodotti e pagato gli interessi sui debiti accumulati per comprarli.
Cosa succederebbe se uno o più Paesi decidessero di abbandonare l’euro?
La situazione, già molto grave, precipiterebbe.
Nell’imminenza del provvedimento, le banche di quei Paesi sarebbero soggette a deflussi di fondi difficilmente sopportabili e le loro passività dovrebbero essere congelate.
Per evitare fughe di capitali che metterebbero definitivamente in ginocchio l’economia, bisognerebbe introdurre controlli sui movimenti dei capitali e forse anche restrizioni all’acquisto di valuta per motivi turistici.
In breve, si dovrebbe vivere per un po’ di tempo in una condizione da stato di guerra analogo a quello sperimentato dall’Argentina quando abbandonò l’ancoraggio al dollaro della sua moneta.
In quel caso, fu necessario congelare di fatto i depositi bancari per 12 mesi ed emettere dei buoni statali chiamati (con sublime ironia involontaria) patacones.
Quando la moneta muore (come dice il titolo di un bellissimo libro sulla fine della Repubblica di Weimar) il problema tecnico è difficilissimo da gestire, quelli che pagano sono le categorie meno protette e ogni scenario politico diventa possibile.
Senza il disastro inflazionistico di allora, Hitler non sarebbe mai arrivato (con elezioni) al Reichstag.
Ma perchè lo scenario di uscita dall’euro deve essere così catastrofico?
Il problema sono i debiti in euro accumulati dai Paesi che intendessero uscire dall’euro.
Per evitare di dover rimborsare con una moneta svalutata, dovrebbero anche dichiarare default, cioè proporre un rimborso parziale.
A quel punto si innesca una reazione a catena come in una centrale nucleare impazzita.
Lo ha affermato a chiare lettere proprio nei giorni scorsi un organismo autorevole e indipendente come l’Ocse, che ha testualmente previsto: ‘Forti cadute del Pil dei Paesi Ocse, ma soprattutto nell’area dell’euro’, che potrebbe essere ancora più forte se uno o più Paesi decidessero di abbandonare l’euro, nell’illusione di ottenere vantaggi di breve periodo.
In quel caso avremmo una svalutazione delle monete nazionali che implica “enormi perdite per i possessori di titoli, a cominciare dalle banche che diventerebbero insolventi”. Un quadro di ‘massiccia distruzione di ricchezza, fallimenti e crollo della fiducia nell’integrazione europea porterebbero a una profonda depressione’ non solo per i Paesi che escono, ma anche per quelli che rimangono.
E ovviamente, sarebbero le categorie più deboli, a cominciare dai lavoratori e dai risparmiatori quelli che non avrebbero alcuna difesa.
In altre parole, la svalutazione sarebbe uno choc inflazionistico micidiale per i lavoratori e per i detentori di obbligazioni, pubbliche o private.
Come è accaduto in Italia negli anni Settanta, quando peraltro la copertura della scala mobile era molto elevata e quindi il potere d’acquisto dei salari era relativamente protetto.
Oggi si tratterebbe di un salto nel vuoto senza paracadute.
Marco Onado
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 5th, 2011 Riccardo Fucile
I CAPITALI RIENTRATI CON LO SCUDO FISCALE TASSATI DELL’1,5%, SI ALZA L’ETA’ PENSIONABILE, SI PAGHERA’ LO 0,4% SULLA PRIMA CASA, SALTANO MOLTE POLTRONE NELLE PROVINCE…MONTI RINUNCIA ALLO STIPENDIO DI PRIMO MINISTRO E DA’ L’ESEMPIO…SI POTEVA FARE DI PIU’ MA IL RISCHIO ERA CHE LO STATO NON RIUSCISSE A PAGARE PIU’ GLI STIPENDI….I PARTITI CHE HANNO SFASCIATO IL PAESE (COME LA LEGA) ORA FANNO I CRITICI
C’è qualcosa di simile ad una patrimoniale. Ma non è come ci si aspettava. Ritorna l’Ici (che colpisce tutti, però), i bolli sui conti correnti e le rendite finanziarie.
E anche un superbollo per le auto di lusso, la tassa sulle barche sopra i 10 metri e sul possesso di aerei e elicotteri.
Poco, però, per incidere davvero sul privilegio.
Per il resto, si picchia durissimo su pensioni, nuova Ici e Iva. Aumenteranno persino le accise sulla benzina.
Qualche passaggio forte sulla lotta all’evasione così come detassazioni a lavoro e imprese; per il resto, però, la sostanza resta quella di tagli e tasse. Anche se Monti ne ha parlato come di qualcosa di “rivoluzionario”, unica nel suo genere almeno fino ad oggi.
E ha respinto ogni accusa. In modo credibile, ma quanto vero lo si scoprirà oggi, quando il decreto sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
La manovra “salva Italia” — come è stata ufficialmente battezzata — firmata Mario Monti, contenuta in un unico decreto, e che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe far restare il Paese saldamente ancorato all’Europa, non delude le aspettative sul rigore, mostra timidi segnali di sviluppo (sgravi Irap alle imprese sul costo del lavoro), e tocca anche un po’ la Casta, ma senza fare troppo male; ridisegna l’organizzazione delle Province, tagliando a 10 il numero dei consiglieri e rendendo gratuito “ed onorifico” il ruolo, rende più trasparenti le dichiarazioni dei redditi dei parlamentari e del governo ma, soprattutto, taglia gli stipendi dell’esecutivo.
Mario Monti ha rinunciato (ripetendola due volte a causa di una domanda fuori luogo dell’ex parlamentare e giornalista Gustavo Selva) al suo stipendio di presidente del Consiglio e di ministro dell’Economia, “in linea con i sacrifici chiesti agli italiani”.
Su Parlamento, benefit e privilegi parlamentari, però, nessun cenno.
Solo una riduzione dei componenti delle varie Authority operanti in Italia, dalla Consob al Garante per la concorrenza e tutte le altre; una razionalizzazione, insomma, più che un vero taglio.
Sarà soppressa anche dell’Agenzia per il nucleare.
Una mazzata, tuttavia, è arrivata sui capitali rientrati in Italia attraverso lo scudo fiscale.
Monti li tasserà dell’1,5%.
Tremonti non ci avrebbe mai neppure pensato. “La lotta all’evasione è una priorità del governo — ha detto Monti — e dunque il primo passo è non ricorrere più a condoni che riducono la base imponibilie futura e danno un gettito inferiore al dovuto”.
L’obiettivo del governo è “evitare la possibilità stessa dell’evasione” e dunque “è implicita la scelta di non procedere a condoni”.
Al contrario, Monti ha annunciato “meccanismi sistematici che allargano la base imponibile in settori individuali, nelle imprese artigiane, per i quali verrà creata una fiscalità non punitiva opzionale”.
Chi si aspettava che dopo i colloqui avuti soprattutto con i sindacati, i “bocconiani” al governo rivedessero e limassero almeno alcuni passaggi sul regime pensionistico e sull’aumento dell’Iva, soprattutto nell’aliquota agevolata (quella che comprende quasi tutti i prosotti alimentari), oppure sulla deindicizzzione delle pensioni, come chiesto a gran voce dalla Camusso per prima, ma più o meno da tutte le sigle sindacali, si è sbagliato di grosso.
E’ solo che questa misura è costata molto, anche a livello personale e psicologico, alla ministra del Lavoro, Elsa Fornero.
Che è scoppiata in un pianto dirotto (leggi l’articolo) a far capire quanto possa essere dura una misura come questa su chi percepisce una pensione di poco più di mille euro.
Le lacrime e il sangue, insomma, ci sono tutte.
E l’equità , per quanto elemento dirimente e imprescindibile dell’intero decreto, a quanto sottolineato più volte da Monti, ce n’è di meno, molto meno.
Per Monti, tuttavia, questa è la migliore possibile.
Ma non tutti i suoi ministri la pensavano, evidentemente, allo stesso modo se durante il lungo consiglio dei ministri (durato tre ore) per il via libera alle misure, si sono registrati parecchi malumori; la Fornero, insomma, non ne voleva sapere di toccare l’indicizzazione delle pensioni, e altri ministri erano con lei, ma Monti è stato inamovibile.
Alla fine il via libera.
Con Monti che ha avuto la meglio; le misure erano quelle necessarie, nessun ritocco.
Lo ha “twittato” persino il ministro Passera: “Capisco il disagio dei cittadini, ma la catastrofe incombe e va evitata, anche se costa”.
Ma, intanto, Passera ha annunciato “il rafforzamento forte del Fondo di garanzia per assicurare almeno 20 miliardi di credito alle piccole e medie imprese”.
“Abbiamo rimesso in moto l’Ice, lo abbiamo ricreato”, ha detto il ministro dello Sviluppo economico.
E, inoltre, “la nostra fiscalità finora oggi quasi quasi penalizzava aziende che avevano molto costo di lavoro — ha spiegato ancora Passera — per questo abbiamo deciso di defiscalizzare l’impatto dell’Irap sui risultati dell’ azienda e questo è una cosa molto concreta”.
Così come il forte rafforzamento del Fondo di Garanzia per le imprese, una misura che ha strappato l’applauso, nel pomeriggio, da parte di Confindustria e della Marcegaglia che, non a caso, aveva sottolineato la sua “soddisfazione”.
Sullo specifico delle misure, spiegate da Grilli e Giarda, non sono previsti interventi sull’Irpef, come invece anticipato, anche se le Regioni potranno scegliere se aumentare l’addizionale.
I nodi veri della manovra, comunque, ruotano su due punti: le pensioni e il ritorno dell’Ici.
La prima: scattera’ dal primo gennaio 2012 per le pensioni il metodo di calcolo contributivo pro-rata per le lavoratrici.
Si alza l’età pensionabile, con l’obiettivo di arrivare dal 2022 a un’età non inferiore a 67 anni.
Fermo restando il diritto di andare in pensione con le regole ora vigenti per i lavoratori che al 31 dicembre del 2011 abbiano maturato i requisiti, dal prossimo anno l’età pensionabile sarà innalzata.
L’accesso alla pensione di vecchiaia sale da 60 a 63 anni.
Il requisito anagrafico è ulteriormente incrementato di un ulteriore anno dal 1° gennaio 2014, di un ulteriore anno a decorrere dal 1° gennaio 2016 e di un ulteriore anno a decorrere dal 1° gennaio 2018 fino ad arrivare a 66 anni.
Per le lavoratrici autonome, si passa da 60 a 63 anni e 6 mesi, requisito anagrafico ulteriormente incrementato di un ulteriore anno a decorrere dal 1° gennaio 2014, di un ulteriore anno a decorrere dal 1° gennaio 2016 e di un ulteriore anno a decorrere dal 1° gennaio 2018, fino a 66 anni e sei mesi.
Si alza anche l’età della pensione anticipata.
Dal primo gennaio, si potrà andare in pensione solo con 42 anni e 1 mese se si maturano i requisiti nel 2012.
Chi chiederà la pensione anticipata prima dei 63 anni avrà una decurtazione del 3 per cento per ogni anno che manca.
Dall’anno prossimo poi saranno abolite le cosiddette finestre mobili. In sostanza, nel 2022 ci vorranno 67 anni per andare in pensione.
La seconda: l’Ici (che si chiamerà Imu) sulla prima casa ci sarà già dal 2012, con una aliquota dello 0,4% e fino al 2014.
L’andamento a regime dell’imposta è fissato al 2015.
L’aliquota ordinaria dell’imposta, è pari allo 0,76% sulla rendita catastale, ma i comuni potranno modificare, in aumento o in diminuzione, l’aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali o fino a 0,2 punti per l’abitazione principale e per gli immobili locati.
L’aliquota è invece ridotta allo 0,4% per l’abitazione principale e per le relative pertinenze, oltre che per gli immobili locati.
Tra le misure varate questa sera anche l’obbligatorietà , per società e imprese, di dichiarare il pagamento del canone Rai, la soppressione di Enpals e Inpdap, enti previdenziali che confluiranno in una sorta di nascendo “super Inps”.
Quindi è stata stabilita la tracciabilità del contante sopra i mille euro.
E non bisogna dimenticare, poi, l’aumento del 2% delle aliquote Iva a partire dal secondo semestre 2012.
“Molte cose che non abbiamo fatto oggi — ha concluso Monti — siamo ben determinati ad andare oltre, soprattutto sul terreno del lavoro e del welfare”. “Naturalmente — ha poi ammesso all’ultimo tuffo — per quanto riguarda i costi della politica si poteva fare di più, vogliamo avviare un iter per fare in modo che non si finisca qui…”.
Si vedrà .
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: economia, governo, Monti | Commenta »