Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
IL LAVORO NERO DILAGA PERCHE’ NON SONO PREVISTI RENDICONTI: PER I PORTABORSE CONTRATTO A PROGETTO A 700 EURO AL MESE…. MA MOLTI DEPUTATI SI METTONO I SOLDI IN TASCA
Ogni parlamentare riceve quattromila euro al mese per le spese di comunicazione e segreteria: ma a Montecitorio in 400 non hanno nessun portavoce contrattualizzato.
Pd e Idv hanno presentato un’odg: i collaboratori siano assunti direttamente da Camera e Senato, così da non far passare i soldi dalle tasche dei politici.
Le proposte sono state bocciate.
Ma Pardi ci riprova: “Settimana prossima quando a Palazzo Madama arriverà la manovra”
Quattromila euro finiscono ogni mese nelle tasche di ciascuno dei mille parlamentari italiani per far fronte alle spese di segreteria e comunicazione, in pratica per i famosi portaborse.
Ma da poche di quelle tasche escono per andare realmente in quelle dei collaboratori.
Alla Camera su 630 deputati solamente 230 hanno assunto un assistente, con contratti a progetto e per importi medi di 700 euro.
Il dato del Senato non si conosce: Palazzo Madama non lo ha mai comunicato, ma dei 315 senatori pochi non hanno un assistente personale.
L’unica cosa certa è che tra i mille parlamentari nessuno ha mai rinunciato a quello che un tempo si chiamava “fondo per la segreteria” e che oggi è stato ribattezzato nel molto più generico “fondo eletto-elettori”. 3690 euro affidati a ogni deputato che può farne ciò che vuole senza dover presentare giustificativi nè ricevute nè altro che dimostri l’uso che ne ha fatto.
La presidenza della Camera è al corrente del malcostume che vige tra i deputati e nel 2009, dopo un’indagine dell’ufficio del lavoro, tentò di mettere un freno al lavoro in nero che gli stessi parlamentari alimentano.
Gianfranco Fini vietò l’ingresso a Montecitorio a quanti non avevano un contratto regolare.
Il primo luglio, giorno in cui entrò in vigore la regolamentazione, ben 200 portaborse risultarono in nero: rimasero fuori dalla Camera perchè i loro budget erano stati cancellati.
I deputati per far entrare i propri assistenti trovarono facilmente un escamotage: farli accedere tra il pubblico, come visitatori.
Norma aggirata e attenzione sulla vicenda diminuita in poche settimane.
Oggi, con la manovra lacrime e sangue imposta ai cittadini, il tema è tornato più che attuale: i tanto promessi tagli alla politica in realtà si sono tradotti in misure considerate molto blande e nel maxiemendamento, che sarà presentato alla Camera domani, saranno ulteriormente ridotti gli interventi a scapito della Casta: nella migliore delle ipotesi tutto sarà rimandato alla prossima legislatura.
“Fanno tutti il gioco delle parti”, dice Sandro Gozi, il deputato del Partito Democratico che da più di un anno sta cercando di presentare un ordine del giorno per rendere più trasparente “almeno la parte di fondi che viene dato ai parlamentari senza controllo, come i quattromila euro che vengono riconosciuti per i portaborse”, spiega.
Oggi Gozi si è rivolto direttamente ai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani affinchè intervengano. “Ieri hanno negato che saranno tutelati gli interessi della cosiddetta Casta e garantito che il trattamento economico sarà adeguato agli standard europei, allora perchè non cominciare proprio dalla gestione dei portaborse?”, si chiede Gozi. Al Parlamento europeo i collaboratori dei deputati vengono assunti e stipendiati direttamente dall’amministrazione e non dai singoli politici, a cui non viene quindi versata alcuna indennità . E così funziona in quasi tutti i paesi dell’Europa: i soldi non passano per i parlamentari.
In Germania è il Bundestag a pagare mentre in Inghilterra sono gestiti da un’agenzia indipendente.
“In Italia vengono dati a noi quattromila euro e ognuno può farne liberamente quel che vuole”, spiega Gozi.
I deputati del Pd versano “duemila euro al mese circa al gruppo del partito per far fronte alle spese di segreteria e i restanti duemila sono destinati ai collaboratori, ma nessuno deve presentare alcuna ricevuta o altro. Quindi io ho proposto di assegnare alla Camera e al Senato il compito di assumere i collaboratori e dare i soldi al partito di appartenenza e non far passare i soldi dalle mani del deputato perchè la situazione è diventata indecente”, si sfoga Gozi che ha due collaboratori regolarmente assunti.
Complessivamente, solo per quanto riguarda i fondi per i collaboratori, Camera e Senato versano oltre 24 milioni di euro all’anno senza sapere dove finiscano, come e perchè.
La proposta di Gozi, oltre a far risparmiare fondi allo Stato, “porterebbe alla luce un giro di lavoro nero e sfruttamento davvero indecente e che si protrae da anni come malcostume diffuso”. Tra i parlamentari.
Gli stessi che devono limitare il lavoro nero e portare avanti la lotta all’evasione fiscale, sono i primi, dunque, ad “alimentare un sistema totalmente privo di controlli e trasparenza”.
Ma l’odg di Gozi proprio non riesca a essere approvato. “A giugno tutto il gruppo lo aveva condiviso e presentato a unanimità , ma poi mi è stato detto che non si poteva presentare per un motivo o l’altro. Adesso mi dicono che non si può inserire come emendamento a questa manovra, così mi sono rivolto direttamente a Fini e Schifani e vediamo come si comporteranno. Io voglio trasparenza. Questi quattromila euro devono essere spesi per i collaboratori? Voglio vedere i contratti di assunzione. Oppure le ricevute per cui ogni mese si spiega dove vanno quei soldi. Siano la Camera e il Senato a dare i soldi ai collaboratori assunti regolarmente. Se c’è chi oggi se li intasca o assume regolarmente i collaboratori o rinuncerà a quei fondi”.
In linea con Gozi anche l’Udc e l’Idv.
Pancho Pardi ha avuto più fortuna di Gozi e al Senato è riuscito a portare in aula lo scorso agosto e far votare un ordine del giorno che invitava a equiparare al sistema Europeo la gestione dei collaboratori. Ma è stato bocciato.
Non stupisce, ovviamente, che la Casta protegga se stessa.
“Ma ora i tempi sembrano cambiati”, dice Pardi. Il senatore dell’Idv annuncia che settimana prossima, quando la manovra del governo Mario Monti arriverà per il voto a Palazzo Madama, lui ripresenterà l’ordine del giorno, magari camuffato da emendamento ma, spiega, “il modo per portarlo in aula lo trovo sicuramente, perchè magari questa volta lo votano. Adesso sono tutti attenti e bravi, vediamo come si comportano”, dice.
“La giusta rabbia dei cittadini va fronteggiata, bisogna essere capaci noi per primi di prendere dei provvedimenti di trasparenza e sacrificio. Almeno proviamoci”, aggiunge.
Così, la questione dei portaborse “potrebbe essere un primo passo importante: invece di tagliare l’indennità ai parlamentari si compie un’operazione di pulizia e trasparenza; le risorse vengono gestite dalle Camere, i parlamentari non vedono un euro, i collaboratori vengono pagati in base a contratti regolari”.
Ad agosto il centrodestra votò contro. E anche oggi i segnali che arrivano dal Pdl non sono dei migliori, anche perchè c’è chi, come Paniz sostiene che i soldi per i collaboratori siano pochi. “Se lo metti in regola, 3000 euro per un collaboratore non bastano. All’estero, come dimostrano tutte le statistiche serie, i parlamentari guadagnano più di quelli italiani”.
Le statistiche serie dicono il contrario: gli eletti nel Belpaese sono quelli che percepiscono il compenso maggiore.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume, denuncia, governo, Parlamento, Politica, radici e valori | Commenta »
Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
SENTITO IN AULA L’INVESTIGATORE CHE HA VISIONATO I SUPPORTI INFORMATICI: ESIBITE ALLA CORTE DIVERSE FOTO DI BACI SAFFICI DELLE RAGAZZE E TRAVESTIMENTI SEXY
Il vice questore Giorgio Bertoli compulsa le carte, poi legge: “Sabato devo essere da Papi”.
E ancora: “Dormo da sola, non mi piace dormire con i clienti”.
Quindi rassicura: “Cambio lavoro, non lo farò in eterno”. Il dialogo è tra Iris Berardi e il suo fidanzato di allora Fabio Bongioanni. Dialogo in chat messo agli atti del Rubygate e snocciolato oggi in aula davanti ai giudici.
Tema dell’audizione: il contenuto dei supporti informatici.
Tradotto: telefonini, iPad e computer. Saltano fuori fotografie, baci saffici e travestimenti sexy. Si prosegue: “Le ragazze vanno in ferie e lui sta dando i soldini a tutti”.
Quindi il 23 novembre chiede: “Cosa fai stasera bunga bunga?”. Nessuna risposta. L’argomento, nel frattempo, è stato messo sul piatto.
Udienza al via poco dopo le nove e trenta.
E mattinata che scivola via con le ultime battute della deposizione di Marco Ciacci, capo della squadra giudiziaria della polizia di Stato.
Solo il tempo di ribadire che “Ruby si prostituiva anche da minorenne”.
Circostanza “confermata dalle intercettazioni e dalle testimonianze”.
Tra queste quelle di Katia Pasquino e Giuseppe Villa, titolare di un locale. Di più: “C’erano una serie di elementi convergenti” che dimostravano, all’epoca delle indagini, come Ruby“compisse atti sessuali a pagamento” alle serate ad Arcore.
Ma non c’è solo il bunga bunga.
C’è di nuovo e ancora la famosa notte in Questura del 27 maggio 2010.
Notte in cui Silvio Berlusconi telefonò più volte al capo di gabinetto Pietro Ostuni per liberare la marocchina e lasciarla nelle mani di Nicole Minetti.
Piccolo sunto: in quel 27 maggio Ruby viene fermata in corso Buenos Aires dopo che la Pasquino chiama la polizia denunciando di aver subito da lei un furto.
Quindi l’arrivo in via Fatebenefratelli, le telefonate dell’allora premier e l’accusa di concussione.
Da lì in poi, però, la presidenza del Consiglio, sostiene Ciacci, non ci metterà più becco. Soprattutto dopo che il 5 giugno 2010 Ruby viene fermata per una seconda volta in seguito a un diverbio con Michel Coincecao.
Portata sempre in Questura e da qui spostata in diverse comunità . Almeno tre. L’ultima quella di Sant’Ilario a Genova.
Ma se Berlusconi, dopo la bufera del 27 magio, si disinteressa della ragazza, la palla passa a Lele Mora e figlia che da quel momento in poi iniziano a fare pressing per avviare le pratiche di adozione. Il resto della mattinata si perde, manco a dirlo, tra le tante opposizioni della difesa.
Su tutte la richiesta al tribunale di acquisire prima tutte le prove e poi iniziare a sentire i testimoni.
Da qui lo stop annunciato. Con i giudici che si prendono quasi un’ora per la stesura della seconda ordinanza in cui si dà atto dell’acquisizione di tutte le prove.
Pronti via e si riprende. Sfilano i tre traduttori dal portoghese, dallo spagnolo e dall’arabo. Due donne e un uomo.
Si passa ai sequestri del 14 gennaio 2011.
L’agenda di Iris Berardi. La prima pagina cattura subito l’attenzione degli investigatori. Si legge: “Comprare pelliccia, macchina fotografica, andare in Brasile e comparare casa”. Sempre nello stesso libretto la polizia trova coincidenza con i riscontri.
Il 15 gennaio: “Andare a Milano da Marysthell (la più simpatica di Silvio)”.
Il 27 gennaio: “Andare da Papi”.
A marzo la Berardi annota “mettere via almeno 10mila euro”.
E ancora: “Sette marzo duemila Papi”. Il 13 marzo “Papi duemila”.
E così fino al 3 agosto. I primi riscontri, sostiene Bertoli, danno buone indicazioni. Tre date (27 febbraio, 5 e 25 aprile) mettono assieme e Ruby e Iris ad Arcore.
Quindi tocca a Nicole Minetti.
Emerge “il sistema” del consigliere regionale.
“Un foglietto — dice Bertoli — in cui sono annotate le cifre della gestione della residenza in via Olgettina 65”. In casa gli agenti trovano diversi bonifici. In parte intestati alla Friza srl, l’immobiliare che si occupa del palazzo di Segrate.
Tra le carte analizzata c’è anche il conto corrente della Minetti. Si leggono diversi bonifici. Mentre pochi giorni prima l’ex ballerina di Colorado Cafè riceve un accredito da 17mila da Silvio Berlusconi sotto forma di prestito infruttifero.
Tocca ai “supporti informatici”.
Anche perchè, fa notare il giudice al pm Antonio Sangermano, il teste è stato chiamato per questo.
E dunque inizia il carosello. Si parte con il blackberry della Visan. “Foto di lei che bacia un’altra ragazza”.
Effusioni confermate dalle testimonianze e anche da una intercettazione tra Barbara Faggioli e Nicole Minetti.
Prima foto, dunque. L’agente ha in mano la copia. Ghedini si alza, la guarda, sorride e si risiede.
Alla fine dell’udienza dirà . “Sono foto innocenti, se questo è l’impianto accusatorio spero arrivi presto una sentenza di assoluzione”.
Si prosegue: la Espinoza bacia un’altra ragazza.
Di nuovo Ghedini si alza, visiona, si risiede. Non è finita.
Ci sono i travestimenti. Barbara Guerra in versione Babbo Natale. E’ l’immagine 322. Altro scatto: sempre la Guerra con manette e abitino da poliziotto.
Conclusione: nove scatti, estrapolati dal cellulare della Guerra.
Si vede: una stanza da letto, il letto disfatto, e foto di Berlusconi.
Ora del clic le 4 e 51 del 24 ottobre 2010.
Location: Arcore.
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Giustizia, Politica, radici e valori | Commenta »
Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
IL GRUPPO GIOVANNINI E’ IN RITARDO: “MANCANO LE RISORSE, CI RIVOLGIAMO ALLA AMBASCIATE”…IL PROBLEMA E’ TROVARE NOTIZIE UFFICIALI SUGLI STIPENDI: “E’ UN GINEPRAIO”
Possono anche sollecitare, i presidenti di Camera e Senato, ma è ben difficile che la commissione Giovannini concluda il suo lavoro entro il 31 dicembre di quest’anno.
Che possa, entro quella data, stabilire un parametro europeo su cui calibrare gli stipendi di parlamentari e dirigenti della pubblica amministrazione.
«Una media ponderata rispetto al Pil», le chiede la manovra estiva che l’ha istituita. «Facile a dirsi — confida un componente dell’organismo guidato dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini — ci siamo ritrovati in una selva».
Cosa c’è di così intricato? «Prima di tutto, abbiamo dovuto scegliere i sei paesi su cui effettuare la comparazione. Sono Belgio, Olanda, Austria, Francia, Germania, Spagna. Poi, trovare gli organismi pubblici equivalenti. Per Parlamento e ministeri è facile, ma mica ovunque c’è l’Antitrust, oppure se c’è si chiama in un altro modo».
Farraginosità , insomma, che hanno rallentato l’avvio.
Il pantano però è arrivato dopo, sui soldi. «Il problema più grave è l’ufficialità del dato sugli stipendi. Ocse ed Eurostat non hanno tabelle complete, sui siti dei parlamenti nazionali non ci sono le indennità , così abbiamo scelto la via diplomatica».
Sembra di essere nell’Ottocento, in attesa dei messi a cavallo.
E un po’ è così: «Le ambasciate italiane nei vari Paesi hanno chiesto i dati ai rispettivi ministeri dell’Economia. Speriamo li diano tutti».
Perchè non dovrebbero farlo? «C’è una naturale ritrosia».
In effetti, l’ultimo report della commissione presente sul sito — datato 15 novembre 2011 — si conclude dicendo che l’elaborazione dei dati «dipenderà dalla rapidità con cui le autorità governative degli altri Paesi procederanno all’invio delle informazioni richieste». Di certo, tutto questo non avverrà entro la fine dell’anno.
E in primavera? «Ritengo che qualcosa per aprile avremo, non tutto il lavoro probabilmente, ma qualcosa sì».
La commissione si riunirà il 22 dicembre. «Ci siamo sentiti, abbiamo fatto una riunione informale, e ci siamo convocati per quella data. Siamo a costo zero, non tutti vivono a Roma, non è facile».
Gratis, sarà difficile anche fare gli incontri istituzionali all’estero che il presidente Giovannini auspica per svolgere al meglio il lavoro.
In realtà però, di dati ufficiali ce ne sono già : l’Ocse, nel suo Government at a glance 2011, ha già paragonato gli emolumenti dei dirigenti di sei ministeri in 18 paesi, e ha scoperto che quelli di prima fascia in Italia sono i più alti in assoluto, per quelli di seconda fascia siamo secondi solo agli Stati Uniti.
Quanto ai parlamenti, sappiamo che in Francia lo stipendio lordo di un deputato è di 7.100 euro, cui però si aggiungono 6.412 euro di spese di segreteria, 416 di telefono, oltre a facilitazioni per l’alloggio a Parigi e uno staff pagato per intero dal Parlamento.
In Germania, stipendio lordo di 7.668 euro, con una diaria di 3.984 e 1.000 di spese di segreteria.
Nessun onere previdenziale però, a differenza degli italiani, per i vitalizi.
In Gran Bretagna, 6.350 euro di indennità lorda, 1.922 di diaria, 2.236 di spese di segreteria.
I rimborsi non sono forfettari, ma dietro presentazione di ricevuta (che se è quella di un filmino hard, quanto meno porta alle dimissioni).
Il bello è che i “commons” non hanno il taxi rimborsato prima delle 23, possono giusto farsi ripagare le tessere di autobus e metropolitana.
In Italia, lo stipendio lordo di un deputato è di 11.703 euro, cui si aggiungono diaria e rimborsi vari.
Il totale lordo arriva a 20mila euro, ma è il deputato che deve pagarsi iniziative sul territorio, portaborse, oltre che ovviamente le tasse, le ritenute e i contributi previdenziali. Ci sono però altri privilegi per il presidente della Camera, i suoi vice, i questori e i presidenti di commissione: dalle auto blu all’aumento delle indennità , da 800 a 5.000 euro in più.
(da “La Repubblica”)
argomento: la casta, Parlamento | Commenta »
Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
UNA RASSEGNA IMPIETOSA DI ECLATANTI CASI DI RACCOMANDAZIONI IN UFFICI PUBBLICI E RUOLI DIRIGENZIALI: LA MEDIOCRITA’ AL POTERE, MENTRE L’ITALIA AFFONDA
L’Italia degli Scurriculum, di quei tanti personaggi che pur non avendo titoli adeguati sono stati piazzati dalla politica a fare i manager di imprese pubbliche, di Asl, di istituti di ricerca statali o di municipalizzate, potrebbe riassumersi tutta nella trascrizione di un interrogatorio dell’inchiesta Tarantini, l’imprenditore delle escort di Arcore e delle mazzette sulle protesi.
Al pm Digeronimo l’ex direttore generale dalla Asl di Taranto racconta di aver incontrato un politico pugliese al pronto soccorso di Massafra. “Gli ho chiesto come mai fosse lì e fosse così preoccupato – fa mettere a verbale il direttore generale – e lui m’ha risposto che la figlia aveva avuto un incidente automobilistico. Allora l’ho rassicurato: guarda oggi dentro ci sta proprio il primario di ortopedia. E lui: è per questo che sono preoccupato, quello ce l’ho messo io là e so come ho fatto”.
Sembra una barzelletta, ma come in tante altre storie raccontate nel libro “Scurriculum, viaggio nella demeritocrazia”, è solo uno dei tanti esempi che dimostrano come l’Italia sia sempre più una Repubblica fondata sulla mediocrità , una “mediocracy”.
Cioè un sistema che seleziona e promuove scientificamente una classe dirigente di basso profilo che non è funzionale al Paese ma al partito. Al leader. Al segretario.
E’ proprio questo il filo conduttore di Scurriculum (Aliberti editore, oggi a Roma la presentazione – qui uno dei capitoli 1), il saggio appena scritto dal giornalista Paolo Casicci e da Alberto Fiorillo di Legambiente, con la prefazione di Gian Antonio Stella: mostrare come, a forza di spintarelle, raccomandazioni, tanti onesti gregari dall’esperienza professionale leggera e dalle amicizie pesanti, in virtù del tocco magico della politica, siano stati trasformati in straordinari manager e capitani d’impresa che hanno a che fare col domani del Paese e con l’oggi di tutti noi: con la salute, il trasporto pubblico, la spazzatura, la cultura, l’istruzione, il lavoro, l’ambiente…
Una corte di vassalli che ha l’unica funzione di soddisfare le esigenze del principe (e ovviamente le proprie) a scapito della collettività .
Come scrive Gian Antonio Stella nella prefazione, infatti, “da noi vige un sistema, ignobile e suicida, che mortifica i più bravi costringendoli spesso a regalare la loro intelligenza ai Paesi stranieri e premia al contrario quanti hanno in tasca la tessera giusta o il telefono del deputato giusto.
Un errore che ha infettato la società italiana rendendola sempre più debole e incapace di stare al passo di un mondo che cambia a velocità immensamente superiore alla nostra”.
E infatti via via Scurriculum dipana una galleria degli orrori: storie esemplari raccolte in altrettanti curricula, che spiegano come un ex calciatore dilettante o un insegnante di francese in pensione possano guidare due importanti enti di ricerca, come il dentista fidanzato con la Brambilla possa essere tra i boiardi che decidono le sorti della Formula1 a Monza, o come un cacciatore e un ultrà possono governare due aree protette, una nazionale e una regionale.
Dal mazzo si può pescare ancora la carriera di Massimo Zennaro, portavoce e direttore generale dell’ex ministero della Pubblica istruzione, Maria Stella Gelmini. L’uomo è famoso per avere inventato l’esistenza di un tunnel costruito tra il Cern in Svizzera e i laboratori del Gran Sasso, lungo il quale i neutrini avrebbero superato la velocità della luce.
Oggetto che gli è valso a lungo gli sfottò della Rete (e l’incredulità della stampa straniera).
Laureato in Scienze politiche, un precedente di semplice “comunicatore” al Comune di Milano, Zennaro scala il ministero praticamente senza curriculum.
Ed è ancora lì, dirigente all’istruzione, con il nuovo governo.
La conclusione degli autori?
“Ci resta la dignità della denuncia. O una moratoria contro i ‘figli di’”.
(da “La Repubblica”)
argomento: Costume, denuncia, la casta, Politica | Commenta »
Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
SEMPRE PIU’ ALLA RICERCA DI UNA INFORMAZIONE INDIPENDENTE… SIA IL TG RAI CHE MEDIASET PERDONO AUDIENCE A VANTAGGIO DEL WEB
Il Cda della Rai riunito è in seduta straordinaria. All’ordine del giorno: l’avvicendamento (anticipato) di Augusto Minzolini alla direzione del Tg1.
Rinviato a giudizio per peculato, a causa delle spese sostenute con la carta di credito aziendale. Un motivo, per la verità , strumentale.
La ragioni vere, infatti, sono altre.
Una fra tutte: la fine della stagione governata da Berlusconi, contrassegnata dall’intreccio fra televisione, politica e affari. Che ha tradotto il duopolio Rai-Mediaset nel monopolio MediaRai (o RaiSet, secondo i punti di vista).
Così il Tg1, da organo istituzionale, attento agli equilibri politici, si è trasformato nel portavoce del governo. Meglio: del suo premier.
Con effetti sensibili: sul piano degli ascolti (penalizzati anche per altri motivi), ma, soprattutto, della “in-credibilità “.
Una tendenza confermata dal sondaggio dall’Osservatorio di Demos-Coop pubblicato oggi.
La fiducia nel Tg1, presso il pubblico, infatti, oggi si ferma al 50 per cento: 3 punti in meno di un anno fa.
Ma nel 2007 (direttore Gianni Riotta) il Tg1 era considerato affidabile dal 69% degli italiani (intervistati).
Lo stesso livello, più o meno, del 2002. Insomma: un crollo. Subìto in meno di tre anni.
Lo affianca il Tg5, il cui grado di fiducia è intorno al 49%.
Cioè: 11 punti in meno del 2007.
Il declino della fiducia accomuna, dunque, gli emblemi dell’informazione a reti unificate. Sensibile agli interessi politici (e non solo) del governo. Colpisce, soprattutto, il Tg1. Pubblico, istituzionale. Tradizionalmente prudente e, comunque, non “fazioso”.
Nel 2007 appariva saldamente ancorato al “centro”.
I suoi estimatori si dividevano equamente tra elettori di maggioranza e opposizione.
In seguito è scivolato a centrodestra (oggi: 20 punti sopra il centrosinistra).
Ha “tradito” la sua missione.
Anche per questo il Tg1 è stato largamente superato, negli indici di fiducia, dal Tg3 (il più apprezzato) e perfino dal Tg2, i cui “pubblici” sono politicamente coerenti con l’identità dei notiziari.
La performance più rilevante, però, è stata realizzata dal Tg di La7.
Enrico Mentana ne ha fatto un notiziario prevalentemente dedito alla politica, quando gli altri imboccavano la strada della cronaca, soprattutto nera.
Per evitare argomenti scomodi (la crisi economica, soprattutto).
Inoltre, ha fatto informazione critica. Così, ha conquistato la fiducia del 52% degli italiani: 6 punti in più dell’anno scorso, ma 17 più del 2007.
Ha intercettato un pubblico soprattutto di centrosinistra, imponendosi come una sorta di Tg di “opposizione”, quando l’opposizione politica appariva afona.
Un marchio condiviso dall’intera rete, con esiti vantaggiosi.
“L’Infedele”, di Gad Lerner, è infatti il programma di approfondimento e dibattito politico che guadagna maggiormente negli ultimi anni.
Oggi si attesta al 39%: 6 punti in più dell’anno scorso, ma 13 rispetto al 2007.
Anche “Otto e mezzo”, condotto da Lilli Gruber, ha consolidato i consensi dell’anno scorso: 35%.
Cioè 10 punti in più del 2007, quand’era diretto da Giuliano Ferrara, meno affine all’orientamento politico del pubblico.
Il canale di riferimento per i programmi di dibattito politico e di inchiesta, tuttavia, resta la Terza rete.
“Ballarò”, condotto da Giovanni Floris, continua a primeggiare largamente (55% di fiducia). Seguito da “Report”, di Milena Gabanelli (48%).
Mentre “Porta a Porta”, di Bruno Vespa, e “Matrix”, di Alessio Vinci, collocati in seconda serata, stazionano più in basso intorno al 40%. Sostanzialmente stabili rispetto al 2010.
Lo stesso grado di fiducia attribuito a “Servizio Pubblico”, il nuovo programma di Michele Santoro.
Una base di credito molto ampia per un programma “senza rete” (di riferimento), dopo l’uscita (allontanamento?) da Rai 2.
Infine, resta alto il livello di gradimento e affidabilità riconosciuto ai pop-talk e ai programmi di satira. “Striscia la Notizia”, “Che tempo che fa”, “Le Iene”. Ma anche “Italialand”.
In generale, l’evoluzione del rapporto fra società e informazione, proposta dall’Osservatorio Demos-Coop, mostra alcune tendenze piuttosto chiare
1. La perdita di spazio della radio ma soprattutto dei giornali in edizione cartacea. Compensata dal ruolo assunto da internet, di cui si serve, quotidianamente, il 39% degli italiani (4 anni fa erano il 25%). Contribuiscono, a questo orientamento, i blog specializzati, ma soprattutto le edizioni online dei quotidiani che dispongono di un pubblico, in parte, specifico rispetto alle edizioni cartacee.
2. L’informazione via internet, peraltro, è ritenuta dagli italiani la più libera e, quindi, la più credibile.
3. L’affermarsi dei canali di informazione continua. Diffusi, fino a ieri, dalle reti satellitari, oggi anche da quelle digitali. È il caso di Sky Tg24 (la più equilibrata, per orientamento politico del pubblico). Ma anche di RaiNews 24. Queste reti godono di un grado di fiducia elevato, se si tiene conto dell’ampia quota di persone che ancora non le conoscono. E dispongono, inoltre, di un pubblico competente.
4. Il principale canale di informazione resta, tuttavia, la televisione, a cui accede, ogni giorno, l’84% della popolazione.
Gli italiani, dunque, si fidano poco della tv e per questo, ricorrono ad altri media e altri canali. Quasi tutti, però, continuano a “consultarla”.
Oltre un quarto di essi, peraltro, si informa “solo” attraverso la tv.
Si tratta, per lo più, di donne, anziani, pensionati, con livello di istruzione e ceto sociale medio basso.
Queste persone trascorrono davanti allo schermo oltre 4 ore della loro giornata.
Oltre ai tg, seguono assiduamente i programmi pomeridiani, che ricostruiscono la “vita” e, soprattutto, la morte “in diretta”. Sono politicamente incerti, distaccati. E per questo, strategici dal punto di vista elettorale.
La televisione resta, dunque, uno spazio importante per la formazione dell’opinione pubblica. Nonostante 4 persone su 5 non la ritengano uno spazio “libero e indipendente”.
E quasi 3 su 4 dubitino che la fine del governo Berlusconi restituisca un sistema radiotelevisivo più aperto e trasparente.
Gli italiani, cioè, dubitano che il “berlusconismo” sia davvero finito. Uno scetticismo fondato.
Se si pensa all’assegnazione “gratuita” (e senza gara di appalto) a Rai e Mediaset delle nuove frequenze digitali, prevista dal precedente governo. Una scelta che, se confermata, rafforzerebbe il monopolio MediaRai.
E indebolirebbe ancora la fiducia nel sistema radiotelevisivo. Questo squilibrio: rende in-credibile l’informazione del servizio pubblico. Va risolto in fretta.
argomento: RAI | Commenta »
Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
DECINE DI ASSOCIAZIONI, SPESSO LEGATE AI POLITICI, HANNO RICEVUTO COMPLESSIVAMENTE DA FINMECCANICA UN MILIONE E 856 MILA EURO
L’elenco è stato consegnato da Lorenzo Borgogni ai pm napoletani Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock, che indagano su un filone diverso: la presunta corruzione internazionale all’ombra delle commesse estere del colosso della difesa.
I rumors sulla lista sono montati ancor di più dopo le dichiarazioni, rilasciate al Fatto e rilanciate recentemente in tv, di Aldo Di Biagio, un finiano eletto nel 2008 con il Pdl, che ha confidato di avere ricevuto un’offerta da parte di un collega che gli proponeva — in cambio dell’abbandono di Fini – una donazione di
Finmeccanica per una sua fondazione.
Un racconto ovviamente tutto da riscontrare.
La lista consegnata ai pm napoletani ci dice che i contributi e le sponsorizzazioni alle fondazioni dei politici esistono ma sono di importi minori e bisogna evitare le generalizzazioni.
Accanto a fondazioni e giornali sconosciuti ci sono nomi di associazioni e riviste prestigiose come l’Accademia dei Lincei, Limes e Micromega. Molte fondazioni poi vantano una missione (magari non condivisibile) e una storia decennale.
Spesso sono guidate e presiedute dagli stessi nomi illustri come Gianni Letta e Giuliano Amato o Giulio Tremonti.
Gli importi possono far sorridere rispetto al fatturato di Finmeccanica, eppure la lista è utile per disegnare la mappa delle relazioni e la lobby del gruppo.
E forse anche per dare un senso all’incredibile tenuta del duo Guarguaglini-Borgogni nonostante le inchieste.
L’elenco è composto di quattro tabelle e comprende le spese per le associazioni (per un totale di 474 mila euro); le spese promozionali per la pubblicità sulle testate più diverse, per un totale di 668 mila euro, i progetti condivisi con la stampa per 469 mila euro e infine le sponsorizzazioni per gli eventi per 245 mila euro.
Nella prima tabella, quella dei soldi alle associazioni, non poteva mancare un contributo di 25 mila euro alla famigerata Trilateral commission, della quale fanno parte pochi italiani (da Mario Monti e Pierfrancesco Guarguaglini, da Marco Tronchetti Provera a Enrico Letta) al centro di molte teorie complottistiche.
Un altro think tank atlantico, l’Istituto per gli Affari Internazionali di Stefano Silvestri, ha ottenuto 26 mila euro; all’Aspen Institute, presieduto da Giulio Tremonti e che aveva come segretario il futuro membro del Governo Monti, Marta Dassù, sono andati 35 mila euro più 12 mila e 500 impegnati per la rivista Aspenia.
Alla prestigiosa Accademia dei Lincei sono andati solo 5 mila euro mentre l’Associazione amici del Gonfalone ha potuto contare su 20 mila euro più altri 40 mila per la pubblicità .
Chissà se c’entra la presenza nel suo comitato direttivo di Lorenzo Borgogni, ancora oggi sul sito internet accanto all’ingegnere della Cricca: Angelo Balducci.
Civita, associazione bipartisan con presidente Antonio Maccanico e presidente onorario Gianni Letta, ha ricevuto 22 mila euro
Meno nota la Fondazione Foedus di Mario Baccini alla quale, da budget 2011, dovrebbero andare ben 25 mila euro.
Speriamo servano a rilanciare la sua attività che — almeno stando al sito è da anni in fase di stanca. Al Comitato Leonardo che ha premiato nel 2008 Pierfrancesco Guarguaglini, l’ingrata Finmeccanica ha destinato solo 2mila e 500 euro.
Poi ci sono 20 mila euro per il Comitato Atlantico Italiano che “svolge da oltre cinquanta anni attività di studio sui temi di politica estera… relativi all’Alleanza Atlantica” e che è presieduto da Enrico La Loggia del Pdl.
Altri 25 mila euro sono andati al Centro Studi Americani, presieduto da Giuliano Amato e la stessa cifra è andata alla Fondazione Magna Carta del vicepresidente del gruppo del Pdl al senato Gaetano Quagliarello.
Le sponsorizzazioni sono molte di meno ma più ricche.
Per il Cestudis, Centro Studi sicurezza diretto dal parlamentare del Pdl ed ex generale Luigi Ramponi, Finmeccanica ha messo a budget 40 mila euro.
Altri 70 mila sono andati al Bogheri Melody 2011, che si è tenuto questa estate nel borgo natio di Guarguaglini, Castagneto Carducci.
Tra le pubblicità (già oggetto di un precedente articolo del Fatto) spunta l’immancabile rivista della Fondazione presieduta da Massimo D’Alema, Italianieuropei, con un budget stanziato nell’era Borgogni-Guarguaglini pari a 50 mila euro; meno degli 83 mila euro destinati a Specchio economico e ai 110 mila euro previsti per E’Italiausa, una pubblicazione semisconosciuta fondamentale per Finmeccanica: riceve lo stanziamento più grande ed è edita dalla Italplanet di Domenico Calabria.
Alla rivista delle Formiche, fondata da Marco Follini, vanno 30 mila euro.
A Limes vanno 27 mila e a Micromega 12 mila euro.
Nella lista troviamo anche Tempi di Luigi Amicone (10 mila euro), l’andreottiano Trenta giorni (18 mila euro) e persino San Francesco Patrono d’Italia, con 50 mila euro.
Tra i progetti condivisi, a spese di Finmeccanica, si segnala invece l’Arel, che ha come segretario generale Enrico Letta, con un budget di 10 mila e 500 euro e Il Riformista, quotidiano diretto da Emanuele Macaluso e vicino al Pd, con 45 mila euro.
C’è anche Astrid, presieduta dall’ex ministro di centrosinistra Franco Bassanini con un misero stanziamento di 5mila.
Mentre più consistente (60mila euro) è la cifra impegnata a budget per il progetto comune con la società So.Ge.Si., della moglie di Luigi Martini, presidente Enav, ex parlamentare di An, indagato nel caso Finmeccanica a Roma proprio insieme a Lorenzo Borgogni.
Per altri progetti comuni.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Costume, denuncia, economia, governo, la casta, radici e valori, sprechi | Commenta »
Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
“NON BUTTATE NEI RIFIUTI I LEGHISTI, POSSONO ANCORA VALERE QUALCOSA”: DA SOTHEBY BATTUTO UN ROBERTO MARONI…LA BASE LEGHISTA COMMENTA: “L’AVETE BATTUTO TROPPO POCO”… ROSI MAURO ESPOSTA AL MOMA DI NEW YORK: DUE VISITATORI COLTI DA INFARTO… CALANO LE QUOTAZIONI DI BOSSI: IL RESTAURO COSTA TROPPO
Va a ruba nei mercatini dell’antiquariato.
Per trovarla si setacciano le soffitte e le cantine dei nonni e con lei i rigattieri fanno affari d’oro. E’ la Lega Nord, l’ultima frontiera degli oggetti in disuso che fanno arredamento e ricordano i tempi andati, l’ultima trovata del brocantage.
“Io ho messo Calderoli sul caminetto — dice un arredatore di Milano — e, a parte il fatto che ogni tanto dice una puttanata, sta tanto bene con la tappezzeria. Oltretutto la testa è in legno massello, se cade non si rompe”.
Data la moda, ovviamente i prezzi sono schizzati alle stelle.
Borghezio che teorizza l’unione della Padania con la Baviera e la Svizzera vale ormai tra i 35 e i 40 euro e viene consegnato in tranci surgelati.
La Lega è passata in due settimane da forza politica che esprimeva ben tre ministri a fenomeno etnico folcloristico, l’ideale per chi si è stufato dei pittoreschi comodini cinesi in bambù.
Il Natale imminente, poi, ha fatto il resto e si è verificato un boom di richieste: per avere Renzo Bossi nel presepe vivente si è scatenata una gara tra vari comuni del Nord.
Nei comuni del Sud, invece, i leghisti continuano ad apprezzarli di più appesi all’albero.
Ormai è una febbre.
Da Sotheby’s è stato battuto un Roberto Maroni per la bellezza di 3.500 euro, 500 per il bell’esemplare ben conservato e 3.000 per gli occhialini da pirla.
Se l’è aggiudicato un collezionista di Como, che lo metterà in giardino per spaventare i passeri. Molto richiesto anche Roberto Castelli.
Una volta ceramicato con le braccia tese è stato trasformato in un pittoresco appendiabiti, vanto di un noto ristorante pugliese di Verona.
Della Lega Nord si occupano ormai solo archeologi della politica e collezionisti d’arte contemporanea: Rosi Mauro sembra un’opera di Cattelan, e tra l’altro nemmeno delle più brutte.
Il pezzo forte rimane.
Alessandro Robecchi
(da “Misfatto“)
argomento: Bossi, LegaNord | Commenta »
Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
UOMO VICINO A PREVITI, HA FATTO ASSUMERE MEZZA PARENTELA CON VARIE QUALIFICHE: NEI RUOLI CHIAVE DELLA TV PUBBLICA GLI UOMINI DEL CAVALIERE DETTANO ANCORA LEGGE
Non solo Minzo. Alla vigilia della soluzione del “caso Tg1“, in Rai si fanno nuovamente i conti di quanto i costi della politica abbiano gravato, negli anni, sui bilanci dell’azienda. Minzolini — è noto — resterà in Rai nonostante il “licenziamento” dalla poltrona più alta del Tg1 perchè è stato assunto con la qualifica di caporedattore con funzioni di direttore, dunque non può essere allontanato dall’azienda come lo sarebbe stato se avesse avuto, invece, il contratto da direttore e basta.
La Rai, quindi, si terrà Minzolini fino alla pensione, a 550 mila euro l’anno più benefit.
Ma il “direttorissimo”, come lo ha sempre chiamato il Cavaliere, in fondo è solo la punta dell’iceberg.
Sono anni che i berlusconiani in Rai gravano in modo pesantissimo sui bilanci aziendali. Ce n’è uno che vale più di cento, in particolare, ed è ormai prossimo alla pensione, ma con speranze di rientrare direttamente al settimo piano di viale Mazzini come consigliere del prossimo cda.
E’ Gianfranco Comanducci, vice direttore generale per gli acquisti e lo sviluppo commerciale, uomo di Previti in Rai, che nel corso degli anni non solo ha “blindato” contrattualmente ed economicamente i “famigli” del Cavaliere in azienda, ma ha anche provveduto mettere al sicuro se stesso e i suoi affetti più cari, dalla moglie fino alla tata della figlia.
Ebbene, Comanducci (assunto in Rai come annunciatore, più volte sull’orlo del licenziamento per il modo disinvolto con cui ha sempre svolto il suo mestiere fin dagli esordi) ha scalato i vertici Rai solo per meriti politici.
Il momento più alto del suo “mandato” è stato durante l’era della direzione generale di Flavio Cattaneo (2003 al 2006) quando, come direttore Risorse Umane, mise a posto un sacco di posizioni di amici. E anche familiari.
Stiamo parlando di una vera “dinasty” Rai che si è dipanata nel corso degli anni, sotto gli occhi di tutti ma senza che nessuno in Rai gridasse allo scandalo.
Ora, però, visti i conti sempre più magri dell’azienda, pare che il clima intorno a questi potentati stia cambiando.
Comanducci, dunque. Si parte dalla moglie, Anna Maria Callini, nominata dirigente in azienda nonostante il parere contrario dell’allora direttore generale Claudio Cappon.
Si passa per la cognata (sorella della moglie, Ida Callini), promossa funzionario proprio dell’uffico Risorse Umane, da pochi mesi in pensione, e per il cognato della moglie (Claudio Callini) assunto come tecnico e poi passato in un batter d’occhio a cineoperatore giornalista a tutti gli effetti; un salto di retribuzione di oltre il 40 per cento.
E si arriva alla nipote (figlia della sorella), che per superare una regola Rai che blocca l’assunzione ai figli dei dipendenti, è stata presa nella consociata per la pubblicità Sipra. Dove — e qui si tocca veramente il punto più alto — c’è stata una new entry davvero fenomenale: alla direzione Sipra è stata presa anche una signora di buone speranze (Barbara Palmieri).
Che non aveva particolari qualità se non quella di essere stata la “tata” della figlia.
Comanducci, insomma, è un vicedirettore generale Rai che negli anni ha saputo ottimizzare nel modo “migliore” il proprio potere di fonte politica in azienda.
Padrone indiscusso anche del “Circolo sportivo dei dipendenti Rai”, un gioiello sul Tevere, che ha trasformato in un luogo quasi esclusivo.
Poco prima che Cattaneo lasciasse la Rai, Comanducci provvide a blindare (economicamente) le posizioni di alcuni degli uomini che più tardi sarebbero stati al centro di un’indagine della magistratura di Napoli, quella in cui era coinvolto anche l’ex direttore generale Agostino Saccà .
Si tratta del gruppo di persone poi ribattezzati dalla stampa “struttura Delta”, che è stata smantellata, ma solo in apparenza.
Ebbene, nel 2005 Flavio Cattaneo lasciò viale Mazzini per diventare amministratore delegato di Terna, poco prima della vittoria di Prodi alle elezioni del 2006.
Ad un passo dall’uscio della direzione generale Rai, Comanducci fece firmare a Cattaneo una serie di lettere indirizzate a Clemente Mimun, allora direttore del Tg1, Fabrizio Del Noce, Debora Bergamini, Francesco Pionati e Carlo Nardello.
Nelle lettere c’era scritto che, in caso di “cambio di ruolo” all’interno dell’azienda (un passaggio di direzione o altro, per intendersi), quest’ultima avrebbe dovuto pagare a ciascuno di loro, a titolo “di indennizzo”, ben 36 mensilità , tre anni di stipendio.
Cifre, ovviamente, molto alte considerati i livelli di stipendio dei dirigenti in questione, che avrebbero reso — questa era l’obiettivo di Comanducci su ordine di Berlusconi — inamovibili gli “uomini Delta” all’interno di strutture chiave come, appunto, il Tg1 oppure la fiction (Del Noce) o il marketing strategico (Bergamini).
Con le elezioni, Pionati e Bergamini sono finiti in Parlamento, Del Noce è ancora alla fiction, Nardello è stato nominato solo pochi giorni fa allo Sviluppo Strategico ed è il dirigente più pagato della Rai (la Corte dei Conti ha minacciato di comminare multe all’azienda se non fosse stato ricollocato dopo la chiusura di Raitrade, dove era amministratore delegato).
Quanto a Clemente Mimun, prima di lasciare la Rai per Mediaset, il direttore del Tg5 fece valere la lettera firmata da Cattaneo, ma il nuovo direttore generale Cappon si rifiutò di riconoscerla, tanto che è ancora in corso un contenzionso tra Rai e Mimun dove “ballano” più di due milioni di euro.
Tirando le somme, la Rai negli anni ha fatto fronte ad esborsi economici pazzeschi per coprire veri e propri “mandarinati” di stretta osservanza politica, ma soprattutto per pagare dirigenti che mai, neanche per caso, hanno perseguito il bene aziendale ma solo ed esclusivamente il proprio tornaconto personale e del proprio dante causa nel Palazzo. Minzolini, quindi, è solo l’ultimo di una lunga serie.
Ma anche lui, come gli altri, resterà in Rai fino alla pensione.
A meno non sia la Rai, stavolta, a chiudere i battenti prima di quel tempo.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: RAI | Commenta »
Dicembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
PENSIONI PAGATE CASH FINO A 980 EURO… OGNI SCONTO COMPORTERA’ UN AUMENTO DELLE TASSE O TAGLI IN ALTRI SETTORI
Su almeno due fronti la manovra dovrebbe essere emendabile: i limiti alla indicizzazione delle pensioni e il peso dell’Imu sulla prima casa, due misure che anche il governo sarebbe disposto ad ammorbidire.
Modifiche condivise, ma costose.
Per garantirle a parità di saldo si dovranno quindi recuperare coperture per 5 miliardi di euro. La discussione fra governo e maggioranza sul cosa cambiare e come finanziare è proseguita per tutta la giornata e la notte di ieri: oggi comunque le Commissioni dovrebbero dare il via libera al testo che passerà domani in Aula.
Fra le modifiche sicure, anche perchè non richiede copertura, l’innalzamento per i pagamenti “cash” della pubblica amministrazione che permetterebbe ai pensionati di ritirare l’assegno senza dover aprire un conto corrente (il limite passerebbe da 500 a 980 euro).
Resta in ballo la rivalutazione delle pensioni fino a 1400 euro – e l’indicizzazione non sarebbe totale per tutti – e l’aumento delle detrazioni per l’Imu, che nei piani del governo favorirebbe però solo le famiglie numerose a reddito basso.
Ma ad ogni modifica del testo dovrà corrispondere una copertura: fra gli interventi più probabili quello sullo scudo fiscale e sull’imposta di bollo.
La previdenza
Due opzioni sull’indicizzazione totale o parziale, ma con tetti diversi
Per i sindacati si tratta di una modifica “irrinunciabile”: l’indicizzazione delle pensioni, ora prevista solo per gli assegni non superiori ai 936 euro (due volte tanto la pensione minima), deve essere riconosciuta ad una platea più vasta.
Per chi supera il tetto, secondo quanto ora fissato dalla manovra Monti, nei prossimi due anni non ci sarà la rivalutazione in base al costo della vita.
La correzione di cui si sta parlando prevede due ipotesi, diverse a seconda della copertura assicurata.
La prima alzerebbe il limite ai 1.400 euro (tre volte tanto la pensione sociale), garantendo però – per gli assegni dai 936 ai 1400 euro – una indicizzazione parziale (del 50 o 70 per cento); la seconda porterebbe invece il tetto ai 1.170 euro (corrispondenti a 2,5 volte la pensione minima) ma permetterebbe, entro questo limite, una rivalutazione dell’assegno al cento per cento.
L’imposta sulla prima casa alleggerita in base a reddito e figli
Alleggerire la pressione sulla prima casa: è l’altra correzione al decreto alla quale il governo sta dando la precedenza. Sotto accusa è il peso dell’Imu, l’imposta municipale unica già prevista dal federalismo e che il decreto ha ribattezzato come Imp, imposta propria, anticipandola al 2012. Il maxiemendamento dovrebbe prevedere un potenziamento della detrazione: ora è di 200 euro e potrebbe arrivare ai 350-400.
Lo sconto, comunque, non sarebbe garantito a tutti i titolari di una prima casa, ma andrebbe a beneficio solo delle famiglie numerose con redditi bassi.
I tecnici del governo stanno infatti calcolando il ritocco basandosi sull’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente del proprietario, che incrocia il reddito con la composizione del nucleo familiare.
Di fatto, così facendo, ne risulterebbero avvantaggiate soprattutto le famiglie con più di due figlie e con un reddito basso.
Il contante
Sale il limite per i pagamenti dalle banche conti a costo zero
Il decreto Monti limita l’uso del contante ai 1000 euro, ma per i pagamenti della pubblica amministrazione il tetto scende a 500.
Oltre tali somme il passaggio di denaro deve risultare tracciato: la norma costringerebbe molti pensionati – per ritirare un assegno anche di poco superiore a quella cifra – ad aprire un conto corrente e sopportarne i costi.
La soluzione su questo punto è già stata individuata, il governo ha dato via libera all’emendamento: il tetto del cash pagabile dallo Stato sarà innalzato a 980 euro.
Possibili interventi anche sulle commissioni di spesa, punto sul quale è arrivata un’apertura dell’Abi. “Le banche sono disponibili a ragionare su un conto corrente a zero spese per i pensionati al minimo e sui costi delle carte di credito” ha detto il presidente Mussari.
Lo scudo fiscale
Una tassa del 3% sui capitali rientrati o l’acquisto di Btp con mini-rendimento
Rivedere le aliquote da far pagare a chi ha fatto rientrare in patria dall’estero capitali scudati, ovvero protetti da un vantaggio fiscale: è questa la norma sulla quale si sta lavorando al fine di trovare la copertura alle modifiche su pensioni e Imu.
La manovra oggi introduce una tassa una tantum dell’1,5 per cento da far pagare a chi ha utilizzato i tre “scudi” varati a suo tempo da Tremonti.
Troppo poco, avevano protestato da più parti, molto probabile, quindi, l’arrivo di un ritocco.
Le alternative sono due: a chi ha rimpatriato e regolarizzato capitali ed immobili cavandosela con esborsi ridotti potrebbe ora essere chiesto di versare una tassa non più dell’1,5, ma del 3 per cento, oppure di sottoscrivere Btp decennali per lo stesso valore del capitale scudato con tassi d’interesse del 2,5-3 per cento.
Chi non accetterebbe una delle due alternative perderebbe l’anonimato.
Il risparmio
Imposta di bollo sui titoli più alta una chance per reperire risorse
Capitali freschi da reperire aumentando l’imposta di bollo: questa è l’altra strada che il governo sta pensando di percorrere per finanziare le correzioni che ritiene di dover fare alla manovra.
Il decreto “salva Italia” ha già esteso l’imposta di bollo a tutti gli strumenti finanziari, anche a quelli non soggetti a obbligo di deposito titoli (praticamente ne risultano esclusi solo i fondi pensione e quelli sanitari), prevedendo un minimo di 34,2 euro e un massimo di 1.200.
Il prelievo è attualmente definito in misura proporzionale al valore degli strumenti finanziari detenuti: si versa lo 0,1 per cento per il 2012, che diventa 0,15 nel 2013.
La misura così definita garantisce un maggiore gettito per un miliardo nel 2012 e 921 nel 2013. Visto l’ampliamento della base imponibile si era parlato di “piccola patrimoniale”, ora da questa voce si vorrebbe ricavare di più.
Ici-Chiesa e frequenze tv in salita
Verso il prelievo sulle pensioni d’oro
Come copertura è fra le più avverse al Pdl, ma fra i possibili interventi sul tavolo, c’è anche l’ipotesi di un possibile aumento dal 43 al 46 per cento a carico dello scaglione Irpef più alto (oltre i 75 mila euro di reddito): la strada resta comunque difficile ad percorrere per via della forte opposizione degli uomini di Berlusconi. In piedi resta anche la possibilità di contributo di solidarietà da chiedere alla pensioni d’oro e un ulteriore ritocco ai contributi previdenziali a carico dei lavoratori autonomi, mentre sembrerebbe tramontata l’ipotesi di togliere l’esenzione Ici per le attività commerciali degli enti ecclesiastici.
Grande incertezza anche sulle vendite delle frequenze tivù, anche se dall’asta si potrebbero ricavare due miliardi: il Pd non la vuole escludere, ma per il Pdl la strada è impraticabile.
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
argomento: economia, governo, Monti | Commenta »