Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
MARZO 2011: “NORMA SALVA DIRIGENTI RAI E FINMECCANICA: UN EMENDAMENTO LEGHISTA VIETA ALLA CORTE DEI CORTI DI AVERE RISARCIMENTI DAGLI AMMINISTRATORI DELLE SOCIETA’ PARTECIPATE DALLO STATO PER OLTRE IL 50%
Dopo le intemperanze di ieri, al Senato, la bagarre è scoppiata anche oggi a Montecitorio. Protagonisti sempre loro, i parlamentari della Lega, che hanno gridato “vergogna” all’indirizzo di Giarda e mostrato dei cartelli con la scritta “No Ici”.
Gianfranco Fini ha richiamato tutti all’ordine e, per cercare di placare gli animi, ha espulso dall’emiciclo i deputati più “focosi”, Gianluca Buonanno e Fabio Rainieri.
Ma la bagarre non è finita. Alle proteste e ai fischi dei leghisti Fini ha risposto: “Sono i pecorai che fischiano, non i deputati”.
A quel punto Gianluca Pini, del Carroccio, concludendo il suo intervento in aula ha dato del “cialtrone” a Fini. Immediata la replica del presidente della Camera: “Non le consento di insultare la presidenza. È proprio vero – ha chiosato Fini – che ogni botte dà il vino che ha”.
Ma è interessante conoscere chi è Gianluca Pini e che genere di proposte ha fatto nel corso del suo mandato.
E’ quanto proponiamo all’attenzione dei nostri lettori:
Colpo di spugna. A sorpresa, in commissione Unione europea della Camera, il relatore leghista, Gianluca Pini, crea il caos.
Passa un suo emendamento alla legge comunitaria 2010 che salva gli amministratori delle società partecipate dallo Stato per oltre il 50 per cento da responsabilità civile legate a danno erariale comminato attraverso ammende o sanzioni dalla Corte dei conti.
Un emendamento che sembra scritto apposta per gli ex amministratori di centrodestra del Cda Rai (Marco Staderini, Gennaro Malgeri, Giuliano Urbani, Angelo Maria Petroni e Giovanna Bianchi Clerici) chiamati a risarcire il Tesoro per circa 11,5 milioni di euro per la nomina incompatibile di Alfredo Meocci alla direzione generale della tv pubblica.
Ma non solo.
Il medesimo emendamento calza anche a pennello per gli attuali vertici di Finmeccanica, a partire da Pierfrancesco Guarguaglini, attualmente indagato, con la moglie Marina Grossi, per corruzione.
L’emendamento leghista sarebbe stato scritto anche con l’intenzione di rendere gli attuali vertici delle società pubbliche così impermeabili al lavoro ispettivo e sanzionatorio della Corte dei conti da menomare la magistratura contabile della sua principale prerogativa costituzionale.
L’emendamento, infatti, prevede due fattispecie di violazioni in cui può incorrere l’amministratore pubblico.
La prima riguarda un danno erariale conseguente a un’azione che un certo consiglio d’amministrazione ha fatto in violazione di norme vigenti.
à‰ il caso che calza a pennello al cda Rai.
Nel 2005, in virtù delle pressioni di Silvio Berlusconi, Meocci fu nominato direttore generale della Rai.
Ma non poteva ricoprire quell’incarico perchè proveniva da un incarico di “controllore” (all’Agcom) della Rai. La stessa Agcom inflisse una multa alla Rai da 11,5 milioni e subito dopo la Corte dei Conti chiese a ciascuno dei consiglieri che votarono a favore della nomina 1,8 milioni di euro a testa.
Una cifra che questo emendamento cancella con un colpo di spugna; non solo è retroattivo, ma dispone la necessità della dimostrare il danno reale subito dall’azienda per via della nomina sbagliata.
Diversa la conseguenza che l’emendamento Pini avrà sulla questione Finmeccanica.
Ai vertici dell’azienda controllata dal Tesoro la magistratura ha contestato la creazione di fondi neri attraverso delle “sopraffatturazioni” compiute nell’ambito di una serie di appalti affidati all’Enav. “In questo caso — spiega il vice presidente del gruppo Idv in commissione, Antonio Borghesi — la norma stabilisce che se si è pagata una tangente pari a cento euro, ma grazie a questa si è ottenuta una commessa pari a cinquecento euro, non si può parlare di danno erariale perchè la commessa supera di gran lunga l’esborso della tangente. Dunque agli amministratori non può essere contestato in alcun modo il danno erariale: è una norma vergognosa che danneggia lo Stato e i cittadini”.
E a peggiorare le cose anche in questo caso l’effetto sarà retroattivo, anche per le sentenze già emesse e si applicherà anche alle società di servizio pubblico locale (che sono circa 7 mila). L’unica cosa che viene fatta salva è la responsabilità personale “per colpa grave o dolo”, ma cambiare anche il codice penale sarebbe stato forse un po’ troppo.
Che possibilità ci sono che la norma venga approvata definitivamente sia dalla Camera [dove arriva lunedì] che dal Senato? Molte. “La maggioranza su questo fronte è granitica — spiega Borghesi — quindi passerà senz’altro”.
Poi, però, il capo dello Stato Giorgio Napolitano potrà sempre alzare la penna e respingere la legge per vizi di costituzionalità . Forse lo farà . Forse.
(da il Fatto Quotidiano del 25 Marzo 2011)
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Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
I PADAGNI ATTACCANO IL GOVERNO CHE CERCA DI METTERE LE TOPPE AL LORO MALGOVERNO, MA IL PROBLEMA E’ TRA BOSSI E MARONI
La Lega di lotta, senza governo, sostituisce il cappio di Tangentopoli con un “muro” di cartelli contro “la rapina” della manovra di Mario Monti.
Da “Basta tasse” a “Giù le mani dalle pensioni”.
La gazzarra neopopulista del Carroccio va in scena al Senato e non risparmia neppure l’ex alleato Renato Schifani, presidente dell’assemblea di Palazzo Madama: “Sei un pagliaccio”. Il Professore Tecnocrate di Palazzo Chigi è invece un “maggiordomo”.
Insulti e rissa, questa la ricetta della Lega, che ha scelto l’opposizione per riguadagnare consensi (i sondaggi la danno in caduta libera), salvare le amate province (che significano poltrone e gestione del territorio) e rifarsi una verginità dopo un decennio trascorso a ingerire e digerire ogni porcata ad personam del Cavaliere.
Anche alla Camera, i deputati leghisti si mostrano combattivi.
Protestano contro Fini per il taglio della discussione generale sul decreto SalvaItalia e poi chiedono e ottengono il dibattito a oltranza, mentre Umberto Bossi, sempre più anziano e malconcio, ripete che “Berlusconi se la fa con i comunisti” .
Per tutta risposta l’ex premier annuncia che oggi vedrà il Senatùr.
In realtà l’ammuina padana serve a coprire e a nascondere la profonda spaccatura che da mesi paralizza il partito un tempo governato in modo “leninista” dal Capo.
La “dittatura” bossiana è sempre più contrastata dall’ala “autonomista” di Roberto Maroni.
Le due fazioni non comunicano nemmeno più e si fanno la guerra persino nei corridoi della Padania, il semi-clandestino house organ della Lega, il cui bilancio è segnato da un profondo rosso.
Secondo alcuni calcoli fatti e aggiornati di continuo dal “cerchio magico” che circonda Bossi (con in testa il capogruppo alla Camera Reguzzoni e il vicepresidente del Senato Rosi Mauro), Maroni e i “maroniti ” controllano la maggioranza del partito e un eventuale congresso federale, cioè nazionale, che non si tiene da un decennio, sancirebbe una clamorosa sconfitta del Senatùr che potrebbe generare un’altrettanto clamorosa scissione.
Anche per questo, Bossi avrebbe incontrato riservatamente Maroni per avere assicurazioni sulla “salvaguardia” della propria leadership e l’ex ministro dell’Interno avrebbe ceduto, almeno a parole.
Per il resto, i due clan si promettono epurazioni a vicenda in occasione delle liste per le politiche, anticipate o no che siano.
Al momento il pallino è ancora nelle mani di Reguzzoni e del “cerchio magico” ed è in quest’ottica che va decifrato lo scontro di ieri nell’assemblea dei deputati leghisti. Maroni stesso ha rilanciato la questione del capogruppo dopo le promesse di Bossi di sostituirlo a dicembre e Reguzzoni ha reagito con un puro tatticismo per conservare la poltrona: porre il problema della presidenza del Copasir, oggi occupata da Massimo D’Alema (che teme “conseguenze” dall’inchiesta su Finmeccanica).
Per la Lega, il posto va all’opposizione e un’eventuale investitura di Maroni salverebbe Reguzzoni.
Ma l’ex ministro dell’Interno ha fatto capire dove punta: la poltrona del Copasir non gli interessa.
Piuttosto mira a fare il capogruppo e a gestire da una posizione di rilievo questa fase di transizione.
Il suo obiettivo, sempre se avrà il coraggio di andare sino in fondo contro il Capo, ha due tappe: il controllo del partito e poi sedersi al tavolo della riforma elettorale per invocare un sistema tedesco che consentirebbe alla Lega di andare da sola e staccarsi definitivamente dal Cavaliere.
Il retropensiero dei “maroniti”, infatti, è che l’allontanamento tra “Silvio” e “Umberto” sia solo di “facciata”. E i messaggi che i due si lanciano (ancora Bossi, ieri: “Berlusconi senza le spalle forti della Lega si sentirà perso”) confermano questa sensazione.
Lo scenario del Senatùr è ancora da Seconda Repubblica, quello di Maroni, invece, è da Terza, per “isolare” la Lega in un quadro di grande centro e garantirle la sopravvivenza.
Senza dimenticare, però, il noto feeling maroniano sia con Angelino Alfano, sia con il versante bersaniano del Pd.
L’esito di questa feroce guerra nella Lega è imprevedibile e l’incognita maggiore, secondo alcuni leghisti di rango, è il coraggio dell’ex ministro dell’Interno, sempre uomo dei penultimatum, incapace di assestare il colpo mortale a Bossi.
Il quale a sua volta potrebbe essere tentato di usare come un’arma letale contro l’ex amico “Bobo”: l’ingresso di Giulio Tremonti nella Lega.
La suggestione è circolata nei giorni scorsi e chissà se è destinata a rimanere tale.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
(vignetta diksa53a)
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Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
DIFFICILE DARE TORTO AI DELUSI DELLE LIBERALIZZAZIONI: CON MARIO MONTI, COMMISSARIO EUROPEO ANTITRUST E ANTONIO CATRICALA’, EX PRESIDENTE DELL’AUTORITHY PER LA CONCORRENZA, ERA LECITO ASPETTARSI QUALCOSA DI PIU’
Le liberalizzazioni, dicono i sacri testi, sono importanti per un doppio ordine di motivi, creano un ambiente imprenditoriale propedeutico alla crescita e Dio sa quanto in questa congiuntura ne abbiamo bisogno.
In qualche caso poi l’apertura dei mercati produce in tempi brevi nuovi posti di lavoro. Non è automatico ma è sicuramente una condizione necessaria.
In Italia il campo delle deregolazioni da attuare è vasto, proviamo a vedere come si è mosso il governo, dove ha trovato resistenza e dove forse non ha affondato il colpo per oggettiva debolezza.
Se prendiamo in esame gli interessi dei grandi monopoli è facile individuare almeno tre dossier di grande interesse: il gas, le concentrazioni televisive e le autostrade.
Nei primi due casi un difensore d’ufficio della coppia Monti-Catricalà sosterrebbe che sono mancati i tempi tecnici.
Una scelta di liberalizzazione in quei due campi richiede una preparazione accurata e in trenta giorni nessun governo sarebbe stato capace di concludere alcunchè.
Però sulle autostrade l’esecutivo dei tecnici ha sicuramente segnato il passo, dando oggettivamente spazio alle dietrologie interessate.
La materia autostradale in un primo tempo rientrava tra le competenze della nuova authority dei trasporti, nel secondo tempo invece ne è rimasta fuori? Cosa è successo nell’intervallo? Ci sono state pressioni sull’arbitro? E chi sono stati i Moggi della situazione?
In una seconda tipologia di deregolazioni possiamo comprendere quelle che riguardano poteri categoriali diffusi: libere professioni, farmacie e taxi.
Liberalizzazioni che non sono mai andate avanti in Italia non tanto per l’esplosività del contenzioso politico ad esse legato quanto per la capacità delle categorie di intessere rapporti di scambio elettorale con quote significative di parlamentari.
Questa condizione ostativa con un governo di tecnici non dovrebbe esistere, eppure la gestazione delle misure di deregulation è stata un entra-ed-esci.
Risultato: i taxisti cantano vittoria, i farmacisti pure e gli Ordini hanno perlomeno allontanato l’amaro calice.
Sia chiaro, la tesi tremontiana (e non montiana) secondo la quale la liberalizzazione dei taxi riguarda solo tre città risponde al vero, ciò non toglie però che nell’immaginario liberal la sconfitta della lobby del 3570 o del 4040 valga quanto una sanzione a Microsoft.
E allora se il governo ha dovuto, almeno per ora, ritirarsi il motivo è sempre lo stesso, i modernizzatori non hanno un «popolo» da mobilitare mentre le lobby fanno presto a minacciare la paralisi del traffico o dell’aspirina.
I consumatori si lamentano ogni giorno del servizio taxi, li vedete però andare in piazza per la liberalizzazione?
E a loro volta le associazioni delle parafarmacie sono troppo deboli per reggere l’urto dei farmacisti.
Idem per i giovani architetti e avvocati che sostengono la meritocrazia e non gli Ordini ma purtroppo non hanno sufficiente voce per far valere le loro istanze.
Morale: un governo tecnico non deve far politica ma può spiegare all’opinione pubblica i vantaggi sistemici delle deregolazioni, senza un’operazione di questo tipo anche le piccole lobby ce la fanno a frenare.
Se questa è la lista dei rimpianti dei liberalizzatori sarebbe sbagliato omettere ciò che di innovativo il governo ha fatto.
Liberalizzare gli orari del commercio e, soprattutto, dare all’autorità antitrust il potere di impugnare le delibere degli enti locali nell’affidamento dei servizi pubblici non è una novità da poco.
È una picconata al nostro socialismo municipale.
Per un governo classicamente incardinato sui partiti sarebbe stato molto più difficile assestarla.
Dario di Vico
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
A PIACENZA NON RIESCONO PIU’ A PAGARE GAS, ENEL E GASOLIO PER I MEZZI DI SOCCORSO…COSTRETTI A SCIOPERARE IN ATTESA DI UN PREVISTO TRASFERIMENTO DELLA SEDE CHE FORSE NON AVVERRA’ MAI..”SE NON POSSIAMO EFFETTUARE UN SOCCORSO NON SIAMO NOI I COLPEVOLI, RIVOLGETEVI A ROMA CHE CONTINUA A TAGLIARCI I FONDI”
Senza benzina, gas e luce. E con un debito che sfiora i 180.000 euro.
Non si sta parlando di un’altra delle storie simbolo della crisi economica che attraversa l’Europa, ma della condizione sempre più precaria e al limite del paradossale dei Vigili del fuoco di Piacenza, rimasti ormai al “verde” e con possibilità limitate nelle azioni di soccorso.
Una paralisi, quella che sta vivendo il comando di viale Dante, che rischia addirittura di aggravarsi ulteriormente nei prossimi mesi quando i pompieri verranno trasferiti in un’altra caserma alle porte della città dove ancora non esistono mobili e fondi disponibili dal Governo per il trasloco.
Un’emergenza nell’emergenza, quindi.
E seppure i Vigili del fuoco cerchino di risparmiare sulle utenze, la cosa non è sempre possibile e di quando in quando “facciamo addirittura opera di accattonaggio per recuperare mobili d’ufficio per lavorare”.
La situazione, al limite del sostenibile per chi cerca quotidianamente di garantire la sicurezza è sfociata oggi in una manifestazione di protesta in centro città per portare a conoscenza l’opinione pubblica delle condizioni di precarietà in cui operano i pompieri.
“Non riusciamo a pagare le utenze come gas e luce- riferisce Giovanni Molinari- e la ditta che ci forniva il gasolio ha smesso la fornitura perchè non veniva pagata”.
Un debito che ha tenuto fermi tutti i mezzi di soccorso per quattro giorni perchè la cisterna interna alla caserma era completamente vuota.
All’impossibilità di saldare i conti più banali come l’utilizzo della corrente elettrica si aggiunge anche una costante carenza del personale qualificato che ruota attorno ad una cifra spaventosa (-60%), automezzi troppo vecchi per risultare effettivamente utili e macchinari per il movimento della terra non ancora tornati dall’Aquila ma indispensabili anche a Piacenza per le situazioni di emergenza.
Come è facile intuire, i Vigili del fuoco non scendono in piazza per reclamare stipendi più alti “ma per dire a tutta la cittadinanza che se non possiamo effettuare un soccorso la colpa non è nostra ma del Governo che continua a togliere fondi” sostiene Roberto Travaini (Conapo), visto che con la finanziaria varata lo scorso anno sono stati tagliati una cosa come 50 milioni di euro al corpo dei Vigili del fuoco facendo salire in maniera esponenziale il debito die pompieri piacentini nei confronti dei creditori di 170- 180.000 euro.
Ma la storica caserma di viale Dante, entro gennaio, verrà abbandonata per il trasferimento del comando provinciale sulla strada Valnure, alle porte della città .
“Di male in peggio” sembra essere l’opinione comune dei pompieri. Sì, perchè “non abbiamo i soldi per gli arredi della nuova sede e il ministero non ha ancora risposto nemmeno alla richiesta di fondi per il trasloco- testimonia Molinari- Nel frattempo facciamo opera di accattonaggio facendoci regalare i mobili da ufficio”.
E i problemi della nuova sede non saranno solo economici, ma anche logistici: l’autorimessa passerà da 1.200 a circa 650 metri quadrati, obbligando i Vigili a parcheggiare i mezzi in cortile.
Massimo Paradiso
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO ESSERE STATI OSPITI DEL RICERCATO NUCERA, ORA NAN HA COLLOCATO LA SEDE DI FLI IN UN PICCOLO POINT DI GENTE D’ITALIA, CON INGRESSO COMUNE CON ALTRI STUDI…SULLA PORTA NESSUNA INDICAZIONE DI CHI SONO GLI INQUILINI E NESSUN ADDETTO DI FLI: FORSE E’ DIVENTATO UN PARTITO CHE RICEVE PER APPUNTAMENTO?
Se le vie del Signore sono infinite, quelle che portano alla gestione regionale di Futuro e Libertà in Liguria sono disseminate di umorismo involontario.
In un anno il coordinatore regionale Enrico Nan è riuscito laddove la Rai ha fallito, regalando “di tutto e di più” alla base futurista genovese.
Se la situazione non fosse tragica ci sarebbe da sbellicarsi dalle risate: in un anno è riuscito a ricevere attenzionati dalla Dia in una sede di partito concessa in comodato gratuito da un pluri-inquisito attualmente latitante (con un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale) di cui lui è stato pure socio, oltre a esserne lo storico legale.
Ha sputtanato Fli, partito della legalità , in tutta la Liguria riuscendo ad allontare tante persone oneste e oltre 200 militanti.
Rimasto senza iscritti e senza sede, ha ceduto metà partito a “Gente d’Italia”, un partitino dello 0,7% alle scorse regionali, facendosi ospitare in un loro Point, pare concesso a titolo gratuito ovviamente.
In cambio di 400 nuove tessere che possono permettere a Nan di vincere il congresso regionale di gennaio, Gente d’Italia ha ottenuto la promessa di posti in lista alle prossime politiche.
Ora estrae dal cappello a cilindro l’annuncio della nuova sede di Fli, descritta in un comunicato come una svolta immaginifica di rilancio del partito: ma di cosa si tratta realmente?
Chi c’è stato parla di una misera stanzetta di 20-25 metri quadri all’interno di un appartamento con altre tre stanze attrezzate pare a uso studio medico o a attivitò connesse.
In ogni caso con una porta principale anonima, senza alcuna targhetta identificativa di Fli, degna delle basi clandestine della KGB e senza alcun incaricato/a che accolga un visitatore potenziale.
Forse, vista l’assonanza con i presunti studi medici in coabitazione, anche Fli Genova, gestione Enrico Nan, riceverà su appuntamento, come tutti i grandi specialisti (in questo caso della liquidazione di un partito, non della bancarotta fraudolenta di un suo cliente).
D’ altronde a che serve una sede? Per fare attività politica, ovvio.
Ma se non si ha l’intenzione o la capacità di farla, in effetti, a che serve tenerla aperta?
Quello che conta è vincere i congressi con le tessere delle truppe cammellate e poi fare il capolista alle elezioni, tutto il resto sono quisquilie e punzellacchere, come diceva Totò,
Ora non ci resta che attendere una convenzione Asl con il 118: al Fli di Nan non serve certo un numero verde, basta un numero per l’emergenza.
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Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE PER RIDURRE GLI STIPENDI DEI PARLAMENTARI SI E’ RIUNITA FINORA SOLO TRE VOLTE: OVVIAMENTE PER NON DECIDERE NULLA
In Italia il modo più sicuro di non fare una cosa è istituire una commissione.
Quando l’estate scorsa cominciarono le operazioni di tosatura della cittadinanza, il governo Bandana intuì che bisognava offrire un sedativo alle pecorelle smagrite.
Non la riduzione immediata dello stipendio dei politici (e che, siamo matti?) ma la promessa di tagli futuri.
Per uniformare l’onorevole paga ai livelli europei sarebbero bastati cinque minuti: il tempo di consultare le tabelle preparate dagli uffici della Camera.
Perciò si ritenne molto più utile affidare l’arduo compito a un consesso di esperti guidato dal presidente dell’Istat.
In quattro mesi la commissione Giovannini si è riunita tre volte.
La prima volta per stilare una lista dei parlamenti europei a cui ispirarsi.
La seconda per affidare l’indagine conoscitiva alle ambasciate italiane, anzichè a un bimbo di 6 anni che avrebbe trovato i dati su Internet in un clic.
La terza, si legge sul sito del governo, per un «report sullo stato di avanzamento delle attività »: immagino che ogni ambasciatore dovrà intervistare personalmente tutti i deputati del Paese in cui abita, chiedendo loro la dichiarazione dei redditi e gli scontrini del ristorante.
Nel frattempo l’euro andava a rotoli, lo spread si impennava, il governo Bandana cedeva al governo Loden, le tasse salivano, le pensioni scendevano e i cittadini si imbufalivano.
Insensibile a questi accidenti della vita, la commissione proseguiva inesorabile.
Il suo responso, atteso per marzo, potrebbe persino essere anticipato a gennaio.
Non si sa ancora di quale anno.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
GIOIELLIERI CHE DICHIARANO IN MEDIA 16 MILA EURO…I FURBI SOTTRAGGONO AL FISCO 250 MILIARDI L’ANNO, IL 16% DEL PI, 8 VOLTE LA MANOVRA MONTI
Uscite di casa e vi trovate davanti il primo esemplare: il professionista con Suv — in leasing e intestato a una società — da 60mila e fischia euro che sfreccia vomitando 300 grammi di Co2 a chilometro.
Ma non denunciava come un maestro? La vostra guida intanto infierisce, vi ricorda che ogni anno si vendono 206 mila auto di lusso da 100mila euro.
Mentre solo 72mila contribuenti dichiarano oltre 200 mila euro.
Inutile rovinarsi la salute, anzi, facciamo un check-up.
Il cardiologo è abbronzato, tra un elettrocardiogramma e l’altro racconta quanto era farinosa la neve in Svizzera.
Durata cronometrata della visita: 16 minuti. Conto? Qui va in scena un numero da Totò: “Sono cento…”, sospiro, “vuole la ricevuta?”. Sì.
Riprende fiato: “Centosessanta”.
Roba da tachicardia, se non fosse che rischi un’altra parcella.
Esci per strada.
Il centro di Genova è illuminato, la città cerca di esorcizzare la crisi che strozza i cantieri. Decidi di concederti un regalo per la moglie.
Premi il naso contro la vetrina di una gioielleria: l’anellino per le tue tasche starebbe al dito di Barbie.
Ma il commercialista ti tira per una manica: “I gioiellieri dichiarano mediamente 16mila euro l’anno”.
Provi quasi pena, compreresti un diamante per aiutarli. La guida ti richiama: “Non generalizzare, non puoi dare dell’evasore a tutti i gioiellieri”.
Ma ti è passata la voglia. Puntiamo sul regalo utile.
Qualcosa per la casa, sì, c’è bisogno di lavori. Andiamo da un artigiano, costerà poco, le dichiarazioni dei redditi navigano intorno ai 20mila euro. Lordi. Poco più di mille al mese.
Invece al primo preventivo cambi programma: una persiana vale un mutuo, il rubinetto è d’oro.
Basta, affoghiamo lo sconforto in un bignè, aiutiamo un’altra categoria che non arriva ai 20mila euro. Eh no, poi ti sale il colesterolo e devi tornare dal cardiologo.
Vabbè, uno spuntino al bar. Il conto? Il cameriere ti passa lo scontrino del cliente precedente: uno basta per cinque tavoli.
Il commercialista continua il rosario: “Prendi certi avvocati penalisti, li pagano con denaro che magari proviene da un reato, truffa e prostituzione. Come fanno a non evadere?”.
Intanto scopri che nell’Italia dell’euro è tornato di moda il baratto: “Ho visto avvocati che si fanno pagare con ricariche telefoniche. Un penalista che difendeva un dentista si è fatto saldare con due otturazioni”.
Ogni bene ha il lato “nero”. La casa? Si evade su tutto: costruzione, vendita, affitto. La colf? In nero.
Perfino i cavalli: “Se dichiari il costo reale ti sgamano”.
Pietà ! Avresti bisogno di uno psicologo.
“Poi dimmi se ti dà la fattura…”, ti stronca l’esperto.
Denunciarli? “Le pene sono irrisorie e poi nessuno si ribella a chi lo cura”. Ritempriamoci con lo sport: “I centri benessere dichiarano perdite medie di 3.200 euro e gli impianti sportivi 1.300”.
Una discoteca? “Dichiarano 6mila euro l’anno di perdite”.
Andiamo in riva al mare. Il tramonto, almeno, è uguale per tutti.
Eccoci alla Marina dell’aeroporto di Genova: 6 yacht su 10 battono bandiera dei paradisi fiscali. Mostri fino a 60 metri, magari intestati a società di noleggio: un’evasione da un miliardo l’anno, così non si pagano tasse sul carburante e mille altre cose.
A ogni pieno risparmiano 50mila euro. Più del valore della barca di Attilio, ormeggiata cento metri più in là .
L’ha comprata con i risparmi di una vita: dieci metri e mezzo, è vecchia di 35 anni, costa come una Panda.
Grazie alle nuove tasse contro i “ricchi” pagherà 200 euro al mese. Attilio allarga le braccia: “C’è già la sberla sulla pensione. Venderò la barca”.
Ultima tappa: il pronto soccorso del San Martino.
I poveri medici affrontano una fila interminabile, mentre la sirena dell’ambulanza annuncia un’emergenza.
Ecco Ifriom, operaio senegalese in regola.
È in coda, ma c’è chi gli lancia occhiatacce: “Dobbiamo curarli con i nostri soldi”.
Eh no, Ifriom paga le tasse. All’evasore invece le cure le pagano gli altri.
Diceva Tommaso Padoa Schioppa: “Non è il Governo che mette le mani nelle tasche dei cittadini. Sono gli evasori ad aver messo le mani nelle tasche dello Stato e dei cittadini onesti”.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
UNO STUDIO DEI TECNICI DI MONTECITORIO MISURA LE SPESE SOSTENUTE DAI CITTADINI EUROPEI PER I LORO RAPPRESENTANTI…IN ITALIA MAGGIORI INDENNITA’ E MENO SOLDI PER SERVIZI E AIUTANTI
A Parigi non hanno diaria, dormono in ufficio. A Londra versano i contributi previdenziali, ma per 5 anni di mandato ricevono al massimo 794 euro di vitalizio (contro i nostri 2.486).
Ai tedeschi detraggono soldi anche per la malattia.
Tutti, hanno indennità di base di molto inferiori a quella italiana, ma servizi più razionali, soprattutto per collaboratori e segreteria.
I conti in tasca ai deputati di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Parlamento europeo li ha fatti uno studio del Servizio per le competenze parlamentari della Camera già lo scorso 31 marzo.
Lì si scopre che la vera differenza la fanno i vitalizi, da noi il triplo che altrove. Intanto, di costi della politica si parla anche all’estero: la commissione Ue taglia funzionari e stipendi per risparmiare un miliardo entro il 2020.
Camera dei deputati
630 deputati. L’indennità parlamentare è di 11.703,64 euro lordi, che diventano 5.486,58 al netto di ritenute fiscali e previdenziali.
Il rimborso spese per il soggiorno è di 4.003 euro.
A questa somma vengono detratte 206 euro per ogni giorno di assenza quando si svolgono votazioni elettroniche.
I deputati viaggiano gratis in autostrada, treno (prima classe), nave e aereo sul territorio nazionale.
Per i trasferimenti in aeroporto c’è un rimborso: da 1.107 a 1.331 euro al mese.
In più, 4.190 euro per il rapporto eletto-elettore, utilizzabile per lo stipendio dei collaboratori. 258 per le telefonate. 2.500 (per legislatura) di spese informatiche. Assegno di fine mandato: 46.814 euro per una legislatura, 140.443 per tre.
Il vitalizio: 2.486 euro al mese dai 65 anni con un mandato, 4.973 euro dai 60 anni con due, 7.460 euro con tre.
Assemblèe nationale
L’Assemblèe nationale ha 577 deputati. L’indennità lorda è di 7.100 euro, 5.677 tolte le ritenute previdenziali, ma il netto varia in base all’imposta sul reddito.
Alcuni parlamentari hanno a disposizione uffici doppi dove dormire, altri alloggiano in un residence a tariffa agevolata.
Possono avere un prestito di 76mila euro al 2 per cento per comprare un appartamento.
Libera circolazione ferroviaria, ma solo 40 viaggi aerei pagati fra il collegio e Parigi, e 6 fuori collegio. 6.400 euro al mese per spese relative al mandato.
E 9.138 euro per la retribuzione di non più di cinque collaboratori, pagati dal deputato o direttamente dall’assemblea.
Non hanno un assegno di fine mandato ma un sussidio di reinserimento, se disoccupati, per al massimo tre anni. Vitalizio di 1.200 euro per un mandato, 2.400 per due.
Bundestag
Il Bundestag ha 620 parlamentari. Indennità lorda di 7.668 euro, il netto varia in base all’imposta sul reddito. Non ci sono ritenute previdenziali.
Contributo mensile di 3.984 euro per l’esercizio del mandato, con trattenute da 50 a 100 euro per i giorni di assenza (20 euro per malattia, nessuna trattenuta per maternità o figli malati).
Libera circolazione ferroviaria, rimborso dei viaggi aerei nazionali nell’esercizio delle funzioni e con giustificativi di spesa.
Tutti hanno un ufficio arredato nei palazzi del Bundestag, e la possibilità di spendere 1.000 euro al mese per gestirlo.
Ogni deputato può assumere collaboratori a carico del Parlamento per un massimo di 14.712 euro.
Nessun assegno di fine mandato ma un’indennità provvisoria per 18 mesi. Vitalizio a 67 anni, 961 euro lordi per 5 anni, 1.917 per dieci.
House of Commons
L’House of Commons ha 650 membri. L’indennità mensile lorda è di 6.350 euro, il netto varia, così come il contributo previdenziale.
Come diaria si può richiedere un rimborso massimo mensile di 1.922 euro, di cui 1.680 per rimborso locazione.
Chi preferisce l’albergo può spendere fino a 150 euro a notte.
Sono rimborsati gli spostamenti in taxi e metropolitana (taxi solo dopo le 23) e i viaggi per l’esercizio delle funzioni solo in classe economica. 1.232 euro di rimborso per l’ufficio nel collegio, 1.004 euro per le spese.
I collaboratori li paga un’agenzia per conto del Parlamento, fino a un massimo di 10.500 euro al mese.
Al termine del mandato possono chiedere un rimborso di 47mila euro per spese connesse al completamento delle funzioni. Il vitalizio, dai 65 anni, varia in base ai contributi versati: 530 euro lordi per un mandato con il minimo, 794 euro con il massimo.
Parlamento europeo
Il Parlamento europeo ha 736 deputati. L’indennità netta è di 6.200 euro, l’indennità di soggiorno di 304 euro ogni presenza.
Documentandoli, i deputati possono farsi rimborsare i viaggi effettuati per raggiungere le sedi parlamentari.
Ci sono anche indennità fisse basate su distanza e durata del viaggio. E 354 euro al mese di rimborso per viaggi al di fuori dello Stato di elezione per motivi diversi dalle riunioni ufficiali.
Ci sono 4.299 euro mensili di rimborso spese generali (ufficio, telefono, informatica). E collaboratori pagati dal parlamento per un importo massimo di 19.709 euro.
A fine mandato indennità (non cumulabile con pensioni o stipendi) da 6 a 24 mesi. Il vitalizio scatta a 63 anni, 1.392 euro per un mandato, 2.784 per due, 5.569 euro dai 20 anni in poi.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
SVOLTA CONTRO LE DOPPIE INDENNITA’, MA SUL RESTO MOLTA LENTEZZA
«Se c’era solo da arza’ ‘a bbenzina ce tenevamo Pomicino».
Prima che qualcuno faccia su di lui la battuta che Francesco Storace dedicò al governo simil-tecnico di Lamberto Dini (delegato alle faccende rognose con la diffida a occuparsi d’altro) è bene che Mario Monti prenda il toro per le corna.
Perchè se pensa di poterla spuntare con la pazienza e la saggezza, passo passo, rischia di essere rosolato allo spiedo dai professionisti dello status quo .
Finchè, fatte le cose elettoralmente più antipatiche, gli diranno: «Grazie professore…».
Ma come: non aveva esordito alla Camera, nel ruolo di premier, parlando di una situazione gravissima, di un compito «difficilissimo» («sennò ho il sospetto che non mi troverei qui oggi»), di «tempi ristrettissimi»?
Non aveva spiegato che «di fronte ai sacrifici che dovranno essere richiesti ai cittadini, sono ineludibili interventi volti a contenere i costi di funzionamento degli organi elettivi»?
Non aveva dichiarato indispensabile, da subito, «stimolare la concorrenza, con particolare riferimento al riordino della disciplina delle professioni» e alle «tariffe minime»?
Dirà : «Non mettetemi troppa fretta, ho appena iniziato». Giusto.
Il guaio è che la nostra storia dimostra che anche quando (quasi sempre per disperazione) si verificano condizioni in qualche modo «magiche» per una vera svolta, questi momenti durano poco. Pochissimo.
Un attimo, e sono già alle spalle.
Se certe cose non le fai subito, addio.
E non basta prendere (lodevolmente) il treno invece che un volo blu per tornare da Roma a Milano come ha fatto il «Prof.» per prolungare una luna di miele con gli italiani che appare, purtroppo, parzialmente compromessa.
Come si è mosso, su certe cose, è stato subito stoppato dalla sollevazione di permalosi conflitti di competenza.
Per dirla alla romana, gli hanno ricordato: «Nun je spetta».
L’adeguamento ai parametri europei degli stipendi, delle diarie, dei rimborsi dei parlamentari? «Nun je spetta».
La riduzione delle spese correnti del Parlamento che sugli affitti delle dependance spende oggi 41 volte più che trent’anni fa? «Nun je spetta».
Il contenimento di certe megalomanie spendaccione delle Regioni? «Nun je spetta».
La riforma degli Ordini professionali? Rinviata.
Nonostante lo stesso Monti, avesse denunciato l’anno scorso sul Corriere che «non si tratta di tenaci fiammelle rivendicative fuori tempo» ma di «corposi interessi privilegiati che, pur di non lasciar toccare le loro rendite, manovrano un polo contro l’altro: veri beneficiari del bipolarismo italiano!».
La timida liberalizzazione sul fronte dei taxi? Rinviata, sotto la minaccia di una rivolta dei tassinari tra gli applausi del sindaco di Roma Gianni Alemanno, la cui elezione era stata salutata da un tripudio di gioia degli autisti.
La modesta liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C? Resistenze fortissime.
Come sul versante di una serie di liberalizzazioni per i negozi (orari, distanza dall’uno all’altro, licenze…) per le quali una misteriosa manina aveva cercato di infilare uno slittamento al 31 dicembre 2012, come se la crisi internazionale e le difficoltà dell’euro fossero banali complicazioni congiunturali.
Per non dire del tentativo di smistare le competenze delle Province alle Regioni e ai Comuni così da svuotarle nella prospettiva che il Parlamento, dopo il tormentone, si decida a eliminarle. Non l’avesse mai fatto!
Il presidente dell’Upi Giuseppe Castiglione ha mandato una lettera alla Corte dei Conti denunciando il rischio di un «drammatico impatto», di un «caos istituzionale», di «conseguenze drammatiche», di un «blocco totale degli investimenti», di norme «palesemente anticostituzionali» e via così…
Toni che non si sentivano dai tempi del «Profeta Emman» che per il 14 luglio 1960 annunciò l’Apocalisse e il diluvio universale e l’arrivo delle Locuste dell’Abisso…
Certo, è difficile cambiare. Complicato. Faticoso. Ma se non ora, quando?
Ed è per questo che, davanti ai rischi che il premier resti impantanato tra i veti delle lobby, le incrostazioni clientelari, la pigrizia delle burocrazie, non si può che salutare con sollievo l’annuncio di una svolta che, se portata davvero a termine, sarebbe davvero importante.
E cioè non solo il ripristino di un tetto per le retribuzioni dei grandi manager pubblici fissato sul parametro massimo dello stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione.
Ma soprattutto la regola che i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, nonchè gli avvocati e i procuratori dello Stato chiamati a lavorare nelle authority o al governo come capi di gabinetto o degli uffici legislativi «conservando il trattamento economico riconosciuto dall’amministrazione di appartenenza anche se fuori ruolo e in aspettativa» non possono «ricevere a titolo di retribuzione o di indennità per l’incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, più del 25% dell’ammontare complessivo del trattamento economico percepito».
Traduzione: basta con l’accumulo delle paghe. Una rivoluzione vera. Invocata da tempo.
Resta una sola curiosità : questo piccolo mondo di potentissimi funzionari accetterà di fare buon viso a cattivo gioco?
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
argomento: la casta, Parlamento, Politica | Commenta »