Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
IL GOVERNO PUO’ ANCORA INDIRE UN’ASTA E RICAVARE UN MILIARDO DI EURO: O IN ITALIA SI FANNO PAGARE SOLO I CITTADINI?
Dopo quello delle frequenze televisive c’è un secondo beauty contest che Mario Monti dovrebbe fermare.
Sono rimaste poche ore ma è ancora possibile far pagare il giusto ai signori del gioco. Poco prima di Natale è circolata la voce che le concessioni per le slot machines stanno per essere assegnate, gratis.
Manca ancora il decreto e c’è tempo per impedire l’ennesimo regalo ai dieci concessionari (Bplus, Sisal e Lottomatica in testa) del gioco, tuttora in causa con lo Stato per decine di miliardi di euro per le loro inadempienze del passato.
Non è più ammissibile in un’epoca di sacrifici che queste società continuino a macinare utili milionari grazie a un quadro normativo e politico che le favorisce.
Già conosciamo l’obiezione: le concessioni dovrebbero fruttare circa 135 milioni per il pagamento di un diritto di 15 mila euro per ognuna delle nuove VLT (grande slot di nuova generazione) e 200 euro per ciascuna nuova slot installata.
In realtà questa cifra è una miseria rispetto ai miliardi di euro che i re del gioco incasseranno di qui fino al 2021.
Il pallino è in mano all’Aams, l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato diretta da Raffaele Ferrara.
La legge del Governo Berlusconi prevede che il settore più redditizio dell’economia sia assegnato in concessione gratuita per 9 anni.
Ma se le licenze fossero assegnate a pagamento con una gara pubblica, come si vuole fare per le frequenze televisive, sarebbe possibile incassare una somma vicina al miliardo di euro.
Segnate bene in mente questo numero: 42 miliardi di euro.
A tanto ammonta la raccolta annuale delle slot machines legalizzate nel nostro paese nel 2011.
Parliamo di un giro di affari superiore di dieci miliardi a quello realizzato in tutto il mondo dall’intero gruppo Fiat.
Contribuiscono a questa cifra (preoccupante per le conseguenze sociali) due famiglie di apparecchi da intrattenimento: le piccole “new slot” disseminate nei bar che permettono di vincere fino a 100 euro e le più grandi e potenti VLT, presenti ormai in centinaia di grandi sale che non hanno nulla da invidiare a un vero casinò, che permettono di vincere fino a 500 mila euro con il jackpot. Introdotte alla fine del 2010 grazie al decreto Abruzzo hanno raccolto da gennaio a novembre del 2011 ben 11 miliardi di euro.
Mentre le vecchie “new slot” hanno incassato poco meno di 27 miliardi.
In tutto sono 38 miliardi ai quali bisogna aggiungere l’incasso previsto per dicembre per arrivare alla cifra mostruosa di 41 miliardi.
Se si eliminano le vincite resta una cifra comunque enorme: da gennaio a novembre sono 7 miliardi e 636 milioni di euro.
Si può prevedere che nel 2011 le slot e le vlt trattengano nelle loro casse una cifra superiore agli 8,3 miliardi di euro.
Non a caso la società italiana cresciuta di più in borsa nel 2011 è Lottomatica, il più grande dei 10 concessionari per dimensioni ma non per quota di mercato.
In testa con un buon 25 per cento del parco macchine, infatti, troviamo Bplus, una limited company con sede a Londra controllata da Francesco Corallo, figlio di Gaetano, vecchio amico del boss catanese Nitto Santapaola.
Gaetano è stato condannato negli anni ottanta a 7 anni e 6 mesi (poi ridotti a 4 dall’indulto) per associazione a delinquere per la scalata proprio ai casinò italiani di Sanremo e Campione.
La società del figlio, che dice di non avere nulla a che fare con il padre e che è stato prosciolto in due inchieste della Procura di Roma (che lo vedevano indagato per traffico di droga e riciclaggio con il padre nel 2000 e 2009), ha ottenuto la concessione per riscuotere le tasse dello Stato italiano.
Nonostante la struttura societaria della società basata alle Antille olandesi, Corallo jr è il primo esattore delle tasse del gioco in Italia.
Il beauty contest del gioco è stato indetto anche per sanare questa situazione paradossale ma il prezzo è troppo caro.
Lo Stato italiano, dopo avere assegnato il compito di riscuotere miliardi di euro di imposte a società che non hanno rispettato gli impegni e che talvolta non si sa nemmeno a chi appartengono, ha deciso di donare loro una concessione novennale.
L’ennesimo regalo di una storia che inizia nel 2004.
Quando Berlusconi decide di fare emergere questo enorme settore sommerso affida ai dieci concessionari il compito di collegare le slot in rete con il computer della Sogei e di controllare il rispetto delle regole.
I requisiti per selezionare questi esattori e controllori del gioco erano però superficiali. Nessuno chiese informative prefettizie per conoscere nel dettaglio la storia degli amministratori nè tanto meno fu imposta una struttura societaria italiana trasparente. Le dieci concessioni dovevano scadere nel 2008 ma sono state prorogate, sempre gratis, per tre volte, l’ultima pochi giorni fa fino all’aprile del 2012.
Non solo.
Anche le nuove Vlt, molto più redditizie, sono state affidate senza gara ai dieci concessionari nella misura arbitraria di 14 vlt per ogni 100 esistenti nel parco macchine singolo concessionario.
In tal modo lo Stato ha perpetuato il regalo del 2004 mantenendo intatte le quote di mercato anche nel nuovo settore delle vlt.
A ottobre finalmente è arrivata la gara per le nuove concessioni.
Un po’ come nel beauty contest delle tv però sono stati privilegiati i concessionari attuali che potranno conservare le loro slot e vlt se rispetteranno i criteri stabiliti per legge, tra i quali finalmente c’è anche l’obbligo di far sapere chi è il proprietario. Mentre i tre nuovi entranti qualificati saranno costretti a crearsi prima una rete di vecchie slot per potere poi chiedere di entrare (sempre in ragione di 14 nuove VLT per ogni cento macchinette) nel nuovo mercato.
È difficile fare una stima del valore delle 13 concessioni in assegnazione.
L’incasso netto delle vecchie slot si può stimare in 600 milioni di euro all’anno. Mentre l’importo che resta in cassa a Bplus, Lottomatica, Sisal e compagni per le vlt è più piccolo in valori assoluti ma molto più elevato in termini percentuali.
Le grandi slot hanno trattenuto in cassa dopo il pagamento dei premi “solo” 1,2 miliardi di euro nel 2011.
Ma lo Stato si è accontentato di una tassazione pari solo al 2 per cento contro l’11,5 per cento dell’aliquota chiesta alle vecchie slot.
L’aliquota generosa (portata solo da pochi mesi al 4 per cento) è stata giustificata con un versamento una tantum di 15 mila euro per ogni macchina.
In realtà quel versamento si ripaga al massimo in un paio di anni mentre la concessione dura 9 anni.
Se il trend si mantiene simile a quello della fine del 2011, si può stimare che per 7 anni almeno i concessionari incasseranno un miliardo all’anno dalle vlt al netto delle tasse .
E altri 600 milioni di euro dalle slot, stavolta per nove anni. In tutto l’arco della concessione gli introiti potrebbero superare i 12 miliardi di euro.
Anche considerando i costi fissi per l’affitto delle sale, per le macchine e per il personale, la concessione resta un ottimo affare, un asset che i tredici concessionari iscriveranno nel loro bilancio e che non c’è alcuna ragione che non paghino a caro prezzo.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
È LA CIFRA CALCOLATA DALLA CORTE DEI CONTI: SOLDI CHE NON SONO MAI STATI INCASSATI… MIGLIAIA DI APPARECCHI ERANO SCOLLEGATI DALLA RETE CHE REGISTRA LE GIOCATE
Ottantanove miliardi e mezzo di euro.
È la somma che, secondo la Procura della Corte dei conti, le concessionarie delle slot machine devono ai Monopoli, quindi allo Stato, per non aver rispettato la convenzione da loro stesse firmata.
Avete letto bene, miliardi, con nove zeri. Quasi quattro volte la manovra del governo Monti. Se entrassero in cassa, non ci sarebbe più bisogno dei tagli alle pensioni, delle tasse sulla casa, di niente.
L’Italia uscirebbe dalla crisi, senza chiedere un euro ai cittadini.
Già , ma il condizionale è d’obbligo.
Tutti con il fiato sospeso: l’ultima udienza della Corte dei conti è del 23 novembre scorso, entro un mese potrebbe arrivare la sentenza che l’Italia aspetta da quattro anni.
Da quando lo scandalo finì sul Secolo XIX e l’Espresso.
La battaglia sarà dura. Primo, perchè i magistrati devono districarsi in un mare di ricorsi e
controricorsi delle concessionarie, devono navigare tra norme e clausole di cui sono disseminate le convenzioni.
Ma non solo: le manovre per spianare il cammino delle potentissime concessionarie sono state tante.
Con lo Stato che non pare essersi battuto a sangue per ottenere il massimo risarcimento e riempire le sue casse esangui. Invece gli amici delle slot hanno contatti nel mondo politico: a cominciare da quella che fu An, proprio con i finiani.
Amedeo Laboccetta, ex plenipotenziario di Fini a Napoli era amministratore di Atlantis Group of Companies Nv (oggi è in Parlamento, vicino a Berlusconi e giura di non avere più niente a che fare con le slot).
Non è comunque l’unico.
Per non dire del convitato di pietra, la criminalità organizzata che ha scommesso sulle slot. Cosa Nostra, ma anche la camorra.
Anzi, proprio intorno al gioco legale, secondo gli inquirenti napoletani, si sarebbe saldata un’alleanza che va dai Casalesi a Palermo.
Il motivo è semplice: alla malavita ogni apparecchio può rendere oltre diecimila euro al giorno.
Ma torniamo alla nostra storia: è il 2006 quando il Gat-Nucleo Speciale Frodi Telematiche della Finanza prende in mano la pratica.
E comincia un’indagine capillare seguita dal procuratore Marco Smiroldo, giudice ragazzino tanto mi-te quanto tenace che a 35 anni si trova a fronteggiare le multinazionali del settore.
Gli uomini della Finanza passano al setaccio ogni singolo apparecchio e scoprono che decine di migliaia di slot machine non sono collegate alla rete che registra le giocate. Addirittura in un locale di Riposto (Catania) risultano depositate 26.858 slot in 50 metri quadrati.
Quando gli agenti tentano una stima del denaro dovuto allo Stato non credono ai loro occhi: si sfiorano i 90 miliardi.
Il calcolo si basa sulle penali previste dalla concessione firmata da Monopoli e concessionari: in caso di mancato collegamento delle macchinette è previsto un tot per ora per il mancato versamento del prelievo legato al gioco. Una questione matematica.
Intanto lavora anche una commissione di esperti guidata da Alfiero Grandi (Pd), sottosegretario all’Economia del governo Prodi. Un tipo tosto. Con lui il generale delle Finanza Castore Palmerini. L’inchiesta produce un documento bomba. Ma in tanti sono interessati a disinnescarla .
Il lavoro della Commissione, del Gat e della Corte dei conti finisce, però, sui giornali.
E l’opinione pubblica si scatena: migliaia di lettere arrivano a Palazzo Chigi. Romano Prodi promette: “Non ci sarà un colpo di spugna” (Silvio Berlusconi ha taciuto sulla vicenda).
La Procura inizialmente parla di penali per 31 miliardi e 390 milioni per il concessionario Atlantis World. Poi Cogetech con 9 miliardi e 394 milioni, Snai con 8 miliardi e 176 milioni, Lottomatica con 7 miliardi e 690 milioni, Hbg con 7 miliardi e 82 milioni, Cirsa con 7 miliardi e 51 milioni, Codere con 6 miliardi e 853 milioni, Sisal con 4 miliardi e 459 milioni, Gmatica con 3 miliardi e 167 milioni e infine Gamenet con 2 miliardi e 873 milioni. In totale, 89,5 miliardi.
La battaglia, però, è soltanto all’inizio.
Lontano dai riflettori gli uomini delle slot muovono le loro pedine. Le concessionarie ricorrono al Tar e al Consiglio di Stato; i Monopoli dello Stato, che sarebbero la controparte, non presentano nemmeno una carta.
Tocca poi alle audizioni parlamentari per rinegoziare la convenzione.
Dagli atti parlamentari dell’audizione di Giorgio Tino (l’allora numero uno dei Monopoli cui la Corte dei conti ha chiesto 1,3 miliardi di danni) emergono le posizioni degli onorevoli. Gianfranco Conte (Forza Italia) disse: “Chi è esperto del settore si è accorto della stupidità della Commissione (gli esperti che denunciarono lo scandalo, ndr)”. Insomma, la politica non usa il pugno di ferro con le concessionarie.
Così si arriva a stabilire nuove penali, ridotte a meno di un centesimo: da 50 a 0,5 euro l’ora per ogni apparecchio non collegato.
Con una sorpresa: “C’è chi sostiene che la nuova disciplina debba valere anche per il passato. Mai vista una cosa simile, di solito vale la convenzione in vigore al momento dell’inadempienza”, sostiene un esperto del settore che resta anonimo.
La parola quindi alla commissione tecnica Oriani-Monorchio che dovrebbe indicare come vada interpretata la convenzione.
Infine i magistrati della Corte dei conti chiedono una consulenza della Digit (Ente nazionale per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione).
A ogni passaggio il conto si assottiglia: prima si scende a 840 milioni. Un centesimo del calcolo della Procura. Poi si applica la nuova convenzione a 70 milioni.
Meno di un millesimo. Si mette l’accento sul ruolo dei Monopoli nel pasticciaccio delle slot, si alleggeriscono le responsabilità dei concessionari.
Fino all’udienza 23 novembre scorso.
Con Smiroldo che ripete la richiesta: 89 miliardi. In subordine 2,7 miliardi (comunque un decimo della manovra) oppure, appunto, 840 milioni.
Ma le concessionarie sperano che alla fine il conto sia un altro: zero euro.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
TRA COMUNE E MUNICIPALIZZATE, LA CAPITALE SUPERA L’ENEL O FINMECCANICA TRASPORTI… NELL’ERA ALEMANNO ASSUNZIONI A PASSO DI CARICA
C’è un’azienda locale che quanto a occupati se la gioca con le più grandi imprese nazionali pubbliche e private.
È il Comune di Roma. Dall’alto dei suoi 62 mila dipendenti (stima per difetto), non teme confronti con colossi bancari del calibro di Intesa San Paolo, che ne occupa 70 mila entro i confini nazionali, e arriva a guardare dall’alto perfino la Finmeccanica, che tocca i 45 mila.
Per non parlare dell’Enel. I 37.383 dipendenti che il gruppo elettrico ha in Italia eguagliano il numero di quelli (37 mila secondo una valutazione contenuta nel sito Internet di Roma Capitale) che lavorano nelle società controllate o partecipate dal Campidoglio.
Una cifra già di per sè sbalorditiva, ma che va ad aggiungersi ai 25.141 stipendi pagati direttamente dal Comune.
Resta il dubbio se a questa cifra si debbano poi sommare le 1.409 persone che nel 2008 risultavano «fuori ruolo»: in tal caso si andrebbe ben oltre il totale di 62 mila.
Che è comunque un numero enorme. Per avere un’idea, sono gli abitanti di una città come Viterbo.
Vero è che in base alla pianta organica il solo Comune dovrebbe retribuire oltre 5 mila persone in più.
Ma è altrettanto vero che il numero dei dipendenti del Campidoglio, escludendo ovviamente quelli delle società partecipate, risulta nettamente superiore alla media nazionale.
Secondo l’Ifel, il centro studi dell’Associazione dei Comuni, in tutta Italia i dipendenti comunali sono 459.591, con una proporzione di 7,59 per ogni mille abitanti. A Roma ce ne sono invece 9,10.
Si potrà ribattere che stiamo parlando della capitale del Paese, con esigenze certamente non paragonabili a quelle dei piccoli centri.
E che, per fare il caso di un’altra grande città , i dipendenti del Comune di Milano non sono meno dei romani, in proporzione agli abitanti.
Al 30 settembre del 2010 erano 16.097, cioè 12,15 per ogni mille abitanti. Ma con una differenza, in confronto al Campidoglio.
Perchè in quattro anni i dipendenti comunali di Milano sono diminuiti di quasi 1.500 unità . Mentre a Roma, al contrario, gli organici hanno continuato a gonfiarsi. Soprattutto nelle municipalizzate.
Il Comune di Roma ha 21 partecipazioni dirette in società e altri organismi. Ma il portafoglio è molto più grosso.
Perchè attraverso le proprie società il Campidoglio detiene altri 140 pacchetti azionari. In una galassia tanto vasta c’è posto per tutto.
Perfino per una compagnia assicurativa: la Adir, Assicurazioni di Roma. Caso unico in tutta Italia, dove anche lo Stato ha abbandonato questo settore da un bel pezzo.
E poteva allora mancare una società costituita appositamente per capire quello che succede nelle municipalizzate?
È stata creata nel 2005 (sindaco Walter Veltroni) con il compito di analizzare i documenti e i programmi aziendali. Ragion per cui al suo amministratore Pasquale Formica, già capo dello staff dell’ex assessore al Bilancio Maurizio Leo, difficilmente può essere sfuggito quanto accaduto in questi ultimi anni.
Da quando si è insediata l’amministrazione guidata da Gianni Alemanno le assunzioni sono andate avanti a passo di carica.
Le cronache dei giornali si sono a lungo soffermate sulla «parentopoli», com’è stata battezzata la stagione che ha visto approdare nelle società della Capitale stuoli di congiunti, amici o colleghi di politici e sindacalisti.
Senza che però sia mai stata fatta realmente chiarezza sulle dimensioni di un fenomeno, di cui quella «parentopoli» era solo l’aspetto più patologico, che ha distinto negli anni della crisi il Comune di Roma come l’unica grande azienda italiana che assumeva a quei ritmi.
Altro che blocco del turnover nel pubblico impiego: porte sbarrate (o quasi) nei ministeri, porte spalancate nelle società per azioni comunali.
Si può calcolare che il personale delle aziende che fanno comunque capo al Campidoglio sia cresciuto dal 2008 al 2010 di almeno 3.500 unità .
Alla fine dello scorso anno l’Atac aveva 12.817 dipendenti: numero paragonabile a quello dell’Alitalia.
Rispetto a due anni prima ce n’erano 684 in più, e a dispetto di una situazione economica da far accapponare la pelle.
Dal bilancio consolidato 2010 emergeva chiaramente un buco dell’ordine di grandezza di un miliardo di euro.
A 701 milioni di perdite «portate a nuovo», cioè accumulate negli anni precedenti e mai ripianate, si sommava una perdita d’esercizio di 319 milioni. E questo a fronte di un capitale sociale di 300 milioni.
I dipendenti dell’Ama, l’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti, erano invece 7.840. In due anni l’incremento è stato del 24%: fra il 2008 e il 2010 gli organici sono aumentati di 1.518 unità .
Nel bilancio dello scorso anno figuravano crediti verso utenti e aziende per la tassa sui rifiuti non pagata per la bellezza di 743 milioni di euro: poi svalutati a «soli» 436 milioni.
I debiti con le banche toccavano 620 milioni, che per un’azienda che non si occupa dello smaltimento finale e non ha quindi il problema degli investimenti relativi non è certamente uno scherzo.
Sempre al 31 dicembre del 2010 i dipendenti della Roma Multiservizi, quasi tutti operai precari, erano diventati 3.683, ovvero 68 in più del 2008.
È una società che ha in appalto alcuni servizi particolari, come la pulizia delle scuole. Il Comune di Roma ne controllava attraverso l’Ama il 36%, in società con due soggetti privati.
Si tratta della Manutencoop (Lega delle cooperative) e della Veneta, ciascuna titolare del 32%. Ma secondo il sito della società , consultato ieri, la quota del Campidoglio sarebbe ora salita al 51%.
I posti di lavoro sono aumentati anche all’Acea, l’azienda dell’elettricità e dell’acqua, l’unica quotata in Borsa e ancora controllata dal Comune di Roma.
Alla fine del 2010 erano 435 in più a confronto con il 2008.
La società amministrata da Marco Staderini, ex presidente dell’Inpdap stimatissimo dal leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, paga 6.822 stipendi. Non tutti in Italia.
Qualcuno a Santo Domingo, dove ha sede l’Acea Dominicana, qualche altro in Colombia, dove si trova il quartier generale di Aguazul Bogotà …
Anche se il motivo per cui una municipalizzata controllata dal Comune di Roma debba andare a investire dall’altra parte dell’Oceano Atlantico continua a rimanere uno dei più grandi misteri del nostro tempo.
Del resto, anche l’Ama non aveva forse tentato l’avventura internazionale, andando incontro a una disfatta in Senegal, dove la raccolta dei rifiuti nella capitale Dakar è costata svariati milioni ai contribuenti romani?
Soltanto considerando le tre principali aziende del Comune, Atac, Ama e Acea, si totalizzano 27.479 posti di lavoro: 2.637 in più rispetto al dicembre del 2008.
La crescita è del 10,6%. Nessuna società , però, ha battuto il record inarrivabile di Risorse per Roma.
È l’«advisor», testuale dal sito Internet aziendale, «dell’amministrazione capitolina nelle attività di supporto per la realizzazione dei progetti di pianificazione territoriale urbanistica, rigenerazione urbana e valorizzazione immobiliare, promozione dello sviluppo locale e marketing territoriale..». Ebbene, per svolgere questa missione cruciale ha a libro paga 565 persone. §
Ben 338 (il 148,9%) più di quante ne avesse nel 2008, quando i dipendenti erano 227.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
LA PUBBLICAZIONE ONLINE DEI REDDITI E DEI PATRIMONI PERSONALI A DISTANZA DI UN MESE DALLA PROMESSA, ANCORA NON SI E’ VISTA… E SUI SITI ISTITUZIONALI MANCANO PERSINO LE BIOGRAFIE DI MOLTI MINISTRI
Pubblicazione di redditi, patrimoni personali, rapporti professionali recenti e interrotti, relazioni con imprese o gruppi di pressione.
Di questo parlava Sergio Rizzo quando lo scorso 18 novembre ha chiesto ai neoministri di cambiare l’aria del palazzo, imboccando la strada della piena trasparenza.
Appena un giorno dopo, a sorpresa, i ministri del governo Monti avevano offerto ampie rassicurazioni in merito alla piena adozione di una politica in linea con le richieste del co-autore de “La Casta”.
Come ricorda lo stesso giornalista sul Corriere della Sera del 27 dicembre, è passato più di un mese dal giorno in cui i membri dell’esecutivo hanno assunto quell’impegno, ma ad oggi della pubblicazione dei redditi non c’è traccia.
E quando si cerca di fare un po’ di luce su questa dimenticanza, si capisce ben presto che è praticamente impossibile trovare risposte certe in tempi brevi.
Sulle pagine del sito del Governo, alla voce “operazione trasparenza” si accede ad un lungo elenco di incarichi e nomine, stipendi di dirigenti e consulenze. Una buona pratica inaugurata con la Finanziaria del 2008, che non soddisfa nemmeno in parte la domanda di chiarezza rivolta al Governo.
Inevitabile chiedersi se e quando sia prevista la pubblicazione di quanto richiesto.
Si riparte ancora una volta dal sito Internet dell’esecutivo. Navigando ci si imbatte nel numero dell’ufficio stampa.
Chiamandolo risponde la sala stampa di Palazzo Chigi, certo non il referente ideale per dirimere una simile questione.
Dall’altra parte della cornetta giustamente informano: “Noi possiamo solo inviare comunicati stampa ufficiali, non possiamo dare queste risposte”.
Poi con gentilezza e professionalità invitano a contattare il direttore dell’ufficio stampa. Risponde un signore altrettanto cortese e professionale, che spiega di non sapere proprio a chi chiedere poi, entrando nel merito, azzarda: “sarà una questione tecnica” ma, per evitare inutili confusioni si informa: “Ma lo ha contattato Peluffo (Paolo Peluffo, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla Comunicazione, ndr)? No, perchè è lui il portavoce, queste questioni le può sapere solo lui”.
Inutile chiedere se c’è un numero diretto: “le conviene chiamare il centralino”.
Dal centralino di Palazzo Chigi si arriva in due squilli alla segreteria del sottosegretario Peluffo. Anche qui, con cortesia e professionalità , cascano dal pero: “Ma non capisco perchè le abbiano detto di chiamare noi… faccia una cosa, mandi una email”. Detto fatto.
La richiesta è stata inviata il 27 dicembre alle 15 e 21, la risposta non è ancora arrivata. Aspettiamo con fiducia.
Ma non finisce qui.
Non solo non sono stati pubblicati i redditi ma sul sito del Governo alla voce “ministri” non è nemmeno possibile consultare i curricula di tutti i componenti dell’esecutivo.
Ce ne sono solo 14 su 47.
L’elenco dei curricula mancanti è lungo, tra un sottosegretario e l’altro, spiccano, tra gli altri, i nomi di Elsa Fornero, Piero Giarda, Filippo Patroni Griffi, Anna Maria Cancellieri, Corrado Passera, Giampaolo di Paola, Corrado Clini, Renato Balduzzi e dello stesso Mario Monti. Probabilmente tutti troppo occupati a salvare l’Italia per spendere due minuti nel completamento dei loro profili sui siti web istituzionali.
Eppure sui singoli siti dei ministeri nella maggior parte dei casi non mancano brevi note biografiche.
È così per Annamaria Cancellieri sul sito dell’Interno e per Renato Balduzzi sul sito del ministero della Salute. È così anche sul sito del ministero della Pubblica Amministrazione guidato da Filippo Patroni Griffi e per il ministro della Giustizia Paola Severino Di Benedetto.
Nemmeno l’ammiraglio Giampaolo Di Paola ha mancato di pubblicare le note che lo riguardano.
Il sito del ministero dello Sviluppo Economico offre un dettagliato resoconto della vita professionale di Corrado Passera.
In tutti questi casi per fare bella figura sarebbe bastato un copia e incolla dalle pagine dei singoli ministeri a quelle del sito del Governo.
Gli unici ministri carenti anche sotto il profilo del curriculum professionale sono Moavero Milanesi, Giarda e Mario Monti che sul sito del ministero dell’Economia e delle Finanze e su quello della Presidenza del consiglio dei ministri si limita a ricordare di essere “Nato il 19 marzo 1943 a Varese”, aggiungendo poi che “il 9 novembre 2011 è nominato Senatore a vita dal Presidente della Repubblica”.
Si può fare di più.
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Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
L’ADEGUAMENTO DEI VALORI POTREBBE INCIDERE SULLE COMPRAVENDITE E SULLA TASSA DELLA CASA
Il governo Monti è pronto a mettere mano al catasto e a riformarne i valori. Un’operazione che servirà a fare cassa anche se non immediatamente e che si pone come base per eventuali e futuri interventi sul principale bene degli italiani, la casa. L’obiettivo principale è di aggiornare le rendite adeguandole al mercato e di riequilibrare gli estimi delle grandi città sperequati tra centro e periferia.
L’operazione porterebbe da subito maggiori entrate nell’ambito delle compravendite. Ma – spiega una fonte di governo all’Ansa – all’adeguamento dei valori base dovrà corrispondere una riduzione delle aliquote.
Il nuovo provvedimento potrebbe arrivare velocemente, per consentire una reale applicazione prima della fine della legislatura.
L’ultimo tentativo di riforma, avviato nel 2006 dal governo Prodi con un “collegato” alla legge Finanziaria, finì nel dimenticatoio proprio per l’arrivo anticipato della fine della legislatura.
“E’ noto – è scritto nel documento – che le attuali rendite catastali, su cui si basa in larga parte la tassazione immobiliare, non sono più congrue rispetto ai valori di mercato”.
L’ultimo rapporto dell’Agenzia del Territorio indica in particolare che per le abitazioni il valore corrente di mercato è pari, in media a 3,73 volte la base imponibile ai fini Ici. Se si guarda all’Irpef, invece, lo stesso rapporto oscilla tra il 3,59 della abitazioni principali e il 3,85% delle seconde case.
I canoni di locazione, poi, sono superiori di 6,46 volte a quelli delle rendite catastali.
A tracciarne le basi del nuovo catasto è un documento elaborato dal ministero dell’Economia che fissa i cinque criteri che saranno utilizzati.
“Il disegno di riforma – spiega il ministero dell’Economia – è imperniato sui seguenti elementi: 1) la costituzione di un sistema catastale che contempli assieme alla rendita (ovvero il reddito medio ordinariamente ritraibile al netto delle spese di manutenzione e gestione del bene), il valore patrimoniale del bene, al fine di assicurare una base imponibile adeguata da utilizzare per le diverse tipologie di tassazione; 2) la rideterminazione della classificazione dei beni immobiliari; 3) il superamento del sistema vigente per categorie e classi in relazione agli immobili ordinari, attraverso un sistema di funzioni statistiche che correlino il valore del bene o il reddito dello stesso alla localizzazione e alle caratteristiche edilizie; 4) il superamento, per abitazioni e uffici, del “vano” come unità di misura della consistenza a fini fiscali, sostituendolo con la “superficie” espressa in metri quadrati; 5) la riqualificazione dei metodi di stima diretta per gli immobili speciali”.
Sul punto 2), la “rideterminazione della classificazione dei beni immobiliari”, oggi, ad esempio, per le sole ‘abitazioni’ sono previste 11 classi: dalla Casa signorile ai castelli (A9), passando per abitazioni di tipo economico (A3), popolare (A4)e ultrapopolare (A5) che spesso, con i cambiamenti avvenuti nel corso degli anni, non rispettano più la realtà .
Il documento del ministero fa espressamento un esempio: “Tipicamente – è scritto – abitazione classate come popolari (A4) lo sono rimaste nel tempo, anche se oggi, pur essendo ubicate in zone centrali, il loro valore è di fatto più elevato di edifici di “civile abitazione (A2) ubicati in zone semicentrali o, addirittura, periferiche”.
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Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
L’ISTAT FOTOGRAFA IL FUTURO DEMOGRAFICO DEL NOSTRO PAESE: NEL 2042 SAREMO QUASI 64 MILIONI…. NEL 2056 SOLO IL 54,3% SARA’ IN ETA’ LAVORATIVA
L’età media degli italiani nel 2059 sarà di 49,8 anni.
E’ la proiezione contenuta nello studio sul futuro demografico del paese realizzato dall’Istat.
Nello scenario centrale elaborato dall’istituto di statistica, l’età media aumenta da 43,5 anni nel 2011 fino a un massimo di 49,8 anni nel 2059.
Dopo tale anno l’età media si stabilizza sul valore di 49,7 anni, a indicare una presumibile conclusione del processo di invecchiamento della popolazione.
Particolarmente accentuato entro i prossimi trenta anni è l’aumento del numero di anziani: gli ultra 65enni, oggi pari al 20,3% del totale, nello scenario centrale aumentano fino al 2043, anno in cui oltrepassano il 32%.
Dopo tale anno, tuttavia, la quota di ultra 65enni si consolida intorno al valore del 32-33%, con un massimo del 33,2% nel 2056.
La popolazione fino a 14 anni di età , oggi pari al 14% del totale, evidenzia un trend lievemente decrescente fino al 2037, anno nel quale raggiunge un valore minimo pari al 12,4%.
Dopo tale anno la percentuale di under 15enni si assesta fino a raggiungere un massimo del 12,7% nel 2065.
Il margine di incertezza associato a tale stima fa comunque ritenere che nel medesimo anno tale quota potrebbe oscillare in un intervallo compreso tra l’11% e il 14%.
Secondo l’Istat la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) evidenzia, nel medio termine, una lieve riduzione, passando dall’attuale 65,7% al 62,8% nel 2026.
Nel lungo termine, invece, ci si aspetta una riduzione più accentuata, fino a un minimo del 54,3% nel 2056, anno dopo il quale l’indicatore si stabilizza, con un valore del 54,7% nel 2065, per un intervallo di stima compreso tra il 53,8% ed il 55,8%.
La ricerca prende in esame anche il numero complessivo dei residenti in Italia.
Stando alle previsioni, nel 2065 la popolazione sarà pari a 61,3 milioni (“scenario centrale”) dopo aver toccato un picco di 63,9 milioni nel 2042.
Cumulando gli eventi demografici relativi al periodo 2011-2065, l’evoluzione della popolazione attesa nello scenario centrale è il risultato congiunto di una dinamica naturale negativa per 11,5 milioni (28,5 milioni di nascite contro 40 milioni di decessi) e di una dinamica migratoria positiva per 12 milioni (17,9 milioni di ingressi contro 5,9 milioni di uscite).
Sulla base delle ipotesi concernenti i movimenti migratori con l’estero e sulla base di un comportamento riproduttivo superiore a quello della popolazione di cittadinanza italiana, si prevede che l’ammontare della popolazione residente straniera possa aumentare considerevolmente nell’arco di previsione: da 4,6 milioni nel 2011 a 14,1 milioni nel 2065, con una forbice compresa tra i 12,6 ed i 15,5 milioni. Contestualmente, nel periodo 2011-2065 l’incidenza della popolazione straniera sul totale passerà dall’attuale 7,5% a valori compresi tra il 22% e il 24% nel 2065, a seconda delle ipotesi.
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Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
ALL’ARGENTARIO L’IMPRENDITORE COINVOLTO NELL’INCHIESTA SULLA RICOSTRUZIONE DELL’AQUILA DENUNCIATO DAI VIGILI URBANI
Ha parcheggiato l’elicottero sulla spiaggia di Ansedonia e ha portato sotto braccio sua madre a mangiare al ristorante “Il cartello”, esclusivo locale dell’Argentario.
E’ successo il giorno di Santo Stefano.
Alla guida dell’elicottero c’era Francesco Maria De Vito Piscicelli, 49 anni, l’imprenditore edile arrestato per associazione a delinquere e corruzione nell’inchiesta sugli appalti della Protezione civile e diventato famoso per due intercettazioni telefoniche.
Nella prima rivelava al cognato il suo stato d’animo di fronte alla notizia del sisma dell’Aquila: “Alle tre e mezza di stanotte ridevo nel letto…”.
Nella seconda gli spiegava: “Là c’è da ricostruire dieci anni”.
Piscicelli, brevetto di pilota, era partito nel primo pomeriggio da Roma e, invece di atterrare nello spazio ricavato nella sua villa sull’Argentario, sopra Santo Stefano, ha virato verso il ristorante.
Sono stati alcuni turisti, avvistato l’elicottero bianco e blu sulla spiaggia sabbiosa, a chiamare i carabinieri e poi i vigili urbani di Orbetello, lunedì alle tre del pomeriggio.
Qualcuno ha fatto notare all’imprenditore che non si poteva atterrare su un’area del demanio: “Ma io sono il comandante”, ha risposto Piscicelli.
Con i vigili urbani e i carabinieri il pilota dei giorni di festa si è giustificato spiegando che era stato costretto all’atterraggio in riva al mare per colpa del maltempo.
“C’era un vento di 25 nodi”, hanno spiegato gli stessi vigili.
Alcuni clienti, però, hanno confermato che Piscicelli aveva pranzato al “Cartello” con la madre. Di più, aveva prenotato.
Alle 15,30, quando la prima pattuglia è arrivata sulla spiaggia, Piscicelli e la madre, una signora di 75 anni, avevano già selezionato le portate.
Firmato il verbale, il figlio ha portato a termine il pranzo ed è ripartito – in elicottero, questa volta da solo – verso la villa sopra Santo Stefano.
Ora l’imprenditore sarà denunciato per uso improprio del demanio. Sarà quindi inoltrato un rapporto alla Procura di Grosseto e all’Ente nazionale di assistenza al volo.
La guardia di finanza indaga sull’immatricolazione slovena dell’elicottero utilizzato. I vigili hanno rilevato, nel recente passato, alcune infrazioni compiute in barca da Piscicelli in questo tratto dell’Alto Tirreno. “Se quel pilota avesse avuto un’emergenza”, racconta il sindaco di Orbetello, Monica Paffetti, “avrebbe dovuto subito avvertire l’aeroporto di Grosseto”.
Cosa che non ha fatto. §
Francesco Maria De Vito Piscicelli è entrato nell’inchiesta Grandi opere – e nel filone fiorentino della Scuola dei Marescialli e in quello della ricostruzione di L’Aquila – con modi da protagonista.
Vicino alla vecchia Alleanza nazionale, si è assicurato l’appalto delle tre piscine di Valco San Paolo, a Roma, con un ribasso d’asta subito recuperato.
Le piscine sono ancora oggi chiuse, costi quadruplicati, a causa di un pilone fratturato. Piscicelli è stato intercettato e pedinato mentre acquistava tre orologi per funzionari della Protezione civile in una gioielleria romana, la stessa dove ha comprato “un bel regalo” per la storica segretaria di An: “Bisogna sbloccare i finanziamenti per la piscina”.
Alla moglie di Angelo Balducci, potente capo dei Lavori pubblici, a ogni scadenza l’imprenditore ha regalato un Rolex Submariner, due orologi della collezione Jaeger le Coultre e un Bang “da tre, quattromila euro”.
Conoscitore dell’area Argentario, Piscicelli per conto dell’amico Diego Anemone ha prenotato a sue spese una suite all’Hotel Il Pellicano per Carlo Malinconico.
Toccato da tutte queste rivelazioni, lo scorso marzo ha ingoiato un flacone di Tavor.
Il suo avvocato ha spiegato che le sue aziende sono in difficoltà . A Santo Stefano, però, ha scelto di portare mamma a mangiare il pesce.
In elicottero.
Corrado Zunino e Laura Montanari
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
PER PORTARE LA MAMMA AL RISTORANTE E’ ATTERRATO SULLA SPIAGGIA DI ANSEDONIA SENZA PERMESSO… DURANTE LA NOTTE DEL TERREMOTO RIDEVA BEATO, PREGUSTANDO I GRANDI AFFARI SULLA CARNE DEI MORTI
Ma, diciamo la verità , più ancora dello sgangherato riccastro esibizionista è la signora mamma che offende la fantasia degli italiani, la mamma che non gli ha mollato un sonorissimo ceffone, la mamma che è salita come una diva del muto sul missile del suo guaglione pacchiano e filibustiere già messosi in pessima mostra.
Tutte le mamme italiane che conosco si sarebbero vergognate di un simile scarafone, anche a nome dei nonni e degli avi, sino alla settima generazione.
Entra dunque, questa mamma di Piscicelli, nella storia degli orrori italiani e cancella, con un solo giro d’elica, la piscina di Ceppaloni a forma di conchiglia, i furbetti del quartierino, le scarpe cucite a mano e le barche di D’Alema, “la patonza deve girare”, la casa di Scajola, il mutuo di Scilipoti…
Neppure il comico Panariello, che pure dell’antropologia del nuovo ricco ubriaco di se stesso è riuscito a fare una maschera di grande successo, era arrivato a immaginare la vecchia mamma che a 75 anni si compiace per lo shuttle del suo sbruffone parcheggiato sulla sabbia davanti al ristorante nel giorno di Santo Stefano.
E non è una faccenda di ricchezza.
Possedere un elicottero privato non è di per sè vergognoso e i soldi non sono la crusca del diavolo.
Insomma, un uomo che ha un elicottero, e dunque case e ville e spazi, non è un immorale nè un immoralista, nè – figuriamoci – un epicureo senza principi e nemmeno un capitalista alla Dickens.
Ma un elicottero che atterra sulla spiaggia è una cafoneria esibita per abbagliare, tanto più in tempi di crisi, di privilegi, di tagli e di tasse. Insomma gli italiani non ce l’hanno contro i ricchi e dunque nella reazione della gente che ad Ansedonia ha chiamato i carabinieri c’è innanzitutto lo spavento e la meraviglia perchè simili scene si giustificano solo con l’emergenza: una malattia, un incidente, un organo da trasportare per un trapianto.
Ed è ovvio che, quando invece si è capito che l’elicottero era lì per il pesce al sale, sia subentrata l’indignazione contro i cafoni, contro una mutazione antropologica del brubru classico che abbraccia tutta la pienezza dell’attuale vita italiana, un malcostume che non si inscrive in nessuno dei vecchi codici conosciuti della volgarità nazionale, neppure in quello dei criminali incalliti che trasportano in elicottero partite di droga o diamanti e solo per sberleffo atterrebbero sulla spiaggia di fronte a un ristorante.
Nell’elicottero di Piscicelli si sintetizza invece la giostra degli energumeni della nuova Italia malata che diventa cricca durante un terremoto per avventarsi sulle aree edificabili, si fa faccendiera nei governi per lucrare case e donne, si organizza in lobby nelle anticamere dei palazzi per trafficare in nomine, si mostra sguaiata in una giornata di relax natalizio ed è già pronta ad indossare nuove maschere, non nella delinquenza ma nell’arraffo e nell’ostentazione.
Ecco perchè qui non ci può essere l’invidia sociale, perchè nessuna persona normale sogna di andare al ristorante in elicottero con la vecchia amata mamma.
Tanto più che il nome Piscicelli, napoletano di antica famiglia, rimanda a quel precedente turpe, a quella intercettazione nella notte dell’Aquila: “Io ridevo stamattina alle 3 e mezza davanti a quella “roba” del terremoto”.
C’è insomma un rapporto concreto tra il terremoto e l’elicottero ovviamente visto, a torto o a ragione, come il bottino, come il frutto dello sciacallaggio. I terremoti infatti fanno parte della storia del nostro Paese e tutti sappiamo che ogni terremoto ha i suoi sciacalli che, come fece appunto Piscicelli per l’Aquila, si fregano le mani prima di avventarsi sulle disgrazie. In passato predavano anelli e denti d’oro, oggi i soldi dello Stato e gli appalti per la ricostruzione.
Quell’elicottero dunque è atterrato ad Ansedonia come un terremoto.
Ed è stato prima accolto come una violenza e poi decifrato per rileggere il codice della cricca, il linguaggio del potere corrotto e degradato anche nei simboli, nelle apparenze eccessive, negli appagamenti abbaglianti, nella volgarità che ormai in Italia è come un chiodo, come una vite che ad ogni nuovo movimento fa un giro in più.
E su questo sciacallaggio e su questa pacchianeria, su questo elicottero, è volata, come dicevamo all’inizio, la degradazione della devozione filiale, la complicità della mamma, della vecchia signora che non ha saputo dire al figlio: “Non farmi vergognare di averti messo al mondo”.
C’è insomma il ribaltamento del più italiano dei comandamenti, il solo inappellabile: non più onora, ma disonora il padre e la madre.
Francesco Merlo
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
SOCIETA’ “ESTEROVESTITE” E “TRANSFER PRICING”: COSI’ SI FRODA IL FISCO…RISPUNTANO GLI SPALLONI CON LE VALIGETTE, BOOM DI SEQUESTRI A MALPENSA E AI CONFINI CON LA SVIZZERA
Via dall’Italia. In qualsiasi modo.
In questo anno che si sta chiudendo, la Grande Fuga dei capitali all’estero – e parliamo soltanto di quella accertata dalla Guardia di Finanza – ha raggiunto gli 11 miliardi di euro, più o meno un quarto dell’intera base imponibile evasa individuata dai controlli (46 miliardi).
Di questi 11 miliardi, il 26 per cento è stato sottratto al Fisco attraverso società con sede legale all’estero e attività produttive stabili ma occulte nel nostro Paese.
Il 18 per cento con l’antico strumento elusivo della cosiddetta “estero-vestizione” di società e persone fisiche, lo specchietto per le allodole necessario a fissare fraudolentemente oltre confine la residenza fiscale di chi le tasse dovrebbe pagarle in Italia.
Il 17 per cento, con quel gioco di vasi comunicanti detto “transfer pricing”, la cessione di quote di reddito tra consociate con la cessione di beni o prestazione di servizi, per concentrare gli utili soggetti a tassazione sulla società del gruppo che gode di un regime fiscale estero di favore. Il 39 per cento, con “altre manovre evasive”.
Ma c’è di più.
Dal pozzo nero della nostra memoria degli anni ’70 e ’80 riaffiorano gli spalloni.
Riempire una ventiquattr’ore destinata oltre frontiera con banconote da 500 euro (riescono a starcene fino a 12 mila pezzi, per un valore di 6 milioni di euro) è tornata ad essere un’opzione ricorrente.
E, per quanto empirici, i dati dei sequestri di valuta negli ultimi tre mesi ai valichi normalmente utilizzati dagli spalloni (Ponte Chiasso e gli aeroporti di Malpensa e Fiumicino) crescono fino al 50 per cento rispetto alla vigilia dell’estate.
Con picchi significativi tra ottobre e novembre scorsi, le ultime settimane dell’avventura berlusconiana, quando il Paese si è trovato dinanzi all’abisso del default (in questo periodo, soltanto al confine svizzero, sono stati sequestrati 2 milioni e 600 mila euro, mentre a Malpensa, si sono toccati i 3 milioni).
La nuova stagione del governo Monti e la stretta fiscale sono evidentemente percepite come una minaccia.
“E’ ben possibile – chiosa il generale Bruno Buratti, comandante del III reparto Operazioni della Guardia di Finanza – che l’esportazione illegale di valuta riprenda a crescere con dati statisticamente significativi”.
L’investigatore la dice come fosse un eccentrico paradosso. “Ricorda l’Hawala? Dopo l’11 Settembre, il mondo scoprì che Al Qaeda e il network del radicalismo islamico raccoglievano e trasferivano contante tra i quattro angoli del pianeta con una rete informale di mediatori che non lasciava traccia nè elettronica, nè cartacea. I mediatori erano legati tra loro da un sistema di compensazioni che rendeva superfluo il movimento del contante. E dunque quegli stessi mediatori, proprio in ragione delle compensazioni, potevano rendere disponibile ai loro clienti qualsiasi cifra a destinazione senza che un solo euro o dollaro si fosse mosso. Bene, oggi funziona così in Italia per molti esportatori illegali di valuta. L’Hawala è diventato un italianissimo strumento di “spallonaggio”.
Il denaro non è più di Mohammed o di Kalil. Ma del dottor Mario, del signor Luigi”.
Semplice a dirsi. E, a quanto pare, anche a farsi.
Perchè per chi vuole far sparire denaro oltre confine o farne rientrare quando serve, è sufficiente appoggiarsi a organizzazioni in cui il mediatore italiano A (avvocato d’affari o commercialista che sia), chiede al suo reciproco professionista svizzero B di depositare presso un conto elvetico un cifra X per conto del suo cliente italiano signor Rossi.
La somma depositata in Svizzera uscirà dalle disponibilità del mediatore B e dunque si muoverà solo all’interno dei confini di quel Paese, regolarmente.
Ma quella somma, in realtà , da quel momento sarà nella esclusiva disponibilità del signor Rossi, cittadino italiano, che l’avrà consegnata in contanti e per equivalente, in Italia, ad A, il suo mediatore. A e B, a quel punto, regoleranno “in compensazione” quella somma.
Come fossero due banche.
Le “commissioni” per questo “spallonaggio” silenzioso, che non sposta fisicamente denaro ma lo materializza a destinazione, frequente per chi muove in nero fino a 1, 2 milioni di euro, oscillano tra il 2 e il 5% e sono pagate “alla fonte”. Più convenienti di un vecchio “scudo” alla Tremonti. E con un solo nemico: le indagini di polizia giudiziaria.
Quelle fatte di intercettazioni, pedinamenti, fonti confidenziali.
Come un pesce pilota con lo squalo, l’esportazione illegale di valuta e in genere l’accumulazione nera di capitali in contanti destinati allo “spallonaggio” oltre frontiera offrono una traccia che le indagini e i sequestri della Guardia di Finanza hanno dimostrato in questi anni essere inequivocabile: le banconote da 500 euro.
Un taglio sproporzionato e pressochè invisibile nella routine delle transazioni quotidiane per contanti.
Con una significativa concentrazione nella sua circolazione.
Proprio sulla base delle segnalazioni del circuito bancario alla Finanza, si scopre infatti che oggi, all’interno dei nostri confini, i quattro quinti delle banconote da 500 si concentrano in tre aree: i comuni a ridosso del confine italo-svizzero, la provincia di Forlì (la porta di accesso alla Repubblica di San Marino, al segreto delle sue banche e delle sue finanziarie), il tri-Veneto. Guarda caso le tre “rampe” di fuga dei nostri capitali verso l’estero, così come del loro rientro clandestino.
In un Paese che per legge ha abbassato da 2.500 a mille euro la soglia massima delle transazioni per contanti, il pezzo da 500 dovrebbe avere vita impossibile.
E lo stesso dovrebbe dirsi dell’intera area dell’Unione, dove per altro il ricorso alla moneta elettronica e dunque la tracciabilità dei pagamenti presenta percentuali decisamente superiori alla media italiana (nel nostro Paese, quello con una delle più alte concentrazioni di bancomat in Europa, il contante resta il principale mezzo di pagamento).
Al contrario, come documentano i dati della Banca d’Italia, il numero di banconote da 500 circolanti all’interno dell’Unione Europea, è passato dai 167 milioni di pezzi del 2002, ai 600 milioni di pezzi del novembre di quest’anno.
Con un significativo incremento dell’incidenza percentuale del valore complessivo delle banconote da 500 sull’intera massa liquida in euro in circolazione. Dal 23,27%, al 34,57%.
Un punto percentuale in più dei pezzi da 50, la banconota con maggiore circolazione.
In fondo, per capire come siamo ridotti, basterebbero due parole. “Tango” e “Cash”. Sono i nomi dei due giovani “Labrador” dell’unità cinofila della Finanza all’aeroporto di Malpensa. I
due cani non annusano nè cocaina, nè hashish, nè eroina.
Sono addestrati per impazzire se all’olfatto avvertono l’odore di inchiostro e filigrane delle banconote. Euro, dollari, franchi svizzeri, nascosti in valige, cinture, scarpe, container, biancheria intima.
L’Italia è uno dei cinque Paesi in tutto il mondo (con noi, l’Inghilterra, dove i cani anti-banconote sono stati testati la prima volta, Sud Africa, Israele, Stati Uniti) ad aver deciso che sono ormai una necessità e, dall’autunno scorso, altri otto “Labrador” hanno raggiunto i valichi di Chiasso (Svizzera), degli aeroporti di Torino, Venezia, Roma e Napoli.
Perchè – dicono – “funzionano”. E perchè gli spalloni hanno ripreso a viaggiare.
Soltanto tra giugno e novembre scorsi, nell’intero Paese, sono stati sequestrati 27 milioni e 300 mila euro di valuta, con picchi tra settembre e novembre scorsi, quando il cielo dell’Italia si è fatto nero e il “nero” d’Italia ha ripreso l’antica strada dei conti in Svizzera, Lussemburgo, Liechtenstein.
L’ultimo “acchiappo” di “Tango” e “Cash” è stato del 12 novembre scorso. A Malpensa.
Due milioni di euro. Negli stessi giorni, “Zeb”, il nuovo “cucciolo” di Ponte Chiasso, ha annusato nel reggiseno e nelle scarpe di una distinta signora 65 mila euro.
Carlo Bonini
(da “La Repubblica”)
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