Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
INCHIESTA PER L’APPALTO DA 100 MILIONI DELLE CARCERI… PERQUISITI A ROMA DUE GIORNALISTI PANAMENSI, SENTITO UN IMPRENDITORE ITALIANI…IL COMPAGNO DI MERENDE DI BERLUSCONI E GRAN TAROCCATORE E’ ACCUSATO DI CORRUZIONE DI MEMBRI DI STATO ESTERO
“Polizia”, dicono gli agenti, mostrando il tesserino in un bar di via Nazionale a Roma, e in quel momento Lina e Santiago capiscono di essere nel posto giusto al momento giusto: la Digos, inviata dai pm Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock, ha il mandato di perquisire le loro stanze d’albergo.
Ma il punto è un altro: Lina Vega e Santiago Cumbrera sono due inviati del quotidiano panamense La Prensa, appena arrivati in Italia per raccontare le relazioni pericolose tra Valter Lavitola, il loro presidente Ricardo Martinelli e Finmeccanica.
E nel mandato di perquisizione hanno modo di leggere che Lavitola è indagato per corruzione nei confronti di membri di stati esteri.
Nell’atto il riferimento a Panama è esplicito: “Reato accertato in Napoli, in epoca anteriore e prossima al luglio 2011, in relazione a condotte specificamente esistenti tra Lavitola e il governo panamense , inerenti l’affidamento, intermediato da Lavitola, di lavori e commesse milionarie, riguardanti la costruzione di carceri e altre opere pubbliche, oggetto di specifico approfondimento investigativo”.
La loro perquisizione, in fondo, dimostra proprio quello che cercavano: è la prova che la procura di Napoli sta indagando sugli affari stretti con il governo panamense.
Lina e Santiago sono pronti a scrivere lo scoop per La Prensa, la notizia farà tremare il presidente Martinelli e il governo intero, ma c’è di più: è la prova che le indiscrezioni pubblicate in esclusiva da Il Fatto Quotidiano il 18 ottobre scorso sono più che fondate.
Parliamo di un affare da 100 milioni di euro, poi sfumato, sulla costruzione di carceri con celle modulari.
Eppure c’era stata un’intesa, firmata nel 2010, tra Silvio Berlusconi e Martinelli.
E anche in quel caso, ci avevano spiegato fonti riservate, c’era lo zampino di Lavitola. Il sospetto è confermato dalla perquisizione che la procura di Napoli ha disposto due giorni fa. L’accordo per le carceri a Panama arriva nelle stesse ore dell’intesa per gli affari con Finmeccanica.
Il partner italiano prescelto dai panamensi per l’affare delle celle modulari è il consorzio Svemark e Lavitola è messo al corrente dell’evoluzione dell’affare.
Non solo.
Tra i soci della Svemark c’è anche Angelo Capriotti. Lo stesso Capriotti che ha assunto la moglie di Gianpi Tarantini, Nicla De Venuto, e così l’affare panamense — per il tramite di Lavitola — inizia a trovare contatti con un’altra inchiesta: quella avviata, sempre dalla procura di Napoli (e poi approdata a Roma e Bari), sui soldi pagati da Berlusconi a Tarantini, proprio attraverso Lavitola, per mentire alla procura di Bari nel procedimento sulle escort.
Non c’è solo Capriotti, però, nella Svemark: tra i soci c’è anche Mauro Velocci.
Ed è proprio lui che Woodcock e la Digos stanno cercando, quando decidono di perquisire gli inviati de La Prensa: “Velocci Mauro — si legge negli atti — s’è incontrato, o meglio si sta incontrando, nel pomeriggio odierno, con una giornalista panamense presso l’hotel…”.
La Digos rintraccia Velocci proprio mentre sta parlando con i giornalisti.
Gli agenti esibiscono il tesserino sotto gli occhi increduli degli inviati panamensi. Due giorni fa, il quotidiano filo governativo El Panama America, aveva anticipato l’arrivo di Velocci in Italia da Panama, scrivendo che, proprio Velocci, era la fonte delle notizie rivelate dalla leader dell’opposizione, Balbina Herrera, che in tv aveva letto alcune e-mail tra Lavitola e Martinelli.
Al centro dello scandalo a Panama ci sono oltre agli affari di Lavitola con Velocci sul fronte carceri, anche le commesse ottenute da Finmeccanica, grazie anche al faccendiere, per l’acquisto di radar ed elicotteri.
Per favorire un clima positivo tra Italia e Panama, Lavitola aveva sponsorizzato il dono di alcune navi dall’Italia e un trattato che avrebbe aiutato il paese centro americano ad uscire dalla lista dei paradisi fiscali.
Proprio in queste ore, tra i cronisti panamensi, circolano i testi di altre conversazioni tra Lavitola e Martinelli.
Come la seguente, che sembra una sorta di programma del governo: “Capo”, scrive Lavitola a Martinelli, “programmi Tv ok (forse Lavitola si riferisce alle trattative con Raitrade, ndr), trattato doppia tributazione ok, navi ok (aspetto la conferma per la visita dei marinai), radar: l’autorizzazione del ministero (Garuz) è partita questa settimana. La controlleria ha trattenuto i documenti per più di due mesi. Entro 30/60 giorni sarà tutto ok. Ti prego con tutto il cuore di fidarti di me. Un fraterno abbraccio. Valter”.
“Gracie mille”, risponderà poche ore dopo Martinelli. Era il 22 gennaio 2011.
In effetti, come rivelato da Il Fatto quotidiano, il 30 dicembre 2010 era stato firmato il trattato di doppia imposizione fiscale con Panama, che però l’Italia non ha mai ratificato.
Anche per le navi, almeno nei primi tempi, l’affare stenta a realizzarsi, tanto che l’ambasciatore italiano a Panama, Curcio, scrive a due funzionari di Palazzo Chigi.
Riferisce di aver ricevuto una telefonata, dal presidente Martinelli, che è furioso perchè Berlusconi non sta rispettando due impegni. Il primo riguarda la costruzione di un ospedale a Veraguas, il secondo la consegna di quattro motovedette alla marina panamense. Curcio però aggiunge: “La telefonata è da mettere in relazione con alcuni contatti per cercare di sbloccare la questione delle carceri modulari dell’azienda italiana Svemark…”.
Sempre parlando di Martinelli, Curcio prosegue: “Ha detto che le carceri modulari sono care e non le farà mai”, conclude l’ambasciatore, chiedendo l’intervento di Berlusconi.
E proprio di “carceri e altre opere pubbliche” parla il decreto di perquisizione: Velocci — che è presidente della Svemark Panama — in queste ore è stato sentito dagli inquirenti napoletani: la sua deposizione può far tremare Lavitola e l’intero governo panamense.
Francesca Biagiotti e Antonio Massari
(da il “Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
“IL CENTRODESTRA E’ FINITO, CASINI VA SOSTENUTO, PURCHE’ NON VADA CON IL PD”…”FINI? PER MIO PADRE ERA ‘IL COMPAGNO'”…”IO INGRATA CON BERLUSCONI? MEGLIO NON FARE QUESTI CONTI TRA LE NOSTRE FAMIGLIE”
Stefania Craxi va via. Via dal Popolo della libertà , via da Berlusconi.
Si iscrive al gruppo misto della Camera: «Berlusconi ha detto che assume poteri straordinari, che diventa Lord protettore del partito. Ho aspettato venti giorni che qualche dirigente ponesse un interrogativo su questa decisione». Invece, niente.
«Ci saranno il congresso, un segretario, le primarie, ma Berlusconi continuerà a comandare. Quale organo ha deciso tutto questo? È normale un partito che non sa fare a meno di un leader che ha perso (lo dicono i sondaggi) un terzo del suo elettorato?».
Signora, lei è amica personale di Berlusconi: non gli ha parlato di tutto questo?
«Ho chiesto più di una volta un appuntamento, ma non l’ho ottenuto. Da prima che il governo cadesse».
Due giorni fa, Stefania Craxi ha dichiarato: il 14 dicembre, quando Fini promosse la mozione di sfiducia al governo Berlusconi, forse eravamo noi nel torto.
Spiega: «Si doveva tentare una mediazione con Fini. Invece abbiamo perso elettori con quello schifo del reclutamento dei “responsabili”».
È anche l’ultimo capitolo di un’amicizia?
«L’amicizia non è negoziabile. Ma il centrodestra è finito».
Pare il capolinea di una storia lunga.
Elezione di Stefania alla Camera con Forza Italia nel 2006. Sottosegretario agli Esteri nel governo del 2008. I genitori di Stefania, Bettino e Anna, testimoni di nozze di Berlusconi e Veronica Lario. Craxi che protegge per decreto le tv di Berlusconi. Berlusconi che non va ad Hammamet, finchè Craxi è vivo. I figli di Stefania amici dei figli di Berlusconi. Stefania al fianco di Berlusconi, nel nome della battaglia contro Tangentopoli.
Poi, lo scorso aprile, le parole di Stefania: «Berlusconi è al tramonto, esca di scena». E inoltre: «Deve smetterla di raccontare queste barzellette oscene».
Adesso, Stefania, la chiameranno «ingrata»…
«Non Berlusconi: è troppo intelligente per fare i conti di gratitudine e ingratitudine fra la mia famiglia e la sua».
Le diranno che poteva andarsene prima.
«Ho appoggiato la maggioranza finchè c’è stata, non ho partecipato a cene di congiurati, nè fatto ricatti».
Com’era il clima nel governo?
«Da un anno non facevamo più nulla. Prevaleva l’ossessione della giustizia e degli scandali».
Cosa le ha dato più fastidio?
«Che un’intera classe dirigente non sia stata in grado di dare l’esempio».
Ai tempi di suo padre i politici davano l’esempio?
«Quella era una classe dirigente vera, con una selezione dentro i partiti. Nessuno era figlio del censo. Ora si è diventati classe dirigente col favore dei potenti di turno. Anche io».
Stefania Craxi pochi giorni fa ha presentato la sua nuova creatura, i Riformisti italiani, «contro lo sconcio della foto di Vasto (Bersani, Di Pietro e Vendola) e per radunare tutti i delusi da Berlusconi».
Lancia una raccolta di firme per un’assemblea costituente che scriva le grandi riforme istituzionali. Anche lei fonda un partito?
«Per ora no. Certo, in Italia una leader donna non c’è mai stata…».
Alla presentazione dei Riformisti, a Milano, c’era Casini.
«Casini va sostenuto, aiutato. Non andrà mai col Pdl finchè il leader è Berlusconi. Ma non deve cedere neanche all’alleanza col centrosinistra, con quelli che D’Alema chiama i progressisti: è un termine ambiguo, così si definiva Stalin».
Che direbbe oggi Bettino Craxi?
«Sto preparando un libro sui suoi appunti, La Seconda Repubblica vista da Hammamet : ci sono cose che sembrano scritte questa mattina. Parlava del “compagno Fini”, dodici anni fa».
Andrea Garibaldi
(da “Il Corrriere della Sera”)
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Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO DI MILANO DA’ L’ADDIO AL PDL CON CUI ERA SCESO IL GELO DOPO LA SCONFITTA ALLE COMUNALI … PUNTUALE ARRIVA L’ACCUSA DEI BERLUSCONES: “TRADISCE GLI ELETTORI”
La ratifica del divorzio era arrivata qualche settimana fa, con il mancato rinnovo della tessera di iscrizione al Pdl, acquisita soltanto un anno fa direttamente dalle mani di Silvio Berlusconi. Allora, Letizia Moratti era il sindaco di Milano.
Ieri, il primo appuntamento con la nuova fiamma: un incontro a Roma con i vertici di Futuro e libertà .
La Moratti prima ha visto Italo Bocchino e Benedetto Della Vedova, poi ha pranzato con il presidente della Camera Gianfranco Fini.
Dialogo proficuo, è la versione ufficiale, scambio di opinioni sul nuovo governo e sull’idea condivisa di allargare il bacino di sostenitori e iscritti al Terzo Polo.
Già fissato il secondo appuntamento, a gennaio.
Pochi, nel suo ex partito, sperano in un ripensamento della donna che, eletta da indipendente, ha poi guidato il centrodestra verso la prima sconfitta sotto la Madonnina negli ultimi venti anni. Molti, invece, quelli che l’accusano di tradimento, soprattutto in Consiglio comunale, dove la Moratti aveva assicurato presenza costante per cinque anni di opposizione: su 39 sedute, finora ha partecipato solo a 14, ed è da inizio novembre che nessuno l’ha più vista in aula, sembra per gli impegni pressanti a San Patrignano.
La decisione di avvicinarsi a Fli (dopo mesi di rumors sul suo interesse per una partita politica al fianco di Luca Cordero di Montezemolo) piace molto al coordinatore lombardo del partito di Fini, il senatore Giuseppe Valditara.
«L’avvicinamento di Letizia Moratti va nella direzione del progetto che stiamo costruendo, e ha a che fare con la scomposizione del Pdl».
Scomporre e ricomporre: questa la strategia finiana in un momento di terremoto nel Popolo delle libertà , accogliendo transfughi e delusi.
Tra questi, proprio la Moratti che – nonostante la sonora sconfitta personale di fine maggio – sembra sia rimasta delusa dalla freddezza del suo partito.
Oggi solo il coordinatore azzurro della Lombardia Mario Mantovani ha parole apparentemente pacate – «Disponibili a riprendere il dialogo con lei, se vuole: siamo comunque grati alla Moratti del suo impegno in una campagna elettorale in cui l’abbiamo fortemente sostenuta» – mentre in Consiglio comunale non usano mezzi termini.
Per tutti, il suo ex vicesindaco Riccardo De Corato: «Se avesse avuto le idee più chiare prima ci saremmo salvati anche noi, ora spieghi ai milanesi che l’hanno votata perchè va con chi ci ha fatto perdere».
Come se lui non avesse contribuito la sua parte.
Nella faccenda c’è poi un risvolto degno di nota: perchè a Milano nella giunta Pisapia c’è un rappresentante del Terzo Polo – il deputato Api Bruno Tabacci, che non si esprime sul possibile nuovo arrivo – mentre l’unico consigliere finiano, Manfredi Palmeri, siede all’opposizione: a maggio lui fu uno sfidante della Moratti come candidato sindaco.
Domani, forse, potrebbe diventare il suo capogruppo in Consiglio comunale.
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
PER IL LEGALE DI NUCERA, ENRICO NAN, “L’AZIENDA ERA SOLIDISSIMA”
E’ fallita anche la Geo Sviluppo Immobilare Srl, la terza in ordine di tempo a finire sul lastrico nella galassia imprenditoriale di Andrea Nucera.
La sentenza è giunta nella giornata di ieri al termine della camera di consiglio con il presidente Giuseppe La Mattina, il giudice Davide Atzeni e il giudice relatore Alberto Princiotta.
Al capolinea, quindi, anche la società che promuoveva il complesso “Brezza di Mare” nell’area T1 di Ceriale, tuttora sotto sequestro, e che insieme alla Geo Gestioni amministrata da Andrea Damele (il braccio destro, agli arresti, dell’immobiliarista ingauno) aveva chiesto l’ampliamento volumetrico dell’ex ospedale di Albenga.
A fine luglio e ad inizio agosto erano state dichiarate fallite rispettivamente la Geo Costruzioni e la Geo Srl (poi In.Par).
L’altro giorno i commercialisti dello studio Benzi, che curano gli aspetti fiscali del gruppo, avevano portato i libri contabili in tribunale.
Una sorta di resa, ben diversa dall’atteggiamento combattivo mostrato in estate quando c’era ancora la speranza di un recupero finanziario.
Quando, per capirci, il legale ed ex socio di Nucera, il coordinatore regionale di Fli Enrico Nan, dichiarava che “il gruppo era solidissimo”.
(da I.V.G. Savona)
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Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
LE DICHIARAZIONI DI TOMMASO FOTI DA PIACENZA LASCIANO A BOCCA APERTA…. MA TUTTI I DEPUTATI DELL’EMILIA ROMAGNA SI LAMENTANO ALL’IDEA DI VEDER TAGLIATO IL PROPRIO STIPENDIO: DA RAISI A BERSELLI, DA ALESSANDRI A CAZZOLA E A QUELLI DEL PD
Il Comune di Piacenza ha appena rinnovato un accordo con la Caritas diocesana per andare in aiuto alle famiglie falciate dalla crisi.
I Vigili del fuoco protestano perchè non hanno più i soldi per fare benzina.
Mentre la città ha il record di sfratti in Emilia Romagna.
In questo contesto, tra i nuovi “indigenti” ci sono anche insospettabili personaggi del mondo politico, come il deputato del Pdl Tommaso Foti che lancia il suo personale grido di allarme: “Se mi tagliano lo stipendio da parlamentare ho le pezze al culo”.
Il povero di Montecitorio
Una storia singolare, quella di Foti, che interrogato sul come la pensasse a proposito della necessità di dimezzare i compensi di deputati e senatori- in linea con il regime di austerity imposto dal periodo di crisi- prima è andato su tutte le furie (“è una polemica vergognosa”) per poi ammettere il proprio status di “sfigato”, visto che dopo anni di aspettativa dal suo precedente lavoro, non riuscirebbe a mettere insieme il pranzo con la cena se proprio ora la mannaia dei tagli del Governo colpisse anche i parlamentari. Foti percepisce uno stipendio di 113.394 euro l’anno che, su per giù, fanno 9.449 euro al mese, rientrando nella classifica dei più “poveri” di Montecitorio.
“Non mi sento per niente un beneficiato” replica il deputato piacentino “perchè io devo sempre girare, telefonare, ho anche una prima moglie a cui devo dare gli alimenti”.
“Non sono mica Paniz” —
Insomma, a Foti quei nove mila euro e mezzo al mese servono tutti e, anzi, forse non bastano nemmeno.
“Per telefonare spenderò 500 euro al mese e alla Camera ti rimborsano solo per 350 euro”. E uno.
“Poi io invece di andare in vacanza, faccio 70.000 chilometri l’anno con una 166 sfigata, e ce l’ho solo io quella macchina lì”. E due.
Poi, le bollette di luce, gas e telefono della sede del Pdl di piazzale Torino che il deputato usa anche come ufficio. E tre.
Infine, è chiaro, la famiglia. “Io alla mia prima moglie devo dare gli alimenti. Glielo dite voi al giudice che non posso più darle 2.000 euro al mese?”.
La proposta del Governo non trova quindi il favore del deputato visto che “non sono mica Paniz, che lui ha lo studio legale più grande d’Italia e 3.000 o 5.000 euro al mese non gli fanno la differenza”.
Lui, Foti, era un semplice rappresentate della Martini “e dopo 17 anni di aspettativa, visto che sono stato eletto in parlamento, mi spetterà di pensione 1.500 euro”.
Spicci, insomma.
Potessi tornare indietro —
Dopo la rabbia iniziale, per Foti inizia lo sconforto. Gira per il suo ufficio con la dichiarazione dei redditi, i contributi versati all’Inps gli ultimi salari percepiti durante gli anni da lavoratore dipendente.
Perchè se da gennaio entrasse in vigore il nuovo sistema contributivo per tutti i comuni mortali “io sono rovinato, con le pezze al culo, e poi mi si costringe a brandire una pistola, sparare in giro e costituirmi” dovendo dire addio al vitalizio.
E a 51 anni Foti dovrebbe andare a ribussare alla porta della Martini per chiedere indietro il suo vecchio posto da rappresentante “e magari, che so, non mi mandano a lavorare vicino a casa, ma a Reggio Calabria”.
Una vera sciagura. Ma il pidiellino, una soluzione ce l’ha: “L’indennità parlamentare dovrebbe essere adeguata all’ultimo stipendio percepito”.
Sì, perchè “sarebbe giusto che le regole del gioco si stabilissero all’inizio e non durante- chiosa sconsolato il parlamentare- perchè se lo sapevo mica mi mettevo in aspettativa”.
Spostandosi verso il centro, il ragionamento non è molto diverso. Anche Enzo Raisi, ex consigliere del Comune di Bologna e oggi deputato di Futuro e libertà , si potesse tornare indietro ci penserebbe due volte prima di candidarsi per Montecitorio. “Proseguendo la carriera imprenditoriale avrei guadagnato di più e sarei stato più rispettato. Mentre in Italia appeni esci dal palazzo ti prendono a pesci in faccia”.
Il finiano si dice disposto a fare la sua parte, ma avverte: “Se andiamo avanti di questo passo avremo un Parlamento composto solo da ricchi o da pensionati”.
Le reazioni degli onorevoli —
Insomma per alcuni parlamentari emiliano-romagnoli non è facile digerire la prospettiva (in verità tutt’altro che vicina) di una busta paga più leggera.
Sia a destra sia a sinistra sono diversi gli onorevoli schierati sulla difensiva.
C’è chi si sente vittima di campagne mediatiche mirate, chi bersaglio di “un accanimento ingiustificato”.
E chi non accetta di essere il solo a pagare: “Sono altri a dover fare sacrifici”.
Berselli: “Paghino anche gli altri” —
Con queste premesse sembra proprio che il provvedimento, una volta approdato in Parlamento, non avrà vita facile. “Troppo semplice prendersela con noi — sbotta il senatore bolognese del Pdl Filippo Berselli —. Perchè non si vanno a toccare i compensi dei membri del Csm, o quelli dei dirigenti di Finmeccanica ed Eni?”
Il rischio, secondo il senatore, è che si scivoli nella demagogia senza ottenere risultati concreti: “Non sono contrario ridurmi lo stipendio, ma se lo fanno solo le camere non servirà a nulla. Occorrerebbe pianificare una serie di tagli, estendendoli ad altre figure”.
Gli attacchi ai media —
La ricetta di Giuliano Cazzola, altro bolognese di centrodestra seduto a Montecitorio, è andare a toccare tutte le “indennità accessorie” e i vitalizi.
“Sono tante le voci che vanno riviste — spiega — ma nell’elenco non includerei gli stipendi che mi sembrano arrivati a un livello sostenibile”.
Cazzola si smarca da alcuni suoi colleghi di partito, in particolare da chi ha già sfoderato le armi promettendo battaglia.
“Si sentono vittime di chissà quale ritorsione. È avvilente vedere come si siano messi a fare i conti in tasca agli altri”.
Da ex-direttore del Resto del Carlino, il deputato Pdl Giancarlo Mazzuca sposta l’attenzione sul comportamento dei media.
“Molti giornali stanno portando avanti una campagna populista che strizza l’occhio all’antipolitica — commenta —. Va bene, ridimensioneremo i nostri stipendi. Ma è sbagliato continuare e demonizzare il Parlamento”.
Anche deputati Pd contro i tagli –
Da Bologna a Reggio Emilia, anche a sinistra qualcuno è contrariato. Il deputato del Pd Maino Marchi, intervistato dalla Gazzetta di Reggio, tira fuori cifre e dati a sua discolpa.
“Abbiamo già fatti quattro tagli soltanto quest’anno. Il primo, di 500 euro, sulla diaria. Il secondo, di altri 500 euro, sulle spese per il rapporto col territorio. Il terzo, di 300 euro, è stato il taglio del 10% sul compenso lordo. Sarà l’Istat a dirci se e come dovremo ridurre ancora. Non il Governo”.
E poi lancia la stoccata all’Italia dei valori, secondo cui si potrebbe agire subito senza aspettare i risultati delle comparazioni con i colleghi europei.
“Sono populisti e cavalcano tutto”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il leghista Angelo Alessandri, presidente della commissione ambiente e lavori pubblici della Camera, che sempre interpellato dalla Gazzetta di Reggio definisce la questione “demagogica”.
Per l’esponente del Carroccio, infatti, la priorità è ridurre il numero di deputati e senatori e non le loro paghe.,
Il centrosinistra bolognese –
Fuori dal coro alcuni parlamentari bolognesi del Pd, tra cui Sandra Zampa, l’ex sindaco di Bologna Walter Vitali e Donata Lenzi, che sembrano non avere obiezioni alla riduzione dei compensi.
Anzi, si dicono pronti ad accelerare i tempi. “Le ragioni di equità e di solidarietà sociale richiedono un ulteriore intervento sul nostro trattamento economico, oltre a quelli che sono già stati fatti, e ci impegneremo perchè le due camere diano pronta esecuzione alle deliberazioni, senza indulgere in tecnicismi”.
Massimo Paradiso e Giulia Zaccariello
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
PER IL RADICALE BELTRANDI “QUESTO E’ UN PARLAMENTO DI LOBBISTI”…. BANCHE, FARMACIE, ASSICURAZIONI, TV, TRASPORTI: OGNI SETTORE E’ RAPPRESENTATO DA QUALCUNO
“Questo è un Parlamento di lobbisti, gente che invece degli interessi generali difende quelli di famiglia”. Marco Beltrandi, deputato radicale, è appena stato sconfitto sulla liberalizzazione delle farmacie e non l’ha presa bene, ma sa benissimo di cosa parla: “La scorsa legislatura ero in commissione Trasporti con Paolo Ulgè di Forza Italia, che era un capo dei camionisti. La stessa commissione si occupa pure di tv e oggi ci lavora Deborah Bergamini (ex assistente del Cavaliere, cacciata dalla Rai dopo lo scandalo intercettazioni, ndr), un nome che dice tutto”.
Si potrebbe dire che sempre lì, dove si legifera su Enav o Alitalia, siede pure Daniele Toto (Fli), figlio del proprietario di AirOne, salvata dallo Stato (con la regia di Corrado Passera).
Insomma, le mille corporazioni italiane stanno incistate nel processo legislativo, ma le cose sono un po’ cambiate rispetto a quando anziani lobbisti si piazzavano davanti alla commissione Bilancio per intere nottate, la sigaretta in una mano e gli emendamenti già scritti nell’altra: ci sono ancora, i lobbisti, ma spesso sono gli stessi parlamentari a lavorare per la loro categoria d’appartenenza.
Prendiamo i farmacisti, che sono riusciti a mandare a vuoto la libera vendita dei farmaci di fascia C.
Alle Camere ce ne sono un po’: Chiara Moroni di Fli, per dire, farmacista in proprio e figlia d’arte, è una delle più accanite nel parlare di “far west” se qualcuno tenta di favorire le parafarmacie, così come Pietro Laffranco del Pdl, che ieri si compiaceva per la mossa del governo e contemporaneamente ribadiva il suo forte appoggio a qualsiasi liberalizzazione (tranne questa).
Al Senato, per conto dei 16mila titolari di farmacie, siede invece Luigi D’Ambrosio Lettieri, che prima di assurgere al cielo degli eletti era stato un pezzo grosso dell’ordine dei farmacisti.
Le banche, per parte loro, coltivano rapporti diretti con politici di alto livello, ma non mancano di contatti nei corridoi delle Camere: il primo nome a cui si pensa è Luigi Grillo (Pdl), che fu uno degli alleati più fidati di Fazio e Fiorani nell’estate delle scalate, ma anche il collega di partito Gianpiero Testoni, già presidente Bnl e vice dell’Abi, oppure ad un livello più basso due bancari come Cera dell’Udc e Fluvi del Pd.
Non è un caso che le banche siano uscite dalla manovra con la garanzia statale sui loro bond e uno sconticino sull’Imu.
Stesso discorso si può fare per le assicurazioni: tra i referenti dell’Ania viene sempre citato Gianfranco Conte, presidente della commissione Finanze alla Camera, ma non si può dimenticare Francesco Barbato (IdV), di professione assicuratore.
La lobby di Banca Intesa, invece, è un caso a parte visto che dispone di un ministro e di un vice: una normetta in manovra, per dire, garantisce l’accesso ai fondi per il prepensionamento ai dipendenti dell’istituto fino a poco fa guidato da Corrado Passera, ma curiosamente esclude Unicredit.
Non è l’unico incrocio pericoloso per il titolare dello Sviluppo. Nel testo originario della manovra c’era un piccolo comma voluto dal Pd che affidava la sorveglianza sulle autostrade a un’Authority ad hoc sul trasporto: righe sparite dal testo uscito da palazzo Chigi. “E’ stato Passera”, spiegano i democratici…
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
I DIRIGENTI PUBBLICI AVRANNO UN SALARIO PIU’ IL 25% DEL SECONDO… TRANNE “DEROGHE MOTIVATE…RIGUARDA DIVERSI MINISTRI E SOTTOSEGRETARI TECNICI
Senza lobby non sei nessuno. Per uscire vivo da questa manovra devi avere un santo in Paradiso, o a Montecitorio.
E i dirigenti della Pubblica amministrazione alla Camera ne hanno molti.
Dopo aver confezionato una “norma pasticcio” sul taglio agli stipendi parlamentari, adesso i tecnici del governo Monti si sono scritti una norma “ad personam”.
O meglio un comma ad hoc, per preservare i loro redditi.
Nella manovra, infatti, è previsto che con un decreto del presidente del Consiglio, (ricevuto il parere delle Commissioni parlamentari) venga ridefinito il trattamento economico dei rapporti di lavoro dipendenti o autonomi con le pubbliche amministrazioni, stabilendo come parametro massimo per i dirigenti lo stipendio del presidente della Corte di Cassazione.
Nello stesso articolo, il 23 ter, è sancito inoltre che i dipendenti pubblici chiamati a funzioni direttive nei ministeri o nella P. A. abbiano un’indennità pari al 25 % del trattamento economico percepito.
Cioè che prendano uno stipendio e un quarto anzichè due stipendi interi.
La norma, a quanto pare, ha fatto infuriare i “papaveri” della Pubblica amministrazione che hanno infuocato i telefoni dei colleghi tecnici di governo per tutta la serata di martedì. La Commissione bilancio è stata costretta a una pausa per ascoltare le innumerevoli proteste.
Il doppio stipendio pubblico riguarderebbe i ruoli di vertice, come quelli dei ministri, da Antonio Catricalà , magistrato e membro del governo, a Corrado Clini, dirigente ministeriale e ora a capo del dicastero dell’Ambiente, fino al ministro che guida proprio la Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, anche lui magistrato fuori ruolo.
Poi c’è Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, e ora viceministro, che ha già annunciato la rinuncia al 70 % della retribuzione e dovrà lasciarne almeno un’altra piccola parte.
Ma la norma coinvolgerebbe anche i sotto-segretari e soprattutto l’esercito di tecnici pubblici che riceve incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei ministeri, o cariche in enti pubblici diversi da quello di provenienza.
Come quella di Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, che oltre ad essere magistrato fuori ruolo è capo dell’Ufficio legislativo del ministro della Giustizia, Paola Severino. Anche lei nei corridoi della Camera martedì sera, costretta ad attendere il verdetto sul suo secondo stipendio.
Le lamentele dei dirigenti, a quanto pare, hanno fruttato una soluzione ad personam per la categoria: al comma 3 dell’articolo 23 ter è stato previsto che col decreto del presidente del Consiglio (citato al comma 1, quindi quello di revisione degli stipendi) si possano prevedere “deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni”. Ovvero si possa concedere agli “eletti” di mantenere il doppio stipendio.
Nello stesso decreto verrà stabilito inoltre un tetto massimo per i rimborsi spese, che naturalmente andranno ad aggiungersi ai doppi compensi.
Cifre che, cumulate, non scendono mai sotto i duecentomila euro e fanno impallidire anche i parlamentari e i loro diecimila euro al mese.
Caterina Perniconi
(da Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
PER BERLUSCONI ERA UNA “PROPOSTA RIDICOLA” TASSARE LE TRANSAZIONI FINANZIARIE
“Dopo una attenta valutazione abbiamo segnalato che l’Italia è pronta a unirsi a quelli che vorrebbero la Tobin tax”.
Non mancano di sorprendere le parole pronunciate dal premier Mario Monti che, illustrando i contenuti e le modifiche alla manovra, ha deciso di puntare l’attenzione su una questione già ampiamente dibattuta in sede Ue ma, al tempo stesso, molto spesso trascurata sul fronte istituzionale italiano.
In antitesi con la posizione del precedente governo — Berlusconi aveva definito la proposta “ridicola” — l’esecutivo di Monti sarebbe ora pronto ad allinearsi con il fronte franco-tedesco, sostenitore non solo in Europa ma anche al G20 dell’ipotesi di introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf).
Sostenuta una prima volta da John Maynard Keynes, e successivamente rielaborata da James Tobin — di cui lo stesso Monti è stato allievo a Yale — la tassa si tradurrebbe nell’applicazione di un’imposta molto piccola (si pensa allo 0,05%) su tutte le operazioni finanziarie (valute, azioni, obbligazioni, derivati e altri strumenti) con l’obiettivo di frenare la speculazione e di ridistribuire il ricavato tra le casse pubbliche e i progetti di sviluppo.
L’aliquota ridotta avrebbe impatti trascurabili sugli investimenti di lungo periodo penalizzando, al contrario, gli speculatori che, realizzando migliaia di operazioni quotidiane, dovrebbero pagare la tassa su ogni transazione.
Ad opporsi alla proposta, ovviamente, sono soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna, sedi delle due maggiori piazze finanziarie del mondo.
Proprio il No espresso da Washington e Londra costituisce oggi il principale problema sulla strada dell’introduzione della tassa.
Il timore generale, infatti, è che l’assenza di un accordo globale comporti la fuga degli investitori dai mercati tassati e il loro approdo alle piazze finanziarie dove l’imposta non si applica.
Come a dire che l’imposizione di un’aliquota a Parigi e Francoforte finirebbe solo per determinare maggiori guadagni (tax free) per gli operatori di Londra e New York.
Non tutti però sembrano convinti del rischio esodo.
In passato, Stephan Schulmeister, docente e ricercatore presso l’Istituto di Studi Economici (Wifo) di Vienna, l’ipotesi dell’applicabilità della tassa in un numero ristretto di Paesi — come i 27 dell’Ue o i 16 di Eurolandia — grazie al cosiddetto “approccio decentralizzato”, ovvero quel sistema fiscale che consente di tassare le transazioni alla fonte, cioè su chi effettua l’operazione. In sostanza, secondo questa visione, ogni volta che effettuano una transazione, nel proprio Paese o all’estero, tutti i residenti delle nazioni che applicano la Ttf sarebbero legalmente debitori della tassa. Un’ipotesi che deve aver convinto la cancelliera tedesca Merkel che in passato, per prima, ha ipotizzato la futura introduzione della Ttf in Eurolandia trovando il sostegno, tra gli altri, dei governi di Francia, Spagna, Austria e Portogallo.
Lo scorso anno, la Commissione Ue ha rilanciato uno studio di fattibilità ipotizzando l’applicazione di un’aliquota dello 0,1% sugli scambi di valute, titoli, obbligazioni e derivati.
Il gettito fiscale stimato per l’Unione Europea ammontava a 400 miliardi di euro.
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Dicembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
GIOVANNI CONZO DELLA DDA DI NAPOLI: “BISOGNA COLPIRE I RAPPORTI TRA IMPRENDITORI E PARLAMENTARI”
“Il clan dei Casalesi non sarà davvero finito finchè non si colpirà quell’area grigia del rapporto tra imprenditori e politici che hanno favorito gli imprenditori in cambio di voti. Politici che sono stati al governo del nostro Paese, che siedono sui più alti scranni del Parlamento”.
Lo ha detto Giovanni Conzo, pm della Dda di Napoli che si occupa delle inchieste sui Casalesi, dopo aver assistito a Roma allo spettacolo teatrale “Toghe rosso sangue” sui magistrati uccisi dalle mafie e dal terrorismo.
Conzo ha ricordato che circa un mese e mezzo fa “un collaboratore di giustizia mi ha riferito che gli erano stati offerti 500 mila euro, poi portati a un milione, dall’emissario di un imprenditore dei rifiuti, per uccidere un mio collega, Alessandro Milita, il pm che aveva chiesto l’arresto di Nicola Cosentino”.
Ancora, il magistrato ha affermato che “i collaboratori di giustizia hanno confessato che nel 1994 avevano avuto indicazioni per votare un certo partito” e che “effettivamente nel 1995 fu poi fatto un decreto svuota-carceri, grazie al quale molti detenuti furono messi agli arresti domiciliari. Tra questi era anche Michele Zagaria (il boss catturato nei giorni scorsi, ndr), che si è poi reso latitante fino a pochi giorni fa”.
Ma il suo collega Vincenzo D’Onofrio apre una porta all’ottimismo. “A Napoli – ha spiegato il giudice della Dda – così come nel resto della Campania, ma anche in Calabria, c’è una gioventù che vuole parlare. L’unico strumento che i mafiosi non sanno fronteggiare è la parola: loro ricorrono alle armi e alla corruzione, la loro forza è il silenzio”.
“Ma ora – ha aggiunto – soffia un vento diverso, io lo vedo nelle scuole dove andiamo a parlare, nei dibattiti: i figli di queste persone hanno voglia di cambiare le cose”.
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