Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DELLA G.D.F. METTE IN LUCE 3.300 CASI… CON O SENZA PARTITA IVA ALCUNI DIRIGENTI E FUNZIONARI SVOLGONO ALTRE ATTIVITA’
C’è chi timbra il cartellino ed esce subito dopo, chi sbriga in ufficio le pratiche dei suoi
clienti privati.
Addirittura chi accetta consulenze su progetti che poi dovrà valutare per conto dell’Amministrazione.
Sono i dipendenti pubblici che svolgono il doppio lavoro senza aver ottenuto l’autorizzazione. E in questo modo causano un grave danno all’erario.
Sono i numeri a dimostrarlo.
Negli ultimi tre anni sono circa 3.300 gli impiegati e i funzionari, anche di livello alto, scoperti dalla Guardia di Finanza e dagli ispettori della Funzione pubblica a svolgere attività esterne.
Hanno guadagnato illecitamente oltre 20 milioni di euro, causando un danno alle casse dello Stato che sfiora i 55 milioni di euro.
Il settore degli sprechi nella spesa pubblica si conferma, dunque, quello dove maggiormente bisogna intensificare controlli e verifiche per recuperare denaro e soprattutto evitare ulteriori perdite.
La dimostrazione è nella relazione annuale delle Fiamme gialle sul fenomeno dei «doppi stipendi» che evidenzia i dati relativi al periodo che va dal 2009 al 2011 e soprattutto fa emergere i casi più eclatanti.
E nella quale viene sottolineata «l’importanza di intervenire nel settore degli sprechi della spesa pubblica che da un punto di vista ragionieristico pesa quanto e forse più di quello delle entrate fiscali.
Un’importanza che oggi traspare in maniera ancor più evidente in ragione del perdurante momento di crisi e degli impegni politici assunti dall’Italia nei confronti della comunità internazionale, i quali impongono che le risorse disponibili siano spese sino all’ultimo euro per sostenere l’economia e le classi più deboli, eliminando sprechi, inefficienze e – nei casi più gravi – distrazioni di fondi pubblici che rappresentano un ostacolo alla crescita del Paese».
I progetti di geometri e ingegneri
La legge che disciplina «le incompatibilità , il cumulo degli impieghi e gli incarichi» consente ai dipendenti pubblici di eseguire attività professionali al di fuori dell’orario di lavoro, «purchè lo svolgimento del lavoro venga preventivamente portato a conoscenza della Pubblica amministrazione di appartenenza ai fini della valutazione della sussistenza di situazioni di incompatibilità o di conflitto d’interesse con la stessa».
Ed è proprio questo il nodo che ha evidentemente impedito a queste migliaia di persone di chiedere l’autorizzazione.
Nel dossier gli analisti della Finanza sottolineano come «non sia possibile stereotipare il profilo del dipendente pubblico che viola queste norme, perchè si va dai lavoratori con bassa qualifica fino a dirigenti con posizioni apicali», ma chiariscono che «i doppi lavori esercitati sono dei più eterogenei, spaziando dai lavori più umili alle alte consulenze professionali e tecniche prestate in cambio di laute retribuzioni. In sostanza si va da chi tenta di arrotondare magri stipendi a chi invece con il doppio lavoro incrementa redditi già invidiabili».
Tra le denunce del 2011 spicca quella di un geometra in servizio in un’amministrazione provinciale che ha percepito consulenze per 885 mila euro senza aver mai chiesto alcun nulla osta.
Ma la circostanza più grave è che i pareri riguardavano nella maggior parte dei casi le pratiche che doveva poi esaminare nello svolgimento del proprio incarico presso l’Ente locale.
Poco meno ha guadagnato un ingegnere che è riuscito a ottenere compensi extra per poco più di 514 mila euro grazie al rapporto che aveva con alcuni studi specializzati.
L’esperto di Fisco dell’Agenzia
Sembra incredibile, ma persino alcuni dirigenti dell’Agenzia delle entrate hanno accettato di svolgere mansioni per cittadini e società private in materia fiscale.
Il record spetta a un alto funzionario che senza chiedere alcuna autorizzazione ha svolto incarichi per 850 mila euro.
Introiti di tutto rispetto anche per un professore universitario che oltre alle lezioni presso l’ateneo, ha percepito 266 mila euro di compensi aggiuntivi.
Nel suo caso – come spesso accade – è stato l’organo di vigilanza interno ad attivare l’Ispettorato, ma molto più spesso i controlli vengono effettuati su segnalazioni di cittadini – talvolta colleghi di chi risulta al lavoro e invece non si presenta – oppure grazie a indagini autonome attivate dalla Guardia di Finanza.
Nel 2009 le Fiamme gialle hanno effettuato 738 interventi.
Risultato: «Sono stati 738 soggetti verbalizzati, 15 milioni e mezzo di euro le sanzioni contestate a fronte di 1 milione e 161 mila euro di compensi percepiti senza autorizzazione».
L’anno del boom è stato certamente il 2010, quando l’allora ministro Renato Brunetta chiese un’intensificazione delle verifiche proprio in questo settore. Il dato registra «983 interventi effettuati, 1.324 denunce e ben 28 milioni 296 mila euro in sanzioni, a fronte di introiti illegittimi che superano i 13 milioni di euro». Buoni risultati anche nei primi 10 mesi di quest’anno (il dato contenuto nella relazione arriva fino agli inizi di novembre).
Pur essendo calato il numero dei controlli a 722, le persone scoperte sono state 1.029 e 10 milioni e mezzo di euro l’ammontare complessivo delle contestazioni a fronte di cinque milioni e mezzo di euro guadagnati dai dipendenti pubblici senza autorizzazione».
Il record di 62 consulenze
È proprio nella relazione pubblicata a fine ottobre scorso dagli ispettori del ministero allora guidato da Brunetta che viene citato il caso di «dodici tra funzionari e dirigenti in rapporto di lavoro con Aziende sanitarie che hanno ricevuto compensi superiori a 100 mila euro ciascuno» per attività extra.
Ma il vero record l’ha raggiunto un dipendente statale citato in giudizio dalla magistratura contabile.
Si legge nella relazione della Funzione pubblica: «Anche il procuratore capo della Corte dei conti della Regione Lazio ha citato durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011 la “vicenda paradossale” di un dipendente sottoposto a giudizio per un’ipotesi di danno erariale di 2 milioni e mezzo di euro.
Il dipendente è risultato titolare contemporaneamente di più rapporti di pubblico impiego, espletando altresì in un arco temporale di qualche anno ben 62 incarichi e consulenze professionali, figurando come avvocato e fatturando con la partita Iva della quale era titolare in quanto intestatario – tra l’altro – di un’attività commerciale di ristorazione».
La direttiva d’intervento del comandante generale della Guardia di Finanza per il prossimo anno impone che l’attività dei vari reparti debba essere intensificata – oltre che nella lotta all’evasione fiscale – proprio sugli sprechi della spesa pubblica, così come del resto è stato più volte sollecitato dal governo.
E quello dei doppi stipendi è certamente uno dei settori in cima alle liste di priorità per incrementare i «fondi di produttività » dei dipendenti pubblici (che servono tra l’altro a pagare gli straordinari); la legge prevede infatti che vengano incamerate non soltanto le somme ingiustamente percepite dai lavoratori, ma anche «gli introiti delle sanzioni comminate ai soggetti committenti, per lo più privati, che si avvalgono irregolarmente delle prestazioni dei pubblici dipendenti».
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
RIMBORSI NON DOVUTI, ASSEGNI E PENSIONI DI PARENTI DECEDUTI
Quello delle truffe all’Inps è certamente il settore che genera maggiore allarme visto che l’ammontare del deficit continua ad aumentare, nonostante l’intensificazione dei controlli. Perchè è vero che il lavoro «nero» rappresenta una vera e propria piaga, ma anche gli illeciti compiuti grazie a false certificazioni o alla complicità di dipendenti dell’istituto di previdenza – soprattutto nelle sedi periferiche – provocano una vera e propria emorragia di fondi pubblici.
In attesa dei dati consolidati per il 2011, sono le segnalazioni di infrazione già trasmesse al comando generale della Guardia di Finanza a dimostrare quale sia il livello degli illeciti compiuti.
C’è chi ritira la pensione del parente morto e chi continua a percepire l’indennità di accompagnamento nonostante sia ricoverato in una struttura di lungodegenza a totale carico dello Stato.
C’è chi ha ottenuto il rimborso per la sospensione della propria attività dopo il terremoto in Abruzzo e ci sono le migliaia e migliaia di falsi braccianti che causano ogni anno una perdita milionaria all’Erario.
I falsi braccianti agricoli
Il fenomeno è molto più esteso di quanto si creda: nel 2011 la Guardia di Finanza ha scoperto complessivamente più di 6.500 falsi braccianti agricoli che hanno provocato un danno alle casse dell’Inps di oltre 42 milioni di euro.
L’indagine più capillare è stata certamente quella condotta dalla tenenza di Capo d’Orlando, in Sicilia, che ha esaminato circa 33.000 istanze di disoccupazione.
I risultati sono stati sorprendenti.
È stato infatti accertato come «1.759 individui avevano ottenuto circa 7,5 milioni di euro dalle casse dell’Inps, in quanto – pur essendo in realtà titolari di partita Iva e svolgendo attività professionali, commerciali o imprenditoriali – avevano presentato all’Istituto false autocertificazioni in cui dichiaravano di versare nella condizione di “disoccupato”.
Tutti i soggetti, che hanno percepito assegni che variavano tra i 1.500 e i 9.000 euro annui, sono stati denunciati all’autorità giudiziaria per falso e truffa ai danni dello Stato». Gli stessi reati sono stati naturalmente contestati ai datori di lavoro che, «al fine di dimostrare l’esistenza del rapporto facevano spesso ricorso a transazioni commerciali coperte da fatture false, utili da una parte a giustificare l’operatività di quei braccianti e, dall’altra, ad abbattere il reddito delle imprese».
E questo ha fatto anche individuare «69 evasori totali e redditi non denunciati per circa 30 milioni di euro».
Ricoveri, lungodegenze e indennità d’accompagnamento
Chi percepisce l’indennità di accompagnamento deve segnalare un eventuale ricovero in lungodegenza se si tratta di una prestazione erogata dal servizio sanitario nazionale.
Una procedura che non sempre viene rispettata, come è stato scoperto dal nucleo di polizia tributaria di Lecce che ha effettuato 1.467 controlli sui «soggetti ricoverati in strutture sanitarie in regime di lungodegenza con retta a totale carico dell’Asl o di altre pubbliche amministrazioni, che risultavano essere anche percettori dell'”indennità di accompagnamento”».
Alla fine delle verifiche sono state denunciate 443 persone per aver percepito complessivamente oltre 3 milioni e 800 mila euro di indennità non dovute.
In particolare «26 persone hanno riscosso l’indennità di accompagnamento in un periodo durante il quale, di fatto, risultavano ricoverate in strutture di lungodegenza o riabilitative con pagamento della retta di ricovero a totale carico dello Stato.
Gli stessi soggetti, attraverso la dissimulazione di circostanze esistenti hanno indotto in errore l’Inps che ha provveduto a erogare loro trattamenti economici complessivamente pari a 270.823 euro.
Gli altri 417 soggetti hanno riscosso l’indennità di accompagnamento in un periodo durante il quale erano anch’essi ricoverati in strutture di lungodegenza o riabilitative con pagamento della retta di ricovero a totale carico dello stato.
A differenza dei primi, hanno omesso di comunicare all’Inps le informazioni dovute – in particolate l’avvenuto ricovero con pagamento della retta a totale carico dello Stato – e hanno indotto in errore il medesimo Istituto di previdenza che, pertanto, ha provveduto a erogare loro trattamenti economici complessivamente pari a 3.550.892».
Conservare i benefici dei familiari già morti
La più determinata è una donna di Palermo che è riuscita a percepire la pensione della madre morta dieci anni prima.
Ma sono decine e decine i casi scoperti dai finanzieri di Palermo di persone che grazie a un’autocertificazione con dati fasulli sono riusciti a riscuotere per lungo tempo la pensione del familiare morto.
Le verifiche sono state effettuate ricostruendo i flussi finanziari transitati su centinaia di conti correnti postali e bancari per individuare il reale beneficiario e hanno consentito di scoprire che numerosi soggetti, proprio per sviare eventuali indagini, avevano fittiziamente spostato la residenza in altri Comuni del territorio nazionale o addirittura all’estero.
Alla fine degli accertamenti sono state denunciate 441 persone con un danno erariale che supera gli 800 mila euro. «Il sistema di frode – è scritto nella segnalazione – ha consentito agli indagati di percepire le somme di danaro, con riscossione direttamente allo sportello, attraverso la redazione e sottoscrizione di una dichiarazione con cui si attestava falsamente l’esistenza in vita del titolare della pensione. In altri casi, invece, la morte del titolare della pensione veniva completamente taciuta e, quindi, mensilmente, continuava ad avvenire l’accredito diretto su conti correnti postali o bancari».
Contributi e sciacalli del sisma del 200
Tra le agevolazioni concesse alle vittime del terremoto in Abruzzo del 2009 c’era anche l’indennità per chi era stato costretto a sospendere la propria attività . Ed è proprio per verificare il rispetto delle procedure che la Finanza ha avviato controlli su tutti coloro che ne avevano fatto richiesta.
Si tratta di professionisti, lavoratori autonomi, artigiani e piccoli imprenditori, coltivatori diretti e commercianti, che avevano presentato l’istanza allegando «autocertificazioni attestanti danni a immobili, impianti e macchinari o altri impedimenti».
Ma per 56 di loro quella documentazione si è rivelata falsa: gli investigatori hanno accertato che – nonostante avessero percepito indennità per 300 mila euro – avevano continuato a svolgere regolarmente il proprio lavoro».
Sciacallaggio come quello compiuto da sei persone, denunciate nel corso della stessa operazione, che hanno ottenuto i 600 euro mensili previsti per chi non aveva più l’abitazione agibile con un danno complessivo già quantificato in 50 mila euro.
F.Sar.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA CORTE DEI CONTI: “NON SERVONO INTERVENTI EPISODICI, SOLTANTO REPRESSIVI: LA LOTTA DEVE ESSERE SISTEMICA”
L’Italia, nella lotta alla corruzione, che “inquina e distrugge il mercato, non arriva alla
sufficienza”.
È drastico il giudizio di Luigi Giampaolino, dal luglio 2010 presidente della Corte dei conti. Che non vede, innanzitutto, “un vero, reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale” rispetto alla “mala amministrazione”.
La sua esperienza al vertice della Corte, ma prima ancora all’Authority dei Lavori pubblici, la rende un testimone prezioso sul fronte della corruzione. Se oggi dovesse dare un voto all’Italia sulla lotta al fenomeno quanto le darebbe?
“Meno della sufficienza, perchè si è proseguito sostanzialmente con un’azione, peraltro episodica, soltanto repressiva. La lotta alla corruzione dev’essere invece di sistema. Essa deve iniziare dalla selezione qualitativa e di merito degli operatori, sia pubblici che privati. Proseguire con il controllo e la vigilanza sul loro operato. Concludersi valutando i risultati. Tutto ciò che fuoriesce da questo schema genera mal’amministrazione e corruzione: anzi, è esso stesso mal’amministrazione e corruzione”.
In questi anni cos’è successo? La corruzione è aumentata, è diminuita, è rimasta stabile?
“à‰ una domanda alla quale non si può rispondere, con apprezzabile precisione in via quantitativa. L’impressione è che sia rimasta stabile, soprattutto perchè non si avverte un reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale; l’onestà , in ogni rapporto anche privato; la valenza del merito; l’etica pubblica; il rispetto del denaro pubblico e di tutte le risorse pubbliche, che sono i beni coattivamente sottratti ai privati e dei quali si deve dar conto”.
Ha avvertito nella pubblica amministrazione e nelle imprese da una parte, nei governi dall’altra, un cambio di sensibilità ?
“La pubblica amministrazione, anche a seguito della crisi economica, sembra che miri ad avere maggiore consapevolezza della situazione di privilegio in cui talvolta si trova. Quanto alle sue funzioni, ancora non si è realizzata una più rigorosa selezione nella provvista e la garanzia di vagliate e consolidate professionalità , che sono tra i primi antidoti contro la corruzione nei pubblici apparati. Le imprese sembrano avere maggiore consapevolezza della portata disastrosa della corruzione per l’economia in generale, e di conseguenza per esse stesse. Non va dimenticato che la corruzione fa prevalere quelle peggiori, inquina la concorrenza, peggiora, se non distrugge, il mercato”.
Gli articoli che puniscono corruzione e concussione, ma anche il falso in bilancio e i reati connessi, sono adeguati o andrebbero rivisitati?
“Andrebbero rivisitati, avendo a parametri non tanto il bene e il prestigio della pubblica amministrazione, ma i valori costituzionali, in particolare gli articoli 97 (buona amministrazione, ndr.) e 41 (libertà d’impresa, ndr.). Indicazioni giunte, per la verità , dalla stessa dottrina penalistica fin dagli anni ’70, ma rimaste per buona parte inattuate nella riforma dei reati della pubblica amministrazione. In particolare, la fattispecie del falso in bilancio andrebbe ripristinata in tutta la sua portata di tutela di beni fondamentali dell’economia e di sanzioni di comportamenti che ledono”.
Dall’Europa viene spesso la raccomandazione a modificare la prescrizione, i cui termini sono troppo stretti per perseguire reati complessi e “nascosti” come la corruzione. Lo trova un allarme necessario?
“à‰ senza dubbio giusto”.
La Ue e l’Onu hanno approvato convenzioni internazionali che l’Italia tarda a ratificare. Se ne può fare a meno?
“à‰ un grave errore, soprattutto perchè da lì arrivano modelli vincenti di lotta alla corruzione. Non misure solo repressive, ma accorgimenti organizzativi delle strutture pubbliche e delle imprese private, come nel caso del decreto legislativo 231 del 2007 sulla responsabilità amministrativa delle imprese, emanato proprio per attuare una convenzione internazionale. Ma è soprattutto con i rimedi organizzativi interni alla pubblica amministrazione che occorre agire. Ciò che, per la verità , già in parte persegue il disegno di legge sull’anticorruzione, ora in discussione alla Camera”.
Non trova anomalo che quel ddl, dopo due anni, non sia stato ancora approvato?
“Senza dubbio è un ritardo da lamentare e in più di un’occasione, nelle mie audizioni in Parlamento, me ne sono lamentato”.
Il contenuto della legge è sufficiente?
“Non lo ritengo tale nell’ultima versione frutto dei lavori in commissione. Occorre una rigenerazione fondata sul merito e sulla professionalità delle pubbliche amministrazioni. Serve un’effettiva, indefettibile, concorrenza, nel mercato. Ci vogliono una generale trasparenza, un’estesa dotazione di banche dati, una seria vigilanza ed efficaci controlli”.
Il neo ministro della Giustizia Paola Severino propone di introdurre la corruzione tra privati all’interno dell’impresa. Utile o superfluo, visto che le leggi già esistenti vengono aggirate
“Sono d’accordo col Guardasigilli, dal momento che le imprese devono essere chiamate, con le loro responsabilità , a ovviare ai grandi fenomeni corruttivi”.
Che ne pensa dell’Authority anticorruzione proposta da Francesco Greco
“Dovrebbe essere oggetto di attenta meditazione. Le Autorità , per essere efficaci, hanno bisogno di una riflessione ordinamentale e di efficaci poteri d’intervento e di sanzioni. La corruzione è un male che pervade tutto il sistema e quindi, solo con il concorso di tutte le Istituzioni, può essere combattuta”.
Fu negativo abolire l’Alto commissariato? Serviva, o era solo un carrozzone?
“Vorrei astenermi dall’esprimere un giudizio sulla sua utilità . C’è, innanzitutto, la pubblica amministrazione che deve essere richiamata ai suoi alti compiti e alla sua vera essenza. C’è la Corte dei conti, nella sua struttura centrale e in quella ramificata in ogni Regione, che deve essere modernizzata e potenziata. C’è il giudice penale, con le sue estreme sanzioni che avrebbero bisogno, però, di un processo che le rendesse realmente efficaci”.
Un ultimo quesito. L’Italia affronta un drastica manovra economica. Era necessario inserirci un duro capitolo sull’evasione fiscale?
“La manovra, in tutte e tre le scansioni succedutesi quest’anno, è molto fondata sulle entrate e su un rilevante aumento della pressione fiscale. La lotta all’evasione rientra in una tale strategia, anche se non va dimenticato che quanto più viene elevata la pressione fiscale, tanto più vi è pericolo d’evasione. à‰ necessario pertanto spostare l’attenzione anche su altri fattori della struttura economica. Il problema strutturale rimane quello della spesa pubblica e di una riduzione qualitativa della stessa. Una “dura” lotta all’evasione fiscale presuppone sempre, come contro partita, una severa attenzione su come si spendono i soldi pubblici e la certezza che vi sia un’eguale osservanza di tutti gli altri obblighi costituzionali che contornano, se non addirittura sono il presupposto, di quello previsto dall’articolo 53 della Costituzione, l’obbligo per tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
LE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO SONO 416 E RAPPRESENTANO IL QUARTO GRUPPO BANCARIO ITALIANO…ANCHE LORO SONO COSTRETTE A TAGLIARE I PRESTITI
“Siamo gli ultimi a togliere le mani dal fuoco», dice orgoglioso Luca Barni, brillante direttore della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate, 19 sportelli tra varesotto e milanese laborioso.
«In questi mesi abbiamo continuato a fare la banca senza tagliare impieghi a imprese e famiglie. Ovviamente se il territorio soffre, noi soffriamo con lui…».
Un sacrificio che si paga salato: la sua Bcc chiuderà il 2011 con 1,2 milioni di utile, -79% rispetto al 2007, quando su 18 milioni solo 3 venivano messi a rettifica di valore. «Nell’ultimo biennio, il rapporto si è completamente invertito…».
All’altro capo del Lombardoveneto, il mitico Bepi Maset – dopo aver trasformato una banchetta trevigiana mono sportello (la ex cassa rurale di Orsago) in un istituto (Bcc della Marca) capace di accompagnare il boom della sinistra Piave – è stato strappato alla pensione dalla Bcc Monsile, lo tsunami richiede un timoniere esperto: «Restiamo in trincea – spiega il neo dg – anche se la crisi aumenta le sofferenze» in un territorio dove alcune imprese cominciano a non pagare la bolletta del gas e chiedono soldi in banca per saldare le 13esime ai dipendenti.
Nate dalle collette promosse tra contadini e artigiani dal parroco del paese, le Banche di credito cooperativo sono il presidio al centimetro dell’Italia dei campanili.
Non c’è praticamente distretto lombardo, veneto, piemontese, emiliano o trentino che non sia cresciuto accompagnato da una Cassa rurale in cui i soci siano diventati prima metalmezzadri e poi capitalisti molecolari.
Piccole, le 416 Bcc italiane lo sono sempre.
Ma raccolte in Federcasse hanno 1,1 milioni di soci, prestano quasi 140 miliardi di euro a famiglie e imprese sotto i 10 dipendenti (quota di mercato pari al 12%, che sale a 22% per quelle artigiane) e soprattutto nel triennio orribile 2009-2011 hanno continuato a pompare risorse (+9,7%) trasformandosi in sportellorifugio per le tante Pmi strozzate dal taglio dei fidi delle grandi banche.
Un ruolo prezioso riconosciuto da Bankitalia.
Per il vicedirettore generale, Anna Maria Tarantola, nella crisi il sistema ha rappresentato «un fattore di stabilità perchè ha garantito continuità nei prestiti alle piccole imprese, quando gli intermediari di maggiori dimensioni incontravano vincoli severi dal lato della provvista».
Sono stati anche gli anni della seduzione tremontiana, la suggestione della Banca del Sud e il riconoscimento politico del ruolo Bcc.
Un protagonismo virtuoso pagato a caro prezzo.
L’impatto della crisi del debito «è rilevante: la solidità è minore di 3 anni fa», ammonisce oggi Tarantola. Nei primi 9 mesi 2011 «la raccolta complessiva è aumentata dello 0,6% grazie al mercato interbancario, al netto si sarebbe registrata una diminuzione dello 0,3%».
Morale: il paracadute aperto su imprese e territori sta lasciando «visibili tracce nei bilanci».
La qualità degli attivi è molto peggiorata: «la crescita annua delle sofferenze supera il 35%…».
Basta un numero per riassumere tutto: nel 2007 il sistema Bcc faceva 4 miliardi di utili, nel 2010 sono crollati a 400 milioni (-90%).
Al netto della dozzina di banche commissariate dalla Vigilanza per «frodi», «inosservanza delle disposizioni in materia di trasparenza», «carenze nel processo di credito» o «nei controlli interni», per la prima volta ci sono Bcc sane che chiudono in rosso per la crisi.
Nel 2010 ben 9 su 40 nel ricco Veneto. Otto su 44 nella opulenta Lombardia.
Cose mai viste. «E quest’anno sarà peggio», assicura un banchiere cooperativo.
Ognuno in fondo ha le sue spine.
Se le grandi banche hanno problemi di liquidità perchè impegnate a ricapitalizzarsi, alle prese con i criteri contabili dell’Eba, i bond in scadenza e i titoli di stato da sostenere, al piano di sotto la galassia Bcc, polmone delle province industriali, sconta la scarsa redditività tipica di quando raccogli e presti soldi in un’economia in semi recessione.
Dove c’è molta cassa integrazione, il circuito dei pagamenti tra imprese è bloccato e aumentano i fallimenti (gennaio-settembre 2011 in Italia sono saltate 8.556 imprese, +8,7% sul 2010), costringendo decine di Bcc ad alzare i tassi di interesse per coprire le perdite.
Fino al difficile accesso alla liquidità messa a disposizione dalla Bce. Insomma difficoltà di redditività più che di capitale. «Il nostro patrimonio di vigilanza medio è pari al 14,1% contro il 9% di Intesa San Paolo, la migliore tra le big», assicura Barni. Il punto è che «ogni milione di utile in meno sono 20 di minore credito al territorio…».
Di qui la necessità di «una revisione profonda delle strategie e dei modelli operativi» come ha chiesto Tarantola.La creazione del Fondo di garanzia istituzionale è utile ma non basta. Ci vorranno economie di scala nei servizi. Fino al tabù delle fusioni. Dentro al sistema qualcuno comincia a parlarne. «Crescere per non morire…».
Marco Alfieri
(da “La Stampa”)
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Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
PIENO APPOGGIO A MONTI. ANZI NO. O FORSE SI’…COME LE LUCI INTERMITTENTI DELL’ALBERO DI NATALE: UN MOMENTO DI BAGLIORE INTENSO A CUI SEGUE IL BUIO ASSOLUTO
Chi più di ogni altro vuol far capire a Monti che l’interruttore è nelle mani del partito di
Silvio Berlusconi è l’ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa.
Dalla nomina del nuovo esecutivo ad oggi ha pronunciato almeno una decina di volte il mantra “smettono quando vogliamo”, in varie forme.
La più forte parlando col Fatto quotidiano: “Meno dura, meglio è”.
Ieri è tornato a ricordare al presidente del Consiglio chi comanda: “à‰ corretto lasciare al governo il tempo di operare, ma passato il periodo di luna di miele dovrà guadagnarsi quel certificato di sopravvivenza che gli stiamo assicurando nel bene dell’Italia”.
Insomma, il futuro dell’esecutivo dipende da noi. Ora ci siamo, domani chissà .
Ma se La Russa lancia anatemi, c’è sempre qualcuno pronto a rassicurare.
Salvo cambiare idea il giorno dopo.
Il famoso concetto di “staccare la spina”, del “malato terminale”, — che Monti ha esplicitamente chiesto di non usare più, durante il suo primo discorso al Senato — è stato ripetuto in questi due mesi da molti degli uomini di Silvio Berlusconi e anche da lui stesso, che poi ha smentito l’uso della metafora patologica.
Ma se pur con parole diverse, ieri l’ex premier, collegandosi telefonicamente con la comunità di don Gelmini, ha ribadito il concetto: “Sono ancora impegnato a sostenere la nostra forza di libertà . E quindi sono sempre in pista. I sondaggi ci danno in forte, anzi fortissima crescita, perchè gli italiani sono preoccupati”.
La traduzione del pensiero berlusconiano è arrivata direttamente dall’interpretazione della telefonata di un suo ex ministro, Gianfranco Rotondi: “Non esiste l’ABC, Alfano, Bersani, Casini. Angeli-no Alfano è il leader dell’Italia di domani che Berlusconi sta silenziosamente preparando”.
Infatti l’ex premier ripete continuamente ai fedelissimi la sua idea di una “lista Berlusconi” alternativa e alleata di un Pdl rifondato su basi centriste, guidato dal delfino prescelto, Alfano.
Il voto è l’obiettivo, bisogna solo capire qual è il momento migliore per arrivarci.
Fino ad allora, Monti è avvertito: “à‰ probabile che duri fino al 2013 — ha dichiarato ieri La Russa — ma se ritenesse di essere un governo politico, cioè se si volesse intestare attività governative che non attengono il motivo per cui è stato fatto nascere, non sarà più necessario mantenere un esecutivo di persone non elette dal popolo. Non voteremo più manovre che non ci piacciono”.
Secondo l’ex ministro, dopo aver fatto il lavoro “sporco”, i professori sono pronti per la rottamazione.
A meno che non ci sia bisogno di ulteriori provvedimenti che strizzeranno però sempre più l’occhio agli elettori, pena la mancanza di fiducia dei partiti.
Il primo ad usare un tono minaccioso col nuovo governo era stato il presidente dei deputati, Fabrizio Cicchitto: “O c’è rispetto verso il Pdl o il governo Monti non decolla” aveva detto ancor prima che nascesse.
Per poi ricordare, una settimana dopo, che “Monti è libero di fare politica nel modo che preferisce, ma nel caso in cui il tentativo riesca, come ci auguriamo, lui ha un vincolo d’onore. Sarebbe un presidente del Consiglio rappresentativo di una fase così straordinaria che non potrebbe poi rinnegarla prendendo parte alle prossime elezioni politiche per uno schieramento o per l’altro”.
L’ipotesi era balenata nella testa di un suo collega di partito, Beppe Pisanu, che aveva chiesto a mezzo stampa di ipotizzare una leadership futura per Monti.
Nel Pdl però, l’idea che la fotografia del governo possa essere manomessa con Photoshop, non sfonda.
Con un ritocco qua e uno là ecco Monti leader di un governo di unità nazionale, poi del centrodestra e Corrado Passera del centrosinistra.
Ma la scomposizione e ricomposizione di un esecutivo sostenuto a corrente alternata non sembra nei piani di Berlusconi, più attento a capire che fine faranno le liberalizzazioni e l’asta delle frequenze tv, sempre sondaggi alla mano.
Se le elezioni si allontanano sarà difficile riunire l’alleanza di Vasto per Pd, Idv e Sel. Eppure, laddove si aprisse un varco, l’ex premier si dice pronto.
Di certo nelle riunioni riservate il sostegno al governo tecnico non manca mai.
E nemmeno le contraddizioni. Parola di Monti.
Caterina Perniconi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
DAL BIPOLARISMO IMPERFETTO ALLE PREFERENZE CANCELLATE….DA NOI MANCANO LE CONTROFORZE, MANCA UN VERO PLURALISMO POLITICO
Forse esagero, ma è da cinquant’anni che dalla politica italiana non nasce una sola idea. Siamo partiti con il Bipartitismo Imperfetto di Giorgio Galli, dove «imperfetto» stava per dire che non c’era alternanza al potere.
È sì un difetto. Ma sin da allora facevo notare che i Paesi senza alternanza di governo erano parecchi, specialmente il Giappone, che pure è stato per lungo tempo un Paese di prima fila.
Poi si è affermata l’idea che se un Paese non aveva una struttura bipolare non poteva funzionare. Per anni ho cercato di spiegare che una struttura bipolare (tipo destra-sinistra) veniva di solito da sè, che era fisiologica.
Chi si prova, ogni tanto, a dichiararsi «terzo polo» è un politico spiazzato dagli eventi. D’altronde, i sistemi bipolari hanno spesso bisogno di un piccolo partito intermedio di sostegno. Come in Germania.
Qual è, allora, lo scandalo italiano?
È che non abbiamo il voto di preferenza. Lo avevamo, ma a furor di popolo venne cancellato da due referendum. Non era un secolo fa, eppure ce ne siamo dimenticati.
E ci siamo anche dimenticati perchè non funzionò allora, e perchè funzionerebbe ancora peggio se ripristinato. In passato la prassi costante, tra gli scrutatori dei seggi, era di controllare attentamente i voti di lista ma di consentire a sè stessi di aggiungere crocette di preferenza ai raccomandati del proprio partito.
Oggi siamo più smaliziati. Così è ancora più sicuro che il votante non riuscirà quasi mai a eleggere chi voleva. Eppure ci crede.
In questo cinquantennio la vera novità è invece passata inosservata. Nel 1918 Max Weber scriveva un saggio, La politica come professione, che è illuminante già nel titolo, e che stabilisce una volta per tutte qual è il problema.
Questo: che si è man mano consolidata e moltiplicata una popolazione che vive di politica e che non sa fare altro.
Se perde il posto o le entrature nella «città del potere», allora resta disoccupato: o politica o fame. È evidente che la politica come professione è una inevitabile conseguenza della entrata in politica delle classi povere.
Finchè l’accesso al potere era ristretto ai benestanti, il cosiddetto «politico gentiluomo», non si faceva pagare. Non ne aveva bisogno. Ma i nullatenenti, invece, sì
Va da sè che il politico di professione esiste oramai un po’ dappertutto. Ma da noi con una virulenza inedita che ci assegna tra i Paesi più corrotti al mondo (al 69° posto).
È che da noi mancano le controforze politiche, manca un vero pluralismo politico.
Il fascismo ha favorito lo sviluppo di quelle che oggi ci siamo abituati a chiamare lobbies , ovvero corporazioni di interessi economici.
Dopodichè il dopoguerra ci ha restituito un sindacalismo largamente massimalista.
Mentre nel 1959 i sindacati tedeschi ripudiavano a Bad Godesberg il sindacalismo rivoluzionario e da allora collaborano con le aziende, noi continuiamo il rito di inutili e dannosi scioperi.
Il punto è, allora, che lo strapotere della nostra casta di politici di professione non si imbatte in vere controforze che lo combattono.
Noi siamo precipitati nel momento in cui la stupidità della sinistra, allora di D’Alema e di Violante, ha consegnato il Paese a Berlusconi regalandogli tutta o quasi tutta la televisione.
Giovanni Sartori
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
“L’EX PREMIER PENSA SOLO AI SUOI”… CONTATTI CON BONANNI, LA RUSSA E FORMIGONI TENGONO LA PORTA APERTA ALLA LEGA… TENSIONI AL NORD: FINISCE IN RISSA IL COORDINAMENTO DELLA LOMBARDIA
Un Pdl del Nord alleato alla Lega e un Pdl del Sud stretto all’Udc. 
Una diaspora parlamentare verso il centro. Nel partito di Berlusconi, nonostante i proclami del Cavaliere, ormai è scattato il rompete le righe e ognuno pensa per sè.
Se ne sta accorgendo in questi giorni Raffaele Bonanni, nella sua seconda veste, quella di demiurgo del nuovo centro moderato.
Nei giorni della manovra sono stati infatti molti nel Pdl a chiamare il segretario della Cisl, garantendogli sostegno nell’ora X.
Ci sono quelli interessati a una trasformazione del Pdl in chiave Ppe, come Andrea Ronchi e Adolfo Urso.
Ma anche tutta l’area di Claudio Scajola e gli amici di Beppe Pisanu.
Si parla di almeno una quarantina di parlamentari in sofferenza, pronti a mollare il Pdl per dare corpo a un nuovo partito dei moderati.
«Berlusconi non è in grado di garantire più nessuno – spiega uno di loro – e pensa solo ai fatti suoi».
La fibrillazione intorno a via dell’Umiltà è aumentata anche per le voci sempre più forti riguardo un nuovo progetto segreto del Cavaliere.
Una sorta di lista personale per assicurare una scialuppa di salvataggio solo ai fedelissimi.
Il nome scelto sarebbe «Italia e Libertà » e su questo l’ex premier avrebbe avviato anche dei sondaggi, mentre a Catia Polidori – in ascesa dopo il tradimento del 14 dicembre, quando mollò Fini per tornare in maggioranza – Berlusconi avrebbe affidato il compito di organizzare cene di “fund raising” tra gli imprenditori.
Intorno a queste voci si alimenta l’ansia di chi teme di restare senza futuro.
Un malessere che alberga soprattutto al Nord, dove i pidiellini stanno subendo l’offensiva movimentista della Lega.
Il 23 dicembre scorso il coordinamento regionale della Lombardia, presenti tutti gli ex ministri, è quasi finito in rissa.
Con il fratello di La Russa, Romano, che stava per venire alle mani con l’ex assessore Giancarlo Abelli.
«Non alzare la voce con me», ha gridato Abelli a La Russa. E il fratello dell’ex ministro ha replicato a tono: «Se non alzo la voce alzo qualcos’altro».
Uno screzio sedato da Corsaro. Non prima tuttavia che Ignazio La Russa se la prendesse con il coordinatore Mantovani davanti ai giornalisti, accusandolo di aver organizzato una «passerella ridicola» di ex ministri.
Un episodio minore, ma spia della forte tensione in corso.
Sotto accusa dei “nordisti” è anche la gestione di Angelino Alfano. Troppo appiattita sul governo, dicono. E troppo attenta all’alleanza con l’Udc per il voto meridionale. «Alfano – sbotta un ex ministro del Pdl – pensa al patto con Casini ma a noi interessa la Lega. Non ci stiamo a suicidarci per lui».
Così, con il voto alle amministrative che si avvicina, c’è anche chi lavora a una separazione consensuale.
Un Pdl del Nord, guidato da Formigoni, che si allea con il Carroccio.
E un Pdl del Sud lasciato ad Alfano.
È un fatto, ad esempio, che Daniela Santanchè, proprio durante il turbolento coordinamento regionale del 23 scorso, abbia lanciato l’idea di una nuova riunione dopo le feste dedicata espressamente alla «questione settentrionale».
Mentre un’altra ex ministra come Michela Vittoria Brambilla chiede invece al partito di «tornare fra la gente a fare opposizione altrimenti, dopo il Veneto, anche in Brianza gli elettori inizieranno a guardare alla Lega».
Intanto i due uomini forti del Nord, Ignazio La Russa e Roberto Formigoni, hanno di recente stretto un patto di ferro per sostenere le reciproche ambizioni e tenere aperta la porta alla Lega.
Dopo che il congresso di Lodi (l’unico effettuato dal Pdl in Lombardia) ha sancito la sconfitta dell’ala La Russa a favore del candidato sostenuto da Formigoni, i due sono venuti a patti.
L’intesa sarà suggellata dalla nomina di un “larussiano” a coordinatore della provincia di Milano e di un formigoniano a coordinatore milanese.
L’altro fronte aperto è quello del sostegno al governo.
Se da una parte il Cavaliere ricomincia a fare la voce grossa, dall’altra sta infatti cercando di non tagliare i ponti con gli “uomini nuovi” del governo Monti. L’attenzione dell’ex premier si è concentrata su Corrado Passera, individuato come il vero candidato forte del futuro. «Non dobbiamo regalarlo al Pd», ripete spesso il Cavaliere.
Così è iniziato il corteggiamento. Tanto che a Como, la città di Passera, alle prossime elezioni, il Pdl sta pensando di candidare Maurizio Traglio, un imprenditore molto vicino al ministro dello Sviluppo.
Tanto da essere stato uno dei pochissimi comaschi invitati alle nozze, lo scorso giugno, tra Passera e Giovanna Salza a villa d’Este
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
CATASTO CHE ABBUFFATA: CENE A CORTINA, EVENTI, PERSINO “WE WANT SEX”
Poco meno di un milione e mezzo di euro di spese per comunicazione istituzionale e rappresentanza.
L’agenzia del territorio spende in rinfreschi, pranzi, convegni e mostre il doppio del costo delle bollette telefoniche delle sue cento sedi.
Il buon esempio viene dall’alto, nonostante guadagni 300 mila euro lodi all’anno il direttore dell’Agenzia che dovrebbe occuparsi di catasto e conservatoria, Gabriella Alemanno, ha speso migliaia di euro in pranzi e cene di rappresentanza pagati con la
sua carta di credito aziendale. A spese del contribuente.
La sorella del sindaco di Roma Gianni Alemanno, nominata a capo dell’Agenzia dal Governo Berlusconi nel 2008, dopo essere passata prima dal Secit e dai Monopoli (sempre su nomina dei Governi Berlusconi) è riuscita a pagare con i nostri soldi persino una cena a Cortina a suo fratello a margine di un evento sponsorizzato dall’Agenzia diretta dalla sorella e dall’Acea, controllata dal fratello. Una vera abbuffata di conflitti di interessi.
Il Fatto Quotidiano ha recuperato la contabilità delle note spese del direttore Alemanno e le fatture autorizzate dall’area comunicazione.
Si scopre che le spese per rappresentanza e comunicazione istituzionale (voce quest’ultima assente in passato dai bilanci) sono schizzate da 80 mila euro a un milione nel 2010 per sfiorare il milione e mezzo secondo le previsioni per il 2011.
Il ministro dell’economia e presidente del Consiglio Mario Monti, dovrebbe dare un’occhiata ai conti dell’Agenzia per vedere come viene applicato il suo invito alla sobrietà .
Quello che un tempo era il noioso Catasto è stato trasformato, dalla dottoressa Alemanno, in una frizzante agenzia specializzata in eventi, pranzi e vernissage.
A parte i 22 mila e 800 euro pagati alla Adn Kronos per “supporto informativo multimediale” e i 20 mila euro per i servizi della Mp group, colpiscono le fatture importanti della società Comunicare Organizzando per esempio per la mostre dei 150 dell’Unità d’Italia (48 mila euro che però dovrebbero essere stati coperti dagli sposnor) e soprattutto le fatture delle gioiellerie.
Sfugge perchè l’Agenzia compri 30 uova di struzzo decorate per 3 mila e 240 euro dalla gioielleria Peroso. “Sono state donate a rappresentanti di Stati esteri per esigenze di rappresentanza”, spiega Mario Occhi, responsabile comunicazione dell’Agenzia, anche se al Fatto risulta che un uovo sia finito a un comandante regionale della Finanza.
L’Agenzia ha comprato anche 12 bicchieri in vetro soffiato dalla signora Maria Bonaldo di Mestre, che si dice conosca Gabriella Alemanno.
Prezzo 1296 euro e destinazione ignota. “Saranno stati donati anche questi ad autorità estere”, dice sempre Mario Occhi.
Si usano i soldi pubblici per promuovere persino una commedia sociale di Nigel Cole, “We want sex”, sulla battaglia delle operaie della Ford contro la discriminazione maschile.
800 euro per “affitto sala cinema Odeon per proiezione riservata del film il 17 gennaio 2011” più “vendita pop corn e bibita per 179 consumazioni, 5 euro cadauna, per un importo totale di 895 euro”. We want pop corn”.
Poi ci sono i pranzi di rappresentanza.
La Bottega di Montecitorio di via della Guglia a Roma è usata dal direttore dell’Agenzia come una seconda mensa.
Peccato per i prezzi.
Il 17 marzo 2011 spende 107 euro pubblici e poi ancora il 31 marzo spende altri 90 euro, il 7 aprile (70 euro) e poi ancora il 29 settembre (60 euro) sempre con ignoto commensale.
Il 14 aprile del 2011 per un pranzo parco (63 euro) dichiara finalmente il suo ospite: è un suo amico di vecchia data, Antonio Liguori, nominato direttore generale del Teatro dell’Opera nel 2009, grazie al fratello Gianni Alemanno.
La famiglia è molto unita.
Il Fatto Quotidiano aveva già raccontato nell’agosto del 2010 la storia delle vacanze con dibattito di Gabriella e Gianni (con Isabella Rauti al seguito) in quel di Cortinaincontra.
Ora scopriamo quanto ha pagato l’Agenzia del Territorio per sponsorizzare la manifestazione: 42 mila euro comprensive di Iva.
Ma l’Agenzia il 22 agosto del 2011 ha pagato altri 780 euro per ospitare a cena al Villa Oretta di Cortina ben undici persone.
Oltre ai dirigenti di Ance, Confedilizia e Scenari Immobiliari, c’era anche “il sindaco di Roma Gianni Alemanno più ospite direttore Agenzia”.
Talvolta il direttore tradisce la Bottega di Montecitorio: il 24 marzo per un pranzo con 28 commensali costato ben 616 euro, preferisce il RomAntica per “incontro con giornalisti stampa locale e referenti comunicazione”.
Il 25 febbraio all’Os club alle Terme di Traiano paga 48 euro, e poi ancora il 14 febbraio altri 185 euro a causa di un vino importante (un Tignanello) e ancora il 9 agosto al Panda in Galleria Sordi, ma poi torna alla solita Bottega di Montecitorio il 20 aprile (89 euro) e il primo giugno (70 euro) il 12 ottobre (110 euro) il primo aprile al Caffè delle Arti (105 euro) il 14 aprile alla sala da tè Babington (115 euro).
Filippo La Mantia è uno dei preferiti.
Il 12 maggio (100 euro); il 26 settembre (100 euro); il 13 aprile 2011 con due giornalisti di un’agenzia di stampa (129 euro).
Il 29 gennaio alla Taverna San Teodoro ci sono quattro persone a tavola con la Alemanno per 443 euro.
Il 23 maggio lo scialo viene scoperto da due magistrati della Corte dei Conti.
Seguono la Alemanno nel locale dello chef La Mantia e non la mollano fino al conto. Purtroppo però mangiano a sbafo e non battono ciglio quando lei striscia la carta dell’Agenzia: 230,50 euro.
Il 4 luglio il direttore si sposta a Bari e pranza alla Pignata con cinque persone, il conto da 365 euro per “rappresentanti autorità locali”.
Quando si muove il direttore Gabriella Alemanno sembra un capo di Stato.
Per esempio il 14 agosto del 2011 è a Cagliari e pranza con il Prefetto, due avvocati dello Stato e dirigenti delle agenzie del territorio e del demanio.
La spesa per 13 pasti a base di pesce dal Corsaro Deidda è di 890 euro.
Il 10 maggio del 2011 la Alemanno vola in Veneto e mangia all’osteria da Fiore a Venezia . Il conto è di 810 euro.
Oltre al presidente dell’ ordine dei notai e al direttore dell’agenzia del Veneto, erano presenti tutti i controllori.
C’era il responsabile audit dell’agenzia, il comandante regionale della Guardia di Finanza Walter Cretella Lombardo e il procuratore regionale della Corte dei Conti.
Al momento del conto però nessuno ha messo mano al portafoglio.
In fondo Pantalone era veneziano.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
IL CASO DEL CALCIATORE DEL GUBBIO CHE HA RIFIUTATO 200.000 EURO PER TRUCCARE UNA PARTITA DI CALCIO NON E’ UN EPISODIO ISOLATO… DAL DIRIGENTE ENAV CHE HA DETTO NO A UNA TANGENTE FINO AL SINDACO VASSALLO, SONO TANTI GLI ESEMPI DI CHI NON CEDE ALLA CORRUZIONE E DIVENTANO ESEMPIO DELL’ITALIA CHE VORREMMO
Quelli che dicono no conoscono poche parole. Non si raccontano nemmeno. 
Non predicano, fanno.
Quelli che dicono no, spesso, stanno in basso.
E se puntano in alto, cercano la strada più giusta e corretta. Onesta, semplicemente.
Quelli che dicono no si fermano prima di una tentazione, di un calcolo matematico, di un fruscìo di banconote.
S’incazzano.
Quelli come Simone Farina, difensore di Serie B, cinque anni nel Gubbio, rispondono offesi a chi cerca di corromperli: “Io queste cose non le faccio”. E basta.
Senza tormenti di coscienza, senza ripensamenti.
A Farina offrivano 200 mila euro per truccare una partita di Coppa Italia col Cesena: perdere una gara quasi inutile per far felice la malavita che col calcio sporco ci campa (e di lusso). Farina gioca, a volte male, a volte bene.
Ha un buono stipendio per la Serie B di zona retrocessione, nè ricco nè povero.
E 50 mila euro, imprevisti, fanno la differenza.
Ma Farina ha detto no perchè mai avrebbe detto sì: “No ai soldi sporchi”.
Quelli che dicono no come Simone Farina (e denunciano un ex compagno al capitano e all’allenatore), che mai vincerà un Mondiale, lo fanno per se stessi e per quello che fanno. Non sono tanti, però si fanno sentire.
Sono piccoli ingranaggi che fanno saltare sistemi di corruzione studiati, rodati, quasi scientifici.
Si mettono di traverso per istinto. No, non per gloria. No, non per apparire.
Si fanno ricordare per un giorno, poi tornano lì dove volevano restare.
Con la faccia e le mani pulite, qualche sguardo di troppo, qualche domanda stupida cui rispondere.
Quelli che dicono no scelgono solo due lettere per stare meglio: no.
Vernamonte e Antonelli — funzionari delle Entrate.
I nomi di Francesco Vernamonte e Giuseppe Antonelli dicono poco. Le cronache veloci di agenzie e quotidiani nemmeno li hanno citati .
Eppure i due funzionari dell’Agenzia delle Entrate hanno rifiutato una mazzetta di 10 mila euro e 2 sterline d’oro nascoste in una scatola di cioccolatini.
Un commercialista romano voleva ammorbidire gli accertamenti fiscali sulla Brunelli Sud spa [estranea al tentativo di corruzione, ndr], un’azienda casearia laziale che ha evaso 5 milioni e 600 mila euro.
Vernamonte e Antonelli hanno subito denunciato il tentativo di corruzione.
E il commercialista è stato arrestato.
Giovanni Parascandola — l’appuntato.
Adesso è tornato a fare il piantone, tre anni fa, l’appuntato Giovanni Ladonea Parascandola girava la Campania e monitorava la discarica di Villarica.
Il carabiniere documentava il ciclo dei rifiuti, che tante inchieste giudiziarie e tanti milioni di euro hanno bruciato.
Parascandola faceva il suo mestiere, senza spirito ambientalistico, ma perchè faceva parte del nucleo a disposizione dei Commissario speciale.
Arrivò Guido Bertolaso e sciolse il gruppo. Un maresciallo voleva punirlo. L’appuntato, più che semplice, disse: “Ho fatto solo il mio dovere. Noi carabinieri abbiamo un solo credo, la legalità ”.
Raphael Rossi — l’ingegnere dei rifiuti.
Nome comune, gesto raro. Raphael Rossi è un giovane ingegnere italiano. È stato vicepresidente dell’Amiat, l’azienda municipale di Torino che si occupa di rifiuti.
È stato cacciato perchè ha impedito che fosse acquistato un macchinario inutile di 4,2 milioni di euro.
E ha fatto arrestare chi voleva corromperlo con una mazzetta di 100 mila euro.
Il Comune di Torino, sindaco Sergio Chiamparino, non si è nemmeno costituito parte civile nel processo.
La storia di Raphael ha un lieto fine. Il sindaco Luigi De Magistris l’ha chiamato a Napoli per dirigere l’Asia, l’azienda del comune che gestisce la raccolta dei rifiuti.
Ambrogio Mauri — l’imprenditore pulito.
Ambrogio Mauri ha cominciato con una piccola officina a Desio, in Brianza. Poi è diventato uno dei maggiori costruttori di autobus. Fin quando a Milano, prima di Mani Pulite, lavoravi soltanto se pagavi: se staccavi assegni ai partiti.
Mauri non ha mai pagato per lavorare e si è trovato con l’azienda in crisi.
Le inchieste di Tangentopoli accesero una speranza, Mauri ci credeva, andò a testimoniare spontaneamente.
Prima di suicidarsi, il 21 aprile del ’97, scrisse una lettera: “Auguro, a chi continua a resistere, di avere maggiore fortuna”.
Fausto Simoni — il dirigente Enav.
Le inchieste giudiziarie su appalti e commesse di Finmeccanica hanno svelato un sistema ben oliato di tangenti. Anche una società del gruppo, Enav, è stata coinvolta.
Ma un dirigente, che preferisce i toni lievi (“Non sono un eroe”), per tre anni ha rifiutato soldi e respinto pressioni.
Fausto Simoni ha spiegato il sistema ai magistrati e si è raccontato con parole semplici: “Non sono nè un eroe nè una rockstar. Non cedere alle pressioni di chi mi offriva una tangente è stato naturale, ovvio direi. Perchè non saprei lavorare diversamente da come faccio abitualmente. Con onestà ”.
Nino De Masi — mai il pizzo alla ‘ndrangheta.
Titolare di un’azienda di macchine agricole fondata nel 1954 nella Piana di Gioia Tauro, da 20 anni, seguendo il cammino del padre Giuseppe, si oppone pubblicamente alle richieste di pizzo della ‘ndrangheta, lottando non solo contro i clan e una società abituata allo staus quo del potere criminale, ma anche contro le banche, portate in giudizio a causa di tassi d’interesse che spesso hanno sfiorato, quando non oltrepassato, il limite dell’usura.
De Masi non ha mai chiuso e continua a produrre in Calabria:“Assumo il rischio consapevolmente — ha dichiarato a Report — perchè in discussione non ci sono i soldi, ma la libertà mia e dei miei figli”.
Angelo Vassallo — il sindaco anti-camorra.
Primo cittadino di Pollica, in provincia di Salerno, assassinato il 5 settembre 2010.
Secondo gli investigatori il delitto sarebbe di matrice camorristica. Il “sindaco pescatore” si sarebbe opposto agli appetiti dei clan suscitati dalle opportunità di sviluppo turistico della località cilentana, che Vassallo, noto per il suo impegno ambientalista, aveva saputo valorizzare e rilanciare.
Fu ucciso in auto, mentre rincasava, in una strada poco battuta. Il finestrino era aperto, segno forse che il sindaco aveva riconosciuto la persona che lo aveva fermato, e aveva discusso con lui.
Patricio Enriquez Loor — il ribelle di Sesto.
Docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, Patricio Enriquez Loor è stato membro dello staff dirigenziale del sindaco di Sesto San Giovanni.
Se ne andò sbattendo la porta quando capì che le decisioni sull’area all’area ex-Falk, di cui avrebbe dovuto occuparsi come urbanista, venivano prese altrove.
“Cercai di oppormi mi hanno accusato pubblicamente di essere un sabotatore, poi il sindaco mi fece capire che se mi fossi adeguato avrei avuto il giusto premio economico”.
Ha rinunciato all’incarico nell’estate 2009 e, assieme a un gruppo di cittadini, ha impugnato il piano generale del Territorio di Sesto di fronte al Tar prima della tangentopoli sestese.
Maria Grazia e Savina Pilliu — la mafia non intimidisce.
A Palermo, in piazza Leoni, c’è un palazzo di nove piani, abusivo, costruito dalla mafia senza rispettare le distanze con alcune casette vicine.
Le avevano ereditate le sorelle Savina e Maria Grazia Pilliu e il costruttore aveva bisogno di abbatterle.
Ma le sorelle non hanno mai ceduto alle intimidazioni di Cosa Nostra.
Una storia con molti protagonisti: da Paolo Borsellino, che raccolse le confidenze delle sorelle poco prima di morire, al presidente del Senato Renato Schifani, che da avvocato difese il costruttore Lo Sicco contro le Pilliu, fino al professor Pitruzzella, oggi capo dell’Antitrust su nomina di Schifani-Fini, che ha difeso il palazzo dopo il passaggio nelle mani dello Stato.
Stefano Caselli e Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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