Destra di Popolo.net

PREFETTURE E QUESTURE, IL PIANO DEI TAGLI

Dicembre 4th, 2012 Riccardo Fucile

VIA AI PRESIDI TERRITORIALI… LA RIORGANIZZAZIONE DELLE FORZE DI POLIZIA

Dopo il taglio delle province, la scure si abbatte su prefetture e questure.
Il governo taglia almeno 70 strutture e i sindacati di polizia già  sono in rivolta.
Il regolamento che attua la legge approvata nel luglio scorso arriva in consiglio dei ministri e segna una vera e propria rivoluzione per forze dell’ordine e Vigili del Fuoco.
Anche perchè, dopo il parere del Consiglio di Stato e delle commissioni parlamentari, entra subito in vigore.
Per sostituire gli uffici chiusi si istituiscono i «Presidi territoriali» che però potranno essere al massimo 18.
Maggiori poteri vengono assegnati a prefetti che diventano «rappresentanti dello Stato sul territorio».
Secondo i calcoli già  fatti dai «tecnici» del Viminale il taglio immediato delle spese sarà  pari a 5 milioni e 700 mila euro, mentre il resto dei risparmi arriverà  grazie al riordino di strutture e personale e dovrà  essere «pari al 20 per cento».
Secondo la relazione che illustra il provvedimento «non saranno alterati i livelli di sicurezza», ma proprio su questo le rappresentanze dei lavoratori sono pronte a dare battaglia.
Riordino in 14 articoli
Il regolamento che sarà  esaminato mercoledì riorganizza gli uffici seguendo lo schema già  previsto per la riduzione delle province che passano da 86 a 51.
E dunque sono 35 le prefetture e altrettante le questure che dovranno sparire.
Al loro posto è stata prevista l’istituzione di 18 Presidi che dovranno garantire, come viene specificato nella relazione «di mantenere invariati i servizi ai cittadini con riferimento alle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, del soccorso pubblico e della garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali».
L’obiettivo, così come viene specificato nel provvedimento, sono «gli esiti positivi per la finanza pubblica derivanti dal fatto che il nuovo disegno organizzativo, caratterizzato da elementi di flessibilità , comporterà , senza alterare i livelli di sicurezza per i territori, una diversa articolazione territoriale delle strutture a cui potranno conseguire risparmi e ottimizzazioni della spesa pubblica in termini di impiego delle risorse umane, strumentali e logistiche».
Prefetti e questori
Al prefetto nuovi e più incisivi poteri perchè «opera quale soggetto garante delle politiche di coordinamento dell’azione amministrativa sul territorio, secondo criteri di collegialità  e raccordo, e nel rispetto dei principi di leale cooperazione e di sussidiarietà .
A tal fine si pone inoltre quale recettore istituzionale delle istanze e delle esigenze rappresentate dal territorio e dalle rispettive comunità , attraverso l’istituzione del nuovo Ufficio unico di garanzia dei rapporti tra i cittadini e lo Stato».
Nelle strutture periferiche ci sarà  invece, come prevede l’articolo 7 del regolamento, «il prefetto presidiario coadiuvato ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza da un comitato territoriale dell’ordine e della sicurezza pubblica, con funzioni consultive, composto dal questore presidiario e dai responsabili delle articolazioni periferiche delle altre Forze di polizia e a cui partecipano i sindaci dei comuni compresi nello specifico ambito territoriale, quando siano interessati alle questioni da trattare. Al comitato possono partecipare i componenti dell’ordine giudiziario, d’intesa con il procuratore della Repubblica competente».
Nel provvedimento viene specificato che questa collaborazione sarà  garantita anche da «articolazioni dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza».
I tagli alle spese
Nella relazione l’esempio pratico sui risparmi fa riferimento all’affitto degli immobili. Attualmente «risulta un onere finanziario per la locazione pari a 35 milioni e 867 mila euro.
Dunque un costo medio pari a 338 mila euro per ogni prefettura.
Con l’accorpamento si può arrivare a 17 milioni e 256 mila euro, mentre i Presidi costeranno 6 milioni di euro e dunque il risparmio è quantificabile in 5 milioni e 700 mila euro».
Il taglio del 20 per cento si dovrà  invece ottenere «attraverso la gestione comune del personale, dei sistemi informativi automatizzati, dei contratti e attraverso il vincolo dell’utilizzazione in via prioritaria di beni immobili di proprietà  pubblica».
La battaglia sindacale
Molto duro è Nicola Tanzi, il segretario del Sap, primo firmatario del telegramma al ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri per chiedere «il congelamento della soppressione delle questure, altrimenti sarà  mobilitazione».
La sua linea è chiara: «Questo regolamento destruttura il sistema sicurezza. Di fronte al blocco del turn over e a una carenza di organico che già  supera le 11 mila persone, la chiusura degli uffici porterà  gravissime conseguenze. Io mi chiedo che senso ha approvarlo, dal momento che la discussione parlamentare sul taglio delle province è ancora in corso».
In linea Enzo Letizia dell’Associazione funzionari di polizia, che parla di «declassamento delle questure» e mette in guardia dai «pericoli che derivano da una minore e inevitabile presenza sul territorio».
Secondo Claudio Giardullo del Silp-Cgil «bisogna sottolineare l’importanza di aver portato il questore del presidio a livello pari del prefetto, ma adesso bisogna puntare sulle risorse perchè, se saranno toccati gli organici anche di una sola unità , vorrà  dire non garantire il livello attuale di efficienza e sicurezza».

Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)

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ROUBINI: “L’ITALIA STA MEGLIO, ORA LA GERMANIA SPINGA PER LA CRESCITA”

Dicembre 4th, 2012 Riccardo Fucile

 L’ECONOMISTA AMERICANO SOTTOLINEA I PROGRESSI EUROPEI E AVVERTE: RESTATE FEDELI AL MONTISMO

«È fuor di dubbio che la situazione in Europa sia notevolmente migliorata. Solo sei mesi fa, alla vigilia del discorso di Draghi con la proclamazione del piano d’interventi della Bce e la rassicurazione che la banca era «pronta a tutto» per salvare l’euro, il tracollo sembrava imminente. I tassi sui bond italiani erano al 6,75%, quello spagnoli al 7,75, tutto sembrava sul punto di crollare ed effettivamente poteva crollare da un momento all’altro. Ora il quadro è completamente diverso». Nouriel Roubini non viene più chiamato «Dr. Doom», dottor sciagura, bensì «Dr. Realism».
E in quest’intervista ci spiega perchè.
Allora, professore, scampato pericolo?
«Beh, intendiamoci. La recessione deve ancora toccare il fondo, il credit crunch è tutto lì, il sentimento sia dei consumatori che delle imprese è ancora basso. Eppure, soprattutto alla luce dei programmi di austerity impostati da molti Paesi a partire da Grecia, Spagna e Italia, si intravede la luce in fondo al tunnel. L’accordo dell’altro giorno per il debito di Atene è stato un passaggio fondamentale, innanzitutto perchè è stata la prova certa, ed è la prima volta che accade, della determinazione tedesca di mantenere unito l’euro. Troppi sarebbero stati per Berlino i rischi di frantumazione della moneta, con danni gravissimi non solo per la perdita di partner commerciali ma anche di sostanziali crediti che sarebbero diventati inesigibili».
Ora quali potrebbero essere i tempi per il completo recupero?
«Sarei molto cauto. È opinione diffusa che la ripresa cominci nella seconda metà  del 2013. Secondo me bisognerà  attendere i primi mesi del 2014».
Sono tempi ancora lunghi. Cosa si deve fare per accelerarli?
«Qui tocchiamo l’essenza stessa del problema. Tutto dipende dall’Europa, dalla Bce e dalla Germania. Almeno voi in Italia, e probabilmente anche negli altri Paesi in difficoltà , avete fatto buona parte di quanto era nelle vostre possibilità . E’ la Germania, l’unica che può permetterselo, che deve ora impostare programmi di stimolo interni e anche progetti di respiro internazionale che tornino a trainare la domanda. Quanto all’Europa, si deve affrettare il processo di unificazione fiscale e monetaria, compresa la vigilanza bancaria, e quanto alla Bce deve procedere con maggior coraggio sulla strada degli interventi sia ortodossi che atipici. Fra i primi, serve più coraggio sui tassi: ridurli ulteriormente per facilitare la circolazione del denaro e realisticamente abbassare il valore dell’euro rispetto al dollaro a tutto vantaggio delle esportazioni. E fra gli interventi straordinari, spingerei sul quantitave easing nei vari modi. È bastato l’annuncio di una varietà  di esso, appunto il riacquisto illimitato dei buoni governativi, perchè si riducessero gli spread e i tassi. E senza che venisse ancora speso un centesimo».
L’Italia è stata la prima beneficiaria dell’annuncio di Draghi. In che misura però contribuisce al rasserenamento il governo Monti?
«In grandissima misura. Anzi, se un motivo di preoccupazione internazionale rimane, è legato al dopo-Monti. Se, chiunque sia il vincitore delle elezioni della prossima primavera, darà  l’impressione di restare fedele al «montismo», meglio se con qualche esponente del governo tecnico dentro il futuro esecutivo, a partire dall’attuale premier, tutto diventerà  più semplice. Voglio essere più preciso: così come ha esagerato la Germania ad imporre una linea di eccessivo rigore, e ora se ne sta rendendo conto, ha altrettanto calcato troppo la mano il governo italiano. Con il rischio di provocare eccessive sofferenze nella popolazione. Ma ci sono fondate speranze che anch’esso se ne renda conto. Ecco, per il futuro dell’Italia vi auguro un montismo con un tocco di umanità  in più».
Se in Europa si vive un momento di tregua, la tempesta potrebbe arrivare dall’America: quali sono secondo lei le possibilità  che si scampi il fiscal cliff?
«Diciamo che allo stato delle trattative siamo al 50%. Però, attenzione: circolano voci allarmistiche, tipo 600 miliardi di dollari sottratti all’economia, il 4% del Pil. Sono grossolane esagerazioni. Secondo i nostri calcoli, verrà  sottratto al Pil non più dell’1%. Sarebbe poca cose in presenza di una crescita, per dire, del 3,5% quale sarebbe il potenziale. Ma visto che la previsione di crescita non supera il 2-2,5%, come potete vedere il danno esiste, eccome».
Vuol dire che l’economia americana crescerà  di appena più dell’1%?
«Bisogna considerare nel calcolo i benefici del quantitativeeasinge di altre agevolazioni che in parte compensano, per cui si potrà  arrivare intorno all’1,5%. Non è recessione ma è comunque poco. Soprattutto, coinciderà  con l’esperimento di austerity in America, che avrà  effetti deprimenti identici a quelli europei. Come si è detto per tutti questi anni per l’Europa, anche in America si è vissuto al di sopra delle possibi-lità , si è rubato Pil al futuro. E ora si paga il conto».

Eugenio Occorsio
(da “la Repubblica“)

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ALITALIA, I GIUDICI CHIEDONO AI COMMISSARI CHE FINE HANNO FATTO I SOLDI DEI CREDITORI

Dicembre 4th, 2012 Riccardo Fucile

UN DECRETO TENUTO SEGRETO…. LE AZIONI PER PAGARLI BLOCCATE DA UN ANNO E MEZZO

Premessa: in tutto il mondo i commissari che si occupano dell’amministrazione straordinaria di un’azienda rispondono ai giudici, in Italia sono incaricati dai governi e rispondono al Ministro.
La procedura fallimentare di Alitalia è una delle più corpose d’Europa.
È iniziata 4 anni fa, ma ancora oggi 35.000 creditori, molti dei quali sono al collasso, non sanno quando, e quanto, saranno pagati.
Nelle stanze dei commissari la scossa è arrivata il 10 ottobre scorso, quando i giudici delegati del tribunale fallimentare di Roma hanno depositato un decreto che suona come una messa in mora.
Chiedono ai commissari Brancadoro, Fiori e Ambrosini cosa stiano facendo da quasi un anno e mezzo, visto che il piano di riparto per liquidare i creditori ancora non c’è. Quando le informazioni non sono complete, i giudici sono obbligati a compiere una sorta di controllo di legalità  dell’amministrazione straordinaria.
Ma quello che c’è scritto in quell’atto ufficiale, secondo i commissari, non va diffuso, perchè contiene notizie «sensibili e riservate».
Cosa c’è di così riservato da tenere nascosto ai cittadini (che stanno pagando il conto) e ai creditori?
La storia inizia nell’agosto del 2008, quando la gloriosa azienda aeronautica di Stato, ridotta a un carrozzone di prebende e dirigenti lautamente pagati, ma non sempre competenti, è ad un passo dal default.
Il governo Berlusconi nomina commissario il professor Augusto Fantozzi (ex ministro delle Finanze e del commercio estero) e, in deroga alla legge sulla trasparenza, per vendere Alitalia la divide in due: da una parte la cosiddetta Bad Company, che resta sulle spalle dello Stato, con il passivo di 3,2 miliardi e qualche asset da vendere; dall’altra il buono dell’azienda, con gli aerei e le rotte, consegnata a Cai, la cordata di imprenditori guidata da Banca Intesa.
Se la comprano per circa 1 miliardo, ma pagando cash al commissario solo 252 milioni, il resto è accollo di debiti.
Cai ingloba anche l’Air One, e in deroga all’Antitrust ottiene dal governo il monopolio sulla rotta Roma-Milano.
Un’operazione voluta da Berlusconi a tutti i costi, tant’è che per portarla a termine il governo ha dovuto «forzare» regole e costruire decreti ad hoc, anche quello, anticostituzionale, che garantiva l’immunità  agli amministratori che hanno gestito il periodo di transizione.
Nel febbraio 2011, il commissario Fantozzi presenta la sua relazione finale.
Ha venduto, o meglio, svenduto, quasi tutti gli asset rimasti allo Stato: il Cargo, la manutenzione, i call center, gli ex magazzini, le opere d’arte. Realizza più di 1 miliardo, ma, tolte le spese, restano circa 400 milioni da suddividere tra i creditori. Prospetta un piano per il riparto, sapendo che potrebbe recuperarne altri 500 grazie alle revocatorie.
Dalla documentazione depositata presso il Tribunale fallimentare diverse banche (Intesa, Veneto Banca, Cassa di Risparmio Firenze), aeroporti e aziende (da Sea ad Adr) devono restituire quello che è stato loro saldato dalla vecchia Alitalia a ridosso dell’insolvenza, quando il dissesto era ormai evidente.
Si ipotizza che anche il famoso prestito ponte di 300 milioni di euro, concesso da Prodi ad aprile 2008, «perchè non c’erano più i soldi per il carburante», sia stato utilizzato per pagare in fretta e furia alcuni creditori privilegiati.
Un prestito che l’Unione Europea aveva imposto di restituire allo Stato in tempi brevi, ma ancora oggi nessuno sa che fine abbiano fatto quei 300 milioni. Fantozzi, a luglio 2011, presenta al ministero dello Sviluppo anche azione di responsabilità  nei confronti dei vertici della vecchia Alitalia, per aver mal gestito l’azienda dal 2002 al 2008. Nell’azione include 43 ex dirigenti, tra i quali gli ex Presidenti Libonati, Prato, Police, e gli ex Amministratori delegati Mengozzi e Cimoli.
Quest’ultimo, secondo le carte, avrebbe, per esempio, affidato alla società  McKinsey una «consulenza triennale e straordinaria» da 58 milioni e 800 mila euro, «estremamente gravosa» per l’azienda già  in dissesto, e «in sostanziale sovrapposizione con le prestazioni già  rese, con conseguente dannosa duplicazione di interventi e competenze».
Passa qualche giorno, e il governo infila in finanziaria una norma straordinaria: «Per accelerare la procedura occorre affiancare a Fantozzi altri 2 commissari».
Siccome un fatto del genere non era mai successo, Fantozzi deduce che sia venuta meno la fiducia del governo nei suoi confronti e, quattro giorni dopo, con in tasca il compenso di 6 milioni, si dimette.
Da allora al suo posto ci sono i professori Gianluca Brancadoro, Giovanni Fiori e Stefano Ambrosini.
La legge prevede che ogni 4 mesi venga presentato un piano di riparto, ma dopo un anno e mezzo nulla è stato fatto.
Per questo i giudici delegati, con il decreto del 10 ottobre, chiedono ai nuovi commissari di provvedere urgentemente. Ma chiedono anche come mai stiano riesaminando le azioni di responsabilità , corredate da corposa documentazione, e le revocatorie disposte da Fantozzi.
Le perizie prodotte da KPMG e dai prestigiosi studi legali di cui l’ex commissario si è avvalso, sono forse sbagliate?
È importante saperlo, perchè se hanno commesso errori, i loro onorari non devono essere saldati. E anche lo stesso Fantozzi, se ha sbagliato tutto, dovrebbe restituire i 6 milioni di compenso.
Secondo i giudici i nuovi commissari, richiamano «generiche criticità » ma senza spiegare in cosa consisterebbe la «non esatta impostazione degli atti di citazione predisposti dai precedenti legali». Intanto hanno assunto un nuovo advisor e altri legali, e alcuni sono gli stessi che rappresentano gli interessi di aziende e banche che dovrebbero restituire quanto incassato dalla vecchia Alitalia.
Anche il commissario Ambrosini sarebbe in conflitto d’interessi, visto che da luglio è nel consiglio generale della Compagnia di San Paolo, principale azionista di Banca Intesa.
Insomma i giudici chiedono di chiarire e documentare, e di farlo in fretta, perchè alla loro porta ogni giorno bussano i creditori con l’acqua alla gola; inoltre, dilazionando i tempi, l’azione di responsabilità  rischia la prescrizione.
Dispongono infine la pubblicazione del decreto sul sito dell’amministrazione straordinaria, affinchè i creditori ne siano a conoscenza.
Sono passati quasi 2 mesi, ma del decreto non c’è traccia. In compenso i commissari hanno scritto a noi, e al direttore generale della Rai, chiedendo che Report non ne divulghi il contenuto. In altre parole: i creditori e l’opinione pubblica non devono sapere come i commissari si stanno organizzando per ripagare almeno in parte, o non ripagare, i 3 miliardi di debiti scaricati sullo Stato con la vendita di Alitalia. Un’operazione condotta nel 2008 da Banca Intesa guidata da Corrado Passera.
La stessa Banca Intesa che oggi, salvo prova contraria, dovrebbe restituire ciò che ha indebitamente incassato. Ed è sempre lo stesso Passera che oggi, in qualità  di ministro dello Sviluppo, sta sorvegliando il lavoro dei commissari.
Lo farà  certamente nell’interesse del Paese.
Ma la bilancia penderà  dalla parte dei creditori o della banca che dirigeva fino ad un anno fa?

Milena Gabanelli   e Giovanna Boursier
(da “il Corriere della Sera“)

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PER IL CAMPIDOGLIO SI CANDIDA ALFIO MARCHINI

Dicembre 4th, 2012 Riccardo Fucile

L’IMPRENDITORE ANNUNCIA: “CEDERO’ LE MIE AZIENDE, POI UNA LISTA CIVICA”

L’imprenditore romano Alfio Marchini punta al Campidoglio. “Ovviamente confermo la mia candidatura a sindaco di Roma. Lanceremo una lista civica – ha spiegato – che però è il primo passo per un progetto più ampio per la costruzione di un movimento civico metropolitano”.
Le voci su una possibile corsa di Marchini al Comune circolavano da qualche settimana.
Poi la scelta perchè “oggi l’offerta politica e partitica non soddisfa nè le mie aspettative nè quelle di un 50% di persone che non la trovano adeguata”.
Nè destra nè sinistra insomma, nonostante sia considerato vicino alla “gauche” sulle cui primarie dice: “Non ho votato. Riconosco a tutti e cinque i candidati caratteristiche di grandissima qualità . Avrei votato un puzzle del meglio di tutti e cinque insieme, non era possibile esprimermi per uno di loro in modo netto” anche se “riconosco a Pierluigi Bersani grande coraggio perchè si è aperto a una consultazione importante”.
Quanto alla scelta di non scendere in campo col Pd spiega: “Nella nostra famiglia abbiamo sempre avuto una forte passione politica e questo è un elemento che caratterizza la nostra storia. Abbiamo sempre ritenuto importante la politica, sempre espresso il nostro pensiero, il nostro appoggio e la nostra faccia su ciò di cui siamo convinti. Non c’è nulla di sbagliato nel Pd ma è una casa cui io non appartengo, non sono iscritto. Ci sono molti moderati che non trovano risposta nel Pd. E moltissimi elettori disillusi anche dal fallimento di Gianni Alemanno. Anche io ho sperato che fosse una sorta di Luigi Petroselli della destra”.
Marchini parla anche di Beppe Grillo: “Ho un giudizio positivo, è stato capace di creare un movimento di opinione importante che non è antipolitica. Io ho mandato alcuni miei infiltrati a sentire i grillini di Roma. Sono professionisti, consulenti di aziende, gente utile alla città  che usa argomenti non demagogici. E poi senza l’esperienza di Grillo avremmo più confusione e ribellione nelle strade. Tuttavia gli mancano le soluzioni pratiche”.
Marchini ha poi illustrato il suo progetto per la capitale: “Formare una classe dirigente nuova e preparare Roma alla sfida della globalizzazione. Il nostro progetto presuppone la costruzione di soluzioni con i cittadini”.
E sul conflitto di interessi ha aggiunto: “Sono molto amico di Caltagirone, è un industriale importante, lui fa la sua vita io la mia, ma dispetto più grande non potevo farglielo candidandomi…non gli farò alcun favore. Io due mestieri insieme non li so fare, quindi siccome noi abbiamo un’attività  industriale ho deciso di cedere l’attività , e ci sono fasi molto avanzate di contatti in atto”.
E alle ironie su twitter circa il “Piano Casa” di un eventuale Marchini “sindaco-palazzinaro”, l’imprenditore romano risponde: “Il problemi dei costruttori non sono le nuove licenze ma riuscire a trovare i soldi per costruire con licenze che già  hanno o di vendere quello che già  hanno costruito. Il problema di andare a costruire ancora non c’è, Roma oggi ha bisogno di tutto tranne che di espansione di costruzioni. Ha bisogno di ristrutturazione, di manutenzione straordinaria e ordinaria”.
Se la corsa al Campidoglio dovesse fallire, alla politica non rinuncerà  facilmente: “Anche se l’operazione non dovesse sortire l’effetto desiderato – ha concluso- il mio è un impegno nel tempo, sono consapevole che è una cosa complessa ma la vittoria per me è avviare un percorso, un’onda lunga”.
Ma chi è Alfio Marchini?
Rampollo di una delle più influenti famiglie di costruttori romani, separato, con cinque figli, è nato a Roma il primo aprile del 1965 anche le sue radici sono a Città  della Pieve in Umbria.
Il bisnonno Alessandro era un socialista impegnato in campo sociale e politico, il nonno Alfio partigiano e alla guida della Resistenza romana.
Insieme al fratello Alvaro (padre dell’attrice Simona Marchini e negli anni ’70 presidente della Roma calcio), guidò l’impresa di costruzioni fondata dal padre.
Cattolico, frequenta le scuole della borghesia romana e prima ancora di laurearsi in ingegneria alla Sapienza si mette alla guida del gruppo di famiglia nel 1988, a soli 23 anni e decide di uscire dal settore degli appalti pubblici specializzandosi nel project financing e in business emergenti. Nel giugno del 1994 viene nominato, dai Presidenti di Camera e Senato, membro del Consiglio di Amministrazione della Rai e, nel luglio dello stesso anno, Presidente di Sipra.
Dopo solo otto mesi si dimentte.
Dal 1995 al 1998 è Amministratore delegato di Roma Duemila S.p.A., società  di proprietà  del Gruppo Ferrovie dello Stato, che aveva il compito di coordinare gli interventi di riqualificazione urbana e infrastrutturale della città  anche in previsione del Giubileo del 2000.
Alla fine degli anni ’90 diviene membro del Consiglio di Amministrazione di Banca di Roma e successivamente di Capitalia.
Nel 2007, a seguito della fusione di Capitalia in Unicredit, entra a far parte del Consiglio di Amministrazione fino a ottobre 2008.
E’ consigliere di amministrazione di Cementir e tra i soci fondatori, nonchè membro del Board Internazionale e Presidente del Board Italiano, dello Shimon Peres Center For Peace.
E’ socio fondatore dell”’Associazione Italia Decide” per la Qualità  delle Politiche pubbliche, presieduta da Luciano Violante e il cui presidente onorario è Carlo Azeglio Ciampi.
E’ socio fondatore della Fondazione ”Italiani Europei”, inizialmente presieduta da Giuliano Amato e attualmente da Massimo D’Alema.
Quanto agli hobby e allo sport, con la sua squadra di polo ha vinto, anche come capitano della Nazionale italiana, diversi tornei mondiali.

(da “La Repubblica“)

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INTERVISTA AL MINISTRO BARCA: “IL QUARTIERE TAMBURI A TARANTO NON E’ UN POSTO DOVE VIVERE”

Dicembre 4th, 2012 Riccardo Fucile

AI RIVA “FIDUCIA CONDIZIONATA”…. SONO LEGATO AL PARTITO COMUNISTA DI UN TEMPO DOVE SI DISCUTEVA E POI LA DECISIONE ERA INAMOVIBILE

Ministro Barca, a Taranto i bambini nascono già  malati, si muore per i veleni dell’Ilva e il governo dà  un’altra chance al gruppo Riva?
Nessuna fiducia in bianco, non è più il tempo. Il governo con questo decreto apre nei confronti del gruppo Riva una fiducia fortemente condizionata
Ma come è pensabile poter conquistare la credibilità  di cittadini ingannati e abbandonati dalle istituzioni?
È ragionevole partire da una non fiducia, quando leggi le carte processuali non può che essere così, ma l’obiettivo è proprio di ricostruire la credibilità  perduta. Innanzitutto nominando un garante che verrà  selezionato attraverso la pubblicazione dei curricula, un soggetto, oserei dire, quarto che risponderà  solo ai cittadini che per l’altissima competenza riceverà  un emolumento elevato fino a 200 mila euro. Che oltre al potere ispettivo e propositivo assumerà  su di sè ogni responsabilità . Qualora l’impresa non realizzerà  il piano di investimenti, garantendo tutela della salute e dell’ambiente, subirà  una sanzione pari al 10% del fatturato fino ad arrivare a misure straordinarie come la nazionalizzazione prevista dall’Art 43 della Costituzione
Esproprio dell’Ilva se non rispetterà  il piano?
Sì e sarebbe la prima volta che ciò accadrebbe a conferma del fatto che i cittadini debbono fidarsi.
Ma il governo è in scadenza
Intanto il decreto dovrà  essere convertito dal Parlamento poi i ministri ci hanno messo la faccia e la loro responsabilità  non finisce qui.
Lei parla bene ma se uno di quegli 800 bimbi che vanno a scuola ai Tamburi sotto i camini dell’Ilva fosse suo figlio?
Io e mia moglie saremmo in prima linea ma sono onesto, un borghese come me, voglio dire con il mio reddito, non lo manderebbe ai Tamburi perchè avrebbe gli strumenti per scegliere. Il punto è la mancanza della possibilità  della scelta, imposta dall’ingiustizia sociale. Una popolazione non può essere ridotta alla costrizione da una crescita dissennata, da decisioni scellerate, segno di una democrazia indebolita.
Ha mai pensato di andare ad incontrare gli operai dell’Ilva
E’ una cosa che sento fortemente, andrò ad incontrare i cittadini, gli operai sono prima di tutto cittadini.
Sarà  ministro di un governo di centro-sinistra?
Farò il nonno, sto per diventarlo. Non ne ho la più pallida idea. Se avrò fatto bene e mi chiederanno di dare una mano ci sarò.
Alla domanda per chi vota risponde Pci. Come dire: sono un impenitente comunista?
Direi legato a quella cosa straordinaria che è stato il partito comunista italiano dove la classe dirigente discuteva per ore e la decisione era inamovibile perchè frutto di un confronto serrato con i bisogni reali delle persone. Aver distrutto quel metodo è stato un grande errore. Bisogna ricostruirlo.

Sandra Amurri
(da “il Fatto Quotidiano”)

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