Dicembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
ARRIVA LA SUPER-ICI CON UNA FORTE RIVALUTAZIONE DELLE RENDITE CATASTALI PARI AL 15-20%
Super Ici, soglia del contante a 500 euro e aumento dell’ Iva per finanziare la detassazione di lavoratori e imprese.
Ma c’è anche l’idea, per ora anticipata a titolo personale dal ministro del Welfare, Elsa Fornero, di introdurre in futuro il reddito minimo garantito, come strumento contro la povertà : «è una direzione verso cui l’esecutivo lavorerà ».
Dopo il «no» secco dei sindacati sulle pensioni il governo riapre la partita della manovra a tempo di record: tra sabato e domenica Mario Monti vedrà parti sociali.
A giocare all’attacco ieri è stato il ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera: «Stiamo rischiando sicuramente di rientrare in recessione», ha detto parlando alla Confcommercio ed ha assicurato che saranno varati provvedimenti in grado di «suddividere sacrifici e benefici».
Ed è proprio il tema del rilancio dell’economia e del potere d’acquisto che ieri ha preso corpo.
L’aumento dell’Iva, probabilmente di 2 punti, dal 21 al 23% potrebbe essere utilizzato per un taglio delle tasse ai lavoratori dipendenti: un aumento delle detrazioni Irpef per i redditi più bassi o un bonus sulle tredicesime; parte delle risorse andrebbe anche alla diminuzione del cuneo fiscale a favore delle aziende con tagli alla parte dell’imponibile Irap costituita dal costo del lavoro.
Mentre si studia questa ipotesi si definisce anche l’intervento sulla casa. Probabilmente si rinuncerà ad una vera e propria patrimoniale, ma si sceglierà la strada di una SuperIci o SuperImu: si tornerà a pagare la tassa sulla prima abitazione, si aumenteranno le rendite catastali del 15-20%.
Tutto il meccanismo sarà tuttavia modulato in base ai redditi, al numero delle case o alle situazioni familiari in modo da tutelare le fasce più basse.
L’altro ambito di azione è quello della lotta all’evasione.
Uno degli strumenti che il governo metterà in campo è quello dell’abbassamento della soglia al di sotto della quale sarà consentito pagare in contanti: si parla di 500 euro, ma si studiano anche misure più radicali (100 o 200).
La manovra, tesa a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, continua ad aggirarsi intorno ai 20-25 miliardi (ieri i dati del fabbisogno fino a novembre hanno fatto registrare un miglioramento di 8,6 miliardi), sarà varata lunedì con tutta probabilità con un disegno di legge.
L’obiettivo è di farla approvare dl Parlamento in tempi record: il provvedimento dovrebbe arrivare il giorno stesso in Commissione Bilancio della Camera per essere approvato dall’aula tra il 12 e il 15 dicembre.
Prende corpo anche il pacchetto liberalizzazioni che investirà più settori: dal commercio, alle professioni, alle farmacie.
Resta in piedi naturalmente l’intero apparato dei tagli e della spending review cui stanno lavorando al Tesoro: colpi di forbice si prevedono anche per Forze armate per le quali il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ha annunciato una cura dimagrante rispetto ai 190 mila effettivi e una vendita di immobili e caserme.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
NECESSARI 41-43 ANNI DI LAVORO PER POTER LASCIARE OPPURE SI AUMENTANO LE QUOTE…PREVISTO UN PAIO DI PUNTI DI AUMENTO PER LE ALIQUOTE DEGLI AUTONOMI
La riforma-Fornero è pronta. Il neo ministro del Lavoro ha annunciato ieri a Bruxelles che lunedì il Consiglio dei ministri dovrebbe varare un pacchetto organico di interventi sulla previdenza.
Ci sarà l’estensione a tutti del sistema contributivo nella forma pro-rata per il calcolo della pensione e l’accelerazione dell’innalzamento dell’età pensionabile delle donne dipendenti del privato, che dovrebbe passare già dal 2012 da 60 a 63 anni per poi agganciarsi a quella degli uomini già nel 2018 e non più nel 2026.
Aumenteranno di un paio di punti percentuali i contributi a carico dei lavoratori autonomi attualmente intorno al 20-21 per cento.
Ci sarà il blocco – anche se i dettagli devono ancora essere definiti – dell’adeguamento degli assegni (con l’esclusione di quelli al minimo) alla dinamica dell’inflazione dal quale arriveranno quasi 5 miliardi di euro.
Il ministro punta al superamento delle pensioni di anzianità , ma questo è anche il capitolo non ancora chiuso.
C’è l’opposizione di tutti i sindacati e di una parte del Pd, mentre il Pdl e l’Udc potrebbero essere a favore.
La soluzione più hard, sulla quale si sono concentrati i tecnici del governo, è quella di prevedere per tutti un’unica soglia di età contributiva a 41-43 anni per andare in pensione, con l’esclusione di coloro che hanno raggiunto 63 anni senza avere però quella anzianità contributiva: a loro verrebbe concesso di lasciare il lavoro, ma con una penalizzazione.
In questo modo l’età di uscita tenderebbe a coincidere con quella della pensione di vecchiaia.
Se dovesse passare questa ipotesi, salterebbe il meccanismo delle quote che associa l’età con gli anni di contribuzione (fino alla fine del 2012 vale quota 96).
In alternativa potrebbe esserci un innalzamento immediato delle quote, per esempio a livello “100”.
Resta il fatto che la Fornero ha sempre criticato soluzioni a metà che coincidono sostanzialmente con dei rinvii. Meglio interventi organici che unifichino le regole e non distinguano tra generazioni.
“Faremo una riforma incisiva – ha infatti detto – ma che rispetti il criterio di equità tra generazioni”. Quello delle pensioni di anzianità , come tante altre volte nel passato (l’ultima con la Lega nel governo Berlusconi) sarà comunque il terreno dello scontro. Ieri il leader della Cgil, Susanna Camusso, ha ripetuto che “il 40 resta un numero magico”.
Un tetto invalicabile anche per Cisl e Uil. E va detto che ormai i due terzi delle uscite per anzianità avvengono attraverso il canale dei 40 anni di versamenti contributivi. Nel 2010 – dati dell’Inps – su oltre 174 mila pensionati per anzianità , 116 mila avevano 40 anni di contributi.
Sono destinate a saltare anche le cosiddette “finestre mobili” per lasciare il lavoro che, nei fatti, sono servite a far slittare, di un anno per i lavoratori dipendenti e di un anno e mezzo per gli autonomi, l’accesso alla quiescenza.
Un allungamento della permanenza al lavoro che, tra l’altro, non ha alcun effetto positivo sull’importo del futuro assegno. Pare sia ormai fuori dal menù l’ipotesi di anticipare dal prossimo anno e non più dal 2013, come previsto, il meccanismo che fa crescere l’età pensionabile con l’aumento della speranza di vita.
A partire dal primo gennaio del 2013 l’incremento sarà di tre mesi.
Subito dopo le pensioni, il ministro Fornero ha annunciato che aprirà il capitolo mercato del lavoro, con attenzione in particolare alle donne e ai giovani.
E, per quanto a titolo personale, ha voluto dire che punta pure all’introduzione del reddito minimo garantito.
Sferzante il commento del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: “Mi pare un tema ripescato da pubblicazioni degli anni ’70. Non so a chi serve, forse serve a mandare un messaggio a chi vuole essere suggestionato. Parliamo invece di pensioni e non lanciamo messaggi subliminali. Lasciamo il reddito minimo garantito a quando avremo più soldi”.
Roberto Mania
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DI NAN NON HA VOTI, MA GLI ARRIVANO I RINFORZI DA UN ALTRO PARTITO… GLI ISCRITTI PASSANO IMPROVVISAMENTE DA MENO DI 500 A 900 CON UN COLPO DI TEATRO: IL CONGRESSO VIENE INDETTO PER IL 18 DICEMBRE, MA NON SI UFFICIALIZZA PER LASCIARE A QUALCUNO UNA SETTIMANA DI TEMPO PER INTEGRARE L’ELENCO CON I NOMINATIVI FORNITI DAL PARTITO SUBAPPALTANTE E SPARISCONO GLI ELENCHI DI VARI CIRCOLI
Qualcuno parla di congresso farsa, altri di palesi irregolarità , noi ci limitiamo a esporre fatti provati e documentati.
Lunedi la sen. Barbara Contini incontra a Roma Fini, dopo la nota polemica seguita alla visita a Genova del presidente di Fli, di cui abbiamo ampiamente trattato.
La soluzione trovata è la seguente: la Contini non sarà più commissario per la prov. di Genova fino a dopo le elezioni comunali, come era stato previsto in passato, ma solo ancora per pochi giorni.
Viene indetto infatti il congresso prov. per il 18 dicembre e la Contini tre giorni prima cesserà di avere quel ruolo.
Badate la finezza: in modo che il congresso lo possa presiedere un fedele di Nan e non lei.
Qualcuno si chiederà : perchè Fini ha deciso per il Congresso?
Risposta: dato che non può decidere, almeno si toglie dall’impiccio.
Chiunque sia eletto, un domani potrà dire che è stato democraticamente scelto dagli iscritti e nessuno potrà accusarlo di avere un’idea in proposito.
Martedi è uscito un comunicato stampa Fli da leggere attentamente:
“Il coordinatore nazionale di Futuro e Libertà per l’Italia, Roberto Menia, d’intesa con la senatrice Barbara Contini, commissario del partito a Genova, ha stabilito che il congresso provinciale di Genova si terrà il prossimo 18 dicembre. Il congresso verrà formalmente indetto nella prossima seduta della segreteria generale dei congressi”.
La frase finale è la chiave di lettura: indetto ma non formalmente.
La spiegazione sta nel’ Art 5 del Regolamento dei Congressi provinciali:
“Nel Congresso prov. hanno diritto di elettorato attivo e passivo tutti gli iscritti della provincia compresi negli elenchi ufficiali degli iscritti approvati dal competente settore nazionale del partito alla data di autorizzazione del congresso da parte della Segreteria Generale dei Congressi”.
Ovvero se valesse la data in cui è stato indetto con comunicarto stampa si sarebbe congelato il tesseramento a quel momento, in questo modo invece è stato deciso di concedere una deroga fino all’8 dicembre (sono state pure inviate mail in tal senso).
Permettendo di fatto il taroccamento e il subappalto che andremo a spiegare.
Pochi giorni fa infatti la Contini ha potuto verificare, sulla base dei tabulati ufficiali, che gli iscritti genovesi registrati a Roma era sempre fermi a circa 450 persone.
Poche rispetto al minimo delle 880 richieste per poter indire un congresso.
Tra i 450 iscritti erano considerati pure i dimissionari, congelati da Roma: senza quelli si sarebbe precipitati sotto quota 200.
I voti certi su cui poteva contare Nan, a detta di molti, erano 12 più quelli del misterioso circolo dell’amico di Mamone, Piero Malatesti ( forse una ventina).
Circa 120 facevano riferimento al cons. comunale Murolo, altri definiti non attribuibili.
Ma state certi che in queste ore qualcuno farà pervenire un bonifico di 4.000 euro a fronte di 400 nuovi iscritti, stessa scena (con 80 nuovi iscritti) verificatasi a la Spezia domenica scorsa.
Stessa provenienza, attraverso la cessione di una quota di sovranità di Fli a un altro partito, “Gente d’Italia” che in Liguria assume il nome di “Gente di Liguria”.
Partito che si è presentato alle scorse regionali raggiungendo una percentuale da prefisso telefonico e che appoggiò il candidato del Pd.
Partito che raccoglie adesioni tra i camionisti, improvvisamente convertiti sulla via di Nocera Umbra, intesa come strada provinciale probabilmente.
Con tanto di presentazione a Roma del loro leader e accordo locale con Nan che, in cambio del loro appoggio, avfrebbe promesso un buon collegio al loro rappresentante.
In attesa che venga formalizzato l’arrivo del camion di tarocchi, definito “soccorso arancione” tra gli addetti ai lavori, segnaliamo un’altra piccola chicca.
Sono attualmente spariti dagli elenchi romani addirittura tre interi circoli coi relativi iscritti.
Lo stesso Murolo lamenta da venti giorni che circa 90 persone del suo circolo sono scomparse dai tabulati.
E non votando per il candidato di Nan, a molti pare difficile che ritornino in vita.
I dissidenti figurano ancora iscritti, ma hanno giustamente deciso di disertare il congresso: fin quando Roma non avrà il coraggio di essere coerente con il Manifesto di Fli e commissariare la Liguria, non intendono essere presi per il culo con congressi farsa.
Per dovere di cronaca sono giunte le scuse formali di Fini attraverso “canali diplomatici” ai dissidenti insultati sabato scorso, ma resta irrisolto il problema politico.
Consiglieremmo infine chi a Roma deve registrare gli iscritti di prestare molta attenzione a inserire nell’elenco degli aventi diritti al voto chi ne ha titolo.
Perchè se a fronte del pagamento provato della tessera fosse stato omesso un solo nominativo, è evidente che il Congresso non sarebbe valido.
Sarebbe davvero un peccato aver mobilitato tante arance per poi vedersi spremuto dall’ annullamento del congresso da parte dell’autorità competente.
Se poi gli iscritti “desaparecidos” fossero decine sarebbe ancora peggio e qualcuno potrebbe essere chiamato a risponderne, con evidenti risvolti personali.
Il seguito alla prossima puntata.
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Dicembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LE SIMULAZIONI DELLA CGIA: CON IL BLOCCO DELL’INDICIZZAZIONE UN RISPARMIO DI 4,4 MILIARDI… PER ESSERE FINANZIARIAMENTE APPREZZABILE LA MANOVRA DOVREBBE PESARE SUI CETI MEDIO-BASSI SALVANDO SOLO LE PENSIONI AL MINIMO
Le pensioni per fare cassa.
Il blocco della rivalutazione degli assegni all`inflazione serve solo a questo.
È almeno da11992, quando il governo Amato abolì l`aggancio delle pensioni agli aumenti contrattuali insieme alla cancellazione della scala mobile per i lavoratori attivi, che si interviene per temperare l`indicizzazione dei trattamenti pensionistici.
Un passo dopo l`altro, quasi tutti gli anni, con slittamenti, congelamenti, azzeramenti dell`adeguamento, indipendentemente dal colore del governo.
L`effetto c`è stato se, proprio in questi anni, le pensioni hanno progressivamente perso potere d`acquisto.
Ormai quasi la metà dei pensionati non raggiunge i mille euro al mese contribuendo in maniera non affatto secondaria alla caduta dei consumi nazionali.
Quasi il 15 per cento non arriva a 500 euro mensili.
E solo il 15 per cento supera i duemila euro.
Con l`eventuale blocco delle indicizzazioni – secondo una simulazione della Cgia di Mestre -un pensionato che riceve un assegno mensile netto di circa 1.600 euro (20 mila l`anno) perderebbe quasi 480 euro in un anno.
Bloccare l`adeguamento delle pensioni alla dinamica dei prezzi non è certo una riforma strutturale.
Però -ed è questo il motivo per cui si utilizza -frenala spesa previdenziale che da sola costituisce oltre il 40 per cento della nostra spesa corrente. Operazione contabile, dunque.
Che dà ossigeno ai conti pubblici, meno alle tasche dei pensionati.
L`Ufficio studi della Cgia ha calcolato che dal blocco totale delle indicizzazione dei 17 milioni di assegni pensionistici lo Stato sborserà 4,4 miliardi in meno (5,7 miliardi senza però considerare il mancato introito fiscale).
Tanti soldi, più di un quarto della manovra in arrivo.
Ma così rischia di scolorire anche il principio dell`equità al quale il governo Monti ha detto di volersi ispirare nell`azione di risanamento.
Perchè un`operazione di questo genere pesa soprattutto sui livelli più deboli a meno che non si operi una modulazione per fasce di reddito, seguendo l`impostazione del governo Berlusconi.
In questo caso il sentiero è strettissimo e in particolare darebbe pochissimo gettito dal momento che per il 2012 è già previsto (decreto di luglio) il blocco di qualsiasi adeguamento per chi prende una pensione cinque volte il minimo (pari a 467,43 euro) e un`attenuazione per chi ha una pensione tra tre e cinque volte il minimo.
L`ipotesi sulla quale stanno lavorando i tecnici, invece, punta al bersaglio grosso, all`intera platea dei pensionati con la sola eccezione probabilmente di chi prende il minimo.
D`altra parte – proprio seguendo le simulazioni degli artigiani di Mestre – si vede che ben 5,2 miliardi dei 5,7 complessivi lordi arriverebbero dalle pensioni più basse: 577 milioni da quelle comprese tra tre e cinquevolte ilminimo e nulla (perchè già bloccati) dagli altri.
E nulla o quasi per il 2012 arriverebbe anche dall`eventuale inasprimento dei requisiti per l`accesso alla pensione di anzianità (non più 40 anni di contributi, ma 41 o addirittura 43) dal momento che già oggi per effetto delle cosiddette “finestre mobili” un lavoratore che maturi i requisiti rimane praticamente un altro anno al lavoro senza, peraltro, aumentare il suo montante pensionistico.
Resta il fatto che ormai quasi i tre quarti delle uscite per anzianità (prima cioè di aver compiuto l`età per la pensione di vecchiaia) sono dovute proprio alla maturazione dei 40 anni di contributi.
A rischio sono circa 140 mila lavoratori, entrati nel mondo del lavoro molto presto.
Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, riconosce che si debba «mettere mano al nostro sistema previdenziale, al fine di assicurare gli equilibri di bilancio », ma chiede al governo di confrontarsi con le parti sociali.
Roberto Mania
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
DA UNA SETTIMANA IL GIORNALE ESCE SENZA FIRME. IL CDR HA CHIESTO ALL’EDITORE RASSICURAZIONI CHE NON SONO ANCORA ARRIVATE… PREVISTA LA RIDUZIONE DELLA FOLIAZIONE A 4 PAGINE E POI IL PASSAGGIO DEFINITIVO SU INTERNET
La Padania ha i conti in rosso ed è costretta a tagliare il numero dei giornalisti, mostrando lo spettro della chiusura.
Così, mentre la Lega festeggia l’avvenuta rottura con Silvio Berlusconi, che la base invocava da anni, Umberto Bossi si trova a dover affrontare un problema inatteso: un possibile sciopero dei redattori del quotidiano.
Già domenica prossima il giornale rischia di non uscire, proprio il giorno in cui a Vicenza il Carroccio riapre il Parlamento Padano da dove i vertici del partito vogliono rilanciare la lotta celodurista alla secessione e dove, come in ogni grande festa leghista che si rispetti, la Padania viene distribuita in oltre diecimila copie.
Copie regalate, ma utili ad aumentare la tiratura da dichiarare per ricevere il finanziamento pubblico.
Sabato sarà una settimana esatta di sciopero bianco dei redattori che fanno uscire il giornale senza firmare gli articoli con l’unica eccezione di Stefania Piazzo, caporedattore centrale.
A dare notizia delle difficoltà in cui versa il quotidiano del Carroccio è stato ieri il Corriere della Sera.
Stamani i redattori della Padania hanno chiesto all’editore “una smentita formale”, che però non è ancora arrivata al Comitato di redazione, composto da Roberto Brusadelli, Simone Gilardin e Giancarlo Mariani.
Stamani, in un comunicato pubblicato sul giornale, i redattori hanno spiegato che ieri si è riunita l’assemblea di redazione in seguito alla pubblicazione dei contenuti del piano editoriale presentato dal direttore responsabile, Leonardo Boriani (quello politico è da sempre Umberto Bossi), che prevedeva la creazione di un sito d’informazione sull’attualità e una riduzione della foliazione del cartaceo a quattro pagine con contenuti di approfondimento.
Le due mosse, infatti, sono il primo passo verso il drastico taglio ai costi.
“L’assemblea chiede all’Editoriale Nord una smentita scritta, formale e inequivocabile alle notizie pubblicate da diversi organi di stampa circa l’intenzione della suddetta azienda di procede alla chiusura del quotidiano La Padania o di far ricorso alla mobilità con licenziamenti di giornalisti”, recita il comunicato.
“I redattori della Padania — si prosegue — deplorano, infatti, nel modo più assoluto la diffusione di tali notizie che ledono gravemente l’immagine e gli interessi del giornale e di tutti quanti vi lavorano”.
Oggi in via Bellerio ci sarà a fine pomeriggio un nuovo incontro tra la direzione e il cdr. I redattori si dicono comunque fiduciosi.
Già nel 2007, infatti, La Padania aveva affrontato un’emergenza e anche allora si diffusero le voci di una imminente chiusura.
Tutto si risolse con sette redattori su 26 in cassa integrazione, tre dei quali poi reintegrati a regime.
Anche oggi, dunque, la speranza è che si trovi una via d’uscita morbida, considerato anche il periodo potenzialmente positivo per il partito, da solo all’opposizione del governo Monti e all’inizio di una campagna elettorale che si annuncia lunga e dai toni duri.
Quindi le vendite dovrebbero aumentare.
Ma il colpo di grazia ai conti arriverà dal taglio ai fondi per l’editoria: fino a oggi la Padania ha ricevuto in media 4 milioni di euro annui, che ora rischiano di dimezzarsi.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE DELL’IDV AVECA DEFINITO QUELLA DEL PDL “PROCACCIATRICE DI ARCORINE, CERTOSINE E GRAZIOLININE” IN MERITO ALLE FESTE PRIVATE DI BERLUSCONI
Finisce alla Procura di Palermo la lite tra le due eurodeputate dell’Italia dei Valori, Sonia Alfano, e del Pdl, Licia Ronzulli, che non ha gradito l’appellativo di «procacciatrice di arcorine, certosine e grazioline» con cui la collega dell’Idv l’ha definita, facendo riferimento al suo presunto ruolo di reclutatrice di ragazze per le feste dell’ex premier Silvio Berlusconi.
Ronzulli si è rivolta alla magistratura querelando per diffamazione Sonia Alfano e chiedendo l’oscuramento del blog della parlamentare e quello del partito in cui le frasi «infamanti» erano state riportate.
Il pm di Palermo Geri Ferrara, competente in quanto l’eurodeputata dell’Idv risiede nel capoluogo siciliano, si è opposto alla richiesta facendo riferimento alle prerogative costituzionalmente tutelate del parlamentare per le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni. Ma il gip ha dato ragione alla querelante e ha oscurato il blog.
Un duello a colpi di istanze giudiziarie risolta dal tribunale del riesame che ha accolto la tesi della Procura e ha riattivato sito e blog.
La questione tra le due litiganti, però, non finirà così perchè davanti al magistrato sfileranno, per essere interrogate, le frequentatrici dei festini con l’ex premier Berlusconi.
Il pm, infatti, che deve indagare sulla presunta diffamazione dovrà accertare se quanto scritto da Alfano sia vero: insomma, se la Ronzulli ha realmente procacciato donne al premier e se i festini hard ci furono.
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Dicembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
IL PROGRAMMA CHE LANCIà’ LUBRANO E MARRAZZO FALLISCE CON CAMURRI (IL FOGLIO) E CON SABINA LA DIASPORA CONTINUA
Edoardo Camurri, l’ultimo erede di Mi manda Raitre, ce l’aveva messa proprio tutta.
Al numero verde della trasmissione, quello per intervenire in diretta a lamentare un disservizio, una rogna, uno sfogo arrabbiato contro il prepotente di turno, rispondeva lui in persona con un messaggio di caldo benvenuto: raccontateci l’Italia che non va, proveremo a cambiarla insieme.
“Ce la faremo!” era lo slogan che ripeteva continuamente nell’edizione 2011, partita lo scorso aprile con la spada di Damocle già incombente: se si va sotto il 4 per cento non c’è storia che tenga, lo sportello reclami più longevo della televisione italiana chiude baracca e tanti saluti ai cittadini utenti.
In effetti, Mi manda Camurri non ce l’ha fatta.
Dopo l’ennesima puntata a basso share (2,84 per cento con 738 mila telespettatori) e il conduttore ormai in stato confusionale che ha lanciato i titoli di coda prima dell’ultimo blocco, salvo tornare poi in diretta per la conclusione vera del programma e scusarsi per la clamorosa gaffe, il direttore di Rai3 Antonio Di Bella ha deciso di chiudere i battenti. “Il nostro sforzo comune non è riuscito a catalizzare l’interesse del pubblico — ha detto Di Bella —. Siamo già al lavoro per strutturare nuove offerte editoriali in queste e altre fasce d’ascolto”.
Un’indoratura della pillola amarognola, perchè quello di Mi manda Raitre non è un addio da poco.
Il servizio pubblico ha sempre messo in bella mostra il contenitore a uso esclusivo del cittadino in un’azienda costretta a rincorrere lustrini commerciarli e tintinnanti reality show.
Perchè pagare il canone? Per trasmissioni di servizio come questa, era la risposta dei dirigenti nonchè il miglior biglietto da visita per il format ideato nel 1990 da Anna Tortora e affidato alla conduzione di Antonio Lubrano.
Lui, sventolando l’ammiccante domanda che “sorge spontanea”, curò la creatura con stile partenopeo fino al 1997.
Poi la rapida stagione di Luigi Necco e l’arrivo del più carismatico Piero Marrazzo (1997-2004) che, proprio grazie al ruolo di difensore televisivo degli interessi collettivi, trovò la spinta giusta per saltare alla guida della Regione Lazio.
A seguire, le stagioni firmate da Andrea Vianello (2004-2011), passato a condurre la fascia mattutina di rete, Agorà .
Insomma, in 21 anni di onorato servizio, Mi Manda Raitre può dire di aver lanciato personalità e risposto bene alle esigenze del pubblico, ma ora la trasmissione è sospesa e i piccoli grandi drammi dei cittadini vanno serenamente in archivio davanti all’arroganza dei potenti.
Tutti in fila dal Gabibbo? “Vabbè, mica è la fine del mondo” tenta il sorriso Edoardo Camurri, una laurea in Filosofia teoretica e un percorso brillante tra giornali (il Foglio, Vanity Fair), radio (Radio3) e tivù (Omnibus).
Stavolta gli è andata male: “È vero, ma ormai dovevamo arrenderci all’evidenza degli ascolti. Rimpianti? Il format andava adattato meglio a me, al cambiamento che volevo proporre visto che negli ultimi tempi era comunque in difficoltà . Invece è rimasto quello di prima, e io non c’entravo molto. Fa niente, si sbaglia e si cambia nella vita”. Di fatto la trasmissione smette di botto, non va in onda nemmeno un ultimo appuntamento per salutare il pubblico.
Triste chiudere così. Dopo l’addio di Serena Dandini e Roberto Saviano, entrambi passati a La7 dove approderà anche Sabina Guzzanti, Rai3 è ancora più vuota.
“Mah, ormai è fatta — risponde Camurri —. Non so niente più di quanto deciso ieri: trasmissione sospesa, perso un altro pezzo di servizio pubblico, e il futuro è un’incognita oscura”.
Più Rai di così si muore.
Chiara Paolin
(“Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 2nd, 2011 Riccardo Fucile
MOLTI DEPUTATI E SENATORI STAREBBERO PENSANDO DI LASCIARE ENTRO L’ANNO PER EVITARE CONSEGUENZE NEGATIVE
C’è più di un mal di pancia, in queste ore, nei corridoi di Camera e Senato.
Le nuove regole sui vitalizi spaventano molti parlamentari, in particolare quei peones che rischiano di non essere eletti nella prossima legislatura.
Ed ecco che spunta l’idea maliziosa, la tentazione pericolosa: dimettersi entro la fine di dicembre per non incappare nella rigidità delle nuove regole.
Le indiscrezioni sono state rilanciate in tv da Sky Tg 24.
Dal primo gennaio 2012, infatti, entrerà in vigore il sistema contributivo anche per chi è attualmente in carica.
E soprattutto scatterà la nuova norma tagliola: niente assegno per chi ha meno di 60 anni, se si ha più di un mandato alle spalle; mentre chi ha accumulato un solo mandato dovrà attendere addirittura fino ai 65.
In particolare sono nel panico quei 350 neoeletti che col nuovo sistema potrebbero rimanere del tutto esclusi dall’assegno: le regole saranno valide solo per l’ultimo anno di legislatura, quando non avranno ancora raggiunto quei 4 anni, sei mesi e un giorno che col vecchio sistema avrebbero garantito la “pensione”.
A meno che non venga adottata nelle prossime settimane una norma transitoria ad hoc.
Nei palazzi della politica, alcuni considerano l’ipotesi dimissioni solo una boutade. Di sicuro è una nuova fonte di nervosismo per i parlamentari, già alle prese con le impopolari misure imposte dal governo tecnico.
Ma, per gli onorevoli tentati dalla furbata, c’è un ostacolo di non poco conto: le dimissioni devono essere approvate da un voto dell’aula.
E, mentre soffia forte il vento dell’antipolitica, è difficile che l’assemblea possa dare il via libera a una simile fuga di massa.
(“da “La Stampa“)
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