Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
NIENTE CUSTODIA CAUTELARE E INTERCETTAZIONI, UNA PENA DI 5 MESI E 10 GIORNI CON LA CONDIZIONALE: TUTTI GLI SCONTI CONCESSI AL PIÙ GRANDE FURTO IN ATTO ALLE TASCHE DEI CITTADINI ONESTI
A un certo punto ho capito che l’evasione fiscale era un crimine grave: 150 miliardi di euro in media all’anno non li rubano nemmeno tutte le rapine, i furti e le truffe messi insieme; quanto alle corruzioni, senza evasione fiscale non si potrebbero fare perchè non ci sarebbero i tesoretti riservati.
Però quasi nessuno dei pm miei colleghi aveva una gran voglia di occuparsene. Così ne radunai due o tre che erano interessati e cominciammo a studiare; e poi a lavorare. Eravamo a metà degli anni 80.
Nel mondo dei ciechi… sapete come si dice. Finì che, a furia di scrivere articoli e libri sul fatto che la legge penale-tributaria era tutta sbagliata, mi nominarono presidente di una commissione tecnica incaricata di scriverne una nuova.
Io non ero più tanto giovane nemmeno allora; ma stupido e ingenuo sì.
Così ci credetti e cominciai a lavorare. Ci impiegammo sei o sette anni (i governi cadevano e risorgevano come funghi e ogni volta si doveva ricominciare da capo) ma, alla fine, venne alla luce una legge coi fiocchi.
Era anche ovvio: in commissione eravamo magistrati, funzionari delle imposte, Gdf, avvocati, tutti del mestiere; se non lo sapevamo noi quello che si doveva fare per contrastare l’evasione…
Come metodo di lavoro adottammo le storie di vita vissuta; ce ne erano a migliaia ma, stringi stringi, appartenevano tutte a tre categorie: il “nero”, le fatture false e l’abuso del diritto (o elusione fiscale).
Poi gli avvocati insistettero per considerarne un’altra: la bugia pura e semplice. E da lì cominciarono i guai.
Tremila euro senza fattura per i lavori al bagno del pensionato
Io raccontai la storia dell’idraulico. Allora, c’è un idraulico che viene incaricato di rifare un bagno nella casa di un pensionato. Presenta un preventivo, lo discute con il suo cliente e alla fine si accordano: 3.000 euro.
A lavoro fatto arriva il momento di pagare. “Con fattura o senza?”, dice l’idraulico. “Che differenza fa — dice il pensionato — abbiamo stabilito 3.000 euro”.
“Sì, ma con fattura c’è l’Iva, 600 euro. Capisci, debbo annotare la fattura in contabilità e a questo punto l’Iva va versata”. “Ma così io debbo pagare 3.600 euro!”. “Eh, che ci posso fare. Certo, se mi dai contanti, io non ti faccio la fattura, non devo versare l’Iva, 3.000 euro avevamo detto e 3.000 sono”.
Non gli dice che non pagherà nemmeno l’Irpef, hai visto mai che il pensionato gli chieda uno sconto.
“Niente fattura — dice il pensionato — Passa domani per i primi mille euro in contanti”. Rapido calcolo sull’ammontare globale dell’evasione: 600 euro di Iva e 900 di Irpef (ipotizzando un’aliquota del 30%). L’idraulico ha fregato allo Stato 1.500 euro.
Come lui, milioni di artigiani, commercianti, professionisti, piccoli e medi imprenditori, ogni giorno evadono con lo stesso elementare sistema; alla fine dell’anno questo popolo dell’Iva sottrae allo Stato (secondo Corte dei Conti, Eurispes, Agenzia delle Entrate) dai 100 ai 120 miliardi di euro.
In effetti è un fenomeno preoccupante. Ok — dissero gli avvocati — ma consideriamo il nero dei lavoratori dipendenti che fanno anche loro gli idraulici, o gli imbianchini o i giardinieri. A questi non gli facciamo niente?
Bè sì, ma prima di tutto è un fenomeno assai meno grave: vuoi mettere un avvocato o un dentista con un operaio in cassa integrazione che arrotonda? E poi l’evasione delle partite Iva è più difficile da accertare, loro hanno una contabilità che fa fede fino a prova contraria se tenuta regolarmente; e l’omissione delle fatture non è facile da scoprire,ci vanno indagini bancarie oppure controlli incrociati sugli acquisti, nel caso dei commercianti.
Va bene — dissero gli avvocati — prevediamo due reati di evasione: la dichiarazione infedele, punita fino 3 anni, per quelli che si limitano a presentare una dichiarazione falsa (il nero degli operai in cassa integrazione, pensa tu se bisognava costruire un reato per gente così!); e la frode fiscale, punita fino a 6 anni, per quelli che supportano la dichiarazione falsa con artifici: contabilità e documenti falsi, cose del genere. Litigammo per un paio di mesi; poi dal ministero arrivò il diktat: due reati di dichiarazione, l’infedele e la fraudolenta.
Era già pronto il trabocchetto per indebolire la legge
Dovevo capirlo che stavano preparando un trabocchetto; ma — come ho detto — ero molto stupido. E poi una dichiarazione fraudolenta punita fino a 6 anni permetteva la custodia cautelare e le intercettazioni telefoniche: mi sembrò comunque un buon risultato.
I poveracci — pensai — si beccheranno sei mesi con la sospensione condizionale della pena.
Il nostro progetto finì in Parlamento. E lì gli evasori fiscali giocavano in casa.
Il nero delle partite Iva rimase frode fiscale, come no.
Però, perchè si potesse parlare di frode, occorrevano “artifici”; e, disse il Parlamento sovrano, non è poi detto che la violazione degli obblighi di fatturazione e registrazione sia da considerare sempre mezzo fraudolento: bisogna considerare le sue particolari modalità , la sistematicità , le circostanze di contorno che eventualmente le conferiscano una particolare “insidiosità ”.
Insomma, non basta creare una contabilità falsa omettendo fatture, ricevute, parcelle e dunque omettendo l’annotazione di quanto percepito: occorre qualcosa in più.
Cosa, non si sa. Che resta da fare al professionista che, dopo il quinto cliente, comincia a farsi pagare in contanti e non emette fattura? Mah.
Da allora gli idraulici evadono in pace. E anche il resto del popolo dell’Iva.
Se li beccano, solo “dichiarazione infedele” è. Niente custodia cautelare, niente intercettazioni, pena piccolina (la tariffa è 5 mesi e 10 giorni con la condizionale). Pensate che un ladruncolo che si frega un navigatore da una macchina si prende come minimo un anno.
Naturalmente ci restammo tutti un po’ male (ma non gli avvocati). Quello che mi dette da pensare per molti mesi fu che questo bel regalo agli evasori non lo avevano fatto Berlusconi&Co.
Il decreto legislativo 74/2000 venne emanato da un governo presieduto da Massimo D’Alema, con ministro delle Finanze Vincenzo Visco e ministro della Giustizia Oliviero Diliberto. Da allora cominciai a essere meno stupido.
L’autore è stato magistrato dal 1967 al 2008. Tra il 1992 e il 2000 è stato presidente di tre commissioni ministeriali per l’elaborazione di una nuova legge penale tributaria per sostituire la 516/82; il Parlamento italiano approverà la nuova legge con modifiche tali da snaturarne completamente l’impianto, sì da renderla del tutto inefficiente.
Bruno Tinti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
ATTIVITà€ FINANZIARIE, IMMOBILIARI E ALTRI INVESTIMENTI “COPERTI” AMMONTANO ALMENO A 104,5 MILIARDI DI EURO… LA LEGGE DEL 2010
Tra il 2012 e il 2013 — secondo la Confcommercio — sono stati sottratti al Fisco 272 miliardi l’anno. 
Il sommerso vale il 17,4 per cento del nostro Prodotto interno lordo del biennio preso in considerazioni.
“Penso che in Italia esista un’evasione di sopravvivenza”, ha ammesso quattro mesi fa Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle entrate. Non v’è dubbio.
Il punto è però un altro: è l’evasione in grande stile che, in Italia, sopravvive benissimo. E da decenni.
Basti analizzare — come vedremo — in che modo è stato congegnato lo “scudo fiscale”
È certo che la Guardia di finanza, per esempio, dispiega le sue forze per arginare il fenomeno: 2.523 interventi nel 2012 — dati di una relazione parlamentare — con conseguente recupero di 7,2 miliardi.
E ancora: 8.617 evasori fiscali individuati, sempre nel 2012, con un incremento del 15 per cento rispetto al 2011.
Nel 2012 le fiamme gialle hanno eseguito 101.484 verifiche e oltre 650 mila controlli strumentali individuando oltre 56 miliardi di basi imponibili non dichiarate e 4,8 miliardi di Iva dovuta e non versata.
Ma c’è il rovescio della medaglia: non basta scoprire l’evasione, è necessario recuperarla, e gli accertamenti dell’Agenzia delle entrate dimostrano che il complesso di imposte evase ma non riscosse — e chissà se mai riscuotibili — ammonta a ben 545 miliardi
Uno studio Istat del 2010 — relativo al 2008 — quantificava il sommerso economico tra i 255 e i 275 miliardi di euro, cioè tra il 16,3 e il 17,5 del Pil: una lieve flessione, rispetto al 2000, quando s’attestava tra i 217 e i 228 miliardi, variando tra il 18,2 e il 19,1 del Pil.
Ma torniamo al 2012: “Il recupero dell’evasione — sostiene una relazione presentata dal premier Enrico Letta e dal ministro delle Finanze Maurizio Saccomanni — ha comportato riscossioni per 12,5 miliardi, consolidando il dato del 2011, con un aumento dell’80 per cento negli ultimi 5 anni: nel 2008 ammontavano a 6,9 miliardi”. E ancora: “L’attività di controllo svolta nel 2012 dall’Agenzia delle entrate ha conseguito una maggiore imposta di 28,6 miliardi con 741.331 accertamenti”.
C’è poi lo strumento del nuovo redditometro, per individuare eventuali evasori analizzando il reddito e le loro spese, che ormai racchiude cento voci di spesa racchiuse nelle macro-categorie di “Consumi generi alimentari, abbigliamento e calzature”, “abitazione”, “combustibili ed energia”, “mobili, elettrodomestici e servizi per la casa”, “sanità ”, “trasporti”, “comunicazione”, “istruzione”, “tempo libero, cultura e giochi”, “altri beni e servizi” e “investimenti”.
Un controllo capillare per cittadini nella media che stride, però, con la “riservatezza” destinata ai grandi evasori con lo scudo fiscale del 2010.
E vediamolo con gli occhi di uno studio stilato — senza alcuna retorica e molto duramente — da Fabio Di Vizio, sostituto procuratore del tribunale di Pistoia
Anche in questo caso partiamo da alcuni dati: dal 15 settembre 2009 al 30 aprile 2010 sono state presentate 206.608 “dichiarazioni riservate delle attività emerse”: parliamo dello “scudo fiscale” che ha portato a “scudare” attività finanziarie, immobiliari e altri investimenti per 104,5 miliardi di euro.
E Di Vizio commenta: “Il dato ministeriale parrebbe evocare un rientro fisico in Italia di attività (già ) estere per oltre 100 miliardi. Parrebbe, perchè in realtà la maggior parte delle risorse ‘rimpatriate’, sono rimaste esattamente là dove si trovavano. Ammesso che là si trovassero e si trovino, circostanza non scontata e non verificabile”.
Insomma: lo Stato non s’è dato gli strumenti per verificare.
Ben 179 mila persone — con una media di 400 mila euro ciascuno — hanno ‘scudato’ senza “l’obbligo di documentare la provenienza, l’esistenza e la preesistenza delle attività ”.
La metà — il 50,3 per cento — ha adottato il “rimpatrio giuridico”, che consente di mantenere all’estero le attività finanziarie scudate, “affidate a fiduciarie presso Stati extracomunitari non collaborativi e addirittura non equivalenti in termini di anti-riciclaggio”.
E quindi “senza nessuna possibilità concreta di controllo circa l’esistenza, l’entità , il periodo di accumulazione e l’origine dei fondi”
E ancora: “Nei Paesi dove il dato è stato suscettibile di controllo giudiziale, alla data del 31 dicembre 2008, molte delle somme ‘scudate’ non erano detenute all’estero. Vi hanno trovato rifugio solo dopo l’inizio dello ‘scudo’. Ed è facile immaginare cosa può essere avvenuto nei Paesi dove non opera alcuno scambio d’informazioni fiscali e non v’è stata occasione di indagine penale”.
È facile immaginare — cioè — che quei soldi, all’estero, non vi siano mai stati.
E Di Vizio conclude: “Sono state confuse, se non precluse, verifiche fiscali e penali proprio nei confronti di coloro che hanno commesso in passato violazioni fiscali, plausibilmente i più esperti e propensi a ripeterle. Un’immunità soggettiva nauseante”.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
LA CHRYSLER DI FATTO INGLOBERà€ L’AZIENDA DI MARCHIONNE… OPERAZIONE RESA POSSIBILE ANCHE DAI PESANTI PEGGIORAMENTI PER LE TUTE BLU DI DETROIT
Il vecchio Gianni Agnelli è rimasto celebre per questa affermazione: “Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia”.
Difficile capire se la frase sia ancora valida. Certamente, a giudicare da quanto avvenuto ieri in Borsa, quello che va bene per la Fiat va bene per i suoi azionisti. Dopo l’accordo di capodanno tra l’azienda e il sindacato americano Uaw sull’acquisizione del 100% della Chrysler, il titolo del Lingotto è letteralmente schizzato segnando un più 16%.
Logico, che il patron dell’azienda, John Elkann, abbia voluto celebrare la giornata inviando, insieme a Sergio Marchionne, una lettera personale ai 300 mila dipendenti del gruppo Fiat-Chrysler democraticamente definiti “colleghi”.
“L’emozione con cui vi scriviamo — scrivono Elkann e Marchionne — è quella di chi negli ultimi quattro anni e mezzo ha lavorato per coltivare un grande sogno e oggi lo vede realizzato”.
L’unione delle due società rappresenta “un momento epocale nella storia di Fiat e di Chrysler”, che avvia “un nuovo capitolo di storia comune da scrivere”. La soddisfazione trasuda da ogni riga accompagnata dalla lettura dei giornali di mezzo mondo i quali hanno dato la notizia con il massimo rilievo.
Il successo dell’operazione viene sottolineato anche dai commenti casalinghi dove la politica, tranne qualche eccezione, è tutta schiacciata su Marchionne.
Sul fronte sindacale, il segretario della Cisl Bonanni rivendica parte del merito anche alla sua organizzazione, mentre Susanna Camusso, segretario della Cgil, plaude all’operazione “di grande rilevanza” ma allo stesso tempo ritiene indispensabile che “Fiat dica cosa intende fare nel nostro Paese”.
E qui torniamo all’affermazione iniziale. Quel che è bene per la Fiat è davvero buono anche per l’Italia?
Il Lingotto tiene per il momento le carte coperte sulle prossime mosse e, in particolare, sul progetto di fusione tra Fiat e Chrysler che avrà , come corollario simbolico ma non privo di importanza, anche la collocazione della sede legale: a Torino o a Detroit?
Le mosse compiute finora rendono inevitabile la strada della fusione e il Financial Times sostiene che la quotazione avverrà a New York entro quest’anno .
A far da riferimento è il modello seguito per Fiat Industrial. Nel 2011 la Fiat ha scorporato il settore automobilistico da quello industriale incorporato poi nell’olandese Cnh. Questa, l’unica a essere quotata, ha la sede legale in Gran Bretagna e solo il 7,9% del fatturato prodotto in Italia.
Lo stesso destino si annuncia per l’auto.
Come ha notato il Wall Street Journal, però, i problemi sono tutti aperti: “Il trucco usato con Chrysler” scrive il quotidiano finanziario, “non è una panacea”.
Il sindacato è stato liquidato attingendo alle risorse aziendali e la Fiat resta la casa automobilistica europea con il debito più elevato.
Che è anche piuttosto junk, cioè spazzatura. Come afferma la banca Citigroup, “continuiamo ad avere preoccupazioni sulla sostenibilità del debito”.
Il nuovo gruppo, il settimo su scala mondiale, dovrà inoltre disegnare la sua strategia in un mercato che cresce soprattutto in Asia e in America.
Se la tedesca Volkswagen è riuscita ad affrontare le difficoltà differenziando la produzione soprattutto verso la Cina, la Fiat lo ha fatto grazie agli Usa.
Ma, a differenza dei tedeschi, il successo americano è dipeso da due fattori troppo spesso dimenticati.
Il primo riguarda la politica industriale di Obama che è il vero protagonista del salvataggio dell’automotive. È vero che i 10 miliardi di dollari messi sul piatto dal governo Usa e da quello canadese sono stati via via restituiti dall’azienda di Sergio Marchionne, ma senza quella dotazione iniziale l’impresa non avrebbe potuto essere pensata.
Il secondo fattore chiave è il sindacato Uaw il cui contributo è stato decisivo nel salvataggio di Chrysler.
Il sindacato, infatti, ha accettato condizioni proibitive pur di non perdere la fabbrica: riduzione del 30% del costo del lavoro con una paga oraria passata dai 75 dollari del 2006 ai 52 del 2011.
Oltre a questo, l’accordo con la Fiat, propedeutico al prestito del Tesoro americano, prevedeva l’aumento dell’orario di lavoro, la riduzione delle pause, il dimezzamento del salario per i nuovi assunti, l’assenza di scioperi fino al 2015, l’introduzione del nuovo modello lavorativo World Class Manifacturing e, in particolare, la fuoriuscita dall’azienda di circa 28 mila lavoratori.
Un salasso che è stato ripagato con la restituzione di circa 9 miliardi di dollari rispetto ai 10 di cui l’Uaw era creditore all’inizio della crisi.
Un contributo senza il quale la “magia” di Marchionne non esisterebbe.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
A CONFRONTO I TRE TIPI DI LEGGE ELETTORALE PROPOSTI DA RENZI E SU CUI SI DIVIDONO LE FORZE POLITICHE
Uno, motivazioni della sentenza della Consulta sull’incostituzionalità del Porcellum e, in particolare,
sulle liste bloccate (intorno al 15 gennaio).
Due, superamento del bicameralismo perfetto e necessità di togliere al Senato il diritto/potere di votare la fiducia al governo e fare le leggi (tempi previsti per superare il bicameralismo perfetto: l’intero 2014, se va bene) perchè, a causa della differente età di voto attivo prevista in Costituzione (18 anni per la Camera, 25 anni per il Senato), il rischio di una seconda Camera (di solito il Senato, appunto) che presenta risultati diversi dalla prima e che, dunque, rende instabile la coalizione vincente resta in piedi. Infine, tre problema politico, non solo politologico, di come e di quanto attribuire un premio di maggioranza in un Paese che, ormai, è tripolare.
Perchè — spiega all’Huffington Post — il costituzionalista Stefano Ceccanti, “in un Paese ormai stabilmente tripolare come il nostro (centrodestra, centrosinistra, Grillo, ndr.) nessun premio di maggioranza e nessun sistema elettorale non solo non è perfetto ma rischia di lasciarci nell’instabilità perchè, a causa della presenza di tre poli, rischiamo di non avere mai un vero vincitore, alle elezioni, e dunque a una situazione di eterno stallo…”.
Sono questi i tre principali scogli (i primi due squisitamente costituzionali) che si troveranno di fronte Renzi e il Pd nell’affrontare la delicata partita (o, come si suol dire, il ‘tormentone’) della riforma della legge elettorale.
E anche l’indubitabile accelerazione che Renzi ha imposto oggi al dibattito dovranno, per forza di cose, tenere conto di queste tre, decisive, variabili.
Vediamo come e perchè e, soprattutto, cerchiamo di capire ‘chi’ e ‘come’ ci guadagna dall’approvazione o meno di uno dei tre sistemi elettorali (sistema ‘ispanico’, Mattarellum ‘corretto’, sistema del ‘sindaco d’Italia’) che, sempre oggi, Renzi ha proposto a ‘tutte’ le altre forze e parti politiche.
ECCO CHI CI GUADAGNA E CHI CI PERDE
Il sistema ‘ispanico’.
Come dice la parola stessa, ‘vige’ in Spagna. Si basa su collegi provinciali (mediamente ‘piccoli’ per numero di elettori ivi compresi) e liste bloccate (la media è di sei candidati).
E’ un sistema proporzionale corretto che produce effetti maggioritari. Come spiega il professor Stefano Ceccanti (Università La Sapienza), che ne è tra i maggiori conoscitori e cultori, “premia i partiti grandi (come potrebbero essere il Pd da un lato, Forza Italia dall’altro, ndr.) e quelli che hanno un consenso concentrato in certe aree geografiche come sono, in Spagna, il partito basco e i partiti catalani in Catalogna (in Italia, in teoria, la Lega, ndr.).
Penalizza, invece, i partiti piccoli e i partiti di medio peso, soprattutto se privi di radicamento territoriale (in Italia, NCD di Alfano, SC di Monti, forse M5S di Grillo, ndr.).
“Importante sapere – nota ancora Ceccanti — se la Consulta boccerà in toto o solo in parte la possibilità di mettere, nel sistema elettorale, le cd. liste ‘bloccate’, tipiche del sistema spagnolo, divieto che potrebbe essere aggirato introducendo la preferenza unica o doppia di genere”.
Il sistema ‘ispanico’ piace, e molto, a Forza Italia (Denis Verdini) come al suo ex omologo nel Pd di Bersani (Migliavacca) e alla Lega, non piace affatto a NCD, SC, Popolari (Casini-Mauro), M5S, SEL.
Il Mattarellum ‘rafforzato’.
Nella sua versione originaria (in vigore in Italia, e solo in Italia, per le elezioni politiche dal 1994 al 2001) è un sistema maggioritario a turno unico.
Assegna tre quarti dei seggi in collegi uninominali (secondo il principio inglese ‘the first win all’) e il restante quarto con un metodo proporzionale su liste bloccate.
La proporzione del Mattarellum originario (75% e 25%) verrebbe però ritoccata con un ‘raddoppio’ di correzione iper-maggioritaria (forse a rischio di incostituzionalità , peraltro) che riguarderebbe o lo scorporo di una parte del ‘quarto’ di proporzionale (15% sul 25%, lasciando così un 10% da assegnare in via proporzionale: il ‘diritto di tribuna’) oppure il ‘doppio premio’ in seggi al miglior vincitore nei collegi che avrebbero comunque per effetto il premio di maggioranza nazionale.
Antica proposta ‘ufficiale’ del Pd (poi abbandonata per il cd. sistema ‘a doppio turno’ alla francese, scelta a sua volta oggi abbandonata…) è un sistema che favorisce, all’interno di ogni coalizione o somma di partiti, i partiti piccoli e le liste minori: minacciando di presentare candidature ‘di disturbo’ nei collegi marginali, essi ottengono così, dai partiti grandi, candidature in collegi ‘sicuri’ e aumentano il loro potere coalizionale.
Piace a un pezzo di FI (Brunetta) e PD (Renzi).
Il ‘sindaco d’Italia’.
E’ un sistema di impianto proporzionale, corretto da un forte premio di maggioranza, in vigore in Italia dal ’93 quando si votò per la prima volta con sistemi maggioritari corretti e non più con il sistema proporzionale in vigore nella I Repubblica (1946-1992) a causa dei referendum maggioritari Segni (1991-1992).
Da non confondere con il sistema detto ‘Tatarellum’ e in funzione, sia pure con diverse correzioni, ancora oggi nelle Regioni ‘ordinarie’ (base proporzionale, liste con preferenze, premio di maggioranza), il modello ‘sindaco d’Italia’ è in vigore nei comuni sopra i 5 mila ab.
Assegna i seggi su base proporzionale e liste fornite di preferenze, ma ‘apre’ al ballottaggio o secondo turno (di partito o di coalizione) tra le prime due liste o coalizioni o partiti più votate cui assegna un premio che assicura fino 60% dei seggi al candidato vincente.
Piace all’NCD di Alfano e a parte del Pd (Renzi e renziani, ma non solo), ma pure ai Popolari di Casini-Mauro, a molti partiti minori (Sel, etc.) mentre non piace a tutta FI causa il doppio turno (inviso, da sempre, al centrodestra: teme di non convincere tutti i suoi a tornare a votare) e non piace a una parte dei renziani perchè troppo proporzionalista.
Essendo un proporzionale, non avvantaggia nè svantaggia nessuno.
Ps. Definitivamente tramontati appaiono, invece, sistemi elettorali come il doppio turno ‘alla francese’ o ‘di collegio’ e il Porcellum ‘corretto’ così come nelle diverse ipotesi di studio avanzate da Violante-Quagliariello.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA DELLA RACCOLTA FIRME: ARRIVA IN SOCCORSO UN CONSIGLIERE REGIONALE DEL PARTITO SARDO D’AZIONE PER EVITARE LA RACCOLTA
Fino a poche settimane fa il Movimento 5 Stelle isolano scontava una netta divisione tra due gruppi, oggi le fazioni sono raddoppiate.
E mancano poco più di dieci giorni alla scadenza dei termini per la presentazione del nome del candidato-governatore e delle liste.
La partecipazione alle Regionali è a rischio.
Ma andiamo con ordine. A partire dalle prime due fazioni. Quelle di cui già si conosceva l’esistenza.
C’è il cosiddetto ‘Gruppo di Tramatza’, che tra gli altri annovera esponenti quali Roberto De Santis, Dafni Ruscetta, Alessandro Polese. E la deputata Emanuela Corda, seppur in via ufficiosa.
C’è poi il ‘Gruppo di Olbia’, composto dagli oltre quattrocento militanti che a ottobre, sulla scorta di una dettagliata road map, avevano lanciato le primarie e il successivo percorso delle ‘graticole’, salvo fare un passo indietro dopo la scomunica dello stesso Grillo, il 16 novembre scorso.
In via ufficiosa, lo ‘sponsor parlamentare’ del gruppo di Olbia sarebbe la senatrice Manuela Serra.
Fin qui i due gruppi ‘consolidati’.
Oggi si viene a sapere che a chiedere la benedizione di Beppe Grillo sarebbero almento altre due compagini.
Una nata da una mini-scissione avvenuta nell’ambito della frangia cagliaritana. L’altra, invece, il ‘Gruppo dei giovani’, guidata da Luca Piras e che godrebbe dell’appoggio ufficioso del senatore Roberto Cotti.
Il primo effetto di tale frammentazione è chiaro: la concreta possibilità di mancare l’appuntamento elettorale.
L’unica sicuracvia d’uscita è rappresentata dall’intervento diretto di Beppe Grillo. Che potrebbe agire secondo questa scaletta: chiedere — o meglio imporre — ai gruppi di riunirsi, discutere e infine indicare una rosa di almeno 60 candidati consiglieri, mentre il nome del governatore in quota 5 Stelle verrebbe imposto dallo stesso Grillo.
Senza questo sforzo, il Movimento potrebbe anche dire addio alle Regionali del 16 febbraio.
E se anche si dovesse raggiungere un accordo, i 5 Stelle dovrebbero fare i conti con la raccolta firme, imposta a tutti i soggetti che non sono rappresentati in consiglio regionale.
Sulla carta il Movimento non dovrebbe avere difficoltà , visto il boom alle Politiche 2013 con il 29,6% di preferenze, ma le molteplici spaccature di certo non aiutano.
Da qui l’idea del sardista Gianni Pia , componente del consiglio nazionale del Psd’Az, che “a titolo personale e da semplice militante” ha ipotizzato una soluzione “pratica, semplice e veloce”: “Un consigliere regionale sardista, con dichiarazione formale, aderisce al Movimento 5 Stelle (con una adesione tecnica), determinando automaticamente la possibilità di poter lavorare da subito alle sue liste circoscrizionali, anzichè perdere tempo a cercare le firme dei sottoscrittori, stimate tra le 4.500 e le 8.000 circa”.
Questo, secondo Pia, perchè “i sardisti sono generosi e leali. È tempo di politica”, scrive l’esponente del Psd’Az.
Al momento, in via ufficiale, non risulta alcuna presa di posizione in merito da parte del M5S.
(da “Sardiniapost.it”)
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