Settembre 10th, 2013 Riccardo Fucile
ECCO TUTTO QUELLO CHE PUO’ ACCADERE
Augello amico o nemico di SB (Silvio Berlusconi)?
Augello abile avvocato o sprovveduto relatore?
Un Augello che sopravvive o un Augello che chiude la partita in quattro ore di relazione? Augello ha azzeccato la mossa giusta o ha precipitato se stesso e il Pdl verso la crisi?
Un fatto è certo. Comunque avesse parlato Augello, niente avrebbe fermato, o potrebbe fermare domani, e nei prossimi giorni, o nelle prossime (poche) settimane, il cammino della decadenza in giunta.
Per una semplice ragione. SB si può salvare solo se la legge Severino cade.
Se la legge sopravvive a se stessa, SB chiude la sua storia di senatore. E quella di futuro parlamentare.
Se vince la Severino, Berlusconi perde.
Il teorema è matematicamente semplice, ma anche drammaticamente chiaro.
Per capirlo – contro ogni regola storico-giornalistica – partiamo dalla previsione di cosa accadrà stasera alle 20, anzichè cominciare dalla cronaca di ieri.
Che succede se il Pdl diserta la seduta per fermare la giunta?
Accade solo che la giunta va avanti senza quelli del Pdl. Il numero legale è garantito dalla metà più uno dei componenti. Pd-M5S-SeL-Sc fa 14 contro 9. Quindi non c’è storia.
Che succede se la nuova maggioranza (Pd, M5S, Sel, Sc) boccia le tre pregiudiziali di Augello?
Non ci sono dubbi su come andrà a finire stasera. Le tre proposte del relatore Andrea Augello saranno stoppate. Tutte e tre assieme. In un colpo solo. Per mano della nuova maggioranza dopo una brevissima discussione. Ciò vorrà dire che la legge Severino ha passato il suo primo vaglio parlamentare. Che una giunta per le elezioni e immunità , nel pieno delle sue funzioni, ha stabilito dopo un voto non risicato, nè di stretta misura, che la legge è applicabile. Che non deve fare alcun tagliando. Nè in Europa, nè in Italia. Di più, quel voto vorrà dire che la giunta non è titolata a promuovere quei ricorsi.
E dopo questo en plein la Severino sarà sdoganata e acquisterà la forza per contrapporsi a SB e per determinare il suo allontanamento dal Senato?
Dopo 40 giorni di discussione sui pregi e sui difetti della Severino, sulla sua negata costituzionalità , tutto svanirà come in un bolla di sapone e si andrà a discutere del caso concreto, di SB e della sua decadenza.
Ha fatto la mossa giusta Augello nel presentare le tre pregiudiziali? Era un passo obbligato? O poteva farne a meno e andare direttamente alla proposta sulla decadenza?
Diciamo la verità . In questi giorni, chiamando Augello, lo si sentiva rispondere nel seguente modo: «Io sono il relatore. Quindi non posso ignorare quanto sostiene la difesa. Devo tenerne conto». Il punto è qui. Se Augello fosse stato del Pd, e non del Pdl, forse avrebbe potuto buttare nel cestino tutti i dubbi di SB sulla Severino. Quelli dei costituzionalisti. Quelli dello studio Ghedini contenuti nel ricorso a Strasburgo. Quelli del Pd dicono che «Augello ha fatto l’avvocato difensore di SB».
Il Pdl ha fatto i complimenti ad Augello?
Non se ne ha notizia.
Quali sono i tre argomenti forti di Augello?
Il relatore porta sentenze per provare che la giunta è un “giudice” e può sollevare questioni di costituzionalità . Cita articoli della Costituzione (10) per dire che la Severino li viola. Cita le norme Ue per dimostrare che la legge è in contrasto e deve essere rinviata in Lussemburgo.
Ci sono nella relazione frasi di Augello filo- SB?
Di sicuro c’è un’impostazione che agevola la difesa di SB. Pur se punteggiata da ricorrenti espressioni come «sforzo effettuato con lealtà ». Da segnalare questo passaggio: «Il relatore si rende perfettamente conto che esigenze e pressioni di tipo politico incombono su ciascun componente della giunta e questo non giova alla serenità delle valutazioni». Passaggio importante: la Severino è come l’interdizione, quindi va considerata come conseguenza penale, quindi non può essere retroattiva.
La sua scelta strategica comporterà un’accelerazione o una decelerazione sulla decadenza di SB?
Nei fatti l’impostazione di Augello accelera la decadenza. Per due motivi. Innanzitutto mette in mostra e consolida la maggioranza Pd-M5S-Sel- Sc. Poi fa precipitare subito il voto.
Augello farà ancora il relatore o sarà costretto a lasciare l’incarico dopo il voto sulle pregiudiziali?
Durante il suo discorso Augello ha detto: «Non sono un uomo per tutte le stagioni. Se mi bocciate mi dimetto». Il vice presidente Pdl Giacomo Caliendo lo ha interrotto con un «poi vedremo, poi vedremo». Quando è uscito dalla giunta Augello ha cambiato idea: «Potrebbero chiamarmi a fare una proposta conclusiva che porterebbe a un voto e ad aprire la procedura di contestazione». Quindi Augello pensa di superare il no alle pregiudiziali, ma la maggioranza è del parere opposto, lo vuole bocciare già oggi e sostituirlo con un altro.
Perchè su tre pregiudiziali è possibile fare un solo voto?
È stato il presidente Dario Stefà no a stroncare il dibattito. «Se ci sono delle pregiudiziali si applica l’articolo 93 del regolamento del Senato che prevede un solo voto». Ira furibonda di Caliendo: «Non scherziamo, quello riguarda gli ordini del giorno». Protesta isolata. Si va avanti così.
È vero che l’obiettivo del Pdl è prendere tempo solo per agganciare la Corte di appello sull’interdizione, e a quel punto non ricorrere in Cassazione e strappare la grazia a Napolitano?
È un dubbio che da ieri serpeggia in giunta. Ma i tempi non sono compatibili. Se la maggioranza oggi vota le pregiudiziali, poi nomina un altro relatore e dà a SB due settimane per la sua difesa, siamo a fine settembre e tutto si può chiudere in una settimana. Certo, poi manca il voto dell’aula. E ci si arriverebbe proprio mentre a Milano si riunisce la Corte di appello.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Settembre 10th, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI ATTENDERà€ UN PAIO DI GIORNI PER CAPIRE DOVE VA LA GIUNTA, POI HA PRONTO “L’11 SETTEMBRE” DEL GOVERNO LETTA: “IL COLLE NON CI HA GARANTITO”
I falchi del Pdl non stanno nella pelle, dalla gioia.
Eppure ieri non doveva essere il loro giorno. Le colombe sono state in volo, sembrava con profitto, per tutto il giorno: “Vedrete, la giunta prenderà tempo fino al 19 ottobre”.
Cioè, fino all’udienza della corte d’Appello di Milano per rideterminare la fatidica interdizione per la condanna Mediaset, altra notizia di ieri.
Il vento è cambiato nel tardo pomeriggio, all’imbrunire, quando dalla giunta di Palazzo Madama non è arrivato alcun segnale “morbido” dal Pd.
Trafelato e sempre al telefonino, alla Camera, il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, colomba di rango, è diventato scurissimo in volto.
Ironia della sorte, è stata un’altra colomba, Renato Schifani, capogruppo del Pdl al Senato, a dare l’ennesimo ordine di guerra, che potrebbe essere quello decisivo: “Se si vota domani (oggi per chi legge, ndr) il governo è finito”.
Schifani si pronuncia che già sono le venti passate.
Dopo due ore di inferno sul filo del telefono. Tra Arcore e Roma.
Il Cavaliere infatti continua nel suo esilio volontario a villa San Martino con la fidanzata Francesca Pascale e il loro barboncino Dudù.
Dovrebbe tornare mercoledì a Roma per l’assemblea dei gruppi parlamentari, convocata ieri. Non solo. Potrebbe intervenire in extremis a Controcorrente , alla festa del Giornale a Sanremo, oppure decidere di mandare in onda il noto videomessaggio preparato una settimana fa.
In ogni caso, l’obiettivo rimane uguale: rompere tutto.
Nelle telefonate di Berlusconi con Schifani e soprattutto Angelino Alfano, vicepremier nonchè segretario del Pdl, la rabbia è diventata letale, tremenda dopo aver preso atto del tradimento del Pd sulla strategia del rinvio.
La promessa, se non il patto, c’era. A dire proprio delle colombe: “Il Pd si era impegnato ad ascoltare con attenzione le nostre ragioni”.
Era l’accordo per atteggiamento “morbido”. Conclusione: “Adesso si fottono”.
Loro, quelli del Pd. E implicitamente il garante supervisore Giorgio Napolitano, che potrebbe rispondere a un’eventuale rottura di B. con un altro messaggio tv, a reti unificate.
Insomma, la situazione appare seria e tragica. Per quanto riguarda i tempi della crisi, il Cavaliere aspetterà il voto della giunta, tra stasera e domani mattina.
A quel punto, l’onere di ribaltare tutto, spetta a lui.
Il momento della verità , al culmine di un’estate in bilico tra ultimatum e trattative disperate. Quest’ultime hanno finito per mettere in campo, di fatto pubblicamente, persino Fedele Confalonieri, a dimostrazione del ventennale conflitto d’intessi di cui il Paese è stato ed è prigioniero.
Ad Arcore, lo sfogo di B. è stato violento: “Questo è un omicidio politico. Basta, il Pd non ha mantenuto quello che aveva promesso. È chiaro che puntano alla rottura”.
I falchi, appunto, gongolano: “È la dimostrazione che Napolitano e Pd non hanno mai garantito nulla e lo stanno portando al macello”.
O alla camera a gas, per dirla con la colomba Schifani.
Tornano, quindi, gli scenari legati al voto in ottobre, con Berlusconi che fa campagna elettorale dagli arresti domiciliari.
I figli, però, continuano a consigliargli prudenza. La loro linea è quella di evitare il crollo dell’impero aziendale, qualora con il padre carcerato in casa possa iniziare un assalto alla “roba”.
Rischio che ha tenuto banco nelle scorse ore, più del destino politico del leader del centrodestra.
Per Marina, la primogenita, la priorità è un passo indietro del papà e poi la richiesta di grazia. Ma anche sulla grazia, per “l’agibilità personale”, distinta da quella “politica”, Berlusconi non ha grandi speranze dopo il segnale di ieri: “A questo punto chi mi assicura che Napolitano dica sì?”.
Se tutte le previsioni più fosche troveranno conferma tra oggi e domani nella giunta per le elezioni del Senato, allora il governo di Enrico Letta sta preparando il suo Undici Settembre, che cade domani.
L’ammissione delle colombe sulle promesse non mantenute del Pd conferma che c’è stata e ci sarà una trattativa fino all’ultimo minuto utile.
Poi, quando B. deciderà di parlare sarà chiaro che si tratterà dell’ultimo atto della stagione delle larghe intese. Se verrà un altro governo, al posto delle urne anticipate, sarà diverso da questo. Per saperlo è questione di poco.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 10th, 2013 Riccardo Fucile
SCAMBI DI ACCUSE E TEORIE DEL COMPLOTTO
«Non fu così nemmeno vent’anni fa, quando là dentro c’era Giulio Andreotti…».
Il funzionario dell’Archivio di Stato non sa più a chi dare i resti, sale e scende le scale, chiude e apre i cancelli e gli tocca persino rassicurare una studiosa che si informa sulle uscite di sicurezza del Palazzo, ossessionata dal terrore di «fare la fine del sorcio».
Dalle due del pomeriggio e fino alle otto di sera, il cortile del Palazzo della Sapienza, che ospita la giunta delle Elezioni, è un circo di provincia.
C’è la troupe tedesca e quella coreana, c’è la turista olandese e l’indiana con sari verde-oro, c’è la teutonica che sventola un girasole lungo un metro e l’archivista marxista dichiarato: barba e pipa, cappellaccio di paglia con gli occhiali posizionati sopra alla falda, indossa una t-shirt accalappia-fotografi, con cui si è presentato spavaldamente in ufficio. C’è scritto «Berlusconi facci il miracolo. Sparisci».
Berlusconi non c’è, ma il circo è tutto in suo nome.
Turisti che arrivano per la cupola del Borromini e rimangono lì per ore a godersi lo spettacolo. Perchè, come dice in inglese l’inviato coreano, «mister Berlusconi fa notizia in tutto il mondo». La farsa del chiodo-scaccia-chiodo comincia prima delle tre, ogni senatore che arriva si prende un pezzetto di scena, ma appena ne appare uno più famoso il predecessore deve cedere il passo davanti ai riflettori.
«Annamo!». Il grido degli operatori, la ressa, gli spintoni e gli insulti dicono che è arrivato Andrea Augello.
Il relatore, Pdl, si presenta zaino in spalla, gravato dal peso delle segretissime ottanta cartelle che leggerà , prendendosi 250 minuti, davanti alla giunta.
Ai giornalisti che lo assaltano spiega che il suo ruolo non gli consente di proferir parola («sono obbligato alla riservatezza, non posso dire proprio nulla»), ma otto minuti dopo è ancora lì che parla.
E quando decide che è ora di imboccare la porta sbaglia entrata, torna indietro e percorre a ritroso l’intero portico, tallonato da cronisti, cameramen e fotografi: «Ancora qui? Guardate che sono sempre io… Non è che c’ho un lato migliore!»
Lo spettacolo è fuori, all’ombra della vertiginosa cupola con cui il Borromini sigillò la chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, capolavoro barocco la cui pianta rappresenta il sigillo di Salomone e sintetizza il pensiero ermetico e massonico.
I 23 senatori della giunta arrivano uno alla volta, come per una regia mediatica occulta e perfettamente orchestrata.
Ecco il Pdl Lucio Malan, di fede valdese e berlusconiana.
Più biondo che mai, incappa in una troupe italiana che per tre volte, accampando problemi tecnici, gli chiede di ripetere il copione dell’entrata in scena: «Replay senatore, replay».
Ma chi c’è in fondo al pozzo, inghiottita dagli operatori dell’informazione?
È Stefania Pezzopane, assillata dalla ex Iena Alessandro Sortino che le fa impietosamente il verso: «È evidente, è evidente, è evidente… È evidente senatrice che siete al governo con Berlusconi…». E lei, che è piccola ma tosta: «Stare al governo con Berlusconi non significa mancare di rispetto alla legge».
Non è il suo momento fortunato, per la democratica che fu presidente della Provincia de L’Aquila. Arriva un commesso: «Senatrice si deve spostare, blocca l’ingresso».
Poi un tipo cha ha in odio il Pd e sfoggia tatuaggi da paura la bracca minaccioso: «Lo sa che avete un debito coi cittadini? Io sono Roberto 26854, se lo ricordi bene questo nome».
E il numero, cos’è? «La mia data di nascita. Io non sono Paolini che mi metto dietro alle telecamere, io porto il Duce al braccio»
Benedetto Della Vedova, ex radicale ora in Scelta civica, strappa qualche secondo di diretta in più difendendo la legge Severino ed evocando Lusi, Belsito e Fiorito: «Senza quella riforma, che io ho votato, sarebbero candidabili pur avendo fatto le cose che hanno fatto».
Perchè adesso corrono tutti?
C’è il grillino Vito Crimi, il quale però viene subito piantato in asso per l’arrivo del pd Felice Casson, che attaccherà duramente Augello in giunta: «Il relatore non ha adempiuto al suo dovere di presentare una relazione con proposte pro o contro la decadenza».
Ma ecco che rispunta Malan. Clima di battaglia, senatore? «A sentire da certi toni di prima direi di no. Cioè sì. Ma vedremo… Io spero di no». L’aria è quella delle grandi occasioni. I commessi hanno coperto le transenne con un drappo rosso cardinale, ma devono reggerle in quattro perchè non vengano giù per gli spintoni dei reporter quando arriva Dario Stefano. Presidente, come andrà a finire? Lo scopriremo solo vivendo, perchè l’esponente di Sel concede appena un sorriso infastidito.
Dentro, in giunta, è muro contro muro. Chi parla di trappole e chi fiuta complotti.
Nel magnifico chiostro invece si bivacca, si staziona (anche in ciabatte), si mangia il gelato, si stressano i palmari, si corre e si assiste allo spettacolo dall’alto, dal secondo ordine di archi.
Si disegna, pure, come fanno alcune giovani bellezze bionde di una scuola d’arte arrivata dal Nord. Scatta un applauso.
Hanno deciso? Berlusconi è decaduto? Ma no, era un tributo del gruppetto turistico per quel genio che fu il Borromini.
E quella signora anziana che interroga i giornalisti? È una elettrice del Pd, vuole solo assicurarsi che il suo partito «non faccia scherzi allungando troppo il brodo».
Ed è a questo punto che sul proscenio appare Pier Ferdinando Casini. Ha appuntamento per un collegamento tv, entra col suo passo lungo nel cortile e viene assaltato: «Presidente, presidente…».
Lui si volta e se ne va, diretto verso l’ingresso del Senato. I giornalisti che lo pedinano vogliono sapere se cadrà il governo o decadrà Berlusconi, ma lui tira dritto senza scucire verbo e s’infila nel portone di Palazzo Madama.
«Tanto era venuto solo per farsi inquadrare», commenta un reporter deluso.
Che accade? Chi è finito nel «pozzo» della stampa? Questa volta l’oggetto del desiderio non è un senatore, ma la relazione «segreta» di Augello.
«L’ho stampata da Internet – dice candidamente un cronista, mentre i colleghi gliela strappano di mano – non sapevo che fosse una cosa tanto preziosa».
Riappare Giarrusso: «Augello legge troppo lentamente. Cercano di salvarlo assopendoci tutti?».
Ma ecco che torna in scena Enrico Buemi, il senatore che ha preso il posto di Ignazio Marino. Per lui è il secondo one-man show della giornata.
Con una botta di orgoglio socialista ricorda che Craxi si dimise da segretario dopo la condanna e trova persino il tempo di parlare di quante rondelle di acciaio faceva quando era operaio. Sono le 15.18 e i lavori non sono ancora iniziati.
Un commesso del Senato alza le braccia: «La convocazione era per le tre, ma siamo in Italia, no?». Sono entrati in ventidue, tranne Buemi che non si stanca di elucubrare.
L’unica cosa che non dice è come voterà : «La mia incertezza continua, miei cari…».
Ma alle sei della sera, quando spunta per l’ennesima volta sulla soglia e dichiara «ce la siamo guadagnata la giornata, perchè prima lavoravamo un giorno a settimana!», tra gli operatori e i fotografi scoppia la rivolta.
Una voce per tutte: «Mia moglie sono cinque anni che non lavora e lui, che prende 15 mila euro al mese, in tre ore si è guadagnato la giornata?».
Per Della Vedova, che l’ha vista dal di dentro, «sembrava di essere al cinema».
E stanotte, si replica.
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 10th, 2013 Riccardo Fucile
PER L’AGOGNATA PACIFICAZIONE TRA GUARDIE E LADRI
Non c’era miglior modo per solennizzare l’anniversario dell’8 settembre ’43, simbolo dell’Italia voltagabbana e opportunista: se 70 anni fa Real Casa e Badoglio si giocarono la faccia e il futuro con l’armistizio, il cambio di alleanza e l’immortale annuncio “la guerra continua”, ovviamente dalla parte opposta, anche oggi è tempo di sacrifici umani per garantire l’agognata “pacificazione”.
Non più fra italiani e angloamericani, ma fra guardie e ladri.
L’altro giorno Sallusti ha sferrato sul Giornale un attacco suicida a Napolitano che lo salvò dagli arresti forzando le regole e le prassi, mentre con B. ancora non l’ha fatto.
Ieri un altro kamikaze, Fedele Confalonieri, ha tentato di farsi esplodere sul Senato con un’intervista al sito di Magna Carta ripreso dal Pornale: “La prova che la condanna di B. è aberrante è che io, che sono quello che firma i bilanci Mediaset, sono stato assolto”.
Ecco di cosa avranno parlato lui e Napolitano, nell’amorevole colloquio dell’altro giorno.
Naturalmente il disperato tentativo di immolarsi per l’amico Silvio è a costo zero (essendo già stato assolto, non può più essere riprocessato per lo stesso reato: ne bis in idem).
E addirittura controproducente: l’assoluzione di Confalonieri al processo Mediaset rafforza la condanna di B. e dimostra che i giudici non condannano alcuno perchè “non poteva non sapere” (“È fortemente plausibile” — scrive la Corte d’appello — che Confalonieri, per le sue cariche aziendali e la vicinanza a B. “fosse a conoscenza della frode e, violando i suoi precisi doveri, nulla abbia fatto” per fermarla; ma ciò non basta a condannarlo).
Non per questo il gesto del fedele Fidel è meno encomiabile e commovente.
Il novello Salvo d’Acquisto carica sulle sue spalle le colpe di Silvio (“prendete me”), subentrando nel ruolo di scudo umano a Paolo B., ormai inservibile dopo varie assoluzioni dai reati che invano confessava per conto del fratello finendo in galera al posto suo.
Alla nobile gara di solidarietà partecipa anche il pm veneziano Carlo Nordio, giocandosi quel che resta della sua credibilità aderendo come la carta moschicida alla tesi farlocca della non retroattività della Severino.
“Anche nella religione — sdottoreggia il giureconsulto lagunare — è così. È un po’ di tempo che la Chiesa dice: non pagare le tasse è un peccato mortale. Benissimo. Ora so che se non le pago vado all’inferno, ma da ora in poi. Non per quelle che non pagavo tanti anni fa”.
Già , un po’ di tempo. Quanti anni saranno che Mosè portò giù le tavole col VII comandamento “Non rubare”? Qualche mese, non di più.
Intanto Scalfari sfida le ire dei suoi lettori con l’affettuoso invito all’ex nemico B. perchè “chieda un provvedimento di clemenza”, nel qual caso “forse l’otterrebbe” dal suo amico Napolitano (suo di B. e di Scalfari).
A patto — si capisce — che “assicuri il percorso del governo per il tempo necessario” (a chi? Soprattutto a B. per farla franca e a Napolitano per non doversi dimettere).
E ci aiuti a liberarci della vera piaga che ammorba il Paese: “la sinistra movimentista e para-grillina” che vorrebbe “buttare giù il governo e andare alle elezioni”, col rischio che nemmeno stavolta diano l’esito sperato e costringano chi di dovere a un nuovo golpetto tipo Egitto.
Molto meglio un bell’armistizio, a suggello della trattativa Stato-Mediaset.
Seguirà monito para-badoglino: “Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’ìmpari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Berlusconi, comandante in capo delle forze alleate di Mediaset-Fininvest-All Iberian.
La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze Mediaset-Fininvest-All Iberian deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
Firmato: Badoglitano.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 10th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER VUOLE ROMPERE GIA’ DOMANI
Prendere o lasciare, il suo salvataggio o la crisi di governo.
«Vogliono il mio scalpo, al pari dei magistrati: piuttosto faccio saltare il tavolo, non mi fanno fuori così». Silvio Berlusconi è un fiume in piena.
La convulsa e temuta giornata segnata dall’apertura e dall’accelerazione dei lavori in giunta per l’immunità , dell’asse Pd-M5S foriero di chissà quali sviluppi futuri, precipita il leader in un catartico «Muoia Sansone con tutti i filistei».
I democratici diventano gli «amici dei pm».
Tanto più che poche ore prima la Corte d’Appello di Milano aveva alzato il sipario sull’interdizione, fissando la sentenza già per il 18 ottobre.
E allora tutto agli occhi del leader di Forza Italia è compiuto.
E anche il presidente Napolitano diventa il Ponzio Pilato che ha preferito «lavarsi le mani», rinnovare gli appelli alla responsabilità del Pdl piuttosto che «far ragionare» i dirigenti democratici. In mattinata ad Arcore fanno capolino il presidente Mediaset Fedele Confalonieri, poi il super dirigente e amico di una vita Bruno Ermolli.
Non è più tempo per inviti alla prudenza, il quadro pare compromesso anche a loro.
E così, quando in serata la giunta viene rinviata a stasera con la chiara intenzione dei democratici di bocciare le questioni pregiudiziali sollevate dal relatore Augello, l’ordine di Berlusconi ai luogotenenti romani è di minacciare perfino l’aventino, di disertare la seduta.
«Tanto hanno ormai deciso tutto». Qualche ora prima, del resto, da Villa San Martino era partita già la convocazione per domani alle 13 dell’assemblea dei gruppi parlamentari Pdl di Camera e Senato.
Era il tamburo di guerra fanno risuonare alla vigilia di una partito che appariva anche a distanza abbastanza compromessa. Nessuna scialuppa di salvataggio dagli alleati di governo, nessun aiuto dal presidente del Consiglio.
Quanto basta per una fedelissima a stretto contatto col capo quale Daniela Santanchè per sostenere prima di andare in onda a Piazza pulita che «oggi è il Pd ad aver aperto ufficialmente la crisi: è stata una gara tra loro, i grillini e i magistrati a chi avesse eliminato per primo Berlusconi ». E allora è Berlusconi a eliminare loro, il governo, l’inquilino di Palazzo Chigi.
«A Enrico Letta aveva garantito lealtà , ma è lui che è venuto meno ai suoi impegni, non può far finta che l’affare non lo riguardi» tuona un Cavaliere ormai a freni rotti
Sono le ore in cui i falchi, da Verdini a Capezzone a Minzolini, cantano vittoria.
Sono loro che, in contatto per tutto il giorno con Arcore, hanno «pompato» a sufficienza il capo: «Hai visto i magistrati di Milano, comunque tra un mese ti fanno fuori». Inutile restare a guardare. E sono loro a far rimbalzare voci sul profondo malessere dell’ex premier nei confronti dei ministri e di tutta l’area moderata che, con Angelino Alfano in testa, ha lavorato in queste settimane per favorire il dialogo. Per convincere il leader che non tutto era perduto.
Che esistevano ancora margini di manovra e di dialogo con una parte considerevole del Partito democratico. Perfino con il Quirinale.
«Ma se a prevalere è la linea di Casson, allora finisce male» si sbilancia perfino una colomba come Mariastella Gelmini.
In serata la crisi è un vortici che si avvita su se stesso. Circolano le voci più disparate.
Perfino quella di un Berlusconi intenzionato non solo a sparare a zero e a sancire la crisi già domani, in quella sorta di «mezzogiorno di fuoco» allestito al cospetto delle sue truppe parlamentari.
Ma anche di presentarsi a sorpresa alla festa del Giornale in corso a Sanremo per concedere l’intervista-bomba a porte aperte che ieri ha congelato e infine annullato, proprio in un estremo tentativo di salvare il governo e l’alleanza. Il video messaggio per le tv è stato già registrato, è il colpo in canna pronto da giorni.
Pochi minuti per segare il ramo dell’esecutivo sul quale anche lui e il suo partito stanno seduti. Dopo, se davvero lo strappo sarà consumato, sarà crisi al buio. I suoi più stretti collaboratori raccontano che il leader ne è consapevole.
Ma che ormai non gli interessa più nulla. Pretende fedeltà cieca dai suoi e da tutti, a cominciare dai ministri e dai sottosegretari, si attende la prova del fuoco proprio nell’assemblea convocata per domani.
Le dimissioni che sanciscano la fine dell’esperienza Letta. E infine quelle dei parlamentari Pdl, per «costringere» il capo dello Stato allo scioglimento del Parlamento al quale Napolitano non vorrebbe rassegnarsi, in assenza di una riforma elettorale.
L’indiscrezione pubblicata ieri dalla Velina rossa su un presidente della Repubblica pronto, in quel caso, a una dichiarazione pubblica pesantissima su chi si è reso responsabile della crisi, raccontano da Arcore, non ha fatto altro che avvelenare ancor più il clima.
Berlusconi all’angolo, ma da quell’angolo è pronto a consumare la sua ultima vendetta possibile. Far scattare il grilletto.
E poi sarà buio per tutti.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Settembre 10th, 2013 Riccardo Fucile
NELL’AUDIO INTEGRALE DELL’INTERVISTA DEL GIUDICE A “IL MATTINO” NESSUN RIFERIMENTO ALLA SENTENZA
Non c’è alcun riferimento diretto a Silvio Berlusconi e alla sua conoscenza del sistema illecito di acquisto dei diritti tv in Fininvest.
Nessuna domanda esplicita sulle motivazioni della sentenza Mediaset.
Ieri Piazza pulita ha mandato in onda nuovi stralci dell’audio integrale della telefonata tra il presidente della sezione feriale della Cassazione che ha condannato Berlusconi, Antonio Esposito, e il giornalista autore dello scoop dell’estate: Antonio Manzo de Il Mattino.
Esposito, anche nei nuovi scampoli di registrazione svelati ieri non anticipa mai il contenuto della motivazione che stava stendendo con i colleghi del processo Mediaset.
Al vecchio amico giornalista, il presidente si rivolge più con il tono del professore che con quello della ‘fonte’ in vena di rivelazioni.
Esposito spiega perchè il processo Berlusconi è stato assegnato alla sezione feriale e per dimostrare che non c’è stato alcun accanimento verso il leader del Pdl, ricorda a Manzo che nella stessa udienza erano state decise altre cause che si trovavano esattamente nelle stesse condizioni di quella di Berlusconi.
In realtà la registrazione integrale, acquisita dalla Procura Generale della Cassazione nell’ambito dell’istruttoria amministrativa avviata su richiesta del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, titolare dell’azione disciplinare, non è stata trasmessa nemmeno ieri.
La conversazione in tutto dura 34 minuti e tuttora, nonostante lo scoop di Piazza pulita, ne restano ignoti una trentina.
Il 6 agosto scorso, il quotidiano partenopeo aveva pubblicato l’intervista titolando: “’Berlusconi condannato perchè sapeva’”.
Dopo la smentita di Antonio Esposito, il quotidiano pubblicò sul sito internet una parte della telefonata: il minuto e mezzo relativo al passaggio cruciale sul ‘non poteva non sapere’.
Nella telefonata non c’era la domanda esplicita (presente invece nell’intervista de Il Mattino) sulla motivazione della condanna di Berlusconi.
Esposito aveva effettivamente detto le parole riportate tra virgolette, ma in risposta a un quesito diverso, non specifico sul caso Mediaset, ma generico sul principio usato in tante sentenze.
Ieri Piazza Pulita ha fatto ascoltare altri passi della telefonata.
Esposito ne esce indenne . Nessuna traccia di riferimenti espliciti alle motivazioni della condanna contro Berlusconi.
Il punto delicato sul quale si dovranno esprimere il Csm e la Procura Generale resta quindi sempre lo stesso: il giudice Esposito, quando parla di una motivazione futura da stendere si riferisce al caso Mediaset?
E, in ogni caso, siamo di fronte a una mancanza dal punto di vista disciplinare?
Per risolvere il dubbio, la Procura Generale ha chiesto al Mattino di consegnare l’audio integrale della telefonata.
E il direttore de Il Mattino Alessandro Barbano, che pure non ha mai pubblicato l’audio rinunciando a uno scoop,non ha esitato a consegnarlo ai magistrati.
La registrazione integrale potrebbe essere acquisita anche dal Csm dove è stata avviata lo scorso 5 agosto una seconda istruttoria nei confronti di Esposito da parte della prima Commissione.
Se Piazza Pulita ha pubblicato i passaggi più importanti, Esposito può dormire sonni tranquilli.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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