Dicembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
UN FENOMENO IN COSTANTE CRESCITA, ANNIDATO NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI… IL GOVERNO ANNUNCIA UNA RIFORMA CONTRO LE NUOVE FORME DI REATO NEI RAPPORTI IMPRESE-STATO
È una voragine in cui sprofondano i conti pubblici.
Sessanta miliardi di euro che, in un Paese chiamato a stringere la cinghia, rappresentano il costo della corruzione.
Il fenomeno, hanno spiegato i giudici contabili, è in costante crescita “e si è insediato e annidato dentro le pubbliche amministrazioni”. Finendo per costituire la terza causa di danno all’erario.
L’ultimo allarme, fatto risuonare nel corso di un’audizione alla Camera dal presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino, ha trovato pronta eco nelle tabelle di Transparency International, che vedono l’Italia scendere in due anni dal 63° al 69° posto dell’indice di percezione della corruzione.
Siamo in compagnia del Ghana e delle Isole Samoa e quartultimi in Europa davanti solo a Grecia, Romania e Bulgaria.
Non sono numeri vuoti: Transparency ha stimato che per ogni peggioramento in classifica si perde il 16 per cento degli investimenti dall’estero.
Al contrario, scalando qualche gradino, si attrarrebbero preziose risorse.
L’economia reale, insomma, risente oggi più che mai dell’effetto nefasto del malaffare.
Nelle capitali politiche del Continente, anche in questo campo, hanno puntato gli occhi sul nostro Paese: il Greco, l’organismo del consiglio d’Europa deputato alla prevenzione e al contrasto della corruzione, in un recente rapporto ha espresso preoccupazione per la mancanza di un programma nazionale coordinato e per l’indipendenza “solo parziale” delle strutture chiamate a fronteggiare il ritorno delle mazzette negli uffici pubblici.
D’altronde, l’istituzione di un’autorità unica anti-corruzione sganciata dal potere politico è prevista anche da diverse convenzioni internazionali, dell’Ocse come dell’Uncac, un’organizzazione di Stati nata per combattere le infiltrazioni illecite nell’amministrazione.
Il tutto mentre la nuova legge contro la corruzione, varata dal governo Berlusconi nel marzo del 2010, dopo il sì del Senato attende ancora il via libera definitivo della Camera.
Il ministro della Giustizia Paola Severino ha annunciato una riforma 1 per sanzionare nuove figure giuridiche come la corruzione privata all’interno delle imprese.
Il crimine, per adesso, corre più veloce delle norme.
E’ una battaglia impari, quella contro la corruzione.
Basti pensare che, a fronte del costo plurimiliardario del fenomeno, la Corte dei conti nel 2010 è riuscita a recuperare nel complesso”solo” 293 milioni.
Di questi 32,19 milioni sono il risultato delle 47 sentenze emesse dalle quattro sezioni d’appello con le quali sono stati condannati per danni patrimoniali da reato contro la pubblica amministrazione 90 funzionari pubblici.
E bisogna aggiungere 4,73 milioni per danni all’immagine.
Le sezioni regionali della Corte invece hanno emesso 350 sentenze con condanne al pagamento di 252,68 milioni per danni patrimoniali e altri 3,57 per danni all’immagine della pubblica amministrazione.
Ma incombono le citazioni in giudizio da parte delle procure regionali della Corte: delle 227 depositate, 95 riguardano reati di truffa e falso, 50 peculato e 40 concussione e corruzione.
Nel Lazio il maggior numero di citazioni, poi Calabria, Sicilia e Campania.
Che la corruzione non sia soltanto un aspetto del malcostume italico è ormai un fatto assodato. In una visione più prosaica, ha invece un peso economico che incide, su ogni contribuente, per circa mille euro a testa.
E frena gli investimenti esteri. I sessanta miliardi di “buco” stimati dalla Corte dei conti rischiano di essere solo una buona approssimazione perchè, come spiega il presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino, i reati di corruzione sono caratterizzati da “una rilevante difficoltà di emersione ed esiste una scarsa propensione alla denuncia, non solo perchè si tratta di comportamenti che spesso nascono da un accordo fra corruttore e corrotto ma anche perchè, nell’ambiente in cui sorgono, anche le persone estranee al fatto, ma partecipi all’organizzazione, non dimostrano disponibilità a denunciare fenomeni di tal tipo”.
In una scala che va da 0 (molto corrotto) a 10 (per niente corrotto), l’Italia anche quest’anno ha una valutazione molto negativa: 3,9 punti.
La stessa dell’anno scorso, ma con un arretramento nella posizione in classifica poco edificante: Transparency international, organizzazione con sede a Berlino, ora colloca il nostro Paese al 69° posto.
E quart’ultima in Europa, davanti solo a Grecia, Romania e Bulgaria. Dato che ha portato la presidente della sezione italiana di Transparency, Maria Teresa Brassiolo, a lanciare un appello: “Fate il possibile per abbattere il livello di corruzione diminuendo i costi pubblici e quindi il debito”.
“Sono necessarie – afferma Walter Forresu, membro del board – misure strutturali che riducano in maniera drastica il costo della governance e della politica”.
Fra le proposte di Transparency Italia l’adozione di codici di condotta per i membri del parlamento e del governo.
Anche la magistratura ordinaria registra un aumento dei reati contro la pubblica amministrazione: in particolare i procedimenti per concussione, nei cinque anni fra il 2005 e il 2010, sono stati in costante aumento: da 114 a 144 quelli per cui hanno proceduto otto grandi uffici giudiziari (Milano, Torino, Venezia, Firenze, Roma, Bari, Napoli e Palermo).
Il dato, fornito dal governo italiano, è contenuto in un rapporto del Greco datato 14 giugno 2011.
L’organismo del consiglio europeo non ha mancato di far notare che “i procedimenti giudiziari falliti per la scadenza dei termini di prescrizione è ritenuta causa, almeno nella percezione del pubblico, di una parte inquietante della corruzione”.
Il governo Berlusconi, nei dati inviati a Strasburgo, si è vantato di una diminuzione del 3 per cento del numero delle prescrizioni, dal 2009 al 2010.
Il tema lo hanno posto, a più riprese, organizzazioni internazionali come l’Ocse e l’Uncac (nazioni unite contro la corruzione): l’esigenza, per i Paesi che lottano il malaffare, di costituire un’autorità anti-corruzione “indipendente, stabile, efficace”. In Italia questa struttura non esiste, da quando – nel 2008 – il governo ha soppresso l’alto commissariato trasferendone le funzioni al dipartimento della funzione pubblica presso la presidenza del Consiglio.
Il Greco, organismo del consiglio d’Europa, nel denunciare una situazione italiana in chiaroscuro, ha additato in un rapporto datato 14 giugno 2011 la mancanza di un programma nazionale coordinato contro la corruzione e parlato di una “parziale indipendenza” delle unità organizzative italianeSoppresso l’alto commissariato manca un’authority indipendente.
Un piano anti-corruzione nazionale che sarà l’insieme di singoli programmi regionali, da presentare in Parlamento e periodicamente aggiornare.
E ancora: un osservatorio che fornisca alle istituzioni dati e statistiche ufficiali sul fenomeno. Quindi norme sulla ineleggibilità alla Camera e al Senato di condannati in via definitiva. Il disegno di legge, varato il primo marzo 2010 dal governo Berlusconi, ha avuto a giugno l’ok del Senato ma attende di essere esaminato dalla Camera. In ogni caso, il ddl che giace a Montecitorio non è sufficiente, secondo il nuovo Guardasigilli Paola Severino: “Ci sono figure giuridiche nuove come la corruzione privata all’interno delle imprese, cioè una forma di corruzione – ha detto il ministro a Repubblica – che non riguarda pubblici ufficiali”.
La corruzione come parte di una zavorra economica più pesante, quella dei costi dell’illegalità .
È una particolarità del caso-Italia.
Se è vero che, come denuncia il Gafi (gruppo d’azione finanziario internazionale contro il riciclaggio), “è stretto il rapporto fra corruzione e riciclaggio in Europa”, è vero pure che quest’ultima voce nel nostro Paese ha una rilevanza non secondaria: 150 miliardi, il 10 per cento del Pil.
“È la prima industria italiana”, segnala il procuratore antimafia Piero Grasso nel libro “Soldi sporchi” scritto con Enrico Bellavia.
E la corruzione, il fatturato delle mafie, il pizzo, l’evasione fiscale fanno crescere ancor di più il peso del malaffare sul debito pubblico.
“Un furto da 330 miliardi”, secondo Luciano Silvestri.
L’ultima cifra da raccontare: quella dello spread fra un Paese onesto e uno fuorilegge.
Emanuele Lauria
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
MONTI: “HO BISOGNO DI TUTTI, MA SIATE PIU’ CHIARI”
Due ore a pranzo con Berlusconi e Gianni Letta. Altre due ore e mezza, la sera, con Pier Luigi Bersani.
Mario Monti, dopo gli sbandamenti sull’articolo 18 e le liberalizzazioni, dopo la polemica con il suo precedessore (che l’aveva definito «disperato»), prova a serrare i bulloni della maggioranza in vista della fase due, quella dedicata alla crescita e alla riforma del lavoro.
«Per andare avanti – chiarisce infatti il premier incontrando il Cavaliere – abbiamo bisogno di tutti, anche del Pdl. Soprattutto in questa situazione. Quindi mi dica chiaramente cosa pensa, siamo qui per questo».
E Berlusconi, abbandonando i propositi bellicosi, si mostra molto disponibile. Anzitutto smentisce di aver mai detto di voler «staccare la spina» al governo.
«Non è vero che ho minacciato la crisi, sono stati i giornali a distorcere le mie parole. Non voglio mettervi i bastoni fra le ruote in alcun modo. Anzi – ripete il leader del Pdl – noi riponiamo grande fiducia in voi e pensiamo che possiate andare avanti fino alla fine della legislatura».
Terminato l’incontro con Monti, alla quale partecipa anche Antonio Catricalà , il Cavaliere si trasferisce quindi in un locale dei Parioli per un brindisi con gli eurodeputati.
E ai suoi illustra il nuovo «metodo» suggerito al premier. «Troveremo il modo di discutere con il Governo i futuri provvedimenti in modo che gli stessi possano arrivare in Parlamento avendo avuto un nostro accordo precedente, così che l’itinerario parlamentare possa essere più agevole».
È l’idea di una “cabina di regia” per condizionare dall’esterno Monti.
«Credo sia importante che il governo – spiega infatti Berlusconi – possa approfondire i temi con i segretari dei partiti ma anche con i capigruppo ».
A sera, altro giro di spumante con i senatori e la posizione si fa quasi minacciosa: «Ci deve essere una consultazione preventiva prima dei provvedimenti altrimenti non ci staremo. Non prendiamo più niente a scatola chiusa».
E se la linea continuerà a essere quella vista finora, Berlusconi evoca di nuovo le elezioni anticipate.
«Se i sondaggi ci dicessero che possiamo vincere anche da soli – e questo è possibile se il governo continuasse con questa imposizione fiscale e se la sinistra e i sindacati continueranno sulla linea dello scontro – in questo caso si potrebbe andare alle elezioni. Noi siamo gli arbitri di questa situazione».
Ma sembrano discorsi fatti più per galvanizzare truppe allo sbando che veri propositi di guerra.
Se Berlusconi pretende di essere «consultato» in via preventiva, la posizione di Bersani è opposta.
«Il regista ce l’abbiamo già , lasciamo stare la cabina», taglia corto il segretario del Pd dopo aver visto il Professore.
«Il Pd – spiega Bersani riassumendo il contenuto del faccia a faccia – intende confrontarsi con lealtà , ma intende rendere chiari quelle che sono le sue idee, con lealtà e trasparenza».
Insomma, il discorso del segretario al capo del governo contiene il preannuncio di una maggiore libertà di manovra per il futuro. «Leali ma liberi di criticare, anche perchè i nostri elettori si aspettano da noi un discorso di verità ».
A Monti Bersani ha anche posto un altolà sull’articolo 18, suggerendo invece alcuni «driver» per aiutare la crescita senza spendere troppo: dall’ambiente all’efficienza energetica fino a un allentamento del patto di stabilità interno per dar modo ai comuni di finanziare subito piccole opere pubbliche.
Su una cosa Berlusconi e Bersani si sono comunque trovati d’accordo e l’hanno detto che con parole simili a Monti: il governo lasci alle forze politiche il tema delle riforme.
Il Cavaliere pensa che sia «un gran bene» se «il sostegno delle forze che ora appoggiano il governo può essere utilizzato per le riforme istituzionali ».
E anche Bersani, nelle due ore spese a palazzo Chigi, invita il governo a lasciare ai partiti l’agenda delle riforme.
Pessimo segnale sarebbe infatti se la politica dovesse ricorrere ai tecnici anche per autoriformarsi.
Dopo le feste ci sarà quindi un incontro dei segretari ABC (Alfano-Bersani-Casini) per iniziare la discussione nel merito.
Con i faccia a faccia a palazzo Chigi (giovedì sarà la volta di Casini, venerdì di Alfano insieme ai capigruppo Pdl), Monti intende consolidare la sua maggioranza.
Un impegno necessario di fronte all’aggravarsi della crisi e al prezzo che dovrà ancora pagare il paese.
«A Marzo – spiega il capogruppo Pdl a Bruxelles Mario Mauro – il Parlamento italiano dovrà ratificare il nuovo accordo voluto da Merkel e Sarkozy. E l’articolo 4 obbliga l’Italia a ridurre ogni anno di un ventesimo il debito pubblico fino alla soglia del 60%. Questa follia ci impone di fare una manovra da 46 miliardi di euro per i prossimi 20 anni. Qualcuno se n’è accorto?».
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
SLITTA LA DECISIONE SULL’ARRESTO…”COSI’ IL CARROCCIO DIFENDE IL REFERENTE DEI CASALESI”
Ci lavoravano da 48 ore e ce l’hanno fatta.
Quelli del Pdl hanno fatto saltare il tavolo su Nicola Cosentino nella giunta per le autorizzazioni.
Con l’escamotage di presentare nuove carte, prodotte dal capogruppo Pdl Maurizio Paniz, «che in realtà sono vecchissime» ribattono le Pd Ferranti e Samperi.
Si doveva votare ieri sull’arresto, visto che il 5 gennaio scadono i 30 giorni per rispondere alla richiesta dei magistrati di Napoli, ma sul filo, 11 voti contro 10, ha prevalso il rinvio.
Se ne riparla martedì 10.
Chiosa, a sera, l’autore di Gomorra Roberto Saviano: «Fa paura decidere sul suo arresto: se Cosentino decidesse di collaborare, molti pilastri del potere economico/politico rovinerebbero ».
Il lavorio del Pdl per lasciarlo libero è insistente. Anche lui si muove.
Si è fatto interrogare dal gip di Napoli e ora attende il risultato del tribunale del Riesame sull’ordine di custodia atteso per il 27 dicembre.
Decisione che tutto il Pdl aspetta, nella speranza di giocarselo in giunta, col risultato di svuotare la funzione del vaglio parlamentare.
Il rinvio scatena polemiche.
È «scandaloso » per l’Idv Federico Palomba. «Decisione a dir poco vergognosa, oltre che contraddittoria » per il finiano Nino Lo Presti.
La Pd Anna Finocchiaro definisce «irresponsabile» una Lega che «gioca su troppi tavoli». Ma i numeri comandano.
Quelli della destra prevalgono: 7 Pdl, due leghisti, Vincenzo D’Anna di Popolo e territorio e Mario Pepe, berlusconiano oggi nel gruppo misto.
Che lascia la giunta gongolando.
Perdono i 5 del Pd, i due di Fli, i due dell’Udc e Palomba dell’Idv.
Cade nel vuoto l’appello di Antonio Di Pietro a chiudere il caso Cosentino «entro l’anno» con un voto favorevole all’arresto «per fatti gravissimi».
Ma la Lega, spaccata, consente il rinvio. Che il Pdl non si assume nemmeno la responsabilità di chiedere, mandando avanti D’Anna.
Il caso Cosentino lacera il Carroccio.
Da una parte l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, che chiama Luca Rodolfo Paolini per farlo votare per l’arresto.
Gli spiega che il partito non può perdere la faccia, dopo che lui stesso ha esultato per la cattura di Zagaria.
Ma Paolini fa insistente professione di innocenza sul tuttora coordinatore del Pdl in Campania che, per i pm di Napoli, è «il referente del potente clan camorrista».
Ripete che nelle carte non c’è «granchè » per ottenere le manette.
Lo maltratta la Ferranti: «Se sei convinto che sia un perseguitato perchè non voti contro l’arresto? ».
Si sparge la notizia che Paolini voglia dimettersi dalla giunta e di forti frizioni con la Lega. Lui smentisce. Mentre è in seduta lo chiama pure Bossi.
I tormenti leghisti si snodano mentre, in aula, si vota per autorizzare il via libera alle intercettazioni che il gip di Palermo Piergiorgio Morosini ritiene fondamentali per motivare l’accusa di corruzione aggravata dalla mafiosità per l’ex ministro dell’Agricoltura Saverio Romano.
Ci sono 60 assenti, ben 33 del Pdl.
Finisce male per Romano che minimizza («Mi aiuterà a dimostrare la mia estraneità ai fatti che mi si contestano»).
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
DOPO GLI AUMENTI E’ CAMBIATA ANCHE LA DIETA: DAI FILETTI AL RISOTTO ALL’INGLESE…FINITA L’ERA DEL QUASI GRATIS, I POLITICI MICRAGNOSI CAMBIANO LOCATION
Per loro non è in previsione alcun corso di perfezionamento presso la prestigiosa scuola culinaria del Gambero Rosso.
Quel seminario costato ai contribuenti 35 mila euro, che impegnò per settimane nel 2009 (erano altri tempi) i nove cuochi di palazzo Giustiniani, dove alloggia il presidente del Senato Renato Schifani e i palati sono evidentemente raffinatissimi, se lo potranno sognare.
In compenso, i camerieri del ristorante di palazzo Madama, sprofondato ormai in una crisi nera, avranno tutto il tempo per dedicarsi in libertà agli hobby preferiti: da gennaio, per loro, c’è la cassa integrazione, se non addirittura la disoccupazione.
Almeno se è vero che ieri sono partite le prime nove lettere di licenziamento che hanno provocato una infuocata assemblea.
Sono queste le uniche vere vittime dell’aumento dei prezzi deciso dai questori dopo le polemiche seguite nei mesi scorsi alla pubblicazione del menù proletario di palazzo Madama.
Che recitava come segue.
Risotto con rombo e fiori di zucca: 3 euro e 34 centesimi.
Carpaccio di filetto con salsa al limone: 2 e 76.
Prosciutto e melone: 2 e 33.
Bistecca di manzo: 2 e 68.
Costi «lievissimi», per usare il termine impiegato in una recente consulenza dallo studio legale Ciampoli nella quale è descritta la sconcertante situazione, a carico dei senatori e dei loro ospiti.
Ma pesantissimi, al contrario, per i contribuenti. Sui quali gravava l’87% del prezzo di ogni singola pietanza: i commensali non pagavano che il 13,3 per cento.
Per i piatti più raffinati si poteva arrivare al 21,77 per cento.
Ecco quindi che il filetto di bue a 5 euro e 53 era quasi sempre esaurito.
E le lamelle di spigola con radicchio e mandorle, a 3 euro e 34, andavano via come l’acqua fresca.
I tavoli erano regolarmente tutti occupati, i camerieri in guanti bianchi andavano e venivano, lo scricchiolio del parquet e la soave musica delle posate d’argento che tintinnavano sulle stoviglie de luxe accompagnava dolcemente la predigestione.
Poi, un bel giorno, i clienti hanno cominciato a disertare la sala.
Arrivavano sulla porta, davano un’occhiata al menù sgranando gli occhi e poi giravano i tacchi.
E non perchè quel ristorante fosse ridotto ormai a una specie di trattoria «dove il pesce non è mai fresco e i cibi sono spesso precotti», come si lamentò l’ex sottosegretario Responsabile Riccardo Villari con la trasmissione di Radio 24 «La Zanzara»: auspicando quindi l’apertura a palazzo Madama di un restaurant tre stelle Michelin adeguato a una clientela più esigente.
La spiegazione sta nell’aumento dei prezzi.
Dal 13,3 per cento del costo per le pietanze «standard» si è passati con un balzo al 50 per cento.
E dal 21,77 per cento di quelle più «pregiate» improvvisamente al 75 o al 100 per cento, secondo i casi.
Leggere il nuovo listino e scoprirsi di colpo micragnosi, per gli habituè della mensa è stato tutt’uno.
Ma lasciamo parlare i consulenti della ditta appaltatrice Gemeazcusin, lo studio Campoli: «A seguito della decisione assunta dal collegio dei senatori questori, con la quale sono state sensibilmente incrementate le quote percentuali a carico degli utenti del servizio, si è verificata una eccezionale diminuzione dell’attività del ristorante dei senatori, sia con riguardo all’affluenza, ridottasi di oltre il 50%, sia con riferimento ai quantitativi di pasti somministrati, ridottasi per il numero di pietanze, sia con riguardo alla tipologia di pasti di tipologia superiore e pregiata la cui incidenza è diventata marginale, mentre in precedenza la pressochè totalità dei pasti serviti appartenevano a tali tipologie».
Se prima il ristorante era sempre pieno zeppo e commensali si abbuffavano di bistecche al sangue e filetti di orata in crosta di patate, dopo l’aumento è come se i rari clienti avessero deciso tutti contemporaneamente di mettersi a dieta.
Riso all’inglese, pasta in bianco, insalatina…
Non c’è forse la crisi?
Non incombe il taglio delle indennità secondo una ancora non meglio definita «media europea»?
E la riduzione della diaria?
La minaccia di togliere dalla busta paga il contributo per il portaborse?
Il passaggio dei vitalizi al sistema contributivo?
Già . Come stupirsi poi se a qualcuno viene un travaso di bile…
L’onorevole del Pdl Mario Pepe, per esempio, schiuma letteralmente rabbia. «Ridurre deputati e senatori alla fame vuol dire rendere il parlamento schiavo dei poteri forti», si è sfogato con Monica Guerzoni del Corriere .
Peccato che mentre il ristorante del Senato si svuotava, e i suoi ricavi subivano un crollo del 70%, i locali nelle strade intorno a palazzo Madama registravano un formidabile incremento del giro d’affari.
Dopo il danno, quindi, anche la beffa. Beffa doppia.
Perchè lo stesso giorno nel quale una ventina di camerieri della ditta appaltatrice finiranno in cassa integrazione, faranno il loro ingresso in Senato sette nuovi dirigenti appena assunti.
Il cui costo compenserà il risparmio ottenuto per il ristorante.
Lo compenserà abbondantemente, sia ben chiaro.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
SINGOLARE PROTESTA DEI DIPENDENTI DELLA SOCIETA’ CHE GESTISCE BUVETTE E TABACCHERIA DOPO LA LETTERA DI LICENZIAMENTO… L’AUMENTO DEL MENU’ FA DISERTARE IL 50% DEI SENATORI
Barricati nel ristorante di palazzo Madama a Roma. È la decisione presa da una trentina di camerieri per protestare contro le 9 lettere di licenziamento arrivate martedì a carico di alcuni componenti del personale della Gemeaz Cusin, società che gestisce in appalto il ristorante, la buvette e la tabaccheria del Senato.
Per oltre un’ora si sono chiusi in assemblea sindacale all’interno del ristorante che poi ha regolarmente riaperto intorno alle 19.30.
Al centro della vicenda, le lettere di licenziamento: la Gemeaz, spiegano i camerieri, ha chiesto di rescindere in modo consensuale il contratto con palazzo Madama e ha chiesto di arrivare a una intesa per non dover pagare le penali.
Decisione legata ai nuovi prezzi del menu del ristorante che hanno portato molti senatori a disertarlo.
Questo, però, ha avuto come prima conseguenza, aggiungono i dipendenti, l’intenzione della società di mettere in cassa integrazione 20 dipendenti su 68.
Ipotesi a cui i sindacati di Cgil e Cisl hanno detto di no. Successivamente, sono arrivate le lettere di messa in mobilità per 9 di loro.
«Ci siamo barricati nel ristorante e ci resteremo finchè non avremo delle risposte», aveva spiegato uno dei camerieri raccontando che «oggi sono arrivate 9 lettere di licenziamento (6 camerieri, 2 cuochi e 1 addetto alla tabaccheria)».
Della situazione erano stati informati i questori di palazzo Madama, il presidente Renato Schifani e il direttore della Gemeaz Cusin.
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Dicembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
CONTRO UNA POLITICA IN CUI ORMAI “SI SCENDE IN CAMPO” SOLO PER DIFENDERE I PROPRI INTERESSI, IL RICORDO VA A POLITICI COME ALMIRANTE E BERLINGUER CHE SI RICHIAMAVANO A VALORI, IDEALI E STILI DI VITA
Sono giorni, che leggo, ascolto e non riesco a sentirmi in colpa.
Sono mesi che non mi sento in colpa.
Sono anni che non mi sento in colpa.
Non mi sento in colpa ad essere di destra, non mi sento in colpa ad aver votato con convinzione il Movimento Sociale Italiano, non mi sento in colpa nel credere e definire attuali, lungimiranti, sociali e fatte bene leggi, decreti, enti e fondazioni nate e concepite negli anni Trenta.
Stando a ciò che ci dicono i cultori del “Taci e Acconsenti” tutti coloro che sono di destra, che simpatizzano per la destra, oppure lo hanno fatto, sono geniticamente degli assassini.
Rubo alcuni stralci del testo pubblicato dal Prof Cardini, uno dei tanti blog di destra :
“ Ovviamente, non solo non ho nulla di cui vergognarmi e da rinnegare a proposito di quella mia giovanile militanza: anzi, al contrario, me ne vanto come di una cosa generosa, coraggiosa, disinteressata e pulita, che proprio in quanto emarginata, minoritaria e calunniata si rivelò per me una grande scuola di coraggio civico e di tolleranza (perchè una persona onesta, perseguitata a torto, impara a sue spese e sulla sua pelle quanto sia prezioso il non perseguitare mai nessuno).
Le mie riflessioni su quell’esperienza sono contenute in due libro, L’intellettuale disorganico (Aragno) e Scheletri nell’armadio (La Roccia di Erec).
In questo Paese di gente che quando si tratta di se stessa ha la memoria corta, io ne ho una da elefante: e ne vado fiero.
Soltanto, esigo che quando si ricorda si richiami correttamente il passato e lo si valuti per quel che obiettivamente significa, non per quel che fa comodo”.
Forse saranno i 50 anni che battono alle porte, forse sarà un anticipo di testamento culturale, ideologico, forse è solo un modo come un altro per rimarcare un’ideale ed uno stile di vita, ma io lo ripeto son contento di stare a destra e lo faccio senza vergogna.
Mi paragono spesso a chi dai tanti social network, abbaia alla luna e si mette al petto medaglie, autoincensandosi e condannando in modo pomposo chi non la pensa come lui, i vinti, quelli della parte sbagliata, i marchiati a fuoco.
Credetimi il paragone non regge, in niente e per niente, anzi consolida e conferma la mia scelta, a questo punto non si tratta di una fiammata giovanile, di un voler portare avanti una tradizione di famiglia, si tratta di un convincemento bello e buono si tratta di una scelta di vita.
Non gradisco accostamenti alle persone, non amo Fini, (anche se non posso dire non l’ho mai amato) per la sua camaleontica facoltà di aderire alle idee del momento, per molti cambiare è sintomo di intelligenza, non lo metto in dubbio, per me è una vigliaccheria bella e buona, è un tradimento sotto ogni punto di vista.
Che poi ogni idea subisca un suo naturale percorso, migliorandosi ed adattandosi ai tempi questo è tutto un altro par di maniche.
Non amo e non ho mai amato Berlusconi e il PDL, cosi come non ho mai amato la Democrazia Cristiana, che ho sempre ritenuto poco democratica e per niente cristiana, forse due termini rimasti nelle intenzioni dei padri fondatori.
Politicamente sono nato e cresciuto con Giorgio Almirante e conservo ogni suo integerrimo valore, non ho mai avuto nemici, ma solo avversari, oggi nemmeno quelli perchè l’ultimo avversario è stato una grande persona della sponda opposta Enrico Berlinguer, del quale non ho condiviso niente, ma apprezzato la schiettezza dei modi e la fermezza nel difendere ideali e valori, i suoi ideali ed i suoi valori.
Oggi è già abusato ed indegno parlare di politici, tutta gente che per la quasi totalità “scende in campo” per difendere i propri interessi e quelli della loro cerchia, abusano della bontà e pazienza del popolo “sovrano” e ci lasciano nelle mani dei “poteri forti”, ci fanno quasi sentire in colpa per la situazione debitoria in cui siamo da anni, e si rimbalzano le responsabilità tra le due parti politiche come se al “mestolino” ci fosse stato chissà chi.
Ecco in questo caso si dovrebbe provare vergogna, ma l’assoluta mancanza di dignità li priva di ogni giudizio “ad personam”.
No, io non mi vergogno sono di Destra e intendo rimanerci.
Andrea
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Dicembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
LE DIMISSIONI DEI DEPUTATI SINDACI PER SALVARE LA PENSIONE: I CASI SONO GIA’ 11… DAI PDL CRISTALDI E STANCANELLI FINO A DUE LEGHISTI DURI E PURI
Per Cristaldi, ormai ex onorevole del Pdl, la faticosa applicazione di una legge anti-casta — quella dell’incompatibilità fra le cariche di parlamentare e primo cittadino di un Comune con più di ventimila abitanti — si è risolta addirittura in un vantaggio economico.
Altro che il “sacrificio” omaggiato doverosamente dai compagni di partito.
Costretto da una sentenza della Consulta prima e da una decisione della giunta per le elezioni della Camera poi, il sindaco di Mazara ha infine deciso di rimanere al fianco della sua comunità , ma con un occhio al conto in banca.
Rinunciando al seggio a Montecitorio, infatti, Cristaldi fa scattare ben due vitalizi: quello di ex deputato regionale (quattro legislature) e quello di ex parlamentare nazionale (due).
In soldoni: 5.839 più circa 3.500 euro.
Una doppia pensione alla quale non si applica in alcun modo l’annunciata stretta del sistema contributivo (che scatterà , guarda caso, dal primo gennaio) e a cui va aggiunta, ovviamente, la ritrovata indennità da sindaco che sinora, proprio a causa dell’incarico alla Camera, il deputato pidiellino non poteva percepire: 3.200 euro, cui la Ragioneria del suo Comune farà un lieve taglio proprio per non far superare al primo cittadino la soglia che consente, secondo la legge, di mantenere i due vitalizi. Alchimie contabili che alla fine consentiranno a Cristaldi, 60 anni, di guadagnare da ex parlamentare più di quanto ha percepito sinora, ovvero poco più di 11 mila euro. L’unico “sacrificio” alla fine, è la rinuncia al titolo di onorevole.
E il sindaco è di buon umore: «Mi creda, non mi sono mai fatto condizionare da fattori economici nelle mie scelte e non è accaduto neanche stavolta: sarebbe stato offensivo – dice – abbandonare i miei concittadini che due anni fa mi hanno eletto. E poi, in 35 anni di carriera politica, avrò versato contributi per tre milioni di euro. Ora me li godo. E le spese aumentano, sa? Pensi solo al fatto che dovrò pagare di tasca mia i biglietti aerei per Roma ».
Paradossi e furberie.
Storie di deputati e senatori che cercano di trarre, dal no alle doppie cariche, il maggior beneficio possibile.
Sono 11 i parlamentari-sindaci che nel giro di meno di un mese sono chiamati a optare.
Il primo ad andar via è stato Raffaele Stancanelli (Pdl), che ha preferito Catania a Palazzo Madama.
Non dimenticando di chiedere, subito dopo, il ripristino del vitalizio da ex deputato regionale pari a 4.652 euro.
Anche il leghista Luciano Dussin, sindaco di Castelfranco Veneto, ha scelto di mantenere la poltrona al Comune piuttosto che quella di parlamentare, malgrado lo squilibrio fra le due indennità .
Ma così facendo Dussin, che a settembre urlava in tv allo scandalo delle baby-pensioni «che ci sono costate 9,5 miliardi di euro», percepirà un vitalizio a soli 52 anni.
Se avesse posticipato di soli 13 giorni le dimissioni, Dussin avrebbe dovuto attendere altri sette anni per la pensione.
L’ha imitato ieri Marco Zacchera, sindaco di Verbania del Pdl, che lascia l’incarico di parlamentare a 60 anni con alle spalle un’attività in 5 diverse legislature: si consolerà , anche lui, con un corposo vitalizio non intaccato dall’entrata in vigore del sistema contributivo.
In questo clima, saluta la Camera anche chi non è obbligato.
Come il bergamasco Ettore Pirovano, Lega Nord, sulle cui dimissioni da deputato voterà martedì Montecitorio: la sentenza sulle incompatibilità , al momento, non si applica ai presidenti di Provincia ma lui preferisce portare a casa il vitalizio da ex parlamentare.
La strada inversa ha scelto Michele Traversa, deputato del Pdl di Catanzaro: dirà addio alla poltrona di sindaco ad appena 6 mesi dall’elezione facendo pubblica ammenda per la disastrosa situazione finanziaria: «Ho fallito».
E chissà se su questa decisione ha influito il fatto che Traversa, alla prima legislatura, non ha ancora acquisito il diritto alla pensione.
(da “la Repubblica”)
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