Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
NEL VENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI CAPACI, STUDENTI DI OGNI ETA’ IN VIAGGIO PER PALERMO… A BORDO ANCHE ALCUNE COMPAGNE DI MELISSA
“In.. Capaci di dimenticare”. “La mafia uccide. Il silenzio pure”. 
Decine di scritte come queste colorano i cartelli dei 2600 studenti a bordo delle due Navi della Legalità che da Civitavecchia e da Napoli raggiungeranno Palermo, dove domani si svolgeranno le manifestazioni per ricordare il ventesimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio .
Un “viaggio della Legalità ” organizzato dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone e dal ministero dell’Istruzione per dire “no a tutte le mafie”.
I ragazzi indossano magliette bianche con stampata una frase di Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.
Prima della partenza, sulle facciate della navi, sono state srotolate le gigantografie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
A bordo, ragazzi di tutte le età , dalle elementari alle superiori, arrivati da 250 scuole di tutta Italia.
Nessuno di loro era nato, 20 anni fa, quando Falcone e Borsellino vennero assassinati. Ma – dicono gli organizzatori – sulle loro gambe continueranno a vivere quelle idee di cui parlava Falcone. Idee che neanche la mafia può uccidere.
Perchè l’obiettivo di questo viaggio è proprio questo: tramandare di generazione in generazione la cultura della legalità e l’impegno a contrastare tutte le mafie.
Con i ragazzi viaggeranno anche il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, il procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso e il fondatore di Libera Don Luigi Ciotti.
Piero Grasso farà il viaggio con il nipotino Riccardo. “Non abbiate paura – ha detto agli studenti – tutti insieme dobbiamo vincere quella paura che volevano metterci”.
Chi era Giovanni Falcone? Lo chiediamo ai bambini che stanno per imbarcarsi sulla nave della Legalità in partenza da Civitavecchia.
“Una persona che non dobbiamo dimenticare” – risponde Serena, 9 anni – Siamo qui per non scordarlo mai”.
“Falcone ci ha insegnato che la mafia va combattuta – aggiunge Pietro, 10 anni – e questo è il nostro modo per lottare”.
Prima di salpare è stato osservato un minuto di silenzio per Melissa, la studentessa uccisa nell’attentato di Brindisi.
A bordo ci sono anche alcuni suoi compagne di classe: “Ora non lasciateci soli – dicono Aurora e Chiara – vogliamo ricordarla. Dobbiamo parlarne ogni giorno. E vogliamo risposte”.
Con loro hanno portato uno striscione: “Melissa è con noi”.
Valeria Teodonio
(da “La Repubblica“)
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Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
IL PD AL 26,7% IN PRIMA POSIZIONE… CRESCONO ANCHE VERDI E FDS, IN CALO UDC, SEL, LEGA, FLI E LA DESTRA… I CINQUESTELLE VOTATI PER LA DELUSIONE VERSO I PARTITI TRADIZIONALI
Il sondaggio curato da Ipsos e reso noto da Ballaro’ riserva parecchie sorprese, ecco i risultati:
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Si tratta di dati su cui i partiti tradizionali non potranno non riflettere., soprattutto in vista delle elezioni politiche in programma tra non più di otto mesi.
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Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
DOPO LA BATOSTA DELLE AMMINISTRATIVE, SILVIO VUOLE RIPRENDERE LE REDINI DEL CENTRODESTRA…ANNULLATO IL VERTICE DI IERI PER EVITARE L’INCONTRO CON I COLONNELLI… ALFANO COMMISSARIATO
“Il Pdl è finito. Il Pdl non è più il mio partito”. Palazzo Grazioli non è più il cuore del centrodestra italiano. In un giorno si è trasformato in un bunker. Nel quale Silvio Berlusconi si è rinchiuso. Paralizzato non tanto dalla sconfitta elettorale, quanto dalla consapevolezza che il suo progetto politico sta effettivamente evaporando.
L’ex premier ammette che la sua creatura ha ormai concluso un ciclo vitale. “Basta con questa struttura senza senso, con questi coordinamenti, con questi congressi. Dobbiamo imparare da Grillo”.
E inventare un nuovo contenitore. “Solo io posso guidarlo”. Una sorta di mossa del cavallo per provare a invertire il trend che contempla anche la necessità di mettere sul tavolo l’ultima carta spendibile: un’intesa sulla riforma elettorale con il Pd per il doppio turno.
Nella speranza di sparigliare e aprire un cantiere. “Cambiamo gioco e vediamo che succede”.
Nell’ultima trincea berlusconiana, però, solo pochissimi riescono ad avvicinarsi. Gianni Letta, Fedele Confalonieri, Paolo Bonaiuti.
Gli altri restano lontani. Il Cavaliere si sente solo, accerchiato. Soprattutto non in sintonia con il suo partito e con una debacle senza precedenti.
Ha voluto deliberatamente sconvocare il vertice fissato ieri per evitare l’incontro con i “colonnelli” del suo “ex partito”. Il timore che lo scontro potesse degenerare in una guerra totale termonucleare ha preso il sopravvento.
Del resto, il Popolo delle libertà non solo è stato sospinto verso il baratro dell’estinzione dall’ultima tornata amministrativa, ma è diventato una polveriera con la miccia già innescata.
La battaglia interna è ormai il più classico “tutti contro tutti”. “Il problema – si sfoga l’ex ministro Andrea Ronchi – è che nessuno sa più cosa succede. Non c’è una rotta. Tutti pensano che un’era sia finita”.
E già , l'”era berlusconiana”. La sua conclusione sta provocando non solo l’inabissamento di questo centrodestra, ma sta costringendo i suoi adepti a lottare per la sopravvivenza e a immaginare un percorso per salvarsi.
Anche a scapito dei “colleghi” di partito.
Gli ex An di La Russa e Matteoli contro le colombe di Frattini e Gelmini. Verdini e Alfano contro la Santanchè.
Gli uomini del nord come Formigoni contro quelli del sud come Fitto.
A livello locale è ancora peggio. Il terreno frana nelle regioni settentrionali e il gruppo dirigente intermedio parte alla rincorsa di Casini e di Grillo.
In quelle meridionali la confusione è anche maggiore. Con i big locali sprovvisti di qualsiasi sponda, anche ipotetica.
Una babele di voci e posizioni ormai incontrollabili. Che inseguono un destino già segnato: la fine del Pdl.
Un orizzonte, però, che Berlusconi sembra voler anticipare. Affranto, demoralizzato come non mai, tra lunedì sera e ieri si è lasciato andare a più di uno sfogo. “Bisogna cambiare tutto. Basta con questo partito fatto di coordinamenti, tessere, congressi. Questo non è più il mio partito”. Una scelta in parte dettata dalla disperazione. Dalla consapevolezza di non poter fare altrimenti.
I contatti con Casini e Montezemolo ci sono stati. Ma l’esito è stato a dir poco drammatico.
“Vogliono che Berlusconi non si candidi nemmeno in Parlamento per fare un accordo con noi – sbotta Gaetano Quagliariello – ma questa non è una resa. E’ l’umiliazione”. Un percorso senza alternative, dunque.
“Se avessimo fatto già in questa occasione le liste civiche – è il rimprovero che Berlusconi muove al suo stato maggiore – staremmo parando di un’altra storia. E invece La Russa mi diceva che bisognava strutturare il partito, Angelino che disorientavamo. Ecco, invece, così abbiamo orientato. Bel capolavoro”.
Giudizi che la dicono lunga su quel che l’ex premier pensa dei suoi “coordinatori”. Che adesso vuole azzerare. Compreso il suo “figlioccio” Angelino, nei confronti del quale non risparmia nulla: “Purtroppo non esiste. Ci sono solo io. Solo io posso salvare. Solo io posso candidarmi come leader. E lo farò, credetemi”.
Il Pdl, nato solo tre anni fa, sembra ormai solo un ricordo. E anche la sua classe dirigente appare avvolta da una nuvola che li rende indistinti. Tutti travolti da un vento che soffia in primo luogo contro il centrodestra. E in qualche modo lo stesso Cavaliere ne prende atto.
Nel suo bunker il crollo del Popolo delle libertà perde ogni contorno.
Chi gli parla lo descrive assillato da troppe idee e troppo diverse. Eppure su un punto non ha dubbi: “I moderati in Italia non ci sono più. Dove sono? Tutti e tutto è radicalizzato. Perchè noi dovremmo fare i moderati? Casini non vuole venire con noi? Bene. I fascisti si vogliono tenere il partito? Meglio, si tengano il Pdl”.
A suo giudizio, però, se quello che è stato il centrodestra si può salvare, non è con il partito nato dalla fusione di An e Forza Italia.
Serve qualcosa di nuovo. Cosa? Questa volta nemmeno i focus group cui Berlusconi spesso ricorre gli offrono una risposta netta. Nella testa gli ronza sempre il modello dei “Tea party” americani. Ma nello stesso tempo è attratto dall’esempio grillino. “Quel Grillo piace – ha scandito destando non poca sorpresa nei suoi interlocutori – dovrebbe essere uno di noi. O meglio dovremmo essere noi come lui. La gente vuole quello. Vuole sentire quelle cose e non i congressi e i coordinamenti. Ma secondo voi a Parma chi ha fatto vincere il grillino? Noi, i nostri elettori”.
Ma per inseguire il paradigma “Cinque stelle”, deve sparigliare.
Con un problema non da poco. Le carte per farlo non sono ancora nelle sue mani.
Nei prossimi giorni, però, una prima mossa intende compierla: aprire alla riforma elettorale a doppio turno.
Per dare un segnale ai suoi elettori, aprire un fronte di alleanze non troppo vincolante con la Lega e i centristi. E soprattutto provare a “salvarsi e salvare il suo schieramento” attraverso un patto con il “nemico”: con il Partito Democratico.
Un tentativo estremo. Che, con ogni probabilità riceverà una risposta negativa da parte di Bersani.
Ma nel frattempo l’immenso campo elettorale del centrodestra continua a essere sguarnito. Disponibile per chi voglia ararlo come accadde proprio nel 1994 dopo la fine della Democrazia cristiana.
Claudio Tito
(da “La Repubblica“)
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Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
L’AGRICOLTURA EMILIANA E’ IN GINOCCHIO…DISTRUTTO IL 10% DI PRODUZIONE ANNUA DEL PARMIGIANO REGGIANO…UNA STIMA DI 200 MILIONI DI DANNI
“Nel mio magazzino ci sono 32mila forme di Parmigiano Reggiano rovinate a terra. È un disastro, il lavoro di due anni buttato via.
Come quando si preparano i soldati per la guerra e poi la guerra arriva e i soldati non ci sono. Ci sarà un buco nel mercato, non possiamo inventarci il formaggio di 24 mesi se non c’è più”.
In mezzo ai danni, alle centinaia di milioni di euro di danni stimati che il terremoto ha provocato ad agricoltura, allevamenti, prodotti dop come il prosciutto di Parma o Modena o al lambrusco e alle aziende di ortofrutta tra Modena, Ferrara, Mantova e Bologna, Dante Caretti, presidente della “Coop Sant’Angelo” di San Giovanni in Persiceto, 70 anni, guarda costernato dentro il suo magazzino di stagionatura dove prima brillavano in bell’ordine, fino a sette metri in altezza, le forme perfette di formaggio, sulle scaffalature che qui in provincia di Bologna chiamano “scaloni” e a Modena “scalere”.
Quell’ordine perfetto e profumato si è accartocciato alle 4.03 di domenica mattina e ora c’è un impasto di tavole, tralicci e forme rovesciate e spezzate.
“Ci vorranno venti giorni per tirare tutti quei formaggi fuori di lì e più tempo passa più si ossidano e perdono valore. Ma io non rottamo il mio lavoro. È come quando il portafoglio ti cade per terra e lo devi pur raccogliere”.
Con la saggezza Caretti cerca di sconfiggere la malasorte, quella che ha colpito aziende come la Coop Italfrutta di San Felice sul Panaro, dove a una settimana dalla raccolta dei meloni fa i conti con strutture crollate e lesioni alle celle frigorifere, o come l’azienda di pere, mele e cereali di Mirko Tartari a Sant’Agostino nel ferrarese, dove il sisma ha distrutto il tetto del fienile incluso l’impianto fotovoltaico, costato un anno fa 140mila euro.
Perchè il terremoto non ha fatto cadere solo torri, vecchi municipi, capannoni industriali e vecchie costruzioni, come l’ex salumificio Bellentani di Finale Emilia “che una volta sfamava tutto il paese”.
Il terremoto ha buttato a terra l’agricoltura, gli allevamenti e i caseifici in questo spicchio di pianura padana ancora impaurita dalle scosse a ripetizione.
Per rimanere al formaggio che da queste parti è come l’oro, il consorzio del Parmigiano Reggiano ha fatto i primi calcoli: 170mila forme cadute nei caseifici tra Bologna e Modena, 130mila in provincia di Mantova. La perdita corrisponde a quasi il 10 per cento della produzione nazionale di un anno, che è di oltre 3 milioni di forme.
Vanno poi aggiunte altre 120-130mila forme di Grana Padano.
“Come facciamo a non essere preoccupati? Abbiamo subito un danno di almeno 80 milioni di euro – dice Giuseppe Alai presidente del Consorzio del marchio Parmigiano Reggiano – il prodotto stagionato serve a ripagare di tutti i costi della trasformazione del latte e viene così a mancare la risorsa principale. Il terremoto è stato destabilizzante, speriamo che le regioni e il governo facciano qualcosa. Questi caseifici, se non vengono aiutati, sono falliti, destinati alla chiusura”.
Il formaggio potrà essere trasformato, per esempio fuso, ma con una enorme perdita di valore.
La Coldiretti stima un danno di duecento milioni di danni in tutti i settori agricoli e dell’allevamento solo per i propri iscritti, ma ci sono poi le aziende delle altre associazioni di allevatori e agricoltori e le cooperative.
Le aziende agricole che hanno denunciato danni sono certamente più di mille nelle quattro province e soltanto nella zona terremotata in provincia di Modena si stima che appena un’azienda su cinque sia rimasta illesa.
Maurizio Gardini, presidente di Fedagri che rappresenta il 75 per cento delle Coop agricole, pari a una produzione di 25 miliardi di euro, lancia l’allarme e chiede aiuto al governo: “Chiederemo anche la sospensione dei pagamenti dell’Imu. Dei mutui in scadenza, degli oneri previdenziali almeno per il 2012”.
Case coloniche, serre, stalle, impianti fotovoltaici, fienili, trattori e centraline di irrigazione, tettoie e animali imprigionati e stressati dalle onde d’urto del terremoto: i danni riguardano un po’ tutto. “Non è possibile quantificare, solo dire che sono danni ingentissimi”, dice Alberto Zinanni, vicedirettore della Coldiretti di Modena, che porta a visitare l’allevamento di suini di Gaetano Veronesi, uno che porta avanti da tre generazioni la tradizione di famiglia dei maiali per il Parma e il San Daniele.
“Qui facciamo tutta la produzione a ciclo chiuso, dalla fecondazione alla braciola, compresi mangimi fatti in casa e quindi non sarà facile venirne fuori. Tre capannoni su sette sono lesionati o crollati del tutto, dove li metto ora i maialini delle trecento scrofe in gestazione?”.
Veronesi fa anche un salame dop di Finale, sono soltanto in cinque a farlo qui, e ora guarda l’ammasso di maiali morti e accatastati in mezzo alle rovine di una porcilaia.
“In una azienda come questa che produce 6.000 suini, poche decine di capi perduti non cambia nulla, il problema sono le strutture. Se ne manca una, salta tutta la filiera”.
Ma nemmeno Veronesi è uno che si arrende: “Il lavoro è come una donna, bisogna amarlo. Vedremo chi la vince. Il terremoto mi ha fatto paura, ma il futuro no”.
Anche gli agriturismi sono inagibili, come il Santa Maria di Massa Finalese, chiuso per le lesioni al tetto del fienile sotto il quale non si può rischiare di far andare nessun ospite.
“Il tetto l’avevo rifatto da pochi anni, ora vanno tirate giù tutte le tegole per risistemare le colonne portanti”.
Tutti ora chiedono aiuti.
Ammette il vicedirettore di Coldiretti: “Dobbiamo ancora studiare l’iter delle procedure, vedere cosa fare. Qui danni del genere in agricoltura non ne abbiamo mai avuti. Era l’unica cosa in cui non avevamo esperienza”.
Luigi Spezia
(da “La Repubblica“)
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Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
DATI ISTAT: PRECARI AUMENTATI DEL 48% DAL 1993…NATALITA’ AL PALO E FORTE DIVARIO TRA NORD E SUD
Economia ferma, salari bloccati. Sono i due dati principali che emergono dal rapporto annuale dell’Istat. Tra il 1992 e il 2011, spiega l’istituto di statistica, “l’economia italiana è cresciuta in termini reali a un tasso medio annuo dello 0,9%. La sua performance è stata migliore nel periodo 1992-2000 (+1,8 in media annua), mentre tra il 2000 e il 2011, la crescita media annua rallenta, attestandosi allo 0,4%. Con un punto percentuale in meno all’anno, il nostro Paese si colloca in ultima posizione tra i 27 stati membri, con un consistente distacco rispetto sia ai paesi dell’Eurozona sia a quelli dell’Unione nel suo complesso”.
Nel rapporto si sottolinea come la dinamica congiunturale del Pil, misurato al netto della stagionalità e degli effetti di calendario, “si è indebolita nella seconda parte dell’anno: alla tenue crescita del primo e secondo trimestre (rispettivamente +0,1 e +0,3%) sono seguite due variazioni negative (dello 0,2 nel terzo e dello 0,7% nel quarto). Sulla base delle informazioni a ora disponibili, confermate dall’andamento di un nuovo indicatore sintetico del clima di fiducia il primo trimestre sarà caratterizzato da un’ulteriore flessione dell’attività ”.
In questo quadro, anche le statistiche anagrafiche mostrano un paese inadatto alle famiglie.
Vero è che la popolazione italiana è cresciuta di 2 milioni 687mila unità in vent’anni (il confronto è col 1991), per un totale di 59 milioni e 464mila persone, ma il merito è quasi tutto degli stranieri residenti che, nell’ultimo decennio, sono quasi triplicati raggiungendo quota 3 milioni 770mila (pari a 6,3 ogni cento residenti).
LAVORO E REDDITO
Insomma, l’economia italiana non sta bene. E a risentirne sono soprattutto i lavoratori. Secondo l’istituto di statistica, il tasso di disoccupazione raggiungerà in Italia il 9,5% nel 2012 (dall’8,4% del 2011), salendo ulteriormente al 9,6% nel 2013.
Per chi un lavoro lo ha, del resto, i salari rimangono fermi.
”Tra il 1993 e il 2011 — spiega l’Istat — le retribuzioni contrattuali mostrano, in termini reali, una variazione nulla, mentre per quelle di fatto si rileva una crescita di quattro decimi di punto l’anno”.
Come risultato, negli ultimi due decenni “la spesa per consumi delle famiglie è cresciuta a ritmi più sostenuti del loro reddito disponibile, determinando una progressiva riduzione della capacità di risparmio.
Complessivamente dal 2008 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 2,1 per cento in valori correnti, ma il potere d’acquisto (cioè il reddito in termini reali) è sceso di circa il 5 per cento.
Le retribuzioni da lavoro dipendente hanno aumentato la loro incidenza sul reddito disponibile delle famiglie, passando dal 39,3 per cento del 1992 al 42,8 per cento del 2011.
Al contrario — osserva l’Istat — i redditi da lavoro autonomo hanno complessivamente ridotto il loro contributo alla formazione del reddito disponibile, dal 28,8 per cento del 1992 al 25,3 per cento nel 2011. Il contributo dei redditi da capitale alla formazione del reddito disponibile si è piu’ che dimezzato, passando dal 16,1 per cento del 1992 al 6,8 per cento del 2011.
PRECARI, MAI COSI TANTI DAL 1993
Nel 2011 l’incidenza dei precari sul complesso del lavoro subordinato è al top dal 1993. “Dal 1993 al 2011 gli occupati dipendenti a termine — sottolinea l’Istat — sono cresciuti del 48,4 per cento (+751 mila unità ) a fronte del +13,8 per cento registrato per l’occupazione dipendente complessiva. Nel 2011 l’incidenza del lavoro temporaneo sul complesso del lavoro subordinato è pari al 13,4 per cento, il valore più elevato dal 1993; supera il 35 per cento (quasi il doppio del 1993) fra i 18-29enni”.
”Tra il 1993 e il 2000 — spiega l’Istat — rimane sostanzialmente stabile intorno al 40 per cento il tasso di permanenza, a distanza di un anno, dei 18-29enni nel lavoro dipendente a termine. Dopo il 2000 il tasso di permanenza cresce fino al 50 per cento del 2005-2006 e si porta fino al 56,3 per cento nel periodo 2010-2011″.
Prosegue, evidenzia il rapporto, “la discesa dell’occupazione a tempo pieno e a durata indeterminata (-105 mila unità pari a -0,6 per cento) ed è cresciuta quella a tempo parziale e indeterminato (+63 mila, pari al 2,3 per cento in più)”.
Aumento dovuto, secondo l’Istat, “esclusivamente dai lavoratori che hanno accettato un lavoro a orario ridotto non riuscendo a trovarne uno a tempo pieno (dal 42,7 per cento del 2010 al 46,8 del 2011).
Sono aumentati i contratti a tempo determinato e di collaborazione (+5,3 per cento pari a 136 mila unità ), concentrati prevalentemente nelle posizioni alle dipendenze. Come già nel 2010, è aumentato soprattutto il numero di contratti di breve durata: quelli fino a sei mesi sono cresciuti dell’8,8 per cento (+83 mila unità ), mentre è diminuito quello dei contratti con durata superiore all’anno (-32 mila unità )”.
PAESE SENZA MOBILITA’ SOCIALE
Cresce il peso dei lavoratori atipici (dipendenti a tempo determinato, collaboratori o prestatori d’opera occasionale) sul totale degli occupati: ha iniziato con un lavoro atipico il 44,6% dei nati dagli anni ’80 in poi. Il primo lavoro è stato atipico nel 31,1% dei casi per la generazione degli anni ’70; nel 23,2% gli anni ’60 e in circa un sesto tra le generazioni precedenti.
A dieci anni dal primo lavoro atipico, poi, quasi un terzo degli occupati è ancora precario e uno su dieci è senza lavoro.
Del resto, la mobilità sociale nel Paese rimane molto bassa.
Il passaggio a lavori standard è più facile per gli appartenenti alla classe sociale più alta, mentre chi ha iniziato come operaio in un lavoro atipico, dopo dieci anni, nel 29,7% dei casi è ancora precario e nell’11,6% ha perso il lavoro.
Tra le categorie a maggiore rischio di povertà spiccano i separati e i divorziati (20,1% contro il 15,6% dei coniugati).
Le ex-mogli corrono un rischio maggiore (24% in media) rispetto agli ex-mariti (15,3% in media).
Solo se la donna ha un’occupazione a tempo pieno, la rottura dell’unione ha gli stessi effetti economici per i due ex-coniugi (13 per cento il rischio di povertà per entrambi). I rischi di mortalità sono più elevati per le persone delle classi sociali più basse, soprattutto per le donne.
Le 25-64enni con livello di istruzione meno elevato presentano un rischio di mortalità circa doppio rispetto alle coetanee con titolo di studio più elevato; per gli uomini della stessa età una bassa istruzione comporta un rischio di morire superiore dell’80% rispetto ai più istruiti.
NORD E SUD
Negli ultimi 15 anni, in presenza di una continua riduzione della propensione al risparmio, la povertà relativa in Italia ha registrato una sostanziale stabilità : la percentuale di famiglie che si trovano al di sotto della soglia minima di spesa per consumi si è mantenuta intorno all’11 per cento.
Resta però ampio il divario territoriale: al Nord l’incidenza della povertà è al 4,9 per cento, sale al 23 per cento al Sud.
Particolarmente grave risulta la condizione delle famiglie residenti in Basilicata, Sicilia e Calabria, dove nel 2010 il fenomeno riguarda più di una famiglia su quattro. E’ inoltre peggiorata la condizione delle famiglie più numerose.
Nel 2010 risulta in condizione di povertà relativa il 29,9 per cento delle famiglie con cinque e più componenti (più sette punti percentuali rispetto al 1997).
Nelle famiglie con almeno un minore l’incidenza della povertà è del 15,9 per cento. Complessivamente sono un milione 876mila i minori che vivono in famiglie relativamente povere (il 18,2 per cento del totale); quasi il 70 per cento risiede nel Mezzogiorno.
SOMMERSO ED EVASIONE
La crisi “ha verosimilmente allargato l’area dell’economia sommersa” in Italia che nel 2008 era stimata in una forchetta compresa tra 255 e 275 miliardi di euro, cioe’ tra il 16,3 e il 17,5% del Pil.
“In Italia l’economia sommersa — sottolinea l’Istat — è un fenomeno rilevante che influenza negativamente il posizionamento competitivo del Paese”. Il peso del sommerso sul Pil, tuttavia, “risulta in riduzione rispetto al 2000, quando era compreso tra il 18,2 per cento e il 19,1 per cento”.
BAMBOCCIONI SENZA SCELTA
Figli sempre più a lungo, sempre più istruiti ma ancora fortemente influenzati dalla classe sociale di provenienza dalla quale, nonostante l’elevata mobilità sociale assoluta, è ancora difficile uscire per fare il proprio ingresso in una più alta. E’ la fotografia dei giovani italiani negli anni 2000.
Faticano a uscire di casa, dunque, i ragazzi italiani che in quattro casi su dieci, nella fascia compresa tra i 25 e i 34 anni, vivono ancora con i genitori. Di questi, il 45% dichiara di restare in famiglia perchè non ha un lavoro e/o non può mantenersi autonomamente.
SUD SENZA ASILI NIDO
Resta bassa in Italia l’offerta di nidi pubblici, con notevoli differenze nella diffusione territoriale: otto Comuni del Nord-est su dieci dispongono di asili nido, contro due del Sud.
In particolare, i Comuni in cui è presente il servizio sono il 78 per cento al Nord-est (83% in Friuli-Venezia Giulia e in Emilia-Romagna), circa il 48 e il 53 per cento rispettivamente al Centro e al Nord-ovest, mentre nel Sud e nelle Isole solo il 21 e il 29 per cento dei Comuni ha offerto il servizio sotto forma di strutture comunali o sovvenzionate.
PRIMI IN EUROPA PER RIFIUTI, MA AUMENTA LA DIFFERENZIATA
In Italia si producono 533 chili di rifiuti urbani pro capite all’anno, 23 in più rispetto alla media Ue.
Valori superiori alla media nazionale si registrano per le regioni del Centro (circa 600 chili pro capite) mentre nel Mezzogiorno la quantità è più contenuta (485). A livello nazionale, nel 2009 circa la metà dei rifiuti urbani raccolti è smaltito in discarica, valore in discesa di quattro punti percentuali rispetto a un anno prima.
In Sicilia, Liguria e Lazio le quote di rifiuti che finiscono in discarica sono ancora superiori all’80 per cento.
Nel Mezzogiorno solo la Sardegna, con il 42 per cento ha ottemperato alla direttiva comunitaria di scendere sotto ai 230 kg di rifiuti pro capite smaltiti in discarica.
Tra le regioni che impegnano maggiori risorse economiche per la gestione dei rifiuti, la Lombardia è quella che ricorre di meno allo smaltimento in discarica (34 kg per abitante), mentre la Sicilia è quella che vi fa maggiormente ricorso (456 kg per abitante).
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Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
IN ARRIVO LA NUOVA LEGGE: PER OTTENERE AIUTI PER LA RICOSTRUZIONE, I CITTADINI DOVRANNO STIPULARE ASSICURAZIONI PRIVATE
Il primo decreto arriverà oggi in Consiglio dei ministri: “Sarà la classica ordinanza di Protezione civile e seguirà i dettami della riforma
approvata la scorsa settimana”, ha spiegato il sottosegretario Antonio Catricalà , ieri in Emilia sui luoghi colpiti dal terremoto.
In buona sostanza, la fase dell’emergenza — intesa solo come prima assistenza alle popolazioni colpite — durerà al massimo cento giorni, per i primi venti dei quali il commissario straordinario Franco Gabrielli farà più o meno come gli pare, visto che non dovrà nemmeno sottoporre le sue ordinanze al Tesoro per il tradizionale “visto”. A seguire, il potere dovrà tornare alle amministrazioni interessate: regione, province e comuni.
È lì che inizia la fase difficile, quando bisognerà trovare i soldi per la ricostruzione per case e industrie danneggiate.
Qui conviene dare un piccolo chiarimento sul decreto che riforma la Protezione civile e comincia oggi il suo iter parlamentare alla Camera: essendo un dl è in vigore dal momento della sua pubblicazione in Gazzetta, avvenuta il 16 maggio, ma non per la parte che riguarda le famose assicurazioni private contro le calamità che tante polemiche sta suscitando.
Questa parte della riforma, infatti, delega il governo ad emanare un decreto attuativo entro 90 giorni dall’approvazione della legge — gli enti locali hanno poi altri 30 giorni per modificarlo — per “consentire l’avvio di un regime assicurativo per la copertura dei rischi da calamità naturale” anche attraverso detrazioni fiscali per sgravare “anche parzialmente” l’erario dagli oneri della ricostruzione.
“Diciamo che gli emiliani saranno gli ultimi ad avere il risarcimento completo da parte dello Stato”, è il parere delle associazioni dei consumatori.
Non è affatto detto, in realtà , che quello delle assicurazioni non si riveli un metodo meno farraginoso e costoso delle inefficienti gestioni commissariali adottate finora (vedi il caso del Molise, con sfollati ancora parcheggiati nei container): bisognerà , per capirlo, aspettare l’autunno, quando il governo scriverà il testo.
Adesso i soldi che vanno trovati sono comunque quelli per la gestione dell’emergenza e altre cosette come il rinvio della riscossione dei tributi nelle zone terremotate: “Ci sono varie forme all’esame, vedremo qual è migliore, quella che si addice alla situazione”, ha glissato Catricalà . Probabile, comunque, che il governo si muova sulla linea di quanto scritto nel decreto: il denaro arriva dal Fondo per la Protezione civile, c’è scritto, che poi però va ripianato.
Due i modi indicati: tagli di spesa — ce n’è un elenco possibile in allegato — o l’aumento di 5 centesimi dell’accisa nazionale sulla benzina (e un aumento di 5 centesimi è concesso anche alla regione colpita).
Ieri, un’idea pazza girava nei palazzi della politica romana: rinunciamo alla rata del rimborso elettorale di giugno e la devolviamo ai terremotati.
Cento milioni di euro non risolvono tutto, ma sarebbero già un bell’inizio.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
LE FIAMME GIALLE INDAGANO SU APPALTI LEGATI ALLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI…I REATI CONTESTATI SONO ABUSO D’UFFICIO, TURBATIVA D’ASTA E VIOLENZA PRIVATA
A Cortina d’Ampezzo torna la Guardia di Finanza. Questa volta nel mirino non ci sono facoltosi turisti ma il municipio e soprattutto il sindaco e altri dipendenti dell’amministrazione.
Le fiamme gialle di Belluno sono entrate negli uffici del Comune alla ricerca di carte che provino la regolarità o meno di alcuni appalti, soprattutto quelli legati allo smaltimento dei rifiuti.
Emerge da fonti investigative che gli indagati sono sette, tra cui il sindaco e alcuni assessori, ma dicono i militari è “un atto dovuto”.
L’indagine è partita l’anno scorso da alcuni lavori pubblici avviati nella vallata dove si ipotizzano i reati di abuso di ufficio e turbativa d’asta.
Secondo quanto ha riferito il pm titolare dell’inchiesta, Antonio Bianco, fra gli indagati vi sarebbero amministratori in carica ed altri che lo erano in precedenza.
Il sindaco Andrea Franceschi e le altre persone interne all’amministrazione cortinese, coinvolti nell’inchiesta per abuso d’uffico e turbativa d’asta, risultano anche indagate per violenza privata nei confronti del capo della polizia municipale.
Su di lui vi sarebbero state pressioni affinchè non posizionasse o rimuovesse dispositivi autovelox in determinati punti della viabilità comunale.
Le informazioni di garanzia sono state consegnate agli interessati contestualmente alla perquisizione, ancora in atto.
Il primo cittadino ha fatto intanto sapere, attraverso la sua segreteria, che chiarirà pubblicamente la propria posizione al più presto attraverso la propria pagina di Facebook.
Questo avverrà , fanno sapere, non appena saranno concluse le perquisizioni ancora in atto negli uffici comunali e ci sarà modo di analizzare i contenuti delle informazioni giudiziarie consegnate dalla Guardia di Finanza.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
GRILLO: “RIPRENDIAMOCI IL PAESE”…BERSANI: “A BUDRIO E GARBAGNATE LI ABBIAMO SCONFITTI”
Ce le ricorderemo le elezioni amministrative del 2012: un terremoto bipolare e un rompicapo elettorale da decrittare, come un enigma,
una giornata di sorrisi di cartapesta, sguardi torvi edi facce pietrificate.
Un vortice dove tutto turbina e nulla è come appare a prima vista.
Nella politica formato Polaroid, che finisce in cortocircuito fra la cosiddetta “Foto di Vasto” e la cosiddetta “Foto di Palazzo Chigi” (ovvero l’alleanza di governo twittata da Pier Ferdinando Casini), che foto è la “foto di Parma”, e cosa ci dice oggi?
Quali sono le conseguenze che il “Parmacotto” grillino Pizzarotti introduce nel già terremotato sistema politico della Seconda Repubblica?
Proviamo a partire dal Movimento Cinque Stelle.
Il paradosso del raddoppio
Ha vinto la sua sfida, su questo non c’è dubbio. Passa dal 5% delle elezioni regionali alla conquista di una grande città , alla prova del governo.
Vince a Mira, Comacchio e (già al primo turno) Sarego.
Tant’è vero che Beppe Grillo annuncia trionfante: “Dopo Stalingrado ora ci aspetta Berlino! E adesso riprendiamoci questo Paese”.
Poi c’è la vittoria del centrosinistra.
La coalizione raddoppia il numero dei suoi sindaci da 45 a 92. Si porta a casa 15 comuni su 27 nelle città capoluogo (prima ne aveva solo 9). Dovrebbe gioire.
Ma se è così, allora, perchè nella sede del Pd la faccia di Pier Luigi Bersani è nera, la bocca è ripiegata all’ingiù come quella di un Gargamella, il tono vagamente incazzoso?
I leader del Pd italiano sono una varietà politica unica al mondo, tristi quando dicono di aver trionfato. Festosi quando perdono.
Se fosse vera la prima cosa, Bersani dovrebbe almeno cambiare faccia.
O magari evitare frasi boomerang che entreranno nella storia.
Come questa: “Ci sono anche dei comuni dove abbiamo ‘non vinto’ come Parma e Comacchio”.
Il tono è vagamente sarcastico con i giornalisti.
Ma nessuno gli ha ancora fatto una domanda, perchè quando parla così, è ancora alla sua dichiarazione introduttiva.
Subito dopo, il segretario, inanella un’altra perla memorabile della conferenza stampa, questa curiosa considerazione: “Voglio sfatare l’idea che noi contro i grillini perdiamo sempre. A Budrio e Garbagnate vinciamo noi!”.
Excusatio non petita, difesa non necessaria.
Bersani mostra l’istogramma dei comuni vinti, ma rivela di sentirsi quasi ferito dal successo grillino.
La Serracchiani dice di più: “Parma oscura tutto il resto”.
Grillo invece parla già della presa di Berlino, ma non può ignorare che senza il doppio turno (alle politiche il ballottaggio non c’è) la “presa di Stalingrado” sarebbe stata impossibile.
Tormentone Udc
Altro fermo immagine, il riverbero su scala nazionale. Il Pd viene indicato dal sondaggio della Emg di Fabrizio Masia al 25%. Ancora in calo. Primo partito, ma in retromarcia.
Grillo, nello stesso sondaggio sulle intenzioni di voto nazionali sfiora il 13%, per la prima volta.
Il secondo fermo immagine, nel Pd, di ieri è di nuovo nello studio de La7, nello speciale di Enrico Mentana. Anche Enrico Letta sembra inquieto. Ha un sorriso senza luce quando dice: “Bisogna capire che queste elezioni sono un grandissimo segnale di disagio. Ci serve una legge elettorale per allargare le alleanze, perchè si governa solo con coalizioni più larghe e con il doppio turno”.
Poi, durante lo spot, se gli chiedi perchè mai, ti spiega: “Dobbiamo cercare l’alleanza con l’Udc”.
Se il Pd non può sorridere, dunque, è perchè in questa vittoria è prigioniero di due paradossi.
Il primo è che (esattamente come il Pdl) nelle grandi città non è stato in grado di selezionare o di produrre una classe dirigente vincente. Anzi. Nelle grandi città vincono candidati selezionati con le primarie come Marco Doria (sostenuto da Sel) o come Leoluca Orlando, il “vintage” che non invecchia mai, che si porta 30 consiglieri dell’Idv in consiglio (con l’11%!) e cita Picasso sorridendo sotto le sue belle occhiaie: “Servono molti anni per imparare ad essere giovani”.
Il secondo motivo per cui mezzo Pd è inverosimilmente listato a lutto è perchè vince — sì — ma con l’alleanza che una parte importante del suo gruppo dirigente (veltroniani, lettiani, fioroniani e centristi) non voleva.
Non solo quella con Italia dei Valori e con Sel, ma, in moltissimi casi, anche con la Federazione della sinistra.
Tant’è vero che, sempre Letta, ieri ripeteva: “Mi chiedo. Di Pietro può essere considerato di sinistra? Possiamo vincere le elezioni e pensare di governare con i comunisti? Io l’ho già fatto nel 1996 e non voglio ripetere l’esperienza!”.
Ed ecco il problema: la base del centrosinistra e queste elezioni hanno affondato i sogni di convergenze post-democristiane al centro, e indicato una strada diversa.
Il prezzo di Mont
Il terzo punto decisivo è questo: è vero che erano elezioni amministrative, ma a sinistra vincono i candidati che sono fuori dalla maggioranza Monti.
Stravince chi come Doria ripete: “Questo governo non ha risposto al disagio sociale”.
Anche nel centro-destra questo è un effetto destabilizzante, che rafforza il partito dello staccate-la-spina.
“Grillo — spiega Daniela Santanchè, la massima esponente — ha vinto con i nostri voti. Abbiamo offerto al popolo del Pdl un residence per terremotati di tagli e tasse, quello del governo Monti. E loro hanno preferito cambiare casa e prenderne in affitto un’altra, dai candidati del movimento Cinque Stelle.
Possiamo recuperarli — conclude la pasionaria pidiellina — solo se cambiamo rotta”.
È già pronta la sfida delle primarie con la granitica cerbiatta governativa, Mara Carfagna.
Sono stati puniti i partiti del governo. Ma anche quelli del vecchio governo.
È stata piallata la Lega, che perde sette ballottaggi su sette.
E manda in tv un Bobo Maroni terreo, che ricorda il Claudio Martelli del 1993.
Eredita un partito da raddrizzare, forse fuori tempo massimo.
La mappa della Lega che non c’è più, è anche quella del M5S, che eredita i suoi voti.
Provate a sentire cosa dice Giovanni Favia, il più visibile dei grillini: “Primo: abbiamo fatto boom, e questa volta lo hanno sentito tutti”. Secondo: “Si è dimostrata una balla l’idea che per vincere dovevamo coalizzarci”. Poi: “Terzo: vedo che il Pd è depresso. Hanno ragione perchè a Parma hanno capito che gli rompiamo il giochino. Ormai lottano per sopravvivere. Presto dovranno trovarsi un lavoro vero — conclude con l’ultima stoccata e per loro non sarà facile”.
In questo mondo al contrario, in questo valzer di maschere che si scambiano i ruoli, anche un grillo — per una volta — può avere un sorriso caimano.
Luca Telese blog
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Maggio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
ELETTO NEL 2010 IL SINDACO SI TROVA AGLI ARRESTI DOMICILIARI CON L’ACCUSA DI CORRUZIONE AGGRAVATA… CONTANTI E GIOIELLI PER FAR ASSUMERE IL FIGLIO
Scattano le manette ai polsi del sindaco di Pantelleria (Trapani) Alberto Di Marzo, eletto nel maggio del 2010.
L’accusa è di corruzione aggravata e ora si trova agli arresti domiciliari.
Subito dopo essersi seduto sulla poltrona da primo cittadino, nel giugno scorso, ha ricevuto, secondo gli inquirenti, 10mila euro in contanti e gioielli per il valore di 800 euro da un imprenditore edile di Alcamo molto attivo sull’isola sia nell’aggiudicarsi appalti, sia come gioielliere.
Questi sono solo una parte di una tangente stimata attorno ai 40mila euro, mai saldata, che il gioielliere ha corrisposto per fare assumere il figlio dal Comune, sebbene non ve ne fosse nessuna necessità .
Il giovane, un ingegnere idraulico, nell’agosto del 2011 viene effettivamente assunto, ma, pare, senza sapere delle “pressioni” del padre.
Poi nell’agosto del 2011 riceve contestazioni disciplinari e il padre nel timore di un licenziamento, decide di rivolgersi alla magistratura presentandosi al procuratore della Repubblica di Marsala, Alberto Girolamo Di Pisa, e al sostituto Bernardo Petralia.
Ai magistrati racconta l’episodio di corruzione.
Di Marzo non è uno sconosciuto nè nella politica locale nè per gli investigatori: è stato sindaco di Pantelleria fino al 23 settembre 2002, quando fu arrestato con l’accusa aver compiuto estorsioni a danno di imprenditori in un contesto dove, secondo la Squadra Mobile di Trapani, “un gruppo di potere usava metodologie di tipo mafioso” per gestire l’isola.
Con lui sono stati arrestati gli imprenditori Antonino ed Antonio Messina, padre e figlio, accusati, oltre che di estorsioni, anche di minacce, detenzione di due kalashnikov e avere commesso un attentato ai danni del tecnico del Comune di Pantelleria Giuseppe Gabriele e l’ex consigliere comunale di Paceco (Tp) Pietro Leo.
Il sindaco fu condannato in primo grado a 3 anni e mezzo, poi fu assolto in appello.
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