Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA STIFFONI: “TAGLI AGLI EMOLUMENTI? I MASSONI VOGLIONO PARLAMENTARI SCIATTONI”…FORSE PREFERISCE QUELLI SCIATTAI? …FINI E SCHIFANI CHIEDONO “ATTI ESEMPLARI”, IN SINTONIA CON I SACRIFICI RICHIESTI AGLI ITALIANI”, MA MOLTI DEPUTATI, DA CROSETTO A GIRO, DALLA MUSSOLINI A LUPI, FANNO LA FRONDA
La Lega si schiera con la Casta. Il senatore Piergiorgio Stiffoni paventa un parlamento di “sciattoni” se dovessero passare ulteriori tagli agli emolumenti di deputati e senatori: ”E’ stato approvato, tutti concordi, che i nostri emolumenti siano nella media europea”, afferma Stiffoni, “se non altro la figura del parlamentare nazionale sia commisurata nella sua totalità alla media delle nazioni europee”.
E’ una questione di “decoro”, secondo il parlamentare trevigiano: “Se vogliono una classe politica di sciattoni, è una scelta che si può fare, ma mi sembra che un certo decoro ci debba essere anche di chi lavora in Parlamento”.
La sua filippica si scaglia contro la stampa e certi articoli “emozionali” e “pieni di rancore”. Che seguirebbero “i vari Rizzo e Stella (Sergio Rizzo e Gianantonio Stella, giornalisti del Corriere della Sera e autori del celebre libro “La Casta”, ndr) che evidentemente sono i portatori d’acqua di certa antipolitica, che non è quella dei grillini, ma è un’antipolitica ben più pericolosa che viene da certe lobby europee, alle quali interessano poco parlamenti nazionali e democrazia, allora sì che sono problemi”.
Da qui il passo è breve per evocare le ”potenze massoniche europee, legate a certi grandi quotidiani”, alle quali “interessa tanto avere propri omologhi al vertice decisionale dei paesi per poter imporre le loro regole”.
Quello degli stipendi dei parlamentari è un tema caldo della giornata politica, insieme all’incontro di Monti con i sindacati, allo sciopero di questi ultimi annunciato per domani e l’Ici sugli immobili della Chiesa.
Mentre sui giornali, sul web e nella società civile monta la protesta contro l’autoconservazione dei privilegi della casta, i diretti interessati cercano di gettare acqua sul fuoco.
“Non corrisponde al vero quanto ipotizzato da alcuni organi di informazione circa la presunta volontà del Parlamento di non assumere comportamenti in sintonia con il rigore che la grave crisi economica-finanziaria impone a tutti”.
E’ quanto hanno dichiarato i presidenti di Senato e Camera a proposito della polemica sulle voci di un mancato taglio degli stipendi dei parlamentari.
In tal senso, Renato Schifani e Gianfranco Fini hanno sollecitato il presidente Istat, Enrico Giovannini, “a concludere nel più breve tempo possibile i lavori della commissione” incaricata di studiare le indennità parlamentari in Europa “per poter subito procedere” al taglio delle indennità in Italia.
“Come dimostrano anche le recenti decisioni autonomamente assunte dagli Uffici di Presidenza di Senato e Camera sulla nuova disciplina dei cosiddetti vitalizi — hanno scritto Schifani e Fini in una nota — il Parlamento è pienamente consapevole dell’esigenza di dar vita ad atti esemplari e quindi anche di adeguare l’indennità dei propri membri agli standard europei, secondo quanto già votato in Aula nei mesi scorsi sia a Palazzo Madama che a Montecitorio“.
Nella polemica interviene anche Guido Crosetto del Pdl, parlando di un “clima di odio” fomentato dalla stampa: “I giornali titolano e polemizzamo sul nulla. Non è più tollerabile per le persone oneste che hanno accettato di dedicarsi alla politica, uscire di casa, acquistare il giornale e sentirsi, in questo caso senza alcun motivo reale, insultati ed additati come bersaglio di un odio ormai irreversibile”.
Anche Francesco Giro, ex sottosegretario ai Beni culturali, lancia una stoccata ai giornalisti definendoli “gazzettieri dell’antipolitica” e provocatoriamente suggerisce “di tagliare ai parlamentari, oltre agli stipendi, anche la testa”.
Insomma l’argomento tagli ha scatenato un putiferio tra i banchi delle Aule: alcuni parlamentari (da Alessandra Mussolini a Lamberto Dini) si lamentano della proposta a prescindere, altri pongono la questione della “norma scritta male”.
Mentre Michele Ventura (Pd), non vuole “difendere la casta”, ma parla di “polverone sollevato ad arte” perchè un decreto che provveda all’equiparazione non si può fare e “il governo l’ha riconosciuto”.
Irritato anche il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, sempre del Pdl: “Se ridurre i costi della politica significa rinunciare al parlamento non va bene, questa sarebbe dittatura”.
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Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
SONO IMPRENDITORI E PROFESSIONISTI TRA I 40 E I 50 ANNI, TEMONO L’INCERTEZZA POLITICA ED ECONOMICA, UNA STRETTA FISCALE E SONO IN CERCA DI UN INVESTIMENTO IMMOBILIARE SICURO
Una discreta transumanza di capitali, ma anche di persone.
Durante l’agonia del governo Berlusconi, intimoriti dalla giostra dello spread, più recentemente dal rigore del governo Monti, molti italiani benestanti hanno deciso di trasferire i loro soldi, in alcuni casi anche i loro cari, in Svizzera.
“Quelli che hanno grossi capitali, intere famiglie, stanno cercando di piazzare i propri beni in posti sicuri e in qualcosa che duri nel tempo”, ha confermato, in un’intervista alla radio pubblica elvetica, la presidente della federazione di fiduciari del Canton Ticino, Cristina Maderni.
“Noi fiduciari siamo stati interpellati, per valutare se c’è la possibilità di un trasferimento totale di alcune famiglie”, ha aggiunto.
Per poi spiegare che “il fenomeno è sempre esistito ma è vero che, in questi ultimi mesi, abbiamo assistito a un’accelerazione delle richieste di questo tipo”.
Quindi la presidente dei fiduciari ticinesi rileva, pure, che quello che sta avvenendo assomiglia a una vera e propria fuga, dal belpaese. “Ci sono, ad esempio – dice – persone e gruppi famigliari, con consistenti patrimoni, che chiudono la loro attività imprenditoriale, per trasferirsi in Svizzera”.
Dove, in molti casi, chi lascia l’Italia e i suoi problemi, ha già sovente una residenza e, magari, un cospicuo gruzzoletto.
“Il più delle volte si tratta di 40-50 enni, in prevalenza lavoratori autonomi e imprenditori”, ci conferma Giancarlo Cervino, del Centre for International Fiscal Studies di Lugano, secondo il quale il fenomeno è in corso da circa un anno e mezzo.
Tutta questa gente, come ha avuto modo di constatare Cristina Maderni “è angosciata dall’insicurezza esistente, oggi, in Italia e nel resto dell’Europa” e, quindi, cerca posti come la Svizzera “dove la stabilità economica e politica e la forza della moneta sono tali, da trasformarsi in una sorta di polizza sulla vita”.
Anche se, di questi tempi, di approdi sicuri ce ne sono sempre meno.
Nella Confederazione, ad esempio, i prezzi di vendita, al metro quadro, degli immobili di un certo livello, vanno dai 10 mila euro in su di Lugano e dell’Engadina, ai circa 40 mila di Zurigo, tanto da far temere l’esplosione di una bolla immobiliare.
Va detto, poi, che in caso di definitivo deragliamento dell’Ue e della moneta unica, la Svizzera ne soffrirebbe, pesantemente, le conseguenze.
Già adesso, in presenza della crisi nell’eurozona, la crescita del prodotto interno lordo elvetico è continuamente rivista al ribasso tanto che, l’anno prossimo, non dovrebbe superare lo 0,5 per cento.
Anche nella Confederazione, inoltre, pur con uno Stato che, quest’anno, ha chiuso i conti in attivo, la pressione fiscale sta aumentando.
Dal prossimo anno, ad esempio, potrebbe venire introdotta un’imposta di successione del 20 per cento, sui beni superiori ai due milioni di franchi, la qual cosa ha indotto molti benestanti a una corsa frenetica negli studi notarili, per trasferire i propri patrimoni agli eredi ed evitare, così, la stangata.
“Ma la paura di un epilogo italiano alla greca, con manifestazioni di piazza e attentati anarchici, unito al timore di un default delle banche, è tale da indurre chi se lo può permettere ad andarsene”, constata il fiscalista Cervino.
“Sicuramente – conclude – in nessuna città svizzera metteranno mai una bomba davanti all’Agenzia delle Entrate, come è capitato a Roma”.
Franco Zantonelli
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
E’ DIVENTATO UN LUOGO COMUNE CHE PER COMBATTERE L’EVASIONE SIA NECESSARIA LA GUERRA AL CONTANTE…COME SE GLI EVASORI PER PORTARE I SOLDI ALLE CAYMAN SI SERVISSERO DEGLI SPALLONI…SI STA TRAVISANDO LA MALATTIA CON I SINTOMI: I GRANDI UTILIZZATORI DEL CONTANTE NON SONO GLI EVASORI MA LA CRIMINALITA’ CHE NON SI FA IMPRESSIONARE DA QUESTE MISURE
Per il legislatore è “contrasto all’ uso del contante” (Decreto Salva Italia).
Per l’ uomo della strada è la dichiarazione di guerra alla pratica di pagare in banconote.
Una guerra che l’ opinione pubblica appoggia con entusiasmo e passione. Anzi, qualcuno vorrebbe di più: tassare il contante; proibirlo per tutti i pagamenti oltre una certa cifra; additare al pubblico lubridio chiunque estragga dal portafoglio una banconota da 500 euro.
Il vero obiettivo dell’ ira popolare però non è il contante, ma l’ evasione fiscale: c’ è l’ errata convinzione che il modo migliore per combattere l’ evasione sia fare la guerra al contante. Come se per eliminare l’ evasione bastasse eliminare le banconote.
Un’ assurdità .
Bisognerebbe chiedersi come i miliardi evasi finiscano nei centri off shore: per portare i soldi alle isole Cayman o a Singapore non servono gli zaini degli spalloni.
Inoltre i grandi utilizzatori del contante non sono gli evasori, ma la criminalità , che non si fa certo impressionare dalle manovre di “contrasto”: il pizzo non si paga col bonifico, nè il pusher accetta carte di credito.
Nella frenesia dei preparativi di guerra, si sta travisando la malattia (l’ evasione) con i sintomi (il contante).
Così, anche questa guerra, come molte nella storia italica, assume aspetti grotteschi.
Di fatto lo Stato “contrasta” soltanto se stesso, vietando alla sola pubblica amministrazione qualsiasi pagamento in contanti superiore a 500 euro.
Nè poteva essere altrimenti: le banconote sono un mezzo legale di pagamento che quindi lo Stato non può abolire o limitare nell’ uso.
Anche domani potremo ritirare tutto il contante che vogliamo, e pagare come ci pare.
Se prelievo e/o deposito supera i mille euro, verrà segnalato dalla banca; ma l’ uso del contante resta legittimo.
Per i pagamenti in nero, aumenterà solo la frequenza delle visite a sportelli e bancomat. Quanto alla criminalità , ha una provata capacità di dedicarsi ad attività caratterizzate da micro pagamenti in contanti, che sfuggono alle registrazioni.
Come ogni guerra, anche questa avrà i suoi danni collaterali: vecchietti che dovranno imparare a usare il bancomat (sperando di non essere scippati), staccare assegni ed effettuare bonifici.
La manovra prevede una convenzione con l’ Abi per un conto corrente standard, onde evitare che i veterani della guerra al contante siano falcidiati dal fuoco “amico” delle banche.
Ma sarebbe meglio imporre a ogni banca di offrire, in modo chiaro e trasparente, un conto a costo fisso, onnicomprensivo, con carta di debito, assegni, bonifici e pagamenti vari inclusi, zero interessi e un saldo massimo.
E lasciare che le banche competano, invece di promuovere una convenzione che sa di cartello.
La guerra al contante ha fatto dimenticare il vero passo importante che il Salva Italia fa nella lotta all’ evasione: lo Stato si è finalmente ricordato che dal 2007 tutti gli intermediari devono registrare e archiviare ogni transazione finanziaria, conto o posizione superiore a 1500 euro. Il limite è ridotto a 1000 e gli intermediari devono trasmettere i dati al Fisco, che li userà per identificare i sospetti evasori.
Addio segreto bancario.
L’ analisi sistematica dei dati finanziari è il modo più efficace per combattere l’ evasione. Manca però l’ ultimo passo: pochi buoni dati sono meglio di troppi dati.
In un anno avvengono centinaia di milioni di transazioni in Italia: come setacciarle?
Come ho proposto di recente, basterebbe cominciare da un numero: la somma di tutte le uscite associate a tutti i conti di ogni codice fiscale; e sottrarre prestiti, interessi e dividendi ricevuti.
Si calcola così la capacità complessiva di spesa, facilmente confrontabile con i redditi dichiarati.
Investimenti, vendite o eredità potrebbero spiegare discrepanze: per questo basta chiedere a ognuno in dichiarazione l’ elenco dei beni patrimoniali.
Se il patrimonio non varia, c’ è il sospetto di evasione.
E scatta la domanda di chiarimenti documentati.
Alessandro Penati
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
PARLA L’EX DIRETTORE DEL SETTIMANALE “OGGI”, PINO BELLERI, CHE MANDO’ IN EDICOLA LE IMMAGINI DI ZAPPADU DALL’INTERNO DI VILLA CERTOSA: “LO SCOOP PIU’ CARO DELLA MIA VITA: HO PAGATO IN TUTTI I SENSI”…”L’EX PREMIER E BONAIUTI DISSERO MOLTE BUGIE, NESSUNO RIPRESE LA NOTIZIA”
“Fu il servizio più caro della mia vita. Quanto lo pagai? Tanto, in tutti i sensi. Non voglio fare il martire, ma gli scatti di Zappadu fecero tremare poltrone, consigli di amministrazione e famiglie. Che si ripercuotessero su di me, alla fine, era quasi inevitabile”.
Aprile 2007. Santa Pasqua. Villa Certosa. Berlusconi è in compagnia di 5 ragazze.
Angela Sozio, Barbara Pedrotti e altre tre di cui non si conoscerà mai l’identità .
Prima di Ruby, D’Addario e Noemi Letizia arrivò la copertina di Oggi. Pino Belleri, direttore di allora (adesso consulente Rcs) titolò “L’harem di Berlusconi” e ironizzò sulle bagattelle.
Per quei fotogrammi, con l’accusa di violazione della privacy, è a giudizio.
Berlusconi ha deposto l’altro ieri a Milano.
Dell’anatomia del suo scoop: “Il più rilevante degli ultimi 4 decenni, al livello di Lady Diana. I Berlusconi sono stati la famiglia reale degli ultimi 20 anni”, Belleri ricorda tutto.
Il prima e il dopo. Il volo e la caduta.
Cosa rimane oggi?
Il tempo rende tutto inutile. Sbiadisce il quadro. Lo relativizza.
Berlusconi si arrabbiò.
Moltissimo. Il materiale incrinò definitivamente un matrimonio già propenso al naufragio e giunse a neanche 2 mesi dalla lettera di sua moglie Veronica Lario a Repubblica. L’animatore del Family day, al centro di una sacra festa cattolica, impegnato a manipolare tette e a frugare tra le cosce non lasciò indifferenti.
Chi le portò le foto?
Zappadu. Saltai sulla sedia. Mi consultai con l’editore e poi decisi di procedere. Berlusconi e Bonaiuti inventarono balle incredibili. Dissero e fecero scrivere che ero il disgraziato direttore di un ‘pornosettimanale’ e a Villa Certosa era in corso solo un raduno di Forza Italia con i fidanzati delle delegate presenti.
Invece?
Se si esclude la sicurezza, non c’era l’ombra di un uomo. E Berlusconi non accompagnava le sue ospiti. Faceva altro. So di cosa parlo. Vidi tutti e 400 gli scatti, anche quelli di cui il garante della privacy, con nordcoreana rapidità , impedì in soli tre giorni la futura pubblicazione.
Subì pressioni.
Ci furono. A livello di direttori della mia azienda e per così dire, trasversali. L’azione fu violenta e io che sono rimasto un provinciale, calcolai male l’impatto. Credevo ne avrebbero parlato tutti. Invece il Corriere quasi nascose la notizia. Repubblica, dopo uno sciopero di due giorni si adeguò e l’unica a riprenderla fu Striscia la Notizia per dire che Berlusconi era un simpatico mandrillo.
Chi c’era a Villa Certosa?
Mai saputo. Se si scoprissero nomi e occupazioni passate e presenti dei partecipanti alla riunione del 2007 si spiegherebbero molte cose. Curiosamente, Berlusconi ha dimenticato i nomi di chi fu ospite della sua dimora.
Berlusconi sostiene che Zappadu potè fotografare dall’interno.
I difensori di Berlusconi usarono il satellite. Fecero un sopralluogo di parte dieci giorni dopo e senza altri testimoni. Parlarono di rami secchi. Lasciamo perdere.
Perchè gli altri giornali ignorarono la notizia?
Non lo so. So solo che per sinergia mi precipitai al Corriere a informare il dottor Mieli. Lui convocò caporedattori e vice. Uscii da via Solferino e percorsi 400 metri. Mi chiamò un collega di Oggi. Era preoccupato. ‘Ha chiamato Belpietro. Dice che devi essere impazzito’.
Chi avvertì Belpietro?
Lo ignoro. Così come non sono mai riuscito a capire chi avesse informato Maria Latella che mi aiutò e a cui mi rivolsi per avvertire Veronica Lario della pubblicazione delle foto.
Cosa le disse?
Era alla Scala. ‘Ho già saputo, Pino’. Noi, anche per calcolo, provammo comunque a essere delicati. Il lettorato di Oggi, cattolico e conservatore in gran parte votava Pdl e le foto di B. in estasi, con l’occhio strabuzzante erano già abbastanza volgari. A Mediaset, gli alti dirigenti mi chiamarono per manifestare ‘pena’.
Foto innocenti?
Devastanti. Una volta Corona mi disse che le ragazze del sultano giravano per Milano guidando le Mini. ‘Leggende metropolitane’ pensai. Invece le foto di Villa Certosa mi spalancarono l’orizzonte. Non erano solo la certificazione di una menzogna detta alla moglie e agli italiani. Erano di più. L’harem e il Berlusconi priapico esistevano. Non potevo ancora immaginare il bunga-bunga intorno alla lap dance, le 30 olgettine e il resto. Ma ci saremmo arrivati.
Cosa è stato per noi Berlusconi?
Un po’ Casanova, un po’ D’Annunzio, un po’ Alvaro Vitali. Un pezzo di storia. Un italiano. Ma non ne parli al passato. Non mi stupirei se tramontato il noiosissimo governo Monti, Berlusconi tornasse e rivincesse le elezioni.
Un anno e mezzo dopo lei fu destituito. Fu Villa Certosa a farle perdere il posto?
Non ho elementi per dire che l’avvicendamento fosse consequenziale, ma neanche per sostenere il contrario. So che vendevo 600 mila copie e oggi, nonostante certi rotocalchi Rcs vadano a rotoli, i loro direttori sono solidissimi.
A proposito. Lei tenne nel cassetto le foto di Sircana.
Feci un atto di lealtà verso Rcs che volle acquistare e poi non pubblicare e un gesto di compassione verso suo figlio. Un ragazzino che se avesse visto il padre vicino a un trans, avrebbe avuto seri problemi a scuola.
Tutto qui?
Per Sircana mi hanno impalato. Intervenne anche Cossiga e al presidente, rispondere era impossibile. Una carriera bruciata in 10 secondi. La mia. Nascosi le foto, ma non ero uno scemo e non mi vergogno. Ero e resto un professionista.
Fu un errore?
Sbagliai un rigore, ma questo, me lo concederà , capitava anche a Maradona. Belpietro mi pugnalò e poi disse: ‘Belleri ha agito in nome di interessi superiori’. Dovevano averlo ben relazionato.
Rifarebbe lo stesso?
Oggi lo gestirei diversamente, ricordandomi della regola aurea: ai concorrenti non si lascia niente. Accadde con Zappadu che minacciò: ‘Prendere o lasciare, altrimenti vado all’Espresso’ e avrebbe dovuto valere anche per Sircana. Indietro, non si può tornare.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
IL VATICANO, CON 115.000 CASE E 9.000 SCUOLE FA LA PARTE DEL LEONE, MA LA LISTA DEGLI ESENTATI E’ LUNGA…. DENTRO LA ZONA GRIGIA DELL’USO NON COMMERCIALE, SI INFILANO MIGLIAIA DI ATTIVITA’ SANITARIE, DIDATTICHE E RICETTIVE
Chiesa ma non solo. L’ombrello della norma Taglia-Ici non ripara solo gli immobili (quelli ad uso “non esclusivamente commerciale”) del Vaticano. Certo il mattone di Dio – 115mila case, 9mila scuole, 4mila tra ospedali e centri sanitari – fa la parte del leone. Ma la platea dei beneficiari dell’esenzione dall’imposta è molto più ampia.
Non pagano tutte le altre confessioni religiose. Zero tasse per le associazioni non profit, le ong, le ambasciate, le Fondazioni liriche, i palazzi intestati a Stati esteri.
Niente Ici nemmeno per edicole, cappelle nei cimiteri, musei e per le proprietà di Comuni, Province e Regioni utilizzate a fini istituzionali.
La legge prevede l’esenzione per gli immobili di enti senza fine di lucro “destinati allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”.
Come succede per il patrimonio della Santa Sede, però, anche qui esiste una ampia area grigia dove l’uso “non commerciale” dei beni è difficile da certificare.
Ci sono ospedali controllati da pseudo-Onlus (e accreditati con il servizio sanitario nazionale) che fatturano centinaia di milioni.
Fondazioni che affittano case e palazzi di lusso incassando fior di quattrini ogni anno senza dover pagare un centesimo di imposta.
Circoli sportivi e dopo-lavoro trasformati in piccoli – e ricchissimi – villaggi Valtur del tutto esentasse.
Ecco l’elenco degli “utilizzatori finali” più importanti della norma Taglia-Ici.
E quello delle realtà sociali più vicine al mondo dell’assistenza sociale che in realtà – malgrado di solito si pensi il contrario – sono costretti a pagarla.
RELIGIONI
Musulmani e buddisti salvi come i cattolici
Tutti i luoghi di culto non pagano l’Ici. Vale per parrocchie, moschee, sinagoghe, anche per l’unico edificio in mano all’Unione Buddista Italiana.
Per tutti vale l’esenzione dei beni utilizzati a fini “non esclusivamente commerciali”. Con i Comuni incaricati di valutare eventuali abusi.
Una recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecco, per dire, ha esentato dall’imposta un ex-opificio trasformato in “luogo di culto dalla locale comunità mussulmana”.
CIRCOLI
Biliardini e ristoranti sfuggono alla gabella
I circoli ricreativi che fanno capo a organizzazioni non a fine di lucro non pagano l’Ici.
Vale ad esempio per i 5.500 circoli e sodalizi Arci, anche se l’associazione — conferma il presidente Paolo Beni — paga l’imposta sulle parti di edificio legate ad attività commerciali come ristoranti.
È forse una delle partite più delicate, visto che in molte di queste realtà operano attività di ristorazione.
ONLUS
Molte cause in tribunale per gli immobili affitati
Tutte le Onlus e le Ong sono esentate dal pagamento dell’Ici, almeno per gli edifici che usano come sedi proprie e non a fine di lucro.
Non paga Emergency, non paga Medici senza frontiere, non paga l’Associazione per la ricerca sul cancro e la Lega per il filo d’oro.
Chi invece dispone di un patrimonio di immobili messi a reddito (cioè affittati) è costretto – almeno in teoria – a onorare con il fisco il pagamento dell’imposta, anche se la materia è ancor oggi oggetto di confronto giuridico.
SCUOLE
Niente tassa agli istituti legati agli enti no-profit
Un altro tema delicato è quello delle strutture sanitarie e scolastiche. Le cliniche private (convenzionate o meno con sistema sanitario nazionale) devono pagare l’Ici.
Gli enti non commerciali convenzionati con la sanità pubblica – tra cui diverse istituzioni religiose o Onlus – invece no, almeno sui reparti ospedalieri mentre sul patrimonio immobiliare a reddito si paga tutto.
Zero Ici anche per le scuole private che fanno capo a enti non a fine di lucro indipendentemente dal livello delle loro rette.
PARTITI
Pagano tutta l’imposta sulle abitazioni ereditate.
I partiti politici non beneficiano di alcuna esenzione Ici. “Noi per la sede di Torre Argentina sborsiamo 2-3mila euro l’anno” mette i puntini sulle “i” Mario Staderini, segretario dei Radicali.
Paga il Pd, pagano le fondazioni degli ex-Ds cui è stato dirottato il patrimonio di case (5.800 immobili) girato dai militanti.
Fanno la loro parte – perchè obbligati dalla legge – pure gli eredi della vecchia Democrazia Cristiana. A
nche se durante i burrascosi anni di Tangentopoli e della diaspora della Balena bianca è svanita nel nulla una dote di qualche centinaio di edifici di pregio.
SINDACATI
Patrimonio milionario, non ricevono sconti
I sindacati (come Confindustria) pagano l’Ici.
Sia per le loro sedi istituzionali che per gli altri immobili destinati a reddito. Si tratta di un patrimonio importante.
Solo la Cgil ha oltre 3mila tra uffici e delegazioni lungo tutta la Penisola. La Cisl ne ha addirittura 5mila.
Il mattone nel portafoglio della Uil ha un valore stimato di circa 35 milioni.
Un “tesoretto” accumulato grazie a lasciti, donazioni e investimenti nel corso degli anni e cresciuto sullo zoccolo duro dei beni ereditati (esentasse) per legge dalle vecchie rappresentanze sindacali dell’era fascista.
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Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
INVECE CHE TASSARE I CETI MEDIO-BASSI, PERCHE’ IL GOVERNO NON INDIRIZZA I SUOI PROVVEDIMENTI VERSO I FINTI POVERI CHE PULLULANO IN ITALIA?
Un rapporto dell’Anagrafe tributaria, studiando gli effetti della patrimoniale sul lusso, ha scoperto che i falsi poveri con fuoriserie, elicottero o barca sono un esercito: in proporzione, superano i veri ricchi e gli abbastanza facoltosi
Hanno lo yacht di 17 metri, il bolide in garage e, perchè no, anche l’elicottero privato.
Eppure la loro dichiarazione dei redditi è la stessa di un operaio: 20mila euro o giù di lì. Evasioni fiscali di pochi furbi?
Macchè: i finti poveri in Italia sono un esercito.
E’ quanto emerge dal rapporto dell’Anagrafe tributaria (pubblicato in anteprima su il Sole 24 Ore), che ha dovuto studiare gli effetti concreti della tassa sul lusso inserita nel decreto “salva-Italia” dall’esecutivo di Mario Monti.
L’analisi incrociata dei dati ha portato alla luce non poche sorprese.
In Italia ci sono poco meno di centomila barche di lusso, ovvero natanti lunghi almeno 10 metri.
Tra queste, ben 42mila (quindi il 42,4 per cento) sono di proprietà di individui che dichiarano al fisco 20mila euro annui di patrimonio.
A chi appartengono il resto degli yacht?
Circa 27mila (26,7 per cento) sono di contribuenti che dichiarano dai 20mila ai 50mila euro annuali, mentre 16mila o poco più (16,5 per cento) sono intestati a cittadini più facoltosi, ovvero coloro che hanno entrate annuali che vanno dai 50mila ai 100mila euro.
E i ricchi veri (con dichiarazioni di redditi da 100mila euro in su) quante barche hanno?
In proporzione, pochissime: 14.235, ovvero appena il 14,4 per cento.
Se fossimo in un Paese di onesti contribuenti, il dato avrebbe una chiave di lettura a dir poco paradossale (i “poveri” con le barche di lusso).
Ma siamo in Italia, e lo studio dell’Anagrafe tributaria vuol dire solo una cosa: che i falsi poveri non sono neanche veri furbi, visto che con il reddito dichiarato sarebbe pressochè impossibile sopportare i costi di gestione delle loro barche. La tassa sugli yacht metterà fine al raggiro.
Se nel Belpaese le barche sono “roba da poveri”, i bolidi a quattro ruote non fanno eccezione. In Italia ci sono quasi 595mila automobili da 185 kw, ovvero da 248 cavalli.
Tra queste, 217mila (36,6 per cento) sono di proprietà di quegli italiani che dichiarano un reddito da 20 a 50mila euro, mentre addirittura 188mila (31,7 per cento) sono intestate a chi denuncia neanche 20mila euro.
Per questi ultimi, oltre al danno c’è anche la beffa: oltre alla patrimoniale sul bolide in garage, saranno costretti — ogni qual volta decidono di utilizzarlo — a sborsare fior di quattrini per fare il pieno di carburante, aumentato a dismisura a causa dell’innalzamento delle accise su diesel e benzina. I veri ricchi con ‘Ferrarino’ o fuoriserie, invece, sono pochi: 117mila (19,6 per cento) quelli che dichiarano dai 50 ai 100mila euro, quasi 72mila (12,1 per cento) quelli che ‘incassano’ oltre i 100mila euro.
I più sfortunati di tutti, però, sono i 518 ‘poveri’ che, pur dichiarando 20mila euro annui, possono permettersi un aereo o un elicottero privato: oltre al balzello sul bene di lusso, saranno costretti a prosciugare i loro (presunti) averi ogni qual volta decideranno di alzarsi ‘autonomamente’ in volo.
Ciò che stupisce, nella ‘evasione dei cieli’, sono le percentuali.
Detto del club dei 518 finti poveri con elicottero sul tetto di casa (il 25 per cento del totale), dei circa duemila velivoli privati, 604 (30 per cento) sono di proprietà di cittadini con dichiarazione dai 20 ai 50mila euro, 523 (26 per cento) di contribuenti che dichiarano dai 50 ai 100mila euro e appena 367 (18,3 per cento) sono di color che dichiarano al fisco più di 100mila euro all’anno.
Gli esempi di barche di lusso, bolidi a quattro ruote e aerei privati rispecchia una tendenza ormai assodata in Italia: l’evasione fiscale è un fenomeno dilagante.
L’ennesima conferma dai dati generali del rapporto a firma dell’Anagrafe Tributaria.
Su quasi 42milioni di contribuenti, ben più della metà (circa 28 milioni, alias il 66,3 per cento) dichiarano di non superare i 20mila euro annui, mentre sono 12 milioni (29,2 per cento) coloro che ammettono di aver guadagnato dai 20 ai 50mila euro annui.
E i veri ricchi?
Chi denuncia redditi che vanno dai 50 ai 100 mila euro rappresenta il 3,5 per cento (quindi un milione e mezzo scarso di italiani) della torta, mentre le briciole della stessa sono costituite dagli onesti facoltosi: appena 398mila, pari all’uno per cento del totale.
Anche loro dovranno subire la patrimoniale sul lusso: colpa dei loro pari reddito che non pagano le tasse.
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Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
MONTI VOLEVA TAGLIARE DA GENNAIO, LA CASTA RIVENDICA LA PROPRIA COMPETENZA SUI TAGLI ALLE INDENNITA’: “IL GOVERNO NON PUO’ INTERVENIRE, SPETTA AL PARLAMENTO”… FINI ASSICURA: “NESSUN RITARDO”
Il taglio degli stipendi dei parlamentari? Di certo non sarà contenuto nella manovra e finirà per essere rimandato “di qualche mese”.
La commissione Bilancio, infatti, si avvia a varare un emendamento per modificare la norma in cui il governo si arrogava la possibilità di ricorrere per decreto al taglio delle indennità , nel caso in cui la commissione guidata dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, non arrivi a depositare il previsto studio di comparazione entro fine anno.
La norma incriminata è quella contenuta nell’articolo 23 della manovra, comma 7: ”Ove alla data del 31 dicembre 2011 la Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia […] non abbia provveduto alla ricognizione e alla individuazione della media dei trattamenti economici […] il Governo provvederà con apposito provvedimento d’urgenza”.
Tradotto: se la commissione Giovannini non farà in fretta, il taglio lo farà il governo.
Un taglio per giunta parecchio pesante, stando alla bozza stesa dai questori del Senato che agganciando l’indennità parlamentare agli stipendi europei avrebbe significato una decurtazione di 5mila euro circa, dagli 11mila e 700 attuali ai 5500/6000 del resto d’Europa.
Ma la cura dimagrante per ora non ci sarà , meglio non smuovere troppo le acque già mosse tra governo e maggioranza.
E così, a chi gli chiedeva se l’emendamento salva-tagli ci sarà , il relatore del Pd Pier Paolo Baretta ha risposto: “Vedremo, potrebbe essere nostro o del governo — ha aggiunto — ma il punto fondamentale è che la Commissione Giovannini deve finire il suo lavoro ed è il Parlamento che dovrà recepirne i risultati. Non deve essere il governo a decidere per decreto”.
Tutti d’accordo, insomma.
Come a dire che le camere, come ripetuto anche dal vice-capogruppo del Pdl a Montecitorio, Massimo Corsaro, invocano la sovranità nella scelta — le retribuzioni dei parlamentari sono disposte con il regolamento da ciascun ramo — e chiedono all’esecutivo di non intervenire direttamente.
Piuttosto di fissare dei tempi entro cui il parlamento dovrà deliberare sulla materia. Del resto, anche Corsaro ha ricordato la sovrapposizione tra il taglio d’imperio annunciato dal governo e il parere della Commissione Giovannini, istituita dal governo Berlusconi proprio con il compito di equiparare le spese della politica italiana a quelle europee. La commissione, riunita per la prima volta solo il primo settembre, “non ha ancora finito il suo lavoro”.
Ma quello che per il deputato Pdl, intervenuto in diretta a SkyTg24, equivale a una rassicurazione — ”Chiediamo al governo che fissi i tempi per l’intervento” — al di fuori del Palazzo non può che suonare come un rinvio sine die.
Come farà l’esecutivo, se non può intervenire direttamente, a fissare un termine per l’operazione di auto-riduzione dello stipendio?
Con quali sanzioni, in caso di sforamento dei limiti temporali?
Di certo, gli onorevoli italiani si sentono già sufficientemente “vessati” dal cambio di regime previdenziale — che ha lasciato a piedi non pochi “giovani” — e dal taglio di 1000 euro subito a inizio anno per ‘fare fronte’ alla crisi finanziaria.
Quanto al taglio delle indennità , sarebbe un guaio anche per i vitalizi, ora che la pensione del parlamentare è agganciata ai contributi.
E non è un caso che pochi tra i parlamentari si azzardino a levare una voce per chiedere all’interno dell’aula la stessa equità che pretendono di rappresentare all’esterno.
Solo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, si è sentito di escludere “attività dilatorie delle camere sull’indennità ”.
Ma il problema di natura tecnica resta, e anche per Fini il governo ha commesso un errore scrivendo l’articolo 23.
“Escludo — ha detto — che da parte del Parlamento ci possa essere un’azione di contrasto nei confronti di quello che inappropriatamente il governo ha inserito nel decreto, cioè la riforma delle indennità , uniformando il trattamento economico dei parlamentari italiani alla media europea”.
Fini ha sottolineato come “sia doveroso per il Parlamento essere trasparente e dare luogo a una riforma delle indennità , spiegando in base a quali criteri lo fa e uniformando il trattamento dei parlamentari italiani a quello della media degli altri paesi europei”.
Eppure anche il presidente della Camera ha ricordato il ruolo della commissione presieduta dal numero uno dell’Istat. “Questa commissione terminerà il proprio lavoro nel più breve tempo possibile”, ha aggiunto il presidente della Camera:
“Mi auguro che lo faccia nelle prossime settimane, dopodichè le due Camere tradurranno in apposite norme interne il risultato dei lavori. Nel decreto del governo la norma era scritta male, nel senso che non è possibile — ha spiegato — intervenire per decreto nell’ambito di questioni che sono di competenza esclusiva delle Camere. Ma di questo il governo è perfettamente consapevole e la norma sarà corretta”.
Sarà , ma la sensazione è che tra gli scranni delle aule parlamentari più che la “trasparenza” di Fini sia condivisa l’opinione dell’ex presidente del Consiglio Lamberto Dini, che ieri è intervenuto, intervistato dall’agenzia Adnkronos, per dire che già così “le retribuzioni italiane sono sotto la media Ue”.
Di sicuro, la vittima sempre più conclamata della trattativa parlamentare sulla manovra è la famigerata equità , uno dei tre pilastri su cui Monti ha fissato il suo mandato: con la ritassazione dei capitali scudati a rischio di inapplicabilità (problemi tecnici), la ridefinizione delle province smontata pezzo per pezzo (problemi formali) e l’esclusione della Chiesa nella reintroduzione dell’Ici (problemi di fretta) quel che resta sono tagli e rincari per i soliti noti.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
A 52 ANNI DALLA MORTE, ESCE IN LIBRERIA UNA RACCOLTA DEGLI SCRITTI DEL PRETE DI BOZZOLO, PICCOLO COMUNE DEL MANTOVANO
Scritti che parlano, soprattutto, del suo impegno politico con messaggi rivolti a giovani e adulti. “Nè a sinistra, nè a desta, nè al centro. Perchè la buona politica è possibile ritrovarla solo oltre i partiti” scriveva il parroco.
Pensieri ancora di stretta attualita’: “La disgrazia della lotta politica in Italia è legata alla dimenticanza dell’uomo, per cui abbiamo cittadini che sono quel che volete, vale a dire con denominazioni politiche svariatissime, ma con nessuna sostanza umana. Prima di essere ammessi a un partito ci vorrebbe la promozione a uomo”.
Inutile scervellarsi.
Queste parole, di un’attualità disarmante, non appartengono a nessun pensatore dei nostri giorni — peraltro merce rara -, ma sono uscite dalla penna di don Primo Mazzolari il 25 settembre del 1945. Fanno parte dei molti scritti politici che il parroco di Bozzolo — antifascista e anticomunista, sempre e comunque dalla parte degli ultimi — ha prodotto tra il 1940 e il 1955 e che stavano rischiando di finire nel dimenticatoio.
La casa editrice Chiarelettere ha pensato di raccoglierne — grazie anche alla collaborazione e alla consulenza della Fondazione don Mazzolari di Bozzolo, che quest’anno festeggia i 30 anni della nascita — una selezione significativa nel libro da poco uscito nella collana di Instant Book con il titolo Come pecore in mezzo ai lupi (150 pagine, 7 euro).
A impressionare, come si diceva, è l’attualità del pensiero di don Mazzolari, parroco “resistente” (vicino alla causa partigiana) di piccoli paesi del mantovano come Cicognara e Bozzolo con una lungimiranza e una freschezza intellettuale da subito invisa al Vaticano, che in più occasioni ne censurò pubblicazioni e scritti.
Salvo riabilitarlo pochi anni prima della morte, avvenuta il 12 aprile del 1959. Fu l’allora arcivescovo di Milano, monsignor Montini (il futuro Papa Paolo VI) a tendere la mano a don Primo, rinchiuso nella sua Bozzolo come un personaggio scomodo.
Era il 1957. Una volta divenuto Papa, Montini disse di don Mazzolari che “aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti”.
Profeta o non profeta, quel che è certo è che don Primo ha saputo scavare nella politica, è stato in grado di coglierne l’essenza e per questo è riuscito a smascherarne i difetti.
Era convinto che la politica dovesse andare oltre i partiti e concentrarsi sugli uomini eliminando interessi e privilegi.
Era certo che la politica dovesse andare a braccetto con la democrazia. Ma si rendeva conto che i due universi erano sempre più distanti, contrastanti.
Introdotto da una prefazione di un altro prete di frontiera come don Virginio Colmegna, il libro si articola in cinque parti.
La prima dà spazio agli scritti più attuali, ancora oggi capaci di stupire per la violenza intellettuale con cui abbattono le barriere della “finta” politica; le altre sezioni toccano i giovani, la tolleranza, il mestiere dell’uomo, la giustizia sociale.
Utile soffermarsi sull’ultima sezione del libro, quella in cui don Mazzolari fa una riflessione sul comunismo che, troppo frettolosamente, ha portato l’opinione pubblica a catalogarlo come “prete rosso”.
Senza pregiudizi ideologici, il parroco di Bozzolo analizza il pensiero comunista e vede molte somiglianze con quello cristiano: “Cosa vogliono i comunisti? — scrive don Primo — La fine delle ingiustizie e la felicità di tutti gli uomini.
Cosa vogliono i cristiani? La fine delle ingiustizie e la felicità di tutti gli uomini. La differenza è sui mezzi e sul modo di concepire il bene, conseguenza di una diversa visione dell’uomo e della vita”.
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Dicembre 11th, 2011 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI NAPOLI, TARGATO PDL, INDAGATO DAI PM DELLA DDA COME INDAGATO PER CONCORSO IN FRODE BANCARIA AL FINE DI FAVORIRE LA CAMORRA, SCARICA SU COSENTINO: “IO L’HO SOLO ACCOMPAGNATO”
Lui parla di “clamoroso equivoco” e si dice “sereno” e “convinto di aver chiarito tutto”.
Attraverso una linea difensiva che conferma il suo istinto gregario nei confronti di Nicola Cosentino. “Chiedete a Nicola di quel prestito, io l’ho soltanto accompagnato in banca e manco sapevo dove stavo andando…”. Parola di Luigi Cesaro, deputato Pdl e presidente della Provincia di Napoli. Cesaro è stato interrogato dai pm della Dda di Napoli Francesco Curcio e Antonello Ardituro in qualità di indagato per concorso in frode bancaria con l’aggravante di aver favorito la camorra, nell’ambito dell’inchiesta “Il principe e la ‘scheda’ ballerina”, che ha vivisezionato i rapporti tra i clan dei Casalesi e la politica locale.
Inchiesta dove è indagato anche Nick ‘o Americano, per il quale martedì scorso il Gip Egle Pilla ha inoltrato alla Camera dei Deputati la richiesta di autorizzazione a procedere all’arresto, con l’accusa di aver esercitato indebite pressioni presso una filiale romana dell’Unicredit per sbloccare una linea di credito di 5 milioni e mezzo di euro alla Vian srl di Nicola Di Caterino, cognato del sindaco di Casal di Principe Cipriano Cristiano, che intendeva realizzare il centro commerciale “Il Principe”.
Società vicina alle cosche, secondo la Procura, attraverso cui riciclare i proventi dei clan Schiavone e Bidognetti, distribuire posti di lavoro, rafforzare clientele elettorali.
A quell’incontro a Roma, presso la filiale Unicredit di via Po, con Cosentino c’era anche Cesaro.
Il presidente della Provincia di fronte ai pm ha minimizzato il significato della sua presenza al fianco del discusso parlamentare di Casal di Principe, sodale di mille battaglie per la conquista del Pdl napoletano e campano (Cosentino è, tuttora, coordinatore regionale, Cesaro è il coordinatore provinciale). Definendola casuale.
Secondo la ricostruzione di Cesaro, Cosentino gli avrebbe chiesto di essere accompagnato da Mario Santocchio, referente del Pdl di Scafati, presidente della società provinciale dei trasporti di Salerno, che all’epoca scalpitava per conquistare candidature e spazio nel partito: era lui l’organizzatore degli appuntamenti coi vertici Unicredit.
Santocchio infatti è il cognato di Cristofaro Zara, il funzionario dell’Unicredit dal quale dipendeva lo sblocco della pratica finanziaria.
L’inchiesta rivelerà che la linea di credito è stata aperta nonostante l’inadeguatezza delle garanzie economiche e la falsità della fidejussione presentata.
“Della questione finanziaria non so nulla — ha tagliato corto Cesaro davanti ai magistrati — dovete farvela illustrare da Nicola”.
Non è un bel momento per Cesaro.
La manovra di Mario Monti rischia di svuotare le province e di privarlo della giunta.
Una recente sentenza della Consulta ha stabilito la totale incompatibilità tra i ruoli di parlamentare e sindaco: la sua applicazione potrebbe essere estesa anche ai presidenti di Provincia, costringendolo a optare tra uno dei due incarichi.
Infine l’ufficializzazione di un’inchiesta per vicende di camorra, che arriva dopo mesi di boatos.
Vicende che un effetto, squisitamente politico, probabilmente l’hanno avuto: proprio ieri Cesaro ha annunciato la rinuncia a ricandidarsi alla guida del coordinamento provinciale del Pdl: “Ora è il momento di rinnovarsi, abbiamo molti giovani validi”.
Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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