Dicembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
DIETRO I LICENZIAMENTI PER I TRENI-NOTTE LA GUERRA DELL’ALTA VELOCITA’ E LA MALAPOLITICA
I lavoratori di Wagon Lits licenziati accusano le ferrovie: “Per mesi hanno tolto la possibilità di prenotare i posti online per le cuccette, così da poter sbandierare dati sullo scarso utilizzo del servizio”.
Il responsabile trasporti di Legambiente parla di “strategia che condanna a costi elevati passeggeri e contribuenti, soprattutto i pendolari”.
Marco Ponti: “Moretti punta a fare profitti con un servizio che rende. Mentre per tutto il resto conta sui contributi statali”
I tre lavoratori della ex Wagon Lits che da due settimane occupano una torre al binario 21 della Stazione Centrale di Milano non demordono.
L’impegno di Ferrovie dello Stato al ricollocamento non li convince: “Siamo stati boicottati”.
Oltre al lavoro, chiedono il ripristino delle linee notturne sulle quali operavano. Ma nei piani dell’ad di Trenitalia Mauro Moretti le priorità sono altre.
L’Alta Velocità drena gran parte delle risorse e i Frecciarossa invadono ogni tratta.
Una strategia che frena la concorrenza e condanna a costi elevati passeggeri e contribuenti.
E tra i colpevoli, ancora una volta, c’è la politica.
“Ferrovie dello Stato assume fin d’ora l’impegno di garantire, entro i prossimi 24 mesi, la progressiva ricollocazione mediante appalto di attività ”.
E’ questa l’offerta di Ferrovie ai lavoratori della Servirail Italia ex Wagon Lits, che a Milano come a Roma protestano contro la dismissione del servizio notturno e il licenziamento di 800 lavoratori.
Un’offerta che però non convince. “Perchè non si dice nulla del ripristino dei treni notte, che il gruppo ha soppresso per intralciare Montezemolo e Della Valle sull’Alta velocità ”, accusa Angelo Mazzeo, che a Milano presidia il binario 21 dove tre suoi colleghi occupano la torre faro.
Secondo i licenziati della Servirail, molte delle tratte orarie cancellate vengono sostituite dai Frecciarossa, “così la Ntv di Montezemolo e soci non avrà spazi”.
Trenitalia parla di razionalizzazione di un servizio dove la domanda era ormai in calo, ma al binario 21 vedono le cose diversamente.
Denunciano manipolazioni nei database che gestiscono le prenotazioni, già dal 2008: “Era impossibile prenotare online, i posti risultavano tutti pieni. Ma sul treno il posto c’era eccome, e i controllori non applicavano maggiorazioni a chi voleva fare il biglietto a bordo perchè sapevano bene come stavano le cose”.
E c’è dell’altro: “La manutenzione era ai minimi, così da degradare la qualità del servizio e allontanare gli utenti”.
Una strategia vincente? Pare di no.
Gli ex dipendenti mostrano i dati di alcune linee notturne. E i numeri del 2010 sono addirittura in crescita rispetto a quelli del 2009. “Altrimenti i pullman che partono dalla Stazione Centrale per il Sud Italia non sarebbero così pieni”, fanno notare.
Per le feste di Natale, infatti, i posti sono esauriti da settimane.
“Le compagnie aeree low cost hanno reso i treni Nord-Sud meno strategici. Ma toglierli tutti è assurdo.
” La pensa così Dario Balotta, responsabile trasporti per Legambiente in Lombardia, che ricorda come Ferrovie dello Stato sia responsabile anche del servizio universale, per il quale lo Stato versa ogni anno miliardi di euro a sussidio delle tratte che i ricavi dei biglietti non coprono del tutto.
“Moretti non può puntare tutto sull’Alta velocità ”, sostiene Balotta, “che copre appena 685 chilometri su una rete nazionale che ne conta più di sedicimila”. A confermare che la direzione intrapresa dall’ad di Trenitalia è sbagliata, ci sono i dati degli ultimi dieci anni.
Balotta spiega che a fronte di una crescita del servizio Alta velocità del 111%, e della flessione del 16% nel servizio tradizionale, l’exploit dell’Italia è in rosso del 5% rispetto, ad esempio, a Francia e Spagna, dove la performance è positiva (+23% e +14%).
“Dovremmo interessarci alle reti regionali”, avverte Balotta, “dove gli utenti sono cresciuti del 7,8% in soli due anni, rappresentando da soli oltre la metà della domanda nazionale”.
I dati sono quelli del rapporto di Legambiente sul servizio ferroviario rivolto ai pendolari, dove per garantire almeno i treni in circolazione mancano ancora 400 milioni sui bilanci regionali del 2011 e 200 milioni per l’anno prossimo.
“Questo in un Paese dove l’83% dei passeggeri compie un percorso sotto i 50 chilometri”, aggiunge Ivan Cicconi, ingegnere esperto di infrastrutture e lavori pubblici e autore de “Il libro nero dell’Alta velocità ”.
“Sono dieci anni che parte dei fondi destinati al servizio universale passano all’Alta velocità ”, sostiene Cicconi.
Il fatto è che l’Alta velocità ha costi elevati.
La linea dove passano i Frecciarossa ha infatti un costo di manutenzione fino a quindici volte superiore a quello della linea storica.
Eppure Trenitalia e Ntv pagano solo 11 euro a chilometro per la concessione di transito, mentre in Francia il costo è addirittura doppio.
“Nel frattempo”, continua Cicconi, “Moretti spende mezzo miliardo per fare il restyling delle carrozze”.
L’annuncio è di due settimane fa: “A partire dalla fine dell’anno supereremo le tradizionali prima e seconda classe portando tutto a quattro livelli di servizio”, ha spiegato Moretti, “da quello per il trasporto ferroviario, senza particolari richieste, fino a un treno di lusso”. “
Inoltre”, conclude Cicconi, “c’è la pubblicità , i club Frecciarossa, e le nuove stazioni fatte apposta per l’Alta velocità .
Dove pensate che prenderanno i soldi?”
“Moretti agisce così perchè la politica glielo permette”, attacca Marco Ponti, docente di Economia al Politecnico di Milano, già consulente della Banca Mondiale in materia di trasporti.
“Moretti punta su un servizio — l’Alta velocità — che dei ricavi li concede”, premette Ponti, “per tutto il resto conta sullo Stato che spende troppo e male”. E allora?
“Bisogna fare i bandi di gara”, risponde, “invece hanno appena prolungato di 12 anni la possibilità per le regioni di evitare le gare.
“In Germania”, racconta Ponti, “hanno risparmiato fino al 25%”. In Italia ci sarebbe l’esempio del bando lanciato dall’ex presidente del Piemonte Mercedes Bresso.
“Un buon esempio”, commenta Ponti, “peccato che il centrodestra l’abbia immediatamente cancellato, dopo che l’ex ministro Sacconi e lo stesso Moretti avevano fatto il diavolo a quattro”.
Insomma, se Moretti e Trenitalia si comportano da monopolisti è grazie ai favori della politica.
E i nuovi arrivati? “Il rischio è che Moretti tagli la gola alla società di Montezemolo”, dice Ponti.
I licenziati della ex Wagon Lits non sono infatti gli unici a ritenere che la cancellazione di tratte a lunga percorrenza serva a liberare slot in favore dei pendolini, così da non lasciare spazi alla concorrenza di Ntv.
Ma se così non fosse, “è facile che si mettano d’accordo”, conclude Ponti: “Se non altro perchè Ntv deve pagare il servizio al suo concorrente”.
Franz Baraggino
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
“NON TI RISPONDO”: COSI’ SOPRAVVIVE IL POTERE… DAL QUESTORE DELLA CAMERA FINO AI DATI SULLA PUBBLICITA’ DI TRENITALIA E’ SILENZIO TOTALE
Un banale confronto storico sarà utile per capire il drammatico problema di trasparenza che grava sull’Italia dell’anno 2011.
Trentasette anni fa, l’8 agosto 1974, il presidente americano Richard Nixon fu costretto a dimettersi per non piegarsi all’ordine della Corte Suprema di consegnare alla Commissione d’inchiesta sullo scandalo Watergate i nastri registrati di tutte le sue conversazioni alla Casa Bianca.
Il sistema era stato introdotto da John Kennedy 51 anni fa: ogni respiro del presidente veniva registrato. E il concetto di trasparenza della politica americana imponeva di far ascoltare i nastri agli inquirenti che dovessero verificare qualche caso, diciamo così, dubbio.
L’Italia è ancora all’età della pietra.
Politici di ogni rango e valore continuano imperterriti ad accampare pretese di privacy sulle proprie condotte, forse indotti in errore dal fatto che molto spesso gli affari pubblici sono sovrastati dagli interessi privati.
Basta elencare la piccola serie di difficoltà incontrati dai cronisti del Fatto negli ultimi giorni per capire che cosa vuol dire remare controcorrente.
Primo caso.
Il giornalista Daniele Martini chiede ripetutamente al capo ufficio stampa delle Fs, Federico Fabretti, quanto investano in pubblicità le Ferrovie e a beneficio di quali televisioni o testate cartacee.
Ottiene un risposta stupefacente, secondo la quale quei dati non sono a conoscenza dell’ufficio stampa, che sta facendo apposite ricerche presso gli uffici competenti, ma che comunque non ha alcuna intenzione di rendere pubblico il risultato dell’accurata indagine.
Secondo caso.
La giornalista Sandra Amurri (qui l’articolo) chiede a Emilia Saugo, capo della segreteria del deputato questore Francesco Colucci, chiarimenti sulle prebende e sulle attività dell’onorevole, che in quanto questore ha voce in capitolo nel piatto ricco delle forniture della Camera.
La Saugo reagisce chiedendo ai commessi della Camera di accompagnare “la signora” fuori del palazzo di Montecitorio. I commessi eseguono.
Colucci poco dopo commenta l’accaduto con tono disturbato: “Non sono tenuto a dare risposte a chicchessia rispetto all’attività legata al mio incarico istituzionale”. Chicchessia.
Terzo caso.
Un giornalista del Fatto chiede all’ufficio stampa del consorzio Patti Chiari, creato dalle banche per migliorare il rapporto di fiducia tra gli istituti di credito e i loro clienti, di quante risorse disponga l’organizzazione per svolgere i suoi compiti di informazione e formazione dei risparmiatori.
Si sente rispondere che l’ufficio stampa ignora il dato, e che risulta impossibile, nel pomeriggio di giovedì 22 dicembre, rintracciare qualcuno che sia a conoscenza del misterioso dato.
La verità evidente è che anche in questo caso prevale la volontà di occultare al pubblico un’informazione di basilare trasparenza sul funzionamento di una lobby che punta dichiaratamente a condizionare il rapporto tra le banche e i risparmiatori.
Quarto caso.
Un anno e mezzo fa Il Fatto quotidiano ha chiesto alla direzione generale della Rai una lista trasparente dei compensi assegnati a collaboratori esterni, società appaltatrici e consulenti. La Rai si è appellata alla tutela della privacy degli interessati, ma, avendo anche un obbligo di trasparenza sui dati richiesti, ha chiesto all’Authority per la privacy un parere.
Il parere è arrivato, e ha dato ragione alla richiesta del Fatto: secondo il garante Francesco Pizzetti il diritto dei cittadini a essere informati in modo trasparente sulla destinazione del denaro pubblico prevale su quello alla riservatezza dei beneficiari delle consulenze.
Risultato: la Rai ancora non ha fornito i dati richiesti, ed è passato un anno e mezzo.
Abbiamo fatto solo quattro esempi.
Si potrebbe continuare a lungo.
Un altro caso tra i tanti: gli obblighi di trasparenza imposti dalle leggi e dalle regole della Consob alle società italiane sono molto più blandi di quelli vigenti in altri Paesi più evoluti, Stati Uniti in testa.
Così capita che gli uffici stampa delle società italiane quotate anche alla Borsa di New York si rifiutino di dare ai giornalisti italiani informazioni che sono pubblicate nei prospetti informativi obbligatori per il mercato americano.
Spesso i dialoghi surreali di cui sopra avvengono tra giornalisti che danno le notizie e giornalisti, regolarmente iscritti all’Ordine professionale, che lavorano per la comunicazione delle aziende.
Per gli uni e per gli altri dovrebbe vale la Carta dei doveri del giornalista, che obbligherebbe i comunicatori d’impresa a “diffondere ogni notizia che ritengano di pubblico interesse”, e quelli delle testate di informazione a diffondere le notizie “nonostante gli ostacoli” e compiendo “ogni sforzo” per garantire “la conoscenza degli atti pubblici”.
Solo una cosa hanno dimenticato di scrivere nella Carta dei doveri: l’obbligo di sopportare che altri giornalisti ti trattino da molestatore solo perchè fai il tuo dovere.
Giorgio Meletti
(da”Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
I BERLUSCONES RIMASTI FUORI DALLE ELEZIONI PER LA BOCCIATURA DELLA LISTA SONO STATI SISTEMATI… SEI SONO STATI COLLOCATI IN AZIENDE SATELLITE DELLA REGIONE LAZIO
Il pacco firmato Regione Lazio è complicato.
La manovra dei vitalizi per assessori esterni e consiglieri decaduti nasconde tagli e tasse per 1,4 miliardi di euro.
Come incartare i sacrifici (per i cittadini) con i privilegi (per i politici).
Eppure il governatore Renata Polverini mette su il viso del dispiacere, quel senso di pudore nel chiedere euro ai cittadini, sempre e comunque ai cittadini: “Era l’unica possibile”.
Già , mica poteva lasciare senza pensione la Giunta oppure i tre consiglieri del centrodestra transitati per sbaglio in Regione?
Il regalo farà contento il sindaco Giovanni Di Giorgi che, nervosamente, deve scegliere la poltrona giusta: resta nel Consiglio laziale o si dedica al comune di Latina?
Un dilemma e un sollievo: qualsiasi decisione prenda Di Giorgi, il vitalizio è garantito a 50 anni con una riduzione del 5 per cento, a 55 al 100 per cento.
Nessun dubbio, però, sui rincari: aumentano le imposte (+ 0, 33 % Irpef), la benzina con un’accisa inedita (20 centesimi al litro), il bollo per l’automobile (+ 10 %).
Mentre calano i fondi per il sociale e le opere pubbliche (-100 milioni di euro). Com’era? “L’unica manovra possibile”.
Peccato che il centrosinistra suggeriva al Governatore di vietare un mal costume tipico di una regione grossa, indebitata e spendacciona: un dirigente pubblico deve rispettare un tetto massimo di stipendio senza cumulare l’incarico in corso con il vitalizio regionale.
Non conosciamo la risposta perchè l’ex sindacalista si è rifiutata di rispondere ai partiti di opposizione: rischiava di bombardare l’alleanza con il Pdl che si regge sui favori reciproci e il potere condiviso.
Il mandato Polverini ha un difetto di nascita: la lista dei berlusconiani rimase fuori perchè presentata in ritardo, e dunque i cacicchi locali, non eletti, andavano sistemati.
Quelli che sommano lo stipendio pubblico con il vitalizio già maturato in banca o in tasca.
Ecco i sei candidati trombati in partenza e ora, momentaneamente, occupati in aziende satelliti della Regione Lazio.
C’è l’imprenditore Luigi Celori, 54 anni, a spasso con una rendita di tre legislature: è stato nominato presidente di Autostrade del Lazio, superati mesi di inattività politica.
C’è Tommaso Luzzi, 61 anni, per 15 anni in Regione: si è accontentato di Astral, una società che pulisce e asfalta le tangenziali e i raccordi.
C’è il socialista Donato Robilotta, 56 anni, commissario straordinario di Ipab Sant’Alessio, un centro per ciechi che gestiva un imponente patrimonio immobiliare.
C’è Bruno Prestagiovanni, 54 anni, commissario straordinario di Ater Roma, un carrozzone che assegna le case pubbliche.
C’è Massimiliano Maselli, 44 anni, presidente di Sviluppo Lazio, dove transitano bandi di gara e studi scientifici.
C’è Erder Mazzocchi, 43 anni, commissario straordinario di Arsial, l’agenzia regionale per l’agricoltura.
I magnifici sei incassano un degno e meritato stipendio pubblico, servono serenamente le istituzioni sapendo di incassare (in futuro o adesso) un sostanzioso vitalizio.
I magnifici sei, soprattutto, assicurano l’esistenza politica di Renata Polverini. Al traguardo di una serie di nomi e scrivanie,
fra le proteste cestinate e negate, c’è un’ultima idea che i partiti di opposizione hanno presentato al governatore: perchè confermare il rimborso chilometrico per i consiglieri?
Vi può suonare stonato, ma i rappresentanti laziali, se abitano a 15 chilometri dal palazzo regionale, recuperano un quinto di un pieno di benzina.
I 71 consiglieri laziali vengono pagati per il mandato in Regione (indennità ), per essere presenti in aula (diaria), per raggiungere il palazzo (rimborso), per presiedere o partecipare in commissione (e sono venti).
Però, va detto che la Polverini ci ha provato.
Voleva fare una manovra con meno tasse ai cittadini e più tagli ai politici.
Il Governatore ha deluso i cronisti che speravano in un ripensamento sui vitalizi: “Niente passo indietro. Da due giorni siamo in linea con le altre Regioni. Avevamo una discriminazione che colpiva solo i nostri assessori esterni, abbiamo messo le cose a posto”.
E il Codacons che fa ricorso contro la manovra?
“Che devo fare?”, ha risposto la Polverini.
Se sapesse cosa fare, sarebbe il governatore del Lazio che toglie ai ricchi e dà ai poveri, non viceversa.
O forse, caspita, è proprio lei?
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
CONDANNATO A PAGARE 40.000 EURO PER AVER DIFFAMATO IL GIUDICE CHE LO AVEVA GIUDICATO PER VILIPENDIO, IL SENATUR SI APPELLA ALLA CASTA ROMANA PER NON SCUCIRE IL DOVUTO
Era il 26 luglio 1997 e Umberto Bossi comiziava tra le zanzare di Cabiate.
Un giudice di Cantù, Paola Braggion, prese nota e quattro anni dopo — 23 maggio 2001 — condannò il Senatur a 1 anno e 4 mesi di carcere per vilipendio: la bandiera nazionale non può essere equiparata alla carta igienica.
Bossi andò su tutte le furie, apostrofò il magistrato come un “relitto giuridico” aduso “a rubare lo stipendio”, e trovò “incivile che un magistrato perda tempo, pagato dai contribuenti, per fare un processo basato su reati di opinione.
Non è possibile che chi è in cerca di pubblicità possa ricorrere alle norme fasciste del codice Rocco per colpire la libertà d’espressione”.
La Padania quel giorno titolò finemente: “La sinistra ordina: Bossi in galera!”.
La Braggion, sentitasi diffamata fece causa, ma dovettero passare altri sette anni — 27 febbraio 2008 — prima di ottenere una sentenza della Corte d’appello di Brescia.
Che giunse a questa conclusione: Bossi ha offeso il giudice, deve risarcirlo con 40mila euro.
Ha pagato, secondo voi?
Bossi, com’era suo diritto, ha impugnato la condanna in Cassazione, ma temendo che i giudici confermassero il risarcimento, si appellò alla Camera dei deputati che qualificò — il 16 luglio 2008 — con una delibera d’insindacabilità le contumelie al magistrato come “opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni”.
La Cassazione non fu d’accordo; passò la palla alla Corte costituzionale, che l’altro giorno ha accolto il ricorso con la sentenza 333 del 2011: “Non spettava alla Camera affermare che le dichiarazioni rese dall’onorevole Bossi costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni”.
Ora il processo torna di nuovo nelle mani della Suprema Corte, 15 anni dopo il primo insulto di Bossi e 4 dopo la sentenza che diede ragione alla dottoressa Braggion.
La Lega che salva Cosentino e ha avallato le leggi ad personam a favore del premier, si permette pure di definire la pronuncia della Consulta “un colpo di Stato silente…”
Passa alla cassa e caccia i soldi, sfiatato trombone padano.
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Dicembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
FANNO INCETTA DI MISCELE STRANIERE, LE TRATTANO E POI LE IMMETTONO SUL MERCATO A PREZZI RIBASSATI CON LA DICITURA OLIO EXTRAVERGINE “ITALIANO”
Sulle etichette c’è scritto “olio extravergine di oliva” e “made in Italy”. In realtà è il risultato di disinvolte miscele di oli che vengono da Tunisia, Spagna, Grecia.
Oli spesso difettosi ma soprattutto straordinariamente convenienti per i signori di questa “agromafia”.
Ma ora una maxi-inchiesta che Repubblica è in grado di rivelare sta per smascherare la filiera taroccata.
I boss internazionali dell’olio fanno incetta di miscele straniere a meno di 25 centesimi al chilo.
Poi le trattano, le mescolano, le deodorano e le mettono sul mercato a prezzi ribassati, due/quattro euro al chilo, ma sempre con ricarichi importanti e con informazioni al cliente sostanzialmente false
“E’ qui che i signori dell’olio giocano la loro partita sleale – spiega Stefano Masini, responsabile consumi della Coldiretti –. C’è un gruppo di potere agroalimentare che sull’importazione e sull’assenza di tracciabilità delle “miscele” sta facendo fortune illegali. Così come per i rifiuti si parla di ecomafia, è arrivato il momento, anche per l’olio, di parlare di agromafia. Bisogna iniziare a aggredire i patrimoni”.
I capoccia dell’olio si sono evoluti.
Non solo hanno individuato nuovi canali di approvvigionamento per la materia prima (che poi è anche l’ultima). Hanno pure capito come farla rendere al massimo.
Nella relazione delle Dogane si ricostruisce, tonnellata per tonnellata, un sofisticato sistema di import export: una ragnatela europea fatta di incastri societari e ordinazioni milionarie, “flussi in entrata” e “flussi in uscita”, importazioni “definitive” e “temporanee”.
Il tutto condito da anomalie fiscali, fatture gonfiate, proficui scambi intra e extra comunitari.
“Repubblica”, per non pregiudicare l’esito delle indagini, per ora tiene coperti i nomi delle aziende finite nel mirino degli investigatori.
Raccontiamo come funziona il meccanismo.
C’è questa parolina magica – “trasformazione” – di cui si è esteso il significato. In modo strumentale. Un tempo per trasformazione si intendeva la frangitura, la molitura: insomma il passaggio dall’oliva al suo nettare.
Oggi se i boss internazionali dell’olio dicono che trasformano, può significare che ce la stanno facendo sotto il naso.
Fanno incetta di olio spagnolo e tunisino.
Lo pagano meno di 25 centesimi al chilo. In Italia lo miscelano, anzi, lo”trasformano”, che è un termine più igienico, anche rassicurante. A volte la trasformazione è semplicemente l’imbottigliamento.
In altri casi prevede degli innesti. Magari minimi.
O il processo di deodorazione: si interviene con il vapore per eliminare i difetti (morchia, rancido, muffa, riscaldo, lubrificanti).
Chiamiamoli pure trucchi. In apparenza non lasciano traccia.
C’è un motivo. In base al regolamento comunitario 182 del 6 marzo 2009, indicare la provenienza delle miscele (“di diversa origine”) impiegate sarebbe obbligatorio. In realtà , in nove bottiglie su dieci le scritte che dovrebbero essere riportate – “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli d’oliva non comunitari”, “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” – sono illeggibili.
I caratteri sono talmente piccoli, e stampati in posizioni quasi nascoste, che per scorgerli bisognerebbe avere la lente d’ingrandimento.
E’ uno dei paraventi dietro cui si nascondono i trafficoni.
“L’ex ministro delle politiche agricole Saverio Romano quattro mesi fa aveva annunciato con grande enfasi un decreto che fissando delle dimensioni minime rendesse più leggibili queste etichette – ragiona Sergio Marini, presidente di Coldiretti –. Che fine ha fatto il decreto? Si è perso?”.
Una volta etichettato l’olio straniero, i furbi distributori italiani lo piazzano a prezzi ribassati: nei discount, negli autogrill con le superofferte turistiche, nella grande distribuzione.
Un euro e ottanta, due euro. Tre, quattro, al massimo. Un bel ricarico se si considerano i 23 o 25 centesimi del prezzo di acquisto.
Fumo negli occhi del consumatore se si pensa che sull’etichetta spicca sempre, quella sì, bene in vista, la scritta olio extravergine d’oliva. Italiano.
“L’olio, rispetto ad altre produzioni agroalimentari, per esempio il vino, è un prodotto straordinariamente semplice – dice Amedeo De Franceschi, vice comandante dei Nafs della Forestale –. Vent’anni fa l’attività dei produttori era regolata da una legge europea che diceva: l’extravergine d’oliva è un prodotto ottenuto solo dalla spremitura meccanica delle olive. Oggi è cambiato tutto. L’olio d’oliva è sparito. E l’extravergine è diventato una giungla. Risultato: le aziende non spremono più niente: mettono in cascina olio che viene da fuori, da lontano, coi tir. La gente lo compra e non sa che è un inganno. Perchè dall’etichetta non si riesce a capire che cosa c’è nella bottiglia”.
Che cosa c’è nell’olio che compriamo?
Quali fregature ci propinano i maneggioni degli ulivi?
Prendiamo l’olio made in Spagna spacciato per extravergine italiano.
Al supermercato il primo prezzo è 3 euro.
Ma dietro la convenienza, ecco la sorpresina.
Non solo non è extravergine, ma è anche di pessima qualità .
“C’è pieno di oli di oliva difettati venduti come extravergini – dice Massimo Gargano, presidente di Unaprol –. Sono oli che meritano di essere declassati, altro che made in Italy”.
La prima indagine nazionale sulla qualità dell’olio d’oliva in vendita nei supermercati italiani ha dato esiti disastrosi.
Su dodici campioni (delle marche più vendute) prelevati dagli scaffali e analizzati in laboratorio, quasi la metà sapeva di muffa.
Le analisi organolettiche hanno evidenziato difetti gravi come il rancido e il riscaldo. “Un olio per poter essere considerato extravergine deve essere privo di difetti organolettici”.
Figuriamoci.
Paolo Berizzi
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
DALLE PARTITE IVA AI NEGOZIANTI, SI AGGRAVA LA CRISI DEI NUOVI ESERCIZI COMMERCIALI TRA SCARSI INCASSI E RECESSIONE
Si sono portati a casa il 5,7% in più tra 2006 e 2008, togliendo l’erosione dei prezzi.
Sono i redditi medi dichiarati da autonomi e professionisti fino al 2008, l’ultimo anno disponibile con i dati completi – categoria per categoria – del dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia.
E sono, va precisato, anni sostanzialmente pre-crisi.
Certo, spiegare il mondo di lavoratori autonomi e professionisti vuol dire raccontare tante, tantissime storie.
La categoria è decisamente eterogenea, e non solo nel classico capitolo dei redditi.
Il giovane commercialista che ha appena iniziato a lavorare nell’affermato studio del padre – per esempio – magari guadagna quanto il compagno di studi senza genitori «illustri», ed è inevitabilmente più tutelato di fronte agli scossoni della crisi.
Poi ci sono le professioni raccolte in un Ordine e quelle no, i baristi e i pescatori, i negozianti da una vita e quelli alle prime armi, e via dicendo.
Raccogliere e sintetizzare i loro redditi, quindi, non è semplice, perchè la categoria è un mondo «arcobaleno» per eccellenza, e perchè i redditi non sono «certificati» come quelli dei dipendenti, ma sono considerati ad ampia possibilità di evasione fiscale.
In ogni caso, questi guadagni dichiarati possono aiutare a capire il trend degli ultimi anni, prima e durante la crisi.
Tra il 2006 e il 2008 il reddito medio dichiarato da un autonomo è salito da 24.200 euro a 27.500 euro, vale a dire di un +13,6%.
Siccome nello stesso periodo l’inflazione è salita del 7,9%, l’incremento «reale» dei guadagni vale – eccolo – il 5,7%.
Numeri che sono alle porte della crisi. È la media delle medie, naturalmente.
Dentro c’è il dettaglio di tutti, dai farmacisti ai notai, fino ai meccanici e ai corniciai.
Poi, considerando le semplici (e non esaustive) ritenute sulle imposte dirette, il 2009 si è chiuso con un calo del 2,2%, il 2010 con un leggero aumento dello 0,4% e i primi dieci mesi del 2011 (rispetto a gennaio-ottobre 2010) con un altro aumento dell’1,4%.
Dietro i numeri si nascondono tantissime realtà , dai professionisti e negozianti pesantemente colpiti dalla crisi fino a chi se l’è cavata dignitosamente, incassi in nero inclusi.
Tra i primi, quelli che hanno particolarmente sofferto in questi ultimi anni, c’è quel 40% circa di attività commerciali avviate nel 2007 e poi cancellate negli anni successivi (dati Indis).
È una percentuale che batte di molto la media del totale dell’economia, dove «solo» il 28,5% delle imprese nate nel 2007 è stato poi cancellato.
L’altra faccia, però, è quella che – nell’insieme – racconta il mondo di tutti gli esercizi commerciali, nati nel 2007 o no: tra il 2007 e il 2010 il saldo è addirittura positivo, con 11 mila attività in più, per arrivare a quota 1 milione 629 mila.
E restando nel commercio, ecco che arriva un’altra «doppia realtà »: negli anni 2005-2008, gli stessi in cui gli autonomi si sono portati a casa un guadagno netto «reale» e dichiarato del 5,7%, i commercianti hanno chiuso in perdita con un -6%.
Quanto pesa l’evasione in tutto questo, non è dato saperlo; ma certamente il settore delle piccole botteghe si è trovato di fronte alla concorrenza di e-commerce e centri commerciali.
Notizie non buone arrivano anche dal mondo delle partite Iva in generale: nello scorso ottobre sono state aperte 41.790 nuove partite Iva, con una diminuzione dello 0,5% sul mese precedente e di oltre il 9% su ottobre 2010.
Sono i dati dell’Osservatorio sulle partite Iva del ministero dell’Economia, per cui a dominare sono le persone fisiche, che hanno aperto quasi tre quarti dei nuovi «conti».
Ed è il commercio il settore produttivo con il maggior numero di nuove partite Iva: circa un quarto del totale.
Anche qui, nel mondo delle partite Iva, la realtà è duplice: su una platea di circa 8 milioni di posizioni ufficialmente aperte in tutta Italia, sono circa cinque milioni quelle per le quali vengono puntualmente depositate le relative dichiarazioni.
Mancano all’appello tre milioni, inattive se non addirittura abbandonate. Intanto con l’ultima manovra approvata ieri è stato deciso un aumento dei contributi per gli artigiani e i commercianti.
È infatti la pensione un altro dei punti caldi dell’universo di molti autonomi.
L’obiettivo è quello di spingere verso l’alto gli assegni, una volta arrivata la pensione, e di aiutare i conti delle gestioni previdenziali.
Giovanni Stringa
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
UN MATRIMONIO DI INTERESSE: TREMONTI CERCAVA CASA, IL SENATUR UNA SPONDA CONTRO I MARONIANI
Tremonti? «Entrerà nella Lega». Lo ha detto Umberto Bossi a Bolzano.
Al ristorante Luna, a due passi da piazza Walther, il capo leghista è in compagnia di Luis Durnwalder, il leader della Sà¼dtiroler Volkspartei, gli autonomisti sudtirolesi che, come il Carroccio, hanno votato no alla manovra Monti.
Durante il pranzo, Bossi ha una breve chiacchierata telefonica con l’ex ministro dell’Economia.
E, appunto, conferma ai presenti quello che si dice già da tempo.
L’economista valtellinese spiega al leader leghista che oggi gli verrà rimossa una parte del gesso a cui è stato costretto dopo una caduta casalinga, e i due si mettono d’accordo per vedersi in giornata.
Poi, Bossi torna a tessere le lodi dell’ «amico Giulio» con cui i rapporti, a dispetto dei momenti di tensione che pure non sono mancati, sono assolutamente saldi.
Anzi, il leader padano osserva con i presenti che l’ex ministro continua ad «essere una persona che all’estero gode di grande credito e grande fiducia».
Con una postilla al veleno: «A differenza di Berlusconi» ( e sua, n.d.r.)
Ma anche pubblicamente, i toni del leader leghista tendono all’irridente: «Mi sembra che Berlusconi abbia troppa paura. Sta lì buono come una pecorella».
Il riferimento è al sostegno al governo Monti che ha fatto una manovra «non tanto brutta, quanto soprattutto cattiva nei confronti delle persone».
Per questo Bossi torna a una convinzione già espressa a più riprese: «Non sono un mago, ma non penso che il governo possa arrivare al 2013. Come può arrivarci? Non ce la può fare neppure con il presidente della Repubblica come alleato. Non dopo manovre come questa».
Poi, il capo padano torna ai registri jettatori adottati da qualche tempo: il decreto «salva Italia» non riuscirà nel suo intento.
Il Paese «affonderà . Troppe tasse. Soprattutto, non sanno come creare posti di lavoro. Questo è il problema».
Quanto alla Lega, nessun problema per l’essere uscita dall’area di governo, anzi: «All’opposizione ci stiamo divertendo».
Ma di ieri è anche l’intervento di Roberto Maroni a «Otto e mezzo» su La7.
Con Lilli Gruber, l’ex ministro dell’Interno si esprime a tutto campo, con una buona dose di autonomia anche rispetto allo stesso Bossi.
Berlusconi è una pecorella? «Non credo lo sia, è un gran combattente e, per come lo conosco, fino alla fine ha cercato di tenere in piedi il governo».
Il governo Monti non dura? «Le elezioni secondo me ci saranno nel 2013, è illusorio pensare che il dissenso di oggi duri per tutto l’anno prossimo».
Le gazzarre leghiste in Parlamento? «Dobbiamo prepararci a valutare le azioni del governo senza pensare che basti alzare qualche cartello in aula, che peraltro non è un modo sguaiato per protestare».
Per tacer di Tremonti, che è «geniale, ma mi risulta ancora iscritto al Pdl». Quanto all’opposizione, se «Monti farà le cose giuste, noi lo sosterremo. Ma per ora ha fatto solo cose sbagliate».
Bossi è arrivato in Sudtirolo per partecipare a un’iniziativa a cui sta lavorando da tempo l’assessore lombardo alla Sanità , Luciano Bresciani.
Il fidatissimo medico del fondatore del Carroccio sta sottoscrivendo una serie di protocolli di collaborazione sui temi dell’invecchiamento della popolazione con diverse regioni non solo italiane.
A Bossi l’idea piace anche come primo gradino per la costruzione della «macroregione padano-alpina».
Durnwalder è stato attentissimo a non attribuire significato politico a un accordo amministrativo («L’idea di Padania di Bossi non coincide con la nostra idea di autonomia»), nè attribuisce rilevo al fatto che la Svp, come la Lega oggi, sia all’opposizione («L’incontro era concordato da tempo e solo casualmente coincide con le votazioni al Senato sulla manovra»).
Marco Cremonesi
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
CGIA DI MESTRE: I CALCOLI DI QUANTO AUMENTERA’ LA PRESSIONE FISCALE SU TRE FAMIGLIE TIPO…SECONDO LA BANCA D’ITALIA L’IMPOSIZIONE FISCALE SALIRA’ AL 45%
La manovra è legge dello Stato, con una correzione da 20 miliardi sulla quale le tasse pesano per circa il 90%.
Il presidente della Repubblica, Napolitano, ha firmato il decreto licenziato dal Senato e votato da una maggioranza schiacciante: 257 sì e 41 no. La pressione fiscale salirà , secondo il governatore della Banca d’Italia Visco, verso il 45%.
Piatto forte, sia per l’impatto popolare che per il gettito, è l’arrivo della Super Imu, costituita dal ritorno dell’Ici sulla prima casa e dall’aumento delle basi imponibili (10 miliardi).
Circa 5 miliardi vengono dall’aumento della benzina, mentre 2 arriveranno dall’addizionale Irpef regionale e 3 (se non si taglieranno le agevolazioni, ma anche in questo caso si tratterebbe di un aumento della pressione fiscale) dall’incremento dell’Iva.
L’altro pilastro è la riforma delle pensioni con l’abolizione di fatto dell’anzianità e la soglia fissa di 41-42 anni al di sotto della quale non si potrà più uscire.
Peserà il blocco delle indicizzazioni: il prossimo anno dalle pensioni che stanno sopra i 1.400 euro si spremeranno circa 2 miliardi.
Intorno al tema delle tasse gira anche la lotta all’evasione e la mini-patrimoniale (0,1 per 1000 nel 2012).
Per la lotta all’evasione oltre alla misura che impedisce l’uso del contante sopra i mille euro, c’è la novità della costituzione della grande banca dati del Fisco alla quale, con le nuove norme, gli istituti di credito dovranno riversare i movimenti quotidiani di tutti i correntisti.
Restano al palo le liberalizzazioni (taxi, farmacie e servizi pubblici locali) che saranno recuperate nella cosiddetta “fase due”, ma anche l’avvio della spending review della spesa pubblica e un po’ di ossigeno a famiglie e disoccupati.
Torna l’imposta sulla prima casa, detrazioni in base al numero di figli.
Necessaria, ma di stangata si tratta.
Per la casa torna l’Ici (ora si chiama Imu) sull’abitazione principale (abolita nel 2008 troppo frettolosamente da Berlusconi).
L’aliquota sarà più bassa della seconda e si collocherà al 4 per mille: inoltre le famiglie godranno di uno sconto di 50 euro per ciascun figlio fino ad un tetto di 400 euro.
Secondo i calcoli della Uil politiche territoriali ogni famiglia subirà , solo per la prima casa, un salasso medio di 133 euro.
Anche l’Imu seconda casa aumenta: da una media del 6,74 per mille ad una aliquota legale del 7,6 per mille (senza detrazioni, naturalmente).
Ma il vero rincaro sta sotto l’aliquota, cioè nella base imponibile, rappresentata dalle rendite catastali che aumenteranno del 60 per cento per le civili abitazioni.
Da non dimenticare la nuova tassa Res, su rifiuti e servizi: partirà dal 2013. Per i rifiuti la nuova Tarsu si calcolerà non solo sui metri quadrati ma anche sul numero dei componenti della famiglia. In tutto il governo ricava 10 miliardi.
Ritocco dell’accisa sui carburanti, 5 miliardi da benzina e diesel
Si chiama accisa e si legge benzina.
L’aumento è già scattato e il governo stima di recuperare circa 5 miliardi su 20 della manovra dall’aumento del pieno di benzina (o diesel).
L’aumento è particolarmente doloroso perchè quando aumenta l’accisa (cioè la tassa di fabbricazione che si paga al litro e non in base al valore) sul prezzo si deve caricare anche l’Iva.
Da quando è entrato in vigore il decreto l’accisa sulla benzina è salita da 62,21 centesimi di euro al litro al nuovo livello di 70,42 centesimi al litro.
L’incremento è stato di 8,21 centesimi, sui quali bisogna calcolare l’Iva del 21 per cento: l’aumento provocato dal decreto – calcolato dalla Cgia di Mestre – è stato dunque di 9,93 centesimi al litro.
In questi giorni chi partirà per le vacanze di Natale secondo il Codacons troverà un aumento del pieno di circa 13 euro.
Comunque sia la benzina il 19 dicembre, secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico, costava 1,67 euro di cui 70 centesimi di accise e 29 di Iva.
Il salasso delle tasse regionali, la scadenza è in primavera
Con l’addizionale regionale non si scherza.
La troviamo tutti in busta paga ed è già salata in molte Regioni: ora con la manovra aumenta dello 0,33%.
Attenzione, si tratta dell’aliquota di base, dunque tutte le Regioni dovranno aumentarla passando dallo 0,9 all’1,23% colpendo 40 milioni di contribuenti (si parla di 152 euro medi in un biennio).
La bastonata arriverà tra marzo e maggio del prossimo anno. Perchè l’aumento dell’addizionale Irpef è retroattivo, scatta dunque dal 1° gennaio del 2011 e sarà oggetto di conguaglio in busta paga nel maggio del 2012.
Mentre già a marzo del prossimo anno si pagherà il 30% di acconto sull’aumento del 2012.
Inutile nascondere che, grazie al federalismo, le Regioni hanno già avuto carta bianca per aumentare (a seconda delle esigenze) l’addizionale dello 0,5% nel 2012.
Per chi non lo sapesse l’addizionale è più dolorosa dell’Irpef normale perchè si calcola sull’imponibile pieno, prima di dedurre carichi familiari e detrazioni da lavoro dipendente. Totale: 2 miliardi.
Iva, dopo il rincaro di agosto, prevista nuova ondata di aumenti
L’Iva l’ha già aumentata Tremonti con la manovra d’agosto portandola dal 20 al 21 per cento e l’effetto sui prezzi si è già visto (a novembre l’inflazione è stata del 3,3 per cento).
Ora si profila un secondo aumento: scatterà da ottobre un ulteriore rincaro di 2 punti per cui si arriverà al 23 per cento per i beni di consumo (casalinghi, computer, elettrodomestici, caffè…) e passerà dal 10 al 12 per cento per la fascia intermedia (riguarda soprattutto l’edilizia).
Questo doppio aumento – che darà un gettito di 3,2 miliardi per soli tre mesi – potrà essere in parte scongiurato.
Il governo sta infatti lavorando per evitare che scatti la cosiddetta clausola di salvaguardia: l’obiettivo è quello di sfoltire in modo selettivo le agevolazioni fiscali (circa 720 nel nostro sistema).
Con le risorse ricavate si potrebbe in parte attenuare la stretta sull’Iva e in parte destinare le risorse alla famiglia e ai sussidi alla disoccupazione.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)
argomento: economia | Commenta »