Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
SI POTREBBERO RECUPERARE 3-4 MILIARDI DALLA FREQUENZE TV, MA NESSUNO DICE NULLA
Il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, può cancellare un pasticcio del governo Berlusconi e recuperare 3 o 4 miliardi di euro con un’asta pubblica.
Come per la vendita di frequenze per le telecomunicazioni, fruttata al Tesoro 4 miliardi di euro, quasi il doppio dei 2,4 previsti. Basta una firma.
Un decreto del ministero che annulli la farsa del beauty contest, il concorso a punti per assegnare alle televisioni le frequenze del digitale terrestre. L’Europa chiedeva di aprire il mercato a nuovi concorrenti, l’ex ministro Paolo Romani, fedelissimo del Cavaliere, pensò bene di confezionare una procedura che facesse subito partire Mediaset favorita.
Il bando gratuito mette in palio 5 multiplex , pacchetti di frequenze per trasmettere in alta definizione.
Un capitale tecnologico dal valore di 2 miliardi di euro che in un’asta a rilanci si può moltiplicare.
La procedura è praticamente finita, manca il responso di una commissione nominata da Romani con tre giudici considerati da alcuni dei partecipanti non proprio al di sopra delle parti: addirittura l’avvocato Giorgio D’Amato, ex segretario generale per l’Ufficio del Garante, decise che la proprietà de il Giornale era di Paolo Berlusconi, non del fratello Silvio, quindi nessun conflitto di interesse per il Cavaliere.
Il giochino dei gemelli diversi funziona sempre.
La gara prevede che l’azienda con più risorse e dipendenti arriva prima, dunque Mediaset avrà diritto a scegliere le frequenze migliori, e poi Rai e La7 si accodano volentieri.
Sul beauty contest, però, pendono i ricorsi al Tar di numerose emittenti locali, praticamente dissanguate con il passaggio analogico-digitale terrestre. Fiutato l’inganno, nonostante le battaglie legali per partecipare, Sky Italia ha ritirato due giorni fa la sua partecipazione al beauty contest per testare l’indipendenza del governo di Mario Monti.
Il gruppo di Murdoch non è impazzito: la mossa a sorpresa serve a mettere in difficoltà il ministro Passera, offrendogli un’occasione per annullare il concorso e ricominciare da zero.
Rai e La7 tacciono perchè conviene.
Mentre Pier Silvio Berlusconi ha già avvisato il professor Monti e l’ex banchiere Passera con un’intervista al Corriere: “Se l’assegnazione delle frequenze dovesse avvenire con un’asta a rilanci, vorrei vedere quale operatore tv sarebbe disposto a partecipare davvero”.
L’avvento del digitale terrestre, gestito direttamente dal governo Berlusconi, rende immortale la posizione dominante di Mediaset.
Il sottosegretario Antonio Catricalà , ex presidente Anti-trust, prima di tornare a Palazzo Chigi, s’è liberato di una pratica scottante: ignorando la supremazia di Mediaset nell’infrastruttura, torri e tralicci, strumenti necessari per trasmettere i programmi. Il potere del Biscione è immune, quasi automatico.
Per proteggere la forza di Mediaset, il governo del Cavaliere ha spogliato le emittenti locali. Prima con l’esproprio per l’asta per le telecomunicazioni promettendo 240 milioni agli editori (ma ne vogliono almeno 480), poi con il beauty contest per accontentare il Biscione.
Risultato: in regioni di confine, di terra o di mare, il segnale è debolissimo.
E i canali locali non si vedono. Mediaset è così sicura di vincere che già utilizza in prova le frequenze messe in palio con il beauty contest.
L’uscita di scena di Sky, stranamente, non preoccupa La7: “Non ci ritireremo mai. Di più: vogliamo pure le frequenze Rai”, dicono dal gruppo.
Curiosa la coincidenza: proprio in questi giorni, a parte le smentite di rito, l’imprenditore Tarak Ben Ammar pare interessato a una quota del capitale di Telecom Italia Media, proprietaria di La7.
E Ben Ammar è da sempre un amico d’affari del Cavaliere. Anche la Rai è in corsa al beauty contest, più per inerzia che per un preciso disegno strategico.
A Passera la sentenza. Non ci sono scuse valide, per il ministro.
L’Europa sarà clemente, il sistema beauty contest è un’idea geniale di Romani. A Bruxelles s’aspettano che l’Italia inizi a rompere il duopolio Rai-Mediaset, non certo una distribuzione di frequenze gratis come gustose caramelle.
Passera può fermare la truffa con un decreto e convocare un’asta a partire dal valore dei cinque multiplex per arrivare a 3 o 4 miliardi di euro di gettito per lo Stato.
Circa quanto vale a regime l’intervento sulle pensioni.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Costume, denuncia, economia, televisione | Commenta »
Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
UN RAPPORTO METTE A CONFRONTO IL VALORE DELLE PRESTAZIONI CON I REALI COSTI CHE HANNO PER LO STATO… E GLI SPERPERI RIGUARDANO ANCHE LE REGIONI DEL NORD
Tredici miliardi di euro svaniti nel nulla, sprecati per l’inefficienza ospedali pubblici del nostro paese.
La rete delle strutture sanitarie italiane riceve un finanziamento molto più alto delle prestazioni che eroga, disperdendo una quota del 29%.
Centinaia di milioni di euro che, se risparmiati, potrebbero contribuire ad uscire dalla crisi economica.
Lo rivela il IX Rapporto “Ospedali e Salute 2011” dell’Aiop, l’associazione italiana ospedalità privata, appena presentato alla Camera dei deputati, a Roma.
L’analisi dei dati rivela inoltre che, probabilmente per la crisi economica, aumentano gli utenti che scelgono i centri pubblici rispetto a quelli privati (l’82,3% in più rispetto al 79,3% del 2010)
Sprecano anche le regioni del Nord.
Lo studio ha confrontato i finanziamenti pubblici per la gestione ordinaria ricevuti dalle aziende ospedaliere con la stima del valore economico delle prestazioni erogate.
Si è scoperto che l’inefficienza varia da Regione a Regione, con alcune sorprese. Infatti nonostante si confermi un Mezzogiorno più “sprecone” rispetto al Nord, cresce rispetto allo scorso anno il margine di spreco del Nord (21,8% rispetto al 20,5%).
La Calabria è maglia nera con il 46,4% di tasso d’inefficienza.
Sempre nel Nord, la Lombardia perde il primato di regione più virtuosa (19,3% contro il 16,9 % dello scorso anno), superata dal Veneto (17,2%). Emilia Romagna e Lombardia sono le regioni che attraggono più pazienti dal resto d’Italia.
Progressi invece per il Centro che guadagna un punto percentuale (passa dal 33,4% al 32,8%).
A migliorare, seppur leggermente, sono due delle regioni sotto commissariamento: la Campania, che passa da 42,4% al 41,7%, e il Lazio che da 43% passa a 41,3 %.
Al centro il Lazio è la regione che in termini assoluti spreca più soldi con 1.900 milioni di euro bruciati.
Critica anche la situazione delle regioni a Statuto Speciale, dove la media dell’inefficienza tocca il 36,1%, con punte del 41,8% in Sardegna.
Ci si cura di più.
Sarà forse colpa di una popolazione che invecchia sempre di più, ma il rapporto segnala che in Italia aumenta la richiesta di cure.
Nell’ultimo anno un cittadino italiano su tre (29,5%) ha usufruito dei servizi ospedalieri, pubblici o privati.
Un dato in aumento se paragonato con il 23,8% del 2010.
Rispetto allo scorso anno è cresciuta la preferenza per l’ospedale pubblico (82,3% contro il 79,3% del 2010), anche per l’aumento (+2,6%) del ricorso alle strutture di pronto soccorso.
In lieve flessione, di conseguenza, i numeri del privato, sia per le strutture accreditate (17,8% contro 19,6%), sia per le cliniche (4,6% contro 5,1%).
I cittadini e i servizi.
L’indagine sui cittadini ha inoltre evidenziato una positiva percezione dei servizi ospedalieri.
Ha infatti espresso un giudizio “molto” o “abbastanza soddisfatto” il 95,3% dei pazienti del privato accreditato e l’87,8% di chi ha usufruito delle strutture pubbliche e il 96,6% di chi si è rivolto alle cliniche private.
L’indagine mette in fine in evidenza che le percentuali dei giudizi “molto soddisfatti” sono decisamente più elevate per il privato accreditato (50,7%) rispetto al pubblico (29,0%) e alle cliniche private (46,7%).
(da “la Repubblica”)
argomento: sanità | Commenta »
Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
SI TRATTA DEI PAGAMENTI PROVVISIONALI, OVVERO GLI ANTICIPI DISPOSTI DALLA SENTENZA CON LA QUALE SONO STATI CONDANNATI HARALD ESPENHAHN E ALTRI CINQUE DIRIGENTI DELL’ACCIAIERIA TEDESCA
A più di sette mesi dalla condanna e a quattro anni dalla tragedia di Torino, la ThyssenKrupp non ha ancora rimborsato gli ex operai e alcuni familiari delle vittime come imposto dai giudici.
Si tratta dei pagamenti provvisionali, cioè gli anticipi sui rimborsi disposti dalla sentenza del 15 aprile scorso, con cui sono stati condannati l’ad Harald Espenhahn e altri cinque dirigenti dell’acciaieria tedesca.
Oltre all’accusa di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, i pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso hanno recriminato al primo i reati di omicidio e incendio volontari con colpa cosciente; e per gli altri omicidio e incendio colposo.
Queste ipotesi della procura sono state riconosciute dai giudici della Corte d’assise di Torino, i quali hanno stabilito che gli imputati devono versare dai 50mila euro in su per gli ex lavoratori e tra i 30 e 40mila euro per i parenti dei deceduti.
Gli avvocati degli ex operai, costituiti parte civile al processo, avevano anche chiesto che il pagamento fosse “immediatamente esecutivo” per via delle condizioni economiche precarie in cui si sono ritrovati dopo la chiusura anticipata dello stabilimento e per i gravi danni fisici e psicologici subiti per colpa della tragedia.
La corte ha ammesso la legittimità delle richieste: in base alle testimonianza di cinque addetti di turno tra il 5 e il 6 dicembre 2007 — è scritto nelle motivazioni — emerge “il dramma sconvolgente da loro vissuto quella notte, da cui deriva la fondatezza (peraltro riscontrata dalle perizie mediche) del danno non patrimoniale, costituito dal danno morale e dal danno alla salute da loro lamentato e di cui chiedono il ristoro economico”.
L’azienda e i condannati devono quindi pagare.
Gli importi della provvisionale potevano essere versati dal momento della decisione del tribunale (giorno da cui comincia il calcolo degli interessi) e sono diventati obbligatori dalla pubblicazione della sentenza, ma a 20 giorni dalle motivazioni non sono ancora avvenuti.
Lo segnala l’avvocato Sergio Bonetto, rappresentante di nove operai costituitisi parti civile: “Ho provato in tutte le maniere, sollecitando a voce il pagamento agli avvocati degli imputati, e anche per iscritto, ma ancora non è avvenuto niente — spiega -. Se l’attesa continuasse potremmo avviare le procedure per l’invio di ufficiali giudiziari per i pignoramenti”.
Antonio Boccuzzi, ex operaio sopravvissuto al rogo e ora deputato del Pd, afferma: “Stiamo tutti aspettando. La Thyssen avrebbe dovuto pagare immediatamente. Nessuno ha ricevuto un euro e non abbiamo notizie, se non voci su prossimi pagamenti”.
Il problema è che molti suoi ex colleghi “sono ancora senza un lavoro e a maggior ragione è importante che i soldi siano versati”.
Questo ritardo per lui è una conferma: “È l’atteggiamento dello stile Thyssen: anche dopo la sentenza Torino resta l’ultimo dei pensieri e dei doveri”.
I difensori degli imputati affermano che il ritardo è dovuto alla trattativa in corso tra la ThyssenKrupp, i dirigenti condannati e le parti civili: “Siamo obbligati a fare i pagamenti — premette l’avvocato Cesare Zaccone, difensore dell’azienda -. Si tratta di ritardi dovuti alle modalità di esecuzione, ma è anche un problema che riguarda le compagnie assicurative. I pagamenti devono avvenire al più presto”.
Andrea Giambartolomei
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Giustizia, Lavoro, radici e valori, thyssenkrupp | Commenta »
Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
CROLLA IL SISTEMA DELLE SCATOLE CINESI DELLA GEO… MASSIMO RISERBO SULLO SVILUPPO DELLE INDAGINI
Massimo riserbo dalla Procura della Repubblica di Savona sugli sviluppi nell’inchiesta giudiziaria sul crac della Geo srl di Andrea Nucera, che ha portato all’arresto del più stretto collaboratore dell’imprenditore ingauno, il 46enne savonese Andrea Damele (difeso dall’avvocato Enrico Nan), accusato assieme allo stesso Nucera di bancarotta fraudolenta e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in quanto avrebbero sottratto del patrimonio di una società debitrice verso il fisco (la Geo srl).
Il sostituto procuratore che ha coordinato l’inchiesta condotta dalla polizia tributaria della Guardia di Finanza, Ubaldo Pelosi, così come dello stesso procuratore capo Francantonio Granero hanno tuttavia evidenziato l’importanza del sequestro eseguito oggi dai finanzieri: le disponibilità bancarie per 4 milioni di euro e la collezione di opere d’arte il cui valore i 2 mln.
In situazione di crac di questo tipo, infatti, non è semplice recuperare e sequestrare patrimoni bancari o beni mobili di grosso valore.
Tra i capi di imputazione presenti nell’ordinanza il fallimento della società provocato con dolo da Nucera e Damele, con il sistematico inadempimento degli obblighi tributari tale da determinare un debito tributario al 2011 di oltre 10 milioni di euro.
Contestati ai due indagati atti fraudolenti sui beni della società consistiti nella spoliazione delle risorse mediante operazioni di conferimento, fusione e scissione tra società , riconducibili sempre allo stesso vertice, con l’obiettivo di impedire la ricostruzione del patrimonio ed il movimento degli affari.
Tra le accuse l’aver distratto beni e denaro della Geo Srl per 6 milioni di euro ceduti in data 28 aprile 2011 alla società Geo Costruzioni srl, amministrata da Nucera Andrea e Damele Andrea, in totale assenza di corrispettivi contratti di leasing del valore di oltre 700 mila euro alla società Geo Gestioni Immobiliari amministrata da Damele Andrea.
I due avrebbe inoltre distratto quadri ed opere d’arte del valore di 2 milioni e 119 mila euro assegnandole alla Società Geo Holding Srl amministrata di Damele, sottraendo inoltre 30 milioni di euro attraverso erogazioni senza titolo a favore della Geo Holding, oltre a cambiali emesse dalla società il “Cedro srl in favore della società fallita per un importo prossimo ai 40 mila euro.
A carico di Nucera l’accusa di aver distratto beni e denaro nel 2004 per 250 mila euro, giustificando l’uscita di denaro quale pagamento di fatture relative ad operazioni inesistenti emesse da società “Magma Sas”.
Nel 2004 avrebbe distratto 164 mila come pagamento di fatture per operazioni inesistenti emesse da impresa “Martinelli Giuseppe”.
Nel 2007-08 avrebbe distratto un milione e 100 mila euro mediante pagamenti alla società “Fis Factoring” per saldo di una fattura emessa però da società romena “Tech Invest”.
Nell’aprile 2007 avrebbe infatti distratto 3 milioni 815 mila euro sempre per pagare una fattura inesistente per società “Fiduciaire Suisse Kft”.
A Nucera viene inoltre imputato come amministratore unico il fallimento della Geo Costruzioni Srl, con l’accusa di aver distratto la somma di un milione 594 mila 940 euro in favore di Geo Holding srl.
Nucera quale amministratore della Geo Costruzioni avrebbe infine falsificato le scritture contabili della società facendo registrare compensazioni inesistenti.
Secondo quanto trapelato sembra essere stata confermata la sua presenza negli Emirati Arabi, ad Abu Dhabi
(da I.V.G. it )
argomento: Giustizia | Commenta »
Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
DA CIACCIA A MILONE ECCO I CASI CHE FANNO DISCUTERE…DOPPIO STIPENDIO PER PATRONI GRIFFI, MINISTRO E GIUDICE DEL CONSIGLIO DI STATO
C’è un “incubo” conflitto d’interessi che aleggia sul governo Monti.
Riguarda ministri e sottosegretari, freschi di nomina, ma i cui nomi e cognomi ormai si rimpallano sui siti e nelle rassegne stampa più per le contraddittorie anomalie tra la loro vita passata e quella attuale da freschi componenti del governo, che per quanto hanno potuto già fare dal giuramento in avanti.
Una situazione imbarazzante, e in più di un caso non risolvibile, che oscura la caratura tecnica e anzi fa esplodere la contraddizione tra chi, fino al giorno prima, era al vertice di una banca, e quello dopo detta legge sulla politica economica del governo.
Questa “black list”, per usare un’espressione un po’ forte, non può che partire da Corrado Passera, il nuovo ministro per lo Sviluppo economico, ma anche per le Infrastrutture e i Trasporti.
Lui, fino a ieri amministratore delegato di Intesa San Paolo, arriva al vertice di un dicastero strategico in cui la sua vita, la sua attività precedente, i suoi rapporti non potranno essere cancellati d’un colpo.
E ovviamente pesano e spingeranno tutti a monitorare le sue scelte col microscopio. Non basta. Stesso ministero, due dei quattro sottosegretari, Mario Ciaccia e Guido Improta, entrambi con delega alle Infrastrutture e Trasporti, con lo stesso problema.
Ciaccia, un passato alla Corte dei conti e alla presidenza del Consiglio, è stato l’amministratore delegato della Biis, la Banca per l’innovazione, le infrastrutture e lo sviluppo, controllata da Intesa, che si occupa di intermediazione tra aziende private e denaro pubblico.
Dunque Ciaccia continuerà a fare esattamente, ma dal fronte governativo, quello che faceva prima.
Idem per Improta, sponsorizzato da Francesco Rutelli, di cui è stato capo di gabinetto ai Beni culturali, che ha svolto il delicato incarico di responsabile delle relazioni istituzionali di Alitalia, compagnia di cui Intesa è azionista. Improta, tra le sue deleghe ministeriali, avrà anche quella all’aviazione civile e si troverà a poter favorire il gruppo per cui lavorava prima.
Situazione anomala pure per Carlo Malinconico, sottosegretario alla presidenza con delega all’editoria, cui l’imprenditore Anemone regalò un soggiorno all’Argentario, ex presidente della Fieg, consigliere d’amministrazione dell’Ansa, presidente dell’Audipress, ha una sua società , la Malinconico e associati, per le consulenze aziendali. Tutto in conflitto, quindi.
E in più di un caso il conflitto si sposa con un’ulteriore anomalia.
La più appariscente è quella di Filippo Milone, da Paternò, sottosegretario alla Difesa, già capo della segreteria e uomo ombra di Ignazio La Russa nello stesso ministero, una condanna per concorso in abuso di ufficio a un anno e sette mesi, seguita però da riabilitazione, citato nelle intercettazioni del manager di Finmeccanica Lorenzo Borgogni perchè chiedeva soldi per la festa del Pdl a Milano. Non basta.
Era nell’Ansaldo, una controllata da Finmeccanica, fornitrice della Difesa.
È in imbarazzo Michel Martone, nominato al Welfare, 37 anni, figlio di Antonio Martone, magistrato coinvolto nel caso P3, tuttora presidente della Civit, la commissione per la trasparenza nella pubblica amministrazione.
Padre e figlio finiti nel mirino delle denunce del senatore Pietro Ichino.
Lo stesso Ichino che ha sanzionato il doppio stipendio di Filippo Patroni Griffi, ex capo di gabinetto di Brunetta, uno che ha lavorato con Frattini, Bassanini e Amato e che Sabino Cassese scelse come capo dell’ufficio legislativo allo stesso ministero.
Lui, ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, dipende dal ministero che dovrebbe riformare.
Per giunta il decreto milleproroghe del 29 novembre 2010 consente «ai membri della Civit che sono anche dipendenti pubblici di restare in ruolo e svolgere contemporaneamente le due funzioni».
Una norma dipinta su di lui che è componente della Civit.
Un conflitto anche per un procuratore della Repubblica che diventa sottosegretario all’Interno. Che potrebbe lasciare indagini fresche che riguardano personaggi del governo.
È Giovanni Ferrara, che da piazzale Clodio s’insedia al Viminale. E lascia il posto a uno dei suoi vice, quel Giancarlo Capaldo sotto inchiesta al Csm per una cena con Tremonti e Milanese.
A tre giorni dal giuramento a palazzo Chigi resta pure un interrogativo sul Franco, o Francesco, Braga destinato a diventare il nuovo sottosegretario all’Agricoltura.
Hanno nominato quello sbagliato, il Franco Braga indicato dall’ex ministro Altero Matteoli per le Infrastrutture, mentre il sottosegretario giusto, Francesco, è rimasto inutilmente in attesa in Canada.
Il Braga scelto, se dovesse finire alle Infrastrutture, sarebbe in conflitto con se stesso per aver fatto parte di numerosi consigli di amministrazione.
Ma forse, alla fine, resterà all’Agricoltura.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
argomento: Costume, economia, governo, la casta, Politica | Commenta »
Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
IL CANTIERE CHE NON SERVE COSTA SEI MILIARDI… LE FERROVIE NON SANNO NEANCHE FORNIRE IL PIANO FINANZIARIO DELL’OPERA
Ci sono 6 miliardi di euro da risparmiare all’istante senza toccare le pensioni.
Basta che il governo fermi il progetto per il cosiddetto Terzo Valico, la linea ad alta velocità che da Genova attraversa l’Appennino per sboccare sulla Padana.
Lunedì prossimo le Fs si aspettano che il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) vari la seconda tranche di finanziamento dell’opera, un miliardo e cento milioni.
Una prima tranche di 500 milioni è stata già stanziata. Allo stato attuale è più che lecito ipotizzare che siano soldi buttati, in ossequio alla regole aurea del partito del cemento: l’importante è aprire i cantieri. Ecco una breve lista di ragioni per cui il governo Monti potrebbe dare prova di serietà fermando lo sperpero di denaro a cui una potente e caparbia lobby sta lavorando da vent’anni.
1) È un’opera assurda.
Una ferrovia che parte da Genova per collegare il porto della Lanterna con il nord Europa, andandosi a ricongiungere al nuovo traforo svizzero del Gottardo. Solo che i 6,2 miliardi servono per arrivare fino a Tortona, in mezzo alla pianura Padana, 53 chilometri di nuova ferrovia veloce al costo di 115 milioni di euro a chilometro. Da Tortona i treni torneranno sulla vecchia ferrovia.
2) Non si sa a che cosa serva.
Le Fs, committenti dell’opera, non sanno dire se servirà per i passeggeri (collegamento veloce Genova-Milano) o per le merci. È noto che una ferrovia del genere non si può utilizzare per entrambi i servizi, bisogna scegliere, e sarà fatto dopo aver deciso di spendere i soldi. La stessa commedia della Val di Susa.
3) È un’opera inutile.
Fu inserita nel programma Alta velocità in un secondo momento, quando la Montedison di Gardini pretese un posto a tavola nel grande affare che si erano spartiti Fiat, Eni e Iri. Da vent’anni si cerca di dimostrare che c’è una grande quantità di container da prendere al porto di Genova-Voltri per portarli in Europa.
Si era previsto che nel 2006 il traffico di Voltri raggiungesse i 5 milioni di teu (l’unità di misura dei container). A fine 2011 si arriverà a 1,8 milioni. Le linee già esistenti per i valichi dell’appennino ligure sono in grado di trasportare oltre 3 milioni di teu.
Le Fs non rendono note le previsioni di traffico per la nuova linea.
4) È un ‘opera costosa. Le Fs vogliono spendere 6,2 miliardi di euro per una linea che secondo le loro stesse previsioni non andrà oltre i 40-50 milioni di euro all’anno.
Da vent’anni si fanno i conti e non tornano. Il traffico, nella migliore delle ipotesi, coprirà i costi di gestione e manutenzione.
Il nuovo vice ministro delle Infrastrutture, Mario Ciaccia, è colui che come manager della Banca Intesa Sanpaolo ha predicato per anni che si poteva fare l’opera con il project financing, cioè capitali privati ripagati con i profitti del servizio.
Alla fine era tanto convincente il modello che si è deciso di far pagare tutto allo Stato, punto.
Quanto costa e come si ripaga ? Le Fs non sono in grado di fornire alcun piano finanziario sull’opera.
5) A chi conviene. C’è però il consorzio Cociv, il general contractor. La poetica creazione indicava chi si assumeva tutti i rischi della realizzazione dell’opera e anche del finanziamento.
Come si è visto con la Tav, il modello è servito a ingrassare i costruttori scaricando sullo Stato circa 90 miliardi di debito pubblico.
Il Cociv è oggi formato dalla solita Impregilo (Benetton, Ligresti, Gavio) dalla Condotte del gruppo Ferfina e dalla Civ.
Tra gli azionisti anche la Biis, la Banca guidata fino a lunedì scorso dal vice ministro Ciaccia.
Anche i 6,2 miliardi del Terzo Valico andranno a carico del debito pubblico che Monti deve disperatamente riassorbire, ma lascerebbe dissennatamente crescere se non fermasse opere come questa.
6) Non finiranno mai.
Venti giorni fa il Commissario governativo per la realizzazione del Terzo Valico, Walter Lupi, ha detto: “Nel contratto appena firmato è previsto di concentrare i materiali da scavo delle gallerie, qualcosa come 800 mila metri cubi, nella discarica di Scarpino.
Ma visto quello che è appena successo a Genova, mezzo metro di pioggia in quattro ore, credo che questa decisione vada rivista”.
Cominciamo bene: ufficialmente per i 53 chilometri servono otto anni, fino al 2019. Sulla base dell’esperienza storica, vuol dire che dovrebbero finirli attorno al 2030. Quando i container magari non esisteranno più.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Ambiente, denuncia | Commenta »
Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
DOPO LE DIMISSIONI DI BERLUSCONI IN CRISI TELEGIORNALI E TALK SHOW
Il calmante Mario Monti funziona benissimo per la televisione generalista e maluccio per i mercati.
Il 14 novembre il Professore riceve l’incarico, il 16 i ministri giurano al Quirinale, e le telecamere si spengono, e i telespettatori si rilassano, e l’ascolto si sgonfia.
I telegiornali senza distinzione e i programmi d’informazione, prima travolti dal flusso continuo di notizie, s’arrendono a un effetto camomilla che depura le tensioni del governo Berlusconi
Il pubblico preferisce zio Michele di Avetrana (Matrix) oppure il commento di Porta a Porta a Fiorello, le due uniche trasmissioni (tg compresi) che reggono.
Nessuno si preoccupa di Monti e dei ministri, tutti sobri, riservati, taciturni, e ovviamente tecnici. Niente interviste, niente indiscrezioni.
Novembre diviso a metà , due settimane col Cavaliere e due settimane col Professore, si racconta così: parte a razzo, arriva in frenata.
I numeri Auditel spiegano il fenomeno.
Ballarò ha guidato l’informazione Rai, unico protagonista, nonostante le affannose rincorse di Vespa e il pessimo 15,5% di share in prima serata.
Toccate le vette con sei milioni di telespettatori (21,8%), Ballarò scende a 4,3 milioni (15,8).
Leggera flessione per Qui Radio Londra (-50 mila utenti, sotto il 17%), però il giochino è sbagliato: Giuliano Ferrara era già un disastro con l’amico-editore B. figuriamoci con l’odiato Monti.
Anche Gianluigi Paragone paga un bel conto, l’Ultima Parola cede 3 punti di share e s’allontana dal milione di italiani.
L’anestesia dei tecnici, addirittura, provoca vittime: chiude La versione di Banfi su Rete4, mentre Gianni Letta e Silvio Berlusconi lasciano Palazzo Chigi.
La volata di La7 s’interrompe, e colpisce ovunque.
Manca la spinta del telegiornale di Enrico Mentana, che segna -500 mila spettatori, e dunque soffrono Otto e Mezzo di Lilli Gruber, l’Infedele di Gad Lerner il lunedì e In onda di Porro-Telese sabato e domenica.
Non cambia il prodotto, cambia l’attenzione del pubblico, e soprattutto le notizie: a La7 cercano di spiegare la manovra economica di Monti, peraltro dispersa nelle nebbie, chiamando esperti come Piero Ichino e Tito Boeri che suscitano più interessi dei politici.
Ma l’argomento, seppur più importante, non vale la sensazione “liberazione da B.” dei primi giorni del mese.
E nemmeno Piazzapulita di Corrado Formigli evita la flessione, passando dal 6,4 (10 novembre) al 4,7 (24 novembre).
Su Alessio Vinci e Bruno Vespa cala l’immunità col trucco: Porta a Porta e Matrix confermano il pubblico di metà novembre, anzi a volte crescono, però evitano la politica.
Con spietata onestà , salutato il Cavaliere, Vespa disse al Fatto: “à‰ normale che la gente adesso sia stanca del governo, responsabili e voti di fiducia, credo che farò più cronaca”.
Promessa mantenuta.
Lunedì sera, sfruttando la scia di Fiorello, Vespa ha superato il 28% di share, e la sera successiva ha applaudito se stesso in studio.
Anche perchè si somigliano, stesso discorso per Vinci che trionfa con la saga di Avetrana e l’oracolo zio Michele.
Che il passaggio a vuoto, per una volta, accomuni Mediaset-Rai-La 7, lo dimostrano i telegiornali, tutti col segno meno.
Il Tg3 viaggiava con una media del 16,8 per cento di share, adesso torna al 15%. Un gruppo variegato ha perso un punto di share: Tg2, TgR, Studio Aperto. Senza Berlusconi, i telegiornali dei fedelissimi attutiscono il colpo: 145 mila per il Tg1 (-0,68%), 50 mila per il Tg4 (-0,2%), il Tg5 abbassa lo share (-0,07%) e cresce con il pubblico (+18 mila).
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Politica, televisione | Commenta »
Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
I PREZZI SONO TRIPLICATI E I PASTI CALANO DEL 70%….GESTORI VERSO L’ADDIO, VENTI RICHIESTE DI CASSA INTEGRAZIONE
Ah, i bei tempi d’oro… Al ristorante del Senato, fino a tre mesi fa, il filetto di orata in crosta di patate si gustava per 5,23 euro e per il carpaccio di filetto con salsa al limone ne bastavano 2,76.
Ma dalla fine di agosto i prezzi sul menu di Palazzo Madama sono triplicati e i senatori hanno rivoluzionato le loro abitudini.
Adesso, nelle pause dei lavori d’Aula, o si fermano alla buvette per un riso all’inglese (rapido ed economico), o escono a mangiare nelle trattorie a due passi dal Pantheon. D’altronde, spiegano senza troppi imbarazzi, i prezzi a Palazzo Madama sono ormai «così alti» che pranzare fuori è diventato quasi conveniente.
Da «Fortunato al Pantheon», un classico per le buone forchette della politica, all’una c’è la fila.
Con 45 euro ci scappano primo e secondo, prelibatezze romanesche come i bucatini all’amatriciana e carni italiane di prima scelta.
Avvistati negli ultimi tempi Anna Finocchiaro, Maurizio Gasparri, Francesco Rutelli e il presidente Renato Schifani.
Il ristorante del Senato invece, che prima era preso d’assalto anche da deputati e giornalisti parlamentari, adesso è mezzo vuoto.
Potere dell’antipolitica o della parsimonia? Forse di tutte e due le cose.
Fatto sta che la Gemeaz Cusin, la società che lo gestisce, ha deciso di gettare la spugna e chiede all’amministrazione di Palazzo Madama «una soluzione amichevole» per rescindere consensualmente il contratto, sottoscritto il 12 febbraio 2010.
La società appaltatrice ha messo la questione in mano agli avvocati, che hanno redatto un parere con cui sperano di convincere Palazzo Madama a rivolgersi altrove per sfamare i senatori.
La relazione è lunga quattro pagine ed è un ritratto dell’Italia, tra antichi privilegi e cauti colpi di forbice.
Vi si legge che, prima della decisione dei questori di tagliare i costi, i senatori pagavano per un pranzo «il 13% del prezzo effettivo, anche per i pasti di tipo superiore o pregiato, il cui costo ricadeva, quasi per intero, sull’Amministrazione».
Dunque, detto più prosaicamente, i senatori assaporavano e i cittadini pagavano.
Ora però– che le quote percentuali a carico degli utenti «sono state sensibilmente incrementate» e che i senatori pagano la spigola o il filetto quanto i comuni mortali–è comprensibile che alla Gemeaz Cusin i conti non tornino più.
E che la società chieda lo scioglimento consensuale del contratto con decorrenza 31 dicembre 2011.
Da quando i costi sono quelli di un comune ristorante del centro di Roma, lamenta la società , «si è verificata una eccezionale diminuzione dell’attività », con una riduzione dell’affluenza «di oltre il 50 per cento».
E se prima i senatori sceglievano quasi esclusivamente piatti «della tipologia superiore e pregiata», ora prediligono le pietanze più cheap.
Gli spaghetti all’astice, sul menu a 18 euro, non li vuole più nessuno, mentre quelli al pomodoro (6 abbordabili euro) sono tornati di gran moda.
La Gemeaz Cusin stima «un calo del 70 per cento dei pasti prodotti», con conseguente perdita economica ed esuberi del personale. Il primo effetto concreto è la richiesta di cassa integrazione per 20 dipendenti del ristorante. Intanto, però, sembra che il Senato si appresti ad assumere (altri) sette dirigenti, vincitori di vecchi concorsi.
Monica Guerzoni
(da “Il Corriere della Sera”)
argomento: economia, Parlamento | Commenta »
Dicembre 3rd, 2011 Riccardo Fucile
IL MINISTRO: “MOTIVI DI SPAZIO”…LE MACCHIETTE STORACE E GRAMAZIO INSORGONO
Appena insediatosi a Palazzo Chigi, il neo-ministro degli Affari europei Enzo Moavero ha chiesto due cose: la sostituzione, come auto di servizio, di una grossa Bmw con una più economica e piccola Lancia Delta, e la rimozione di una scrivania che, secondo la leggenda, apparteneva a Mussolini.
Ma l’ultimo ad utilizzarla era stato l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti. Che ne aveva fatto un motivo di scherzoso vanto.
Moavero non sembra avere la stessa voglia di scherzare con i residuati del ventennio, e ha quindi dato l’ordine di sgombrare la stanza: «Ma è soltanto per motivi di spazio», ha spiegato, smentendo le voci che spiegavano la decisione con una scelta «antifascista».
Intanto però la voce si è diffusa, suscitando l’irritazione di chi apprezza certi cimeli, e la gioia di chi invece li disprezza.
«Confesso che non conoscevo Enzo Moavero Milanesi – afferma ad esempio Francesco Storace, leader de La Destra sul suo blog -. Costui ha pensato di passare alla storia ordinando di cambiare la scrivania ministeriale perchè quella che ha trovato – si dice – sarebbe appartenuta a Benito Mussolini: Sono antifascista io, ha ululato gonfiando il petto. Giammai quel tipo di arredamento, avrà aggiunto. Ecco, vorrei poter dire che gente così non fa onore allo Stato che ha giurato di servire. E farebbe bene il presidente Monti a disfarsi di un personaggio di tal fatta».«Se questo è il buongiorno del ministro Moavero- aggiunge Domenico Gramazio, senatore del Pdl -, è senza dubbio il saluto di chi non ricorda la storia d’Italia o la vuole cancellare dagli annali. Ed a poco varrebbe qualsiasi giustificazione».
Insomma non si sa a chi spetta di più la palma del ridicolo.
argomento: governo | Commenta »