Destra di Popolo.net

LE MANI DI GRILLO E CASALEGGIO SULLA MACCHINA DELLE PRIMARIE

Dicembre 11th, 2012 Riccardo Fucile

NON VI SONO NE’ CONTROLLI ESTERNI NE’ DATI UFFICIALI

Nessuna certificazione del voto, nessun controllo di terzi sullo scrutinio, nessun dato ufficiale sul numero degli elettori, sulla suddivisione delle circoscrizioni o sui voti ricevuti dai diversi candidati.
Una sola certezza: con “Parlamentarie” fatte in questo modo, senza un software certificato da un esterno, senza controlli di alcun tipo ai seggi – seppure online – Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, nel segreto del server, avrebbero potuto fare, indisturbati, qualsiasi cosa.
Scegliere i capolista, manomettere le votazioni, recepire dei voti e non raccoglierne altri.
Quel che è certo, è che il “capo politico” dei 5 stelle ha scelto la totale opacità .
Il MoVimento che è entrato nei consigli comunali e regionali con le webcam in mano, e che proclama di voler fare lo stesso in Parlamento, sceglie i suoi “portavoce” rimettendosi alla buona fede dei capi supremi.
Che hanno deciso tutto: i requisiti di chi poteva candidarsi e di chi poteva votare, la suddivisione delle circoscrizioni, le inclusioni e le esclusioni ad personam.
CORPO ELETTORALE SCONOSCIUTO
Fino a giovedì sera, giorno della conclusione del voto, non se ne sapeva proprio nulla.
L’unico numero conosciuto era quello dei candidati: 1.400. Poi, un post in cui si parla di 95mila “voti disponibili”.
Qualcuno ha pensato si trattasse degli aventi diritto.
Sbagliato: il giorno dopo gli stessi attivisti segnalano che quel numero va diviso per tre, perchè ciascuno poteva esprimere tre preferenze.
Quindi, il corpo elettorale – coloro che sono stati abilitati a votare da Grillo e Casaleggio – dovrebbe essere di 31.600 persone.
Anche su questo, però, non c’è alcuna certezza nè alcuna ufficialità .
Così come non si sa in base a cosa siano state divise le circoscrizioni, visto che non si è tenuto conto della maggiore o minore presenza del MoVimento nelle diverse regioni (il che influisce non poco sul numero delle preferenze che un singolo candidato riesce a prendere).
Di più: di quei 31mila, alcuni non sono riusciti o non hanno voluto votare.
Secondo i dati raccolti da alcuni attivisti, che si parlano sulla pagina Facebook “Solo 5 stelle”, in Trentino avrebbero votato solo 173 persone, in Umbria 311, in Liguria 650, in Emilia 1.770. Che divisi per tutti i candidati, fa una manciata di voti ciascuno.
NESSUNA CERTIFICAZIONE ATTENDIBILE
«Non dico che i risultati siano stati truccati, ma era sicuramente possibile farlo», dichiara a
Repubblica uno dei maggiori esperti di strategie di Rete italiani. «Per evitare ogni dubbio, il MoVimento avrebbe dovuto e potuto affidare a un agente terzo, magari una società  di rilevazione statistica come la Doxa, la gestione dei voti e dei conteggi, certificandone la validità  attraverso l’utilizzo di una struttura esterna a Casaleggio Associati», ovvero la spina dorsale tecnologica della presenza web di Beppe Grillo.
«La mancanza di trasparenza dà  adito a congetture. È come se in una partita di calcio una delle squadre facesse anche la funzione dell’arbitro. Per garantire l’elettore e i candidati, invece, si poteva anche solo realizzare un sistema di certificati elettronici collegati al codice fiscale, con la gestione delegata a un terzo attore.
Così il voto sarebbe stato sicuro.
Le “Parlamentarie” sono elezioni a costo zero, ma sono mancati i servizi necessari per garantirne la veridicità  e la trasparenza».
IL NUMERO DEI VOTI
Per chi non ha votato, il numero delle preferenze ricevute dai candidati resta un mistero. Consultando gli elenchi sul blog compaiono solo nome, cognome e posizione in lista.
Se però si accede al portale con le credenziali utilizzate per votare, si arriva a una pagina in cui i numeri dei voti compaiono, ma solo per la circoscrizione di competenza.
Nel Lazio 1 la capolista Federica Daga ne ha presi 390. La seconda, Marta Grande, 335 e 332 la terza, Roberta Lombardi.
Numeri esigui per una consultazione da 95 mila voti previsti, anche nelle circoscrizioni popolose. Il tutto, inficiato dall’impossibilità  (o dalla possibilità  ripetuta) di votare per bizze del sistema, denunciata da alcuni aventi diritto.
L’ATTESTAZIONE DEL VOTO
Nessun documento, cartaceo o elettronico, ha certificato la votazione, com’era stato inizialmente annunciato.
L’unica testimonianza era data dal sistema web che, quando si accedeva alla sezione elettorale nei giorni del voto, mostrava la scritta «Hai votato ».
La schermata ora è sparita, sostituita dai risultati. Lo “staff” (occorre ricordarlo, del tutto misterioso) ha comunicato di aver avuto problemi con gli indirizzi gmail, uno dei più diffusi. Sarebbe questa la ragione della mancata ricevuta, così come delle mail non arrivate agli aventi diritto cui erano state promesse come via libera al voto.
LE POLEMICHE
Alcuni dissidenti hanno lanciato una petizione in cui chiedono al “guru” «di rendere immediatamente pubblici e trasparenti il numero totale certo delle persone iscritte al Portale, di coloro che sono stati abilitati al voto e dei votanti suddivisi per regione e provincia ».
Altri stanno facendo un sondaggio online per verificare quante persone sono incappate in problemi o irregolarità .
Puntuale, un post scriptum apparso sul blog minaccia: «Sono in corso alcuni tentativi di acquisire i dati degli iscritti al MoVimento 5 Stelle tramite sedicenti sondaggi o censimenti pubblicati su Facebook. Sono ovviamente degli illeciti e saranno denunciati alle autorità ». Anche stavolta, di risposte nel merito, nemmeno una.

Annalisa Cuzzocrea e Tiziano Toniutti
(da “La Repubblica”)

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“PARLAMENTARIE” GRILLINE: “IL SOFTWARE UTILIZZATO NON GARANTISCE DAGLI ABUSI”

Dicembre 11th, 2012 Riccardo Fucile

LA MANCANZA DI TRASPARENZA NELLE OPERAZIONI DI VOTI A CINQUE STELLE

La mancanza di trasparenza nelle operazioni di voto a 5 stelle apre il campo a diversi interrogativi sulla validità  delle elezioni.
Raoul Chiesa, presidente dell’azienda di sicurezza informatica Cyberdefcon, collaboratore Onu e figura storica della scena hacker italiana, spiega perchè – per avere elezioni sicure – bisognava agire diversamente.
Le elezioni web del M5S sono affidabili da un punto di vista del risultato e della sicurezza dei dati?
«L’esperienza insegna che se un software è aperto, ci sono molte più possibilità  che sia sicuro, se è chiuso no».
Nel caso delle “Parlamentarie” si è votato su una piattaforma elettronica proprietaria, appartenente al “Non Partito” di Grillo. Quali rischi ci sono?
«Il problema è che se la piattaforma è chiusa, ovvero il codice con cui è realizzata non è accessibile da altri che non siano gli sviluppatori, non si può affermare che sia sicura o che sia priva di difetti o bachi».
Nel sistema realizzato da Grillo e Casaleggio la sicurezza del voto appare non certificabile in nessun modo. Bisogna fidarsi e basta?
«Se chi utilizza la piattaforma non invia all’esterno i dati a chi può verificarne la sicurezza, non si può affermare che il dato elettorale non sia abusabile».

(da “la Repubblica“)

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PER BERSANI “MONTI SERVE ALL’ITALIA, DEVE RESTARE SUPER PARTES”

Dicembre 11th, 2012 Riccardo Fucile

IL LEADER DELLA SINISTRA FRENA: “MEGLIO NON SI CANDIDI”

Problema numero uno, convincere Monti che è meglio per tutti se resta una riserva della Repubblica senza scendere in campo; e viceversa convincere Renzi a schierarsi subito a fianco della «ditta».
Problema numero due, trovare il tempo per fare le primarie dei parlamentari, unico passpartout per non far imbestialire gli elettori avvelenati per la riedizione del Porcellum.
Problema numero tre, riuscire a vincere bene avendo i numeri anche al Senato: questione di prima grandezza, che si intreccia col fattore Monti.
Perchè se il professore presenta una sua lista, il rischio pareggio a Palazzo Madama, dove vige un complesso meccanismo di premi su base regionale, si fa molto più concreto.
Anche perchè circolano sondaggi che attribuiscono a Bersano un 30% di gradimento contro un buon 22-23% di Monti.
Ecco, se questi sono i nodi con cui deve fare i conti Bersani, nella colonna dei fattori positivi c’è solo l’accelerazione imprevista del premier: che di fatto, consente al leader Pd di cavalcare l’onda delle primarie, obbligandolo però a stringere i tempi della road map tra le capitali europee per legittimare l’affidabilità  del new centrosinistra.
E se Bersani va ripetendo in privato «Monti è meglio che non scenda in campo», nel Pd fioccano le scommesse su cosa farà  il premier: lo stesso leader, nei suoi conversari, continua a dire che non va tirato per la giacca e spera che il Professore non ceda ai richiami di parte. Perchè come dice uno dei suoi consiglieri «deve restare una carta per l’Italia e non per Casini, Fini o Montezemolo».
Del resto, l’elemento di novità  di queste ore, ragionano al vertice del Pd, è che il Pdl è divenuto il vero avversario di Monti.
E ciò oggettivamente avvicina il professore allo schieramento che fa della «ricostruzione del paese» la sua bandiera.
Comunque vada, la prima cosa che farà  Bersani nel caso di vittoria sarà  sedersi al tavolo con Monti per decidere insieme come collaborare, «in quale ruolo lo deciderà  lui».
E’ chiaro però, tra le righe dei discorsi di molti dirigenti, che la corsa al Colle più alto potrebbe complicarsi alquanto se il professore diventasse una controparte alle elezioni.
«Ma come fa in 15 giorni a organizzare una sua lista? », è la domanda ricorrente.
«Dovrebbe appoggiarsi ad un partito già  esistente. E che interesse può avere a mettersi nelle mani di un leader di minoranza, sapendo che, se sta fermo, da chi vincerà  avrà  un riconoscimento istituzionale?».
Dall’ala sinistra, qualche resistenza a far diventare Monti «il santino di Bersani in campagna elettorale» viene dai «giovani turchi».
Matteo Orfini fa notare come «i limiti del governo Monti li abbiamo indicati anche noi, nutriamo rispetto per ciò che ha fatto, ma ora serve altro.
E non c’è un buon clima nel paese, oltre ai sondaggi sul governo che sono in caduta libera…».
Per quel che riguarda Renzi, il leader si augura che partecipi alla prossima riunione di Direzione prima di Natale e che spenda il suo volto e la sua verve in campagna elettorale.
E anche i più acerrimi avversari interni sperano di vederlo nei talk show e in giro a fare comizi, «lo dobbiamo coinvolgere e lui si deve fare coinvolgere e dimostrare il suo valore aggiunto… ». Ma l’impresa si presenta ardua e la freddezza nei rapporti è dimostrata dal fatto che in tutti questi giorni Bersani non abbia ancora chiamato Renzi.
Mercoledì riunirà  i segretari regionali per decidere come fare le primarie per i parlamentari.
E Orfini, che è uno dei giovani della segreteria, mette subito le mani avanti: «Devono essere vere, tutti i parlamentari uscenti e i dirigenti le devono fare, senza tutelare le correnti con le quote o altre furbate. Se il 20% delle liste verranno decise centralmente, devono essere posti per la società  civile o per eventuali esponenti del governo da candidare…».

Carlo Bertini

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IN SICILIA E LOMBARDIA IL PD COSTRETTO AD ALLEARSI CON IL CENTRO

Dicembre 11th, 2012 Riccardo Fucile

I 17 PREMI REGIONALI AL SENATO SARANNO L’AGO DELLA BILANCIA PER CONQUISTARE O MENO UNA MAGGIORANZA SOLIDA

Ora che le elezioni sono più vicine – e il voto con il «Porcellum» è una quasi matematica certezza – la coalizione che è in testa ai sondaggi (Pd-Sel) si misura concretamente con i 17 premi regionali previsti dalla legge Calderoli per il Senato: sarà  infatti l’esito dello scrutinio di Lombardia, Veneto e in Sicilia a fare la differenza al fine di determinare una maggioranza autonoma dell’alleanza Bersani-Vendola anche a Palazzo Madama.
Secondo i calcoli di Roberto D’Alimonte – il professore di Scienza della politica che propone le sue analisi sul «Sole 24 ore» – lo scenario che si apre prevede una quasi certezza per il voto della Camera (Pd-Sel vincono e conquistano il 54% dei seggi) e due incognite per quello del Senato.
A Palazzo Madama, la lista (o le liste) dei progressisti sarà  maggioranza in aula a due condizioni: vincere in tutte le Regioni, ovviamente, oppure perdere bene in Lombardia e in Veneto.
«Perdere bene – spiega D’Alimonte – significa arrivare secondi da soli senza che nessun altro partito e/o coalizione superi lo sbarramento dell’8%».
In questo caso – in Lombardia e in Veneto vince il blocco Pdl-Lega, mentre quello Pd-Sel arriva secondo e tutti gli altri restano sotto lo sbarramento dell’8% – Bersani e Vendola avrebbero lo stesso la maggioranza al Senato con 169 seggi.
E se la sconfitta al Senato si estende anche alla Sicilia, la maggioranza dei progressisti scende a quota 165, sempre sopra la soglia dell’autosufficienza.
Tutto cambia, invece, se – come è prevedibile – nelle tre Regioni-chiave (Lombardia, Veneto e Sicilia) la coalizione Pd-Sel perde e deve dividere il «premio di consolazione» con il Movimento 5 Stelle e con il Polo di Centro.
In quel caso, i calcoli di D’Alimonte dicono che Bersani e Vendola non avrebbero più la maggioranza in Senato: 155 seggi (3 sotto la soglia di sopravvivenza) e addirittura 146 se le cose si mettono male anche in Sicilia.
Ecco allora che le simulazioni con i meccanismi previsti dal «Porcellum» fanno porre una domanda allo stesso D’Alimonte: «Quando le coalizioni erano due abbiamo avuto scenari differenti: nel 2006, una maggioranza molto risicata di Prodi al Senato mentre nel 2008 la vittoria di Berlusconi ha determinato un margine di vantaggio molto più consistente per Pdl e Lega a Palazzo Madama. Bene, cosa succede ora che il “Porcellum” è sempre lo stesso ma le coalizioni potrebbero essere 3 o addirittura 4?».
La partita è troppo importante per non tentare anche qualcosa di inedito.
Come avvenne nel ’94, quando con il «Mattarellum» Berlusconi si alleò con Bossi al Nord e con Fini nel resto d’Italia, oggi il polo Bersani-Vendola e quello rappresentato da Casini potrebbero marciare separati a livello nazionale ma escogitare alleanze regionali mirate.
Il fine sarebbe quello di non rischiare brutte sorprese in quelle che D’Alimonte chiama le «battlegrounds regions», mutando un termine usato per le campagne elettorali negli Usa.
«Dunque – argomenta infine il professore – la domanda è la seguente: tra le maglie del “Porcellum” c’è spazio per queste alleanze variabili da Regione a Regione? Per il premio nazionale della Camera certamente no, ma per i 17 del Senato la legge non vieta esplicitamente le alleanze limitate ad alcune regioni. Di sicuro, su questo punto il “Porcellum” è ambiguo e lascia spazio a diverse interpretazioni».
Resta da vedere, però, se la soluzione tecnica di alleanze a geografia variabile su base territoriale porta con sè anche quella politica.
Che in ogni caso deve colmare le distanze, considerevoli, tra Vendola e Casini.

(da “il Corriere della Sera”)

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