Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
CAPITALI DA RECUPERARE: I TECNICI PUNTANO IL DITO CONTRO IL TESTO DELLA LEGGE
In Parlamento si guarda sempre più ai 182,5 miliardi rientrati con i tre scudi fiscali del 2001, 2003 e 2009-2010 per recuperare risorse al posto di tagli su altri capitoli della manovra, come l’adeguamento all’inflazione delle pensioni oltre i mille euro.
Fabio Granata, del Fli, vuole che l’aliquota sia innalzata al 5% dall’attuale 1,5% (considerata «ridicola» da Antonio Di Pietro), Enrico Letta (Pd) propone di portarla al «2,5% o al 3% con l’introduzione di una tassa sui capitali in Svizzera».
Anche dal fronte imprenditoriale, con il presidente di Rete imprese Italia, Ivan Malavasi, arriva l’invito ad alzare l’aliquota, e così i sindacati.
Anche la commissione Lavoro della Camera, nel parere favorevole al decreto legge sulla manovra, indica la strada di un ritocco.
Il gettito potenziale d’altronde è notevole: la relazione tecnica del governo stima 2,19 miliardi.
Se l’aliquota raddoppiasse al 3% il recupero potrebbe arrivare a 4,38 miliardi, e a 7,3 miliardi se portata al 5%.
La stima del governo peraltro considera «prudenzialmente una riduzione del gettito potenziale del 20% per tenere conto di soggetti nei cui confronti la disposizione potrebbe non trovare applicazione».
Insomma, qualche scudato potrebbe non essere chiamato a pagare l’imposta.
Come mai?
I tecnici puntano il dito contro il testo della legge: «Poteva essere scritto meglio ma in tre settimane capisco che non si possa fare una norma perfetta», commenta Fabrizio Vedana, direttore area legale di Unione Fiduciaria.
Le perplessità maggiori si concentrato su due aspetti: il requisito della «segretazione» per identificare i conti scudati da tassare, e il tema degli immobili all’estero emersi con lo scudo del 2001.
«La lettera della norma sembra escludere quei conti che hanno perso l’iniziale segretazione», aggiunge l’avvocato Alfredo Malguzzi, esperto di diritto tributario: ciò può accadere perchè il contribuente ha opposto lo scudo in una verifica fiscale o semplicemente perchè ha collegato quei soldi a un altro conto, o perchè li ha movimentati in qualche altro modo. Tuttavia il decreto legge in un altro articolo fa riferimento anche alle attività «in tutto o in parte prelevate» o «comunque dismesse», dunque per questa via anche i conti non più «segretati» potrebbero rientrare nell’imposta.
Toccherà all’Agenzia delle entrate fornire l’interpretazione autentica.
L’altro aspetto tecnico riguarda gli immobili regolarizzati nel 2001.
Per logica dovrebbero essere tassati, ma nel decreto si fa riferimento solo ad alcune parti della legge sul primo scudo, lasciando fuori l’articolo 16 relativo proprio agli immobili: «Credo sia una dimenticanza, sennò non si capisce l’esclusione», conclude Vedana.
Il diavolo, come sempre, sta nei dettagli.
Basterebbe – spiegano gli esperti – togliere le parole «ancora segretate» e cambiare un «art.15» con «art.16» per cancellare i dubbi sull’applicazione dell’imposta straordinaria. Solo questa mossa potrebbe valere, conti alla mano, 700 milioni di euro in più con l’attuale aliquota.
Pochi dubbi invece sul fatto che se lo scudante è deceduto debbano essere gli eredi a pagare, anche se per un patrimonio di dieci anni fa che potrebbe anche essere molto ridotto.
Ma qualcuno potrebbe cercare di resistere e non pagare? «Figuriamoci! Significherebbe dichiararsi al Fisco come evasore.
E davanti ai tribunali sarai sempre macchiato di quel peccato originale», commenta Malguzzi.
C’è poi il tema del recupero dei documenti più datati, quelli di dieci anni fa, che in qualche caso potrebbe essere complicato per l’intermediario.
Ma martedì sera il presidente del Consiglio, Mario Monti, si è detto sicuro sul recupero effettivo dell’imposta, da versare in due rate entro il 16 febbraio 2012 e 2013.
Per chi non paga la minaccia non è tanto la multa (pari il doppio della tassa), ma la segnalazione all’Agenzia delle entrate da parte dell’intermediario-sostituto d’imposta che non ha ricevuto il denaro.
La peggiore sanzione per chi aveva evaso.
Fabrizio Massaro
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Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
I TEMPI SARANNO DEFINITI CON UNA LEGGE…L’INCOGNITA DEL VIA LIBERA DEI PARTITI
Mario Monti ha imparato a proprie spese che cosa significhi toccare le Province.
Tutti, a destra come a sinistra, sentenziano che sono inutili. Tutti, a sinistra come a destra, dicono che bisogna abolirle.
Guai, però, soltanto a sfiorarle. Subito parte la sassaiola.
Che mai è stata così violenta: questa volta avevano capito che si stava facendo sul serio, anche per l’urgenza di mandare un segnale chiaro e inequivocabile a Francoforte. Ricordate la famosa lettera della Banca centrale europea firmata congiuntamente dal presidente uscente Jean-Claude Trichet e dal suo successore Mario Draghi, pubblicata lo scorso 29 settembre dal Corriere ?
Meno esplicito, il suggerimento che conteneva non poteva essere: «C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)».
E Monti l’ha preso talmente sul serio da aver trovato un grimaldello micidiale per assestare un colpo mortale a quegli enti, senza dover ricorrere a una faticosa modifica costituzionale.
Ha semplicemente svuotato le Province dei loro scarsi poteri, disponendo per decreto la conseguente abolizione delle giunte e la drastica riduzione dei consigli provinciali.
Difficile dire se avesse messo nel conto la pioggia di pietre che gli sono arrivate addosso da tutte le parti.
Destra e sinistra ancora una volta davvero in sintonia.
«Noi ce ne andiamo dall’Unione delle Province italiane», ha ringhiato il presidente della Provincia di Latina, Armando Cusani, pidiellino.
«Tagliamo tutto quello che dobbiamo tagliare, ma non a casaccio», ha messo le mani avanti il leader della sinistra Nichi Vendola.
Mentre dal segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, arrivava ai rivoltosi un messaggio di tangibile solidarietà : «Avete tutto il nostro sostegno. Vi appoggiamo perchè la vostra è una battaglia di democrazia».
Intanto il presidente della Conferenza delle Regioni, il democratico Vasco Errani, ammoniva: «Attenti. Ci possono essere costi più alti. Il personale, per esempio, dove va a finire?».
E il deputato del Pd Enrico Gasbarra, ex presidente della Provincia di Roma, tagliava corto: «Cancellare gli eletti dal popolo senza che abbiano terminato il loro mandato la trovo una scelta demagogica e grave».
Ma a Monti nemmeno il suo successore Nicola Zingaretti le mandava a dire: «Siamo quelli che di più si sono impegnati per ridurre o eliminare la spesa pubblica. Chi oggi guida le Province lo fa perchè è stato votato da milioni di italiani».
Senza contare poi altri aspetti non marginali del problema, come dimostra il caso della Provincia di Bologna, attualmente impegnata in un investimento di oltre 30 milioni per costruire una nuova sede. A quel punto assolutamente inutile.
Nel Pd, insomma, il malumore cresceva fino a prendere la forma di una protesta semiufficiale contro la decadenza automatica e per decreto delle giunte e dei consiglieri. Idem capitava nel Pdl, dove volavano anche parole grosse all’indirizzo della decisione di Monti. «Gettano fumo negli occhi e fanno demagogia», ha commentato il presidente della Provincia di Milano Guido Podestà , berlusconiano di ferro.
Nè ha usato particolari diplomazie il presidente dell’Unione Province, Giuseppe Castiglione, pidiellino e presidente della Provincia di Catania: il quale ha minacciato il ricorso alla Corte costituzionale, anche dopo la notizia che il governo ci aveva ripensato.
All’articolo 23 della versione definitiva del decreto «salva Italia» è infatti spuntato a sorpresa un comma con il quale si stabilisce che sarà una «legge dello Stato» a dire entro quale termine gli organi delle Province decadranno.
Se sia stato il Quirinale a imporre questa modifica, preoccupato per le possibili proteste alla Consulta, oppure se sia il risultato delle pressioni inaudite che si sono scatenate, lo sapremo presto.
Vero è che difficilmente, se fosse scoppiato un contenzioso davanti alla Corte costituzionale, la Corte suprema avrebbe potuto dare man forte al governo bocciando i ricorsi di consiglieri eletti per cinque anni e dimissionati per decreto.
La conseguenza è che nel frattempo in 4.520 hanno tirato un bel respiro di sollievo.
Tanti sono consiglieri e assessori che potenzialmente avrebbero rischiato di perdere la poltrona, come diceva la versione di partenza della norma, il 30 novembre 2012.
E che adesso, invece, potranno sperare di arrivare almeno fino alla fine del loro mandato. Il che non è un dettaglio.
La maggior parte delle giunte provinciali in carica ha ancora tre anni e mezzo di vita.
Per allora potrà succedere di tutto.
Questo è il vero rischio: il governo di Mario Monti non durerà oltre la primavera del 2013.
E possiamo già scommettere che assisteremo a una estenuante melina per non far vedere la luce a quella legge prima di allora.
L’importante è che questo imprevisto, che però non era nemmeno troppo complicato prevedere, non diventi la pietra tombale dell’operazione compromettendo la vera sostanza del provvedimento, cioè il trasferimento delle competenze provinciali a Comuni e Regioni entro il prossimo 30 aprile.
Saranno quelli, e non i tagli delle poltrone (che la relazione tecnica alla manovra cifra in 65 milioni di euro), a dare i risparmi in prospettiva più consistenti.
Meno passaggi intermedi, meno burocrazia, meno veti da dover rimuovere ogni volta che c’è da prendere una decisione.
Vi pare poco?
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
UN DEPUTATO-TALPA AVEVA REGISTRATO LE CONVERSAZIONI A MONTECITORIO E I DIALOGHI ERANO ANDATI IN ONDA SU LA7
In Parlamento è partita la caccia al traditore. E lo scoop si è auto-rivelato.
«La voce del parlamentare nel filmato che è andato in onda durante la trasmissione Gli Intoccabili su La7 è la mia».
Maurizio Grassano, deputato, compagno di partito di Scilipoti in Popolo e Territorio, alla Zanzara su Radio 24 ha svelato chi si nascondeva dietro la voce falsata e il volto oscurato nel video video andato in onda mercoledì nella trasmissione su La7 di Gianluigi Nuzzi.
«Sono l’unico che qui di benefit non ne ha. Pensione non ce l’ho, non c’ho un cazzo… Sono l’unico vero precario», diceva uno dei due deputati “intercettati” dalla micro-telecamera del deputato-talpa a Montecitorio.
«Meno di un anno e ti entra il vitalizio», diceva l’altra “voce”.
«Tu che cazzo te ne fotte, dico io? Tanto questi sono tutti malviventi. A te non ti pensa nessuno. Te lo dico io, caro amico. Che questi, se ti possono inculare ti inculano senza vaselina nemmeno».
Ora Grassano svela: «Mi ricordo la conversazione che è avvenuta in parlamento», dice. «L’ho avuta con un parlamentare che anche lui ha chiesto di poter essere ricandidato ma non posso dire chi è».
Ma al deputato di Popolo e Territorio l’intercettazione non va giù.
«In ogni caso sto pensando ad azioni legali, porterò tutto alla Procura della Repubblica perchè non si può filmare all’interno del Parlamento».
E sulle sua condanna a 4 anni per truffa aggiunge a Radio 24: «Da oggi in poi chiamatemi Grassano 4 anni, così evitiamo ogni volta di ricordarmelo».
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Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
A MILANO IL PDL IN TRINCEA CONTRO L’IPOTESI CHE SIA NOMINATO PRESIDENTE DI UNA COMMISSIONE CONTRO LE INFILTRAZIONI MAFIOSE UN CONSIGLIERE CHE HA DENUNCIATO I RAPPORTI DI UN ESPONENTE PDL CON L’ARRESTATO GIULIO LAMPADA E IL CLAN VALLE
A Milano l’antimafia ha un grosso problema: David Gentili.
È il consigliere comunale del Pd che più si è dato da fare, già sotto il sindaco Letizia Moratti, affinchè fosse varata una commissione consiliare sulle infiltrazioni mafiose in città .
Ora che il vento è cambiato e che il sindaco Giuliano Pisapia ha dato il via libera all’iniziativa, è il candidato naturale a presiederla.
Ha però ricevuto lo stop dell’opposizione Pdl, che ha bloccato tutto.
La maggioranza di centrosinistra vorrebbe fare la commissione coinvolgendo anche l’opposizione, ma il Pdl dice no: con Gentili non si può.
I più duri in proposito sono stati i consiglieri Giulio Gallera e Carlo Masseroli, seppur in buona e affollata compagnia.
Gentili è “poco equilibrato”. È “giustizialista”. E trasformerebbe la commissione Antimafia in un “tribunale del popolo”.
Ma che cosa ha mai combinato David Gentili per diventare l’ostacolo insormontabile al varo dell’organismo anti-cosche a Milano?
È risultato in contatto con qualche mafioso? Ha partecipato a cene con i boss? Ha fatto affari con gli uomini della ‘ndrangheta? No.
Ha fatto in Consiglio comunale un nome che non doveva fare: quello di Armando Vagliati, che siede con lui in Consiglio, nei banchi del Pdl, ed è più volte citato nelle inchieste antimafia per i suoi rapporti con Giulio Lampada, arrestato il 29 novembre con l’accusa di essere il “braccio politico” del clan Valle della ‘ndrangheta (per chi voglia saperne di più, rimando al libro di Chiarelettere “Le mani sulla città ”). Di Vagliati, Lampada (intercettato) parlava così: “Siamo accreditati, c’è la fiducia, capisci cosa voglio dire. Perchè lui sa che sputazza non ne ho fatto mai e si butta a capofitto. Dice: vuoi questo, facciamo quello che cazzo ti interessa”.
Chiaro? Vagliati conosce bene i Lampada, sa che “sputazza” non ne fanno.
Lui “si butta a capofitto”.
E, secondo gli investigatori, “era pienamente a conoscenza della loro appartenenza al gruppo criminale”.
È anche il firmatario di uno strano emendamento al Pgt di Milano, il Piano di governo del territorio, che ha proposto di rendere edificabile un’area in zona Ripamonti a cui era interessato proprio Giulio Lampada.
Scrivono i carabinieri: “L’attività investigativa permetteva di accertare che Armando Vagliati costituiva l’elemento di riferimento dei Lampada con il Comune di Milano, per la risoluzione delle diverse problematiche di ordine amministrativo che potevano interessare questi ultimi”.
A confermarlo è lo stesso Lampada: “Mi ha fatto capire Armando al telefono che il problema si può risolvere con quelli del Comune. Vedi, non me lo ha detto chiaro, mi ha detto poi ci vediamo, più tardi ne parliamo”.
E gli investigatori annotano: “È importante sottolineare come Vagliati abbia preferito non parlare al telefono, attestando, in tal modo, l’illiceità dell’operazione”. Attenzione: saranno i processi a scrivere le parole definitive su questa vicenda.
Allo stato attuale, a Vagliati non è addebitato alcun fatto di rilevanza penale. Non risulta neppure indagato. Ma lui, per errore o distrazione, era in contatto con Lampada. Eppure il problema dell’Antimafia, a Milano, si chiama David Gentili.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
MENTRE LA STANGATA COSTERA’ 2.000 EURO A FAMIGLIA, LA CASTA SI TIENE I PRIVILEGI
Il dettaglio è nella Nota illustrativa del bilancio di previsione per il 2011 dell’Amministrazione della Presidenza della Repubblica, il documento che, per opera dell’attuale presidente in carica, rende un po’ più trasparente il bilancio del Quirinale. È qui che al paragrafo sull’andamento della spesa è scritto: “Per cercare di contenere la dinamica della spesa del comparto pensionistico, è stata di recente modificata in modo incisivo la normativa dei pensionamenti anticipati di anzianità , fissando a regime il limite di 60 anni di età e 35 anni di anzianità utile al pensionamento e introducendo misure dissuasive con la previsione di significative riduzioni di trattamenti pensionistici”.
La nota ci informa di due cose.
La prima, poco conosciuta ma sancita dalla legge, è che gli organi costituzionali (Presidenza della Repubblica, governo, Camera, Senato e Corte costituzionale) conservano una propria autonomia organizzativa e di bilancio.
La seconda è che, al Quirinale, dopo una modifica “incisiva” della normativa intervenuta nei mesi passati, si può andare in pensione al compimento dei 60 anni e con 35 anni di anzianità .
E che ciò si potrà fare, nonostante la manovra del governo che impone da subito il passaggio al sistema contributivo “per tutti” e che allunga i tempi per la pensione di anzianità oltre i 40 anni di contribuzione.
Il carico delle pensioni non è negato nella nota al bilancio.
Pesa anzi enormemente sul conto del Colle ed è in continua ascesa: 92,3 milioni di euro per il 2011, contro gli 88,5 del 2010.
Una cifra che copre il 37,8% del bilancio per il 2011, a fronte di una contribuzione previdenziale degli attuali dipendenti vicina agli 8 milioni di euro annui.
Nonostante le rigide regole che valgono fuori dai Palazzi, all’interno tutto è regolato da direttive interne che lavorano su tempi diversi.
Va dato atto al Colle di essersi fatto carico di inserire nel proprio ordinamento interno i due decreti economici sui tagli al pubblico impiego (il 78 del 2010 e il 98 del 2011), circostanza che è stata tradotta con una “riduzione del 5% e del 10% delle retribuzioni e delle pensioni per la parte eccedente i 90 mila e i 150 mila euro” (che ha prodotto un risparmio di circa mezzo milione di euro l’anno), il blocco delle progressioni automatiche delle retribuzioni e delle pensioni al tasso dell’inflazione programmata e il blocco delle progressioni automatiche di anzianità per le pensioni più elevate (qui il risparmio è stato più consistente, poco più di 2,7 milioni di euro l’anno).
Sulla disciplina dei pensionamenti “anticipati” adottata, il dato del risparmio conseguito è ancora da calcolare.
Così come il Quirinale, anche Camera e Senato dispongono di un proprio bilancio interno che copre non solo deputati e senatori ma l’intero apparato statale che lì è assunto.
Sulla vicenda che riguarda i primi, si sta cercando una convergenza sul tema dei vitalizi.
Sul tema dei dipendenti, però, le leggi non ancora aggiornate ci dicono che al Senato “con le nuove e più restrittive disposizioni”, “fermo restando il collocamento a riposo d’ufficio per uomini e donne a 65 anni di età ”, si può andare in pensione al compimento dei 60 anni se in possesso dei requisiti richiesti (20 anni di servizio effettivo e 35 anni di contributi), “conservando la facoltà di un’anticipazione” a 57 anni “ma con l’applicazione di forti penalizzazioni”.
L’aliquota contributiva a carico dei dipendenti a decorrere dal primo gennaio 2011 è addirittura scesa: è passata dal 9,7 all’8,8.
Certo è da dire che sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, così come già detto per il Colle, sono stati applicati i parametri dei decreti di luglio.
Sul fronte pensioni anche nel bilancio della Camera si prevede un “inasprimento dei requisiti per il pensionamento di anzianità ”, ma la nota la bilancio 2011 non chiarisce quali siano.
Anche per i bilanci di Camera e Senato, d’altronde, il peso delle pensioni è considerevole. I trattamenti previdenziali pesano ogni anno su quello del Senato per 182 milioni e su quello della Camera per 209.
Sul tema pensionistico, infine, la Corte costituzionale si adegua, per i propri giudici, al corso della previdenza in magistratura.
Il regolamento interno deliberò che i membri della Corte venissero pensionati con un’auto blu di rappresentanza.
La Cgia di Mestre ha fatto i conti in tasca agli italiani per la manovra prossima ventura: costerà 830 euro l’anno netti a famiglia, quasi 2000 se si aggiungono a quella le precedenti manovre estive di Berlusconi.
La mancata rivalutazione della pensione costerà di media 280 euro l’anno, con picchi di 311 euro in meno nel Lazio. Cioè, non proprio in tutto il Lazio.
In alcuni palazzi di Roma la tempesta verrà affrontata, probabilmente, con maggior tatto.
Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
SE NON APPORTA MODIFICHE AL DECRETO SALVA-PRIVILEGIATI, MONTI RISCHIA DI APPARIRE COME IL CAPO DI UN GOVERNO DEL “BERLUSCONISMO DAL VOLTO EDUCATO”
Se il decreto “salva Italia” resta quello che è (un decreto “salva privilegiati”) il governo dei tecnici rischia grosso, addirittura di fallire già nella culla.
A Monti la sorte (e Napolitano) ha offerto una opportunità straordinaria, quella di potere decidere in assoluta libertà e secondo coscienza i contenuti della manovra: i due partiti maggiori, Pd e Pdl, la fiducia l’avrebbero votata comunque, magari “obtortissimo collo”, per non andare a elezioni immediate col marchio di affossatori dei titoli pubblici (che sarebbero precipitati con “effetto Argentina”).
Dal professore della Bocconi non si pretendeva neppure la tanto sbandierata (e nei fatti svillaneggiata) “equità ”, ma molto meno: un colpo al cerchio e uno alla botte.
Purchè eguali per intensità , energia e “cattiveria”.
Il colpo alla botte, al “terzo Stato”, è arrivato: tutto e subito.
Con aspetti addirittura odiosi: l’adeguamento delle pensioni già ora copre solo il 70% dell’aumento del costo della vita, il che significa l’impoverimento anno per anno.
Bloccarlo per due anni significa rivoltare il coltello nella piaga di chi è alle soglie della povertà , e ogni lacrima in proposito — per quanto sincera — è lacrima di coccodrillo.
Il colpo al cerchio dei privilegiati invece non si è visto affatto.
Bastava aumentare le aliquote Irpef per i redditi alti (sopra i 75 mila euro all’anno, e aliquote progressivamente incrementate per chi ne guadagna 200, 500…), prelevare una “una tantum” sulle pensioni più ricche (alcune fino all’indecenza) e sulle “buonuscite” milionarie (Guarguaglini docet).
E soprattutto sui capitali “scudati”: la tassa dell’1,5% dimostra che un prelievo non è affatto incostituzionale (mai lo avrebbero proposto i Tecnici e firmato il Custode della Costituzione), e visto che gli antipatrioti dei capitali all’estero avevano pagato il 5% anzichè il 30% preteso dai governi moderati e di destra di Cameron e Merkel c’era un margine del 25% in cui pescare senza fare torto alcuno ai suddetti fedifraghi fiscali.
Il governo può ancora correggersi, dappoichè “errare humanum, perseverare diabolicum”.
E dovrà comunque decidere della propria “natura” sulla questione delle frequenze tv digitali (che al valore di mercato porterebbero in cassa 4 o 5 miliardi: esattamente la grassazione compiuta contro i pensionati).
Se saranno regalate a Berlusconi sarà inevitabile che il governo Monti finisca per apparire come un mero “berlusconismo dal volto educato”.
Consegnandosi ai desiderata del Caimano, il governo rischia di cadere non appena al Caimano farà comodo.
Paolo Flores d’Arcais
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
COMPLICITA’ NELLE BANCHE E BUSINESS MILIARDARI: IL LEADER DEI CASALESI E’ UNA STORIA SIMBOLO PER IL GOVERNO…ROBERTO SAVIANO: “NON BASTA REPRIMERE OCCORRE COLPIRE I TESORI DELLE ORGANIZZAZIONE”
La storia che racconto è stata scritta dalla procura antimafia.
Dai pubblici ministeri Federico Cafiero De Raho, Antonello Ardituro, Catello Maresca, Raffaello Falcone, Franco Roberti e Raffaele Cantone.
Dalla polizia, dai carabinieri, dalla Guardia di finanza.
E soprattutto è una storia che riguarda non la mia sfortunata terra, non semplicemente Casal di Principe, il comune più sciolto nella storia d’Italia, ma riguarda l’intero paese e l’economia di questo paese.
Michele Zagaria era un imprenditore, è un imprenditore.
È un imprenditore camorrista, non un camorrista imprenditore.
Sembra uno scioglilingua, ma non lo è.
Non è un camorrista che ha fatto soldi e quindi si è messo a fare impresa con denaro sporco. Al contrario è un casalese e precisamente di Casapesenna – un piccolo paese vicino a Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa, i tre paesi dell’Agro Aversano con i maggiori problemi – partito come costruttore, come imprenditore, e ha sempre continuato a comportarsi da imprenditore.
Michele Zagaria è stato una pedina fondamentale, ad esempio, nella storia della Parmalat. Quando la Parmalat decide di fornire dati sulle vendite in grado di poter giustificare quotazioni elevate in borsa, ha bisogno di vendite sicure, e queste vendite gliele garantisce Michele Zagaria.
Come? Semplice: decidono di pagare un estorsione settimanale al boss che in cambio impone a tutti i supermercati, a tutti i dettaglianti, a tutto il mondo distributivo e commerciale di acquistare latte Parmalat.
E lo fa attraverso una strategia semplice, da imprenditore, non solo con le pistole puntate.
Va dai grandi distributori di latte e gli propone di distribuire i prodotti Parmalat a una percentuale di sconto elevata.
Accade, naturalmente, che tutti siano soddisfatti perchè il garante di questo sconto si fa Michele Zagaria con Pamalat stesso.
Cioè lui decide di imporre ovunque Parmalat a un dato prezzo che deve necessariamente andare bene anche alla Parmalat.
A questo punto tutti i concorrenti di Parmalat non riescono a reggere quelle percentuali di sconto, e quando uno solo ci riesce, Foreste Molisane, gli uomini di Zafaria gli bruciano i camion per il trasporto.
Michele Zagaria è stato imperatore del cemento in Emilia Romagna; sono note le società riconducibili a suo fratello Pasquale Zagaria, detto Bin Laden.
E quelle imprese avevano nomi altisonanti (Ducato, Stendhal Costruzioni) e costruirono addirittura un edificio nell’ex area Mondadori, nel cuore di Milano, in via Santa Lucia 3.
Michele Zagaria è un uomo che mette le mani nei più importanti centri commerciali d’Italia.
Al centro commerciale Campania, un colosso dello shopping alle porte di Napoli, lui applica una doppia strategia.
Da un lato chiede la singola estorsione alle imprese che non fanno parte del suo cartello; dall’altro partecipa con le sue aziende alla vittoria dell’appalto e chiede quindi dei negozi da poter gestire. Quindi estorsione e costruzione.
Ho raccontato questa breve storia perchè desidero chiedere a questo governo di avere uno sguardo diverso sui tesori delle mafie. Il precedente ha attuato unicamente una strategia di repressione, ma ora la logica deve necessariamente cambiare. Il nuovo esecutivo può fare molto.
L’inchiesta svelata due giorni fa e che coinvolge anche l’onorevole Cosentino, spiega nel dettaglio come funziona il sistema finanziario che il clan dei casalesi utilizza per garantirsi i crediti.
Accade che un’impresa, in questo caso la “Vian srl” del boss Nicola Di Caterino, impegnata nella costruzione del centro commerciale fantasma “Il Principe” a Casal di Principe, non abbia i requisiti per ottenere un finanziamento dall’Unicredit, eppure il responsabile della gestione crediti per il Sud Italia, Alfredo Protino, e il direttore della filiale Unicredit di Roma Tiburtina, Cristofaro Zara, decidono di accordarlo ugualmente.
Questo è un modo per riciclare denaro, perchè Di Caterino, che avrebbe dovuto costruire un importante centro commerciale con soldi sporchi, avrebbe giustificato quel denaro come proveniente da Unicredit.
Sono decenni che le banche collaborano al riciclaggio del denaro sporco delle mafie.
Le banche, non tutte per fortuna, e spesso attraverso dirigenti infedeli, finanziano le imprese legate alle mafie.
Chiedo a questo governo di mostrarsi risoluto nell’aggredire i patrimoni criminali che costituiscono miliardi di euro accumulati illegalmente.
Chiedo a questo governo di esortare le banche che hanno avuto dirigenti infedeli di poter riparare non soltanto collaborando con l’antimafia, ma investendo al Sud e dando credito all’imprenditoria sana, la stessa che è stata spesso accantonata preferendo sostenere le imprese protette dai capitali mafiosi.
C’è molto da fare, moltissimo, e non bisogna credere che siano altre le priorità , perchè l’enorme tesoro saccheggiato dai clan può tornare alla società civile.
Deve.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
LA STORIA DELLE FREQUENZE GRATUITE TV: UN FAVORE A MEDIASET O UNA LEGITTIMA OPERAZIONE?
Mettiamo a confronto le osservazioni di Gina Nieri, consigliere di amministrazione Mediaset, e quella di chi vede nella normativa un regalo gratuito concesso a Mediaset e Rai
Mediaset
In tutta Europa e negli Stati Uniti il processo di digitalizzazione delle
frequenze televisive si è verificato tramite l’assegnazione di nuove frequenze gratuite agli operatori già esistenti e agli interessati che rispondevano ai requisiti di legge.
Replica
È vero che a seguito della digitalizzazione in Europa e Usa le frequenze tv sono state assegnate gratis alle tv che già operavano sull’analogico. Il problema è il quantum. Mediaset, come Rai, ha avuto in cambio di tre reti ben 4 mux che corrispondono a più di venti canali, una dozzina se si trasmette in alta definizione. Ciononostante ora Mediaset vuole un altro mux, cioè altri sette canali, gratis.
Mediaset
In pari tempo in tutta Europa le frequenze destinate alle tlc, ci ricordiamo quelle per Umts, sono invece state assegnate in gara. Come deciso recentemente dalla Commissione europea, parte delle frequenze già televisive, precisamente la banda 800 mhz, è stata posta in alcuni Paesi, o sarà posta negli altri, a gara economica, tramite aste riservate agli operatori di telefonia mobile. Su questo secondo versante l’Italia è già a posto. Nel settembre scorso il ministro Romani ha infatti indetto l’asta per gli operatori mobili che, partendo da una base di 2,4 miliardi di euro, ne ha fatti incassare oltre quattro.
Replica
È vero, come dice Nieri, che all’estero le società di telefonia hanno pagato per l’assegnazione delle frequenze liberate a seguito del passaggio della tv sul digitale.
Ma anche qui è un problema di quantum.
Le frequenze cedute all’asta a Wind, Tim e Vodafone con incassi miliardari per lo Stato rappresentano solo una parte dello spettro liberato dallo switch-off. Il governo ha riservato le altre frequenze alle tv e ha previsto di assegnarle gratuitamente.
Il bando, secondo gli esperti del settore, avvantaggia Rai e Mediaset, che già avevano ottenuto quattro mux gratis. È questa l’anomalia italiana.
Nulla vieterebbe all’Italia di mettere all’asta anche queste residue frequenze permettendo ai colossi telefonici (come la 3) o a quelli televisivi (come Sky) di aggiudicarsele a caro prezzo. E nulla vieterebbe di riservare invece alcune frequenze all’assegnazione gratuita o all’affitto a canone basso per realizzare una vera apertura del mercato, agevolando davvero i soggetti nuovi, come chiede l’Europa;
Mediaset
Quanto al beauty contest, questa modalità “equa, trasparente e non discriminatoria” ha soddisfatto le prescrizioni Ue in tema di assegnazione delle frequenze televisive. È un processo che si basa su due delibere dell’Agcom, di cui una addirittura legificata, che hanno dettato le regole per l’assegnazione delle frequenze, sul bando e sul disciplinare approvati dal ministero dello Sviluppo economico. L’intero iter del beauty contest è stato condiviso e approvato dalla Commissione europea.
Replica
È vero che il processo del beauty-contest si basa su due delibere dell’Agcom, ma parliamo di un’Autorità screditata (remember Trani?) e a maggioranza berlusconiana. Non è vero che l’Unione europea ha approvato il beauty contest. Ha solo sospeso la procedura di infrazione e sta alla finestra, ma potrebbe intervenire ancora di fronte a questo pasticcio tutto italiano;
Mediaset
Da noi si parla di regalo, anzi di “scandaloso regalo” ovviamente a Mediaset. Dove sta il regalo? Dove lo scandalo? Nella partecipazione consentita anche agli operatori già esistenti come Rai, Mediaset o La7?
No, perchè tali operatori avevano già perduto una frequenza proprio a favore di un dividendo da riassegnare con il beauty contest.
Forse lo scandalo sta nell’assegnazione gratuita anzichè attraverso un’asta competitiva? No di certo: se l’Italia avesse scelto questa seconda modalità , avrebbe discriminato illegittimamente le tv italiane rispetto a quelle degli altri paesi dello stesso mercato europeo.
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Lo scandalo sta nel fatto che un mux che copre il 95 per cento del territorio vale sul mercato circa 200 milioni di euro.
In questo momento di sacrifici il governo sta regalando questo valore al gruppo Berlusconi. Il bando è stato scritto dal ministero diretto da Paolo Romani, un ex dipendente di Berlusconi, in modo da privilegiare l’assegnazione delle frequenze migliori agli operatori più forti, come Mediaset.
Le frequenze saranno assegnate gratis ai protagonisti dell’oligopolio televisivo che così si perpetuerà .
Per implementare la copertura nazionale del nuovo mux assegnato gratis dal governo Monti al gruppo Berlusconi (che già possiede le torri) basteranno una ventina di milioni di euro.
Tra cinque anni quel mux potrà essere venduto a 200 milioni di euro. Non solo: da subito, potrà essere affittato.
A quanto? Il tetto del canone “equo”, fissato dalla stessa Agcom a maggioranza berlusconiana che vuole regalare il mux a Mediaset si aggira sui 2 milioni di euro a megabyte, all’anno.
Ebbene, basta far di conto, come dice Nieri per capire dove sta lo scandaloso regalo: un mux trasmette circa 20 megabyte.
Il suo affitto quindi costa a un nuovo operatore che voglia entrare nel mercato italiano ben 40 milioni di euro. La tv Dahlia pagava 20 milioni di affitto all’anno a Telecom e, proprio per questo onere insostenibile, ha dovuto chiudere;
Mediaset
Non è vero quindi che per trasformare le frequenze in ricavi reali servono investimenti ingentissimi. Non bisogna confondere la produzione di contenuti con l’attività di trasmissione. Nieri dà per scontato che i due ruoli, come accade in Italia, debbano essere svolti dallo stesso operatore. Non è così all’estero. E non è così sempre nemmeno da noi. Si è visto che Telecom trasmetteva a pagamento i contenuti di Dahlia e lo stesso fa il gruppo Repubblica con Sky e persino con Mediaset.
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Non è vero quindi che per trasformare le frequenze in ricavi reali servono investimenti ingentissimi. Non bisogna confondere la produzione di contenuti con l’attività di trasmissione. Nieri dà per scontato che i due ruoli, come accade in Italia, debbano essere svolti dallo stesso operatore. Non è così all’estero. E non è così sempre nemmeno da noi. Si è visto che Telecom trasmetteva a pagamento i contenuti di Dahlia e lo stesso fa il gruppo Repubblica con Sky e persino con Mediaset.
Mediaset
Esiste poi una differenza sostanziale di valore e di redditività tra frequenze utilizzate per la tv e frequenze utilizzate dagli operatori tlc. Lo dimostra lo stesso andamento delle due procedure: all’asta tlc le frequenze sono state oggetto di rilanci e tutti gli operatori, già in possesso di altre frequenze, sono stati disposti a grandi esborsi di danaro per assicurarsi un diritto d’uso che di per sè porterà immediatamente ricavi miliardari agli assegnatari; al beauty contest gratuito per le frequenze tv hanno aderito solo operatori già presenti nel business televisivo. E sa perchè? Perchè per trasformare quelle frequenze in ricavi reali servono investimenti ingentissimi, sia per costruire le reti sia per creare contenuti di qualità , visto che con il digitale la concorrenza di oltre 50 canali impone offerte editoriali ricche, sfidanti e molto costose.
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Non è vero quindi che per trasformare le frequenze in ricavi reali servono investimenti ingentissimi. Non bisogna confondere la produzione di contenuti con l’attività di trasmissione. Nieri dà per scontato che i due ruoli, come accade in Italia, debbano essere svolti dallo stesso operatore. Non è così all’estero. E non è così sempre nemmeno da noi. Si è visto che Telecom trasmetteva a pagamento i contenuti di Dahlia e lo stesso fa il gruppo Repubblica con Sky e persino con Mediaset.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 9th, 2011 Riccardo Fucile
AL CONGRESSO DEL PPE TANTI EX MINISTRI DEL PDL A DISAGIO, SENZA PIU’ CARICHE ISTITUZIONALE E PRIVILEGI DI CASTA
«Come ci siamo ridotti! Ma cos’è, un aereo a pedali ».
Il modesto pulmino dell’aeroporto non fa in tempo a lasciare la delegazione di ex ministri, capigruppo, deputati, europarlamentari Pdl ai piedi del vetusto Atr42 bieliche dell’Air Corsica che Andrea Ronchi sbotta e dà voce al più nero sconforto dei partenti.
Niente scorte, zero cortei di autoblu ad accompagnare gli Alfano, Gelmini, Pestigiacomo e Gasparri e Urso e tanti altri fin sotto la scaletta dell’aeromobile.
Fino a 25 giorni fa ad attendere il fior fiore della dirigenza berlusconiana in partenza per Marsiglia ci sarebbe stato l’Airbus di Stato, non fosse altro per i ministri in missione.
Proprio quel bell’airbus che il premier Monti due settimane fa ha rifiutato perchè troppo grande e dispendioso per spostarsi a Bruxelles.
Adesso quell’aeroplanino di linea da 34 posti, per di più a eliche e vistosamente con migliaia di ore sulla carlinga, beh, ai “popolari” freschi di addio al governo è apparso il contrappasso più atroce.
Ai piedi del velivolo, uno stuolo di trolley in pelle di Vuitton e Gucci.
«Come? Non possiamo portarli a bordo? Ma sono bagagli a mano» chiede alla hostess dell’Air Corsica l’ex ministra Stefania Prestigiacomo, occhialoni neri e impermeabile chiaro. «Spiace signora, ma a bordo non c’è cappelliera, li ritroverete in pista » rassicura.
«Speriamo bene» sibila la deputata siciliana.
La Gelmini si è seduta al suo posto lato corridoio 13C, non c’è business class, sull’Air Corsica, ma deve subito alzarsi e far posto al passeggero che deve sedere al suo fianco. Tornata normalissima passeggera anche lei. Quasi.
Perchè dimentica acceso il Blackberry che le trilla in pieno decollo, nell’imbarazzo dei vicini. Nei voli di Stato d’altronde il divieto non era così perentorio.
C’è Gasparri, ma non gli altri ex An. Angelino Alfano è l’unico veramente di buon umore a bordo, d’altronde è il suo «battesimo» che si va a festeggiare.
Mandato in parte storto dal protocollo.
Avrebbe dovuto parlare alle 18,24 all’auditorium del Parc Chanot, chiuderà i lavori ma due ore dopo, per quattro minuti, alle 20,30, in un’aula semivuota.
(da “La Repubblica”)
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