Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
A MAGGIO ELEZIONI EUROPEE: IL PARTITO TRASVERSALE DEGLI EUROSCETTICI POTREBBE ARRIVARE AL 25% DEI SEGGI… IN TRE PAESI SONO IN TESTA AI SONDAGGI: LA GEOGRAFIA DELLE FORZE IN CAMPO
“Insieme per l’Europa, vota con fiducia, la distruggeremo”. Tra gli appuntamenti cruciali della primavera 2014 c’è il voto del 22-25 maggio per il rinnovo del Parlamento Europeo.
Una data cruciale perchè il consenso delle formazioni euroscettiche è tanto cresciuto che non è poi così remota la possibilità che riescano a strappare una quota consistente dei 751 seggi in palio.
Si parla di un 25-30%, abbastanza da rendere il prossimo Parlamento europeo quanto mai instabile, proprio quando la neoeletta assemblea dovrà nominare il nuovo Presidente della Commissione, cioè il governo dell’Unione.
Alle tre del mattino di lunedì 26 maggio, dopo la ripartizione tra i gruppi politici, il verdetto potrebbe essere definitivo: l’Europarlamento, e dunque l’Europa, è ingovernabile.
Anche uniti in una Grande coalizione, i partiti tradizionali — i popolari del Ppe, i socialisti del Pse, i liberali dell’Alde — potrebbero non avere la maggioranza per governare, mentre uno schieramento di nazionalisti, populisti, xenofobi, eurocritici, euroscettici, eurofobici, estremisti di destra e sinistra avrà impallinato il claudicante progetto di integrazione del Continente per un’altra Europa.
Migliore o peggiore, resta da vedere.
La mappa di chi sogna l’Europa. Per abbatterla
La geografia dell’euroscetticismo in una manciata d’anni e perfino di mesi ha mutato ed esteso i propri confini a furia di cercare consensi e saldature di fronti fisicamente e culturalmente distanti. Francia, Austria e Olanda sono i tre grandi Paesi con partiti antieuro dati in testa, anche se con sfumature diverse che qualcuno sta provando a limare per costruire in Europa un “blocco antieuropeista”.
Incontri e i corteggiamenti dei leader sono all’ordine del giorno. Ad aprile Marine Le Pen e l’omologo olandese Geert Wilders hanno infilato i piedi sotto a un tavolo e messo da parte le divergenze per tentare il colpaccio di unire i populisti di destra nella “Alleanza europea per la libertà ”.
“L’embrione di un gruppo parlamentare è già costituito”, aveva annunciato Le Pen. L’obiettivo è riunire i “patrioti” per “combattere l’Ue che impone i suoi diktat contro l’opinione dei popoli” coinvolgendo i Democratici svedesi, la Fpo austriaca, il Vlaams Belang belga e alcuni esponenti della Lega Nord (il 15 dicembre scorso la leader del Front National francese ha inviato un messaggio di adesione al congresso dei padani). Tutte queste forze politiche puntano a raccogliere i voti “contro”, favorite anche dal sistema proporzionale e dall’astensione, soprattutto fra i moderati.
Ecco perchè lo scenario è incerto, allarmi e inviti alla calma si susseguono ormai quotidianamente.
ECCO COME SI VOTA
Il Parlamento europeo è composto da 751 deputati eletti nei 28 Stati membri dell’Unione europea allargata.
Dal 1979 i deputati sono eletti a suffragio universale diretto per una periodo di cinque anni. Ogni paese stabilisce le proprie modalità elettorali ma deve garantire l’uguaglianza di genere e la segretezza del voto.
Per le elezioni europee vige il sistema proporzionale. L’età del voto è fissata a 18 anni, salvo in Austria (16 anni). I seggi sono ripartiti in base alla popolazione di ciascuno Stato membro. Le donne rappresentano un po’ più di un terzo dei deputati europei. I deputati sono raggruppati per affinità politiche e non per nazionalità . Dividono il loro tempo tra le loro circoscrizioni elettorali, Strasburgo — dove il Parlamento europeo si riunisce in seduta plenaria 12 volte all’anno — e Bruxelles, dove partecipano a ulteriori tornate, nonchè a riunioni di commissione e dei gruppi politici.
C’è chi è convinto che le fortune elettorali e demoscopiche di nazionalisti, populisti ed estremisti siano cicliche.
Ricorda come lo stesso Fn francese, ad esempio, aveva ottenuto il 10% nelle europee nel 2004 gettando le cancellerie nel panico, ma cinque anni dopo ha dimezzato i voti e oggi è ri-accreditato al 24%. Effetto delle differenze tra nazionalisti che finora hanno impedito una vera saldatura del fronte anti europeista.
Altri confidano invece che le soglie di sbarramento dei sistemi elettorali nazionali chiudano le porte dell’Europarlamento a diverse forze euroscettiche. Con la soglia al 4%, ad esempio, la Lega è in bilico.
Ma resta il fatto che il partito transnazionale dell’antieuropeismo è tornato a correre da Londra ad Atene e il motivo non è un mistero: la fiducia dei cittadini nell’eurozona sta crollando. Secondo un’indagine Gallup gli scettici sono ormai il 43%, più degli euro-ottimisti che sono ormai fermi al 40%.
Tra i Paesi del Mediterraneo a guidare le danze anti euro è stata la Grecia sull’orlo del fallimento, dove Alba Dorata ha mostrato prima che altrove il potere di aggregazione delle formazioni estremiste messe a capo della battaglia per uscire dall’euro.
Come è andata a finire ad Atene si sa: attentati e arresti. Resta il voto critico di Syriza e del partito dei Greci Indipendenti che vogliono approfittare del rifiuto delle misure imposte da Bruxelles e dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per imporsi a Strasburgo. Ma l’ondata si è estesa ad altri Paesi, con modalità e contenuti diversi.
Il caso Italia: tre partiti eurodelusi in corsa
Gli europeismi nostrani concorrono ma non trovano sintesi possibile. La Lega Nord chiede un’Europa delle Regioni.
Alle ultime politiche ha preso un magro 4,1% ma potrebbe salire, anche per la ristrutturazione generale del partito che vede ora come segretario proprio un eurodeputato. Matteo Salvini insiste che quello è il cavallo di battaglia della Lega in vista del voto, l’Euroregione. Il Carroccio però fatica a far digerire il malcelato razzismo dalle forze nazionaliste non xenofobe come la Fpo austriaca che ha epurato gli elementi estremisti al suo interno o il britannico Ukip che a giungo ha preteso l’espulsione di Mario Borghezio per continuare l’esperienza nel gruppo parlamentare comune a Strasburgo EDF.
Sulla bandiera dell’antieuropeismo hanno messo da tempo le mani anche i 5 Stelle. Alle politiche hanno incassato un eccezionale 25,5% vincendo, di fatto, la sfida dei partiti italiani. I sondaggi di novembre li danno al 20-24% e ora guardano dritto a Strasburgo.
Nel suo discorso di Natale, non è un caso, Beppe Grillo ha messo proprio la sfida europea al centro. L’atteggiamento del movimento non è però di autentico antieuropeismo, quanto di critica frontale al direttorio europeo, prono al potere delle banche centrali e della tecno-finanza, insensibile alle istanze dei cittadini.
Per questo Grillo propone un referendum dei popoli sulle regole del gioco, a partire dalla moneta unica e dagli accordi stretti dai governi italiani.
E volutamente ambiguo è il tema dell’uscita dall’euro, che lascia ognuno libero di pensarlo sia come la conta dei delusi e un avvertimento ai naviganti sia di fantasticare un nostalgico (quanto improbabile) ritorno alla Lira nazionale.
Diversamente populista, anche il Movimento è stato adocchiato da quelli d’ispirazione nazionalista. Ma la stessa Marine Le Pen ha ritenuto che il programma del M5S non fosse affatto assimilabile a quello delle destre europee. Dove prenderanno posto gli eurogrillini?
La rinata Forza Italia, anche in seguito al riposizionamento per la fuoriuscita di Ncd sta passando il Rubicone che divide pro e contro l’Eurozona.
La spaccatura con gli Alfaniani ha lasciato campo libero ai falchi, sempre pronti a far la voce grossa con Bruxelles salvo farsi dettare l’agenda economica dalla Bce quando governavano. Brunetta, per dire, è arrivato più volte a stigmatizzare la necessità di una temporanea uscita dall’euro. In ogni caso in Italia c’è un blocco che marcia, a ranghi divisi, verso Strasburgo.
Tra miliardari, reazionari e neofascisti. L’Europa divisa che va contro l’Europa
In Spagna il movimento degli Indignados vuole presentare diverse liste alle elezioni di maggio. Anche nell’Europa continentale l’avanzata degli euroscettici è rapidissima. La Francia sta diventando un caso e motivo di forti preoccupazioni per l’avanzata del Fronte Nazionale di Marine Le Pen che nelle presidenziali del 2011 al primo turno prese il 17,9% e ora è accreditata a un 24%.
Il suo menù euroscettico prevede politiche contro l’immigrazione e la moneta unica. In Olanda c’è il Partito delle Libertà guidato da Geert Wilders che nelle elezioni 2012 ha preso il 10% dei voti.
In Belgio la grancassa antieuro è affidata a Vlaams Belang (Interesse Fiammingo), estrema destra. Rivendica l’indipendenza delle Fiandre, mano ferma sull’immigrazione e l’uscita dall’orbita della Comunità europea.
In Austria fa proseliti il partito Team Stronach fondato dal miliardario austro-canadese Frank Stronach che vorrebbe tornare allo scellino e in cambio di questa promessa ha incassato nelle regionali 2013 il 9% dei consensi.
In Germania, paese sul banco degli imputati per l’eurosconquasso, l’ultimo arrivato è Alternativa per la Germania di Bernd Lucke, professore di macroeconomia ad Amburgo.
Con la promessa “se vinciamo via dall’euro” ha sfondato la soglia del 5% portando nel Bundestag la prima forza marcatamente antieuropeista e secondo un sondaggio Tns-Emnid veleggia oltre il 20%.
In Finlandia alle presidenziali 2012 la lista Veri Finlandesi di Timo Soini si è presa 39 seggi su 200 diventando la terza forza del Paese.
Terzo in Ungheria è il movimento di estrema destra Jobbik guidato da Gabor Vona che alle politiche 2010 ha preso il 16,7%, un sondaggio conferma la tenuta al 16%.
In Inghilterra il fronte è rappresentato dall’United Kingdom Independence Party (Ukip) di Nigel Farage. Partito di estrema destra non è rappresentato alla Camera dei Comuni ma ha conquistato 13 seggi a Strasburgo con una percentuale di voti (16,5%) superiore a quella dei laburisti (15%). Missione dichiarata, il ritiro del Regno Unito dalla Ue.
Sommati i seggi potenziali l’antieuropeismo transnazionale dal 2014 potrebbe pesare per un terzo del nuovo Parlamento europeo e consentire a tanti di parlare al popolo attaccando l’Europa da Strasburgo, dall’interno del suo cuore parlamentare.
Se poi sapranno imporre anche un’idea comune e alternativa, partendo da posizioni tanto diverse, è tutta da vedere.
Ci sono ancora (e solo) quattro mesi per capirlo.
Thomas Mackinson
argomento: Europa | Commenta »
Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
GIORNALISTI SULLE BARRICATE CONTRO L’ACQUISTO DEL 14% DI QUOTE DELL’EX SENATRICE DI FORZA ITALIA
Il caso è esploso per un articolo sul Fatto Quotidiano, il 29 dicembre scorso.
E all’Unità i giornalisti sono saliti sulle barricate. Non intendono scendere. Non per adesso.
Prima vogliono capire perchè Maria Claudia Ioannucci sia finita fra i soci del loro giornale, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci
Lo ha scritto il Fatto Quotidiano, il sindacato dei giornalisti non era stato informato di nulla.
Non che Maria Claudia Ioannucci avesse raccolto il 13,98 per cento delle quote dell’Unità con la sua società Partecipazioni Editoriali Integrate, srl.
È stata vicepresidente dei senatori di Forza Italia dal 2001 al 2006, l’avvocato Ioannucci.
Di più: è stata anche il legale del faccendiere Valter Lavitola
«Non possiamo permettere che l’assetto societario del nostro giornale storico venga sporcato da una figura estranea alle nostre ideologie», dicono i membri del comitato di redazione del giornale che hanno in mano un pacchetto di cinque giorni di sciopero per delega dalla redazione.
Sciopero che ieri è stato congelato in attesa di un incontro fissato per il 7 gennaio con l’editore, Matteo Fago.
Ma gli animi dentro la redazione restano bollenti
Maria Claudia Ioannucci ieri ha smentito qualsiasi rapporto con Valter Lavitola che non sia di puro e semplice lavoro.
«È stato un mio cliente e l’assioma che vede legato un avvocato con la persona che difende non è corretto», ha scritto l’avvocato Iaonnucci in una nota senza però rispondere alle accuse del Fatto Quotidiano sui documenti che la vedono in rapporti di affari e anche di raccomandazioni (a Berlusconi) con Lavitola.
Il giornale ha messo l’accento sugli affari panamensi e citato, tra le altre, una data di un appuntamento, il 21 agosto 2011, quando Ricardo Martinelli, il presidente di Panama «corrotto» da Lavitola per l’appalto di Finmeccanica, va a Villa Certosa a trovare Silvio Berlusconi, accompagnato proprio da Maria Claudia Ioannucci.
C’è poi la lettera che Lavitola scrisse a Silvio Berlusconi durante la sua latitanza e c’è un passo dove il faccendiere ricorda al Cavaliere: «Lei mi ha promesso di collocare la Ioannucci nel cda dell’Eni….»
Nella sua nota di ieri Maria Claudia Ioannucci ha scritto soltanto: «Sono entrata nel capitale dell’Unità perchè ogni giornale in difficoltà o che rischia di morire significa una ferita per la democrazia. L’iniziativa è nata dalla volontà di salvare un pezzo di democrazia, persino per il Fatto Quotidiano lo avrei fatto».
E annuncia di avere già querelato il giornale diretto da Antonio Padellaro. Come anche promette di farlo il cdr del quotidiano fondato da Antonio Gramsci
Sarebbe stato l’amministratore delegato dell’Unità , Fabrizio Meli, a cedere direttamente le quote all’avvocato Ioannucci, a fine ottobre dello scorso anno.
«Non è ammissibile che un’operazione di questo tipo avvenga senza comunicare nulla alla redazione», contestano i tre membri del comitato di redazione del quotidiano fondato da Antonio Gramsci.
Poi aggiungono: «Nell’incontro del 7 gennaio abbiamo intenzione di chiedere all’editore la rimozione dell’amministratore delegato e l’estromissione dall’assetto societario di una donna che dal 2001 al 2006 era vicepresidente dei senatori di Forza Italia, anni in cui Silvio Berlusconi si votava le leggi ad personam. Questo non è ammissibile, il nostro giornale ha un’identità fondata su valori molto precisi. In febbraio verranno celebrati i novant’anni della nascita del giornale: come si potrà conciliare una simile presenza?».
Alessandra Arachi
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Stampa | Commenta »
Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
330 KM NUOVI SONO POCHI I SONO TANTI? CORRADO PASSERA HA SALVATO LA FACCIA?
Parola alla difesa. In tanti si erano esposti per la chiusura dei cantieri dell’autostrada A3, la famigerata Salerno -Reggio Calabria, entro la fine del 2013.
“Ci metto la faccia” aveva detto l’allora ministro Corrado Passera, mostrando fin troppo ottimismo.
Nei brindisi di Capodanno, infatti, non ha trovato spazio il completamento dell’asse autostradale che collega il sud Italia.
Si è già brindato invece ai 50 anni dall’avvio dell’opera. Parola alla difesa, quindi. Parola al presidente di Anas, Pietro Ciucci, che difende il “lavoro straordinario” compiuto negli ultimi anni e respinge come “ingiuste” le critiche che gli piovono addosso.
“Abbiamo fatto quasi i miracoli. È estremamente complesso lavorare lì, mantenendo il traffico stradale. È un’opera straordinaria, sicuramente la più difficile opera stradale della storia d’Italia” afferma il manager, dal 2006 alla guida dell’Anas.
Presidente Ciucci, gli impegni non sono stati mantenuti. Quando riuscirete a chiudere tutti i cantieri?
“Bisogna chiarire l’impegno che avevo preso io in prima persona e, insieme a me, i ministri che si sono succeduti negli anni, da Matteoli a Passera fino a Lupi: avevamo detto che avremmo completato i lavori in corso entro la fine del 2013, è evidente che non potevamo dire che avremmo completato l’intera opera, perchè ci sono ancora 58 km per cui servono oltre 3 miliardi di euro non ancora finanziati. L’impegno era di consegnare in esercizio 343 km nuovi di autostrada entro la fine del 2013, ne abbiamo realizzati 330 km con uno sforzo incredibile, se si pensa che negli ultimi due anni sono stati completati 85 km di strada nuova, di cui 60 km aperti nel 2013. Restano 13 km da concludere e contiamo entro giugno di completarli”.
Quali tratte mancano? E per quali motivi non sono state completate nei tempi?
“Parliamo del tratto Mileto-Candidoni, di quello di Lamezia Terme e di parte della galleria Fossino fra Basilicata e Calabria. Sono 13 Km che hanno subito qualche ritardo, per problemi in gran parte legati alla crisi di alcune aziende che lavorano in quei cantieri”.
Sono tutti tratti di autostrada calabresi. È anche per questo che sia il Pd che la Cgil in Calabria pretendono le sue scuse e chiedono le sue dimissioni.
“Il mio incarico è sempre a disposizione del Governo, ma non mi piace il modo. Si può sempre far meglio, ma davanti a un ritmo di investimenti di 800-900 milioni annui negli ultimi anni essere accusati come società di dire bugie non mi piace. Si può discutere, si può criticare, ma ci sono risultati evidenti di non cui non si può non tenere conto. Io ho volutamente fissato obiettivi difficilissimi da raggiungere e li abbiamo quasi raggiunti. Non si può parlare oggi della Salerno – Reggio Calabria con gli stessi toni di 5-6 anni fa, quando era ancora tutto da fare”.
Avete fissato con il Governo un programma con una tempistica sul completamento di tutti e 443 i km della Salerno — Reggio Calabria? In altre parole, vedremo mai l’opera finita?
“Non c’è una tempistica, esiste però l’impegno a destinare risorse nei tempi più rapidi. Ma voglio ricordare che l’autostrada esiste e fornisce già oggi un servizio non scarso. Ora la Legge di Stabilità stanzia 340 milioni di euro con cui possiamo realizzare la gara per il primo dei 5 tratti che mancano, un lotto di 6 Km particolarmente complesso. Spero di pubblicare il bando entro giugno. Il progetto per i 58 km rimanenti c’è già , ma dobbiamo fare i conti con la finanza pubblica”.
Anas non è nell’elenco delle società che il Governo intende privatizzare, ma Lei ha più volte detto che la Borsa è un obiettivo possibile nel medio termine.
“Quando ero all’IRI ho fatto tantissime privatizzazioni. C’è una prima fase formale, in cui la società deve operare pienamente come azienda privata; su questo abbiamo bisogno di qualche completamento normativo, perchè ancora esiste su alcuni aspetti la doppia anima pubblico-privata. Fatto questo, c’è una seconda fase di apertura del capitale, che io credo passi prima attraverso il coinvolgimento di investitori istituzionali e solo dopo dalla Borsa”.
Quali previsioni avete per i conti finanziari di Anas nel 2014?
“Chiuderemo in utile, come negli ultimi 5-6 anni. Siamo passati da una perdita di 400-500 milioni nel 2005 fino alla chiusura in utile, in una fase in cui la massimizzazione degli utili non è il nostro obiettivo prioritario. Ha però un significato importante di efficienza aziendale”.
Lei è rimasto il più convinto sostenitore del Ponte sullo Stretto di Messina. Si è messo l’anima in pace?
“Ho sempre creduto che il Ponte sia una grande opera e una grande occasione, non solo per Calabria e Sicilia, ma per tutto il Paese. Ne sono convinto, ma l’alternanza delle decisioni governative ha portato a non utilizzare le risorse in modo ottimale e quando ci sono poche risorse, non si possono sprecare. Si è deciso poi di chiudere questa esperienza e ne prendo atto. Avevo cercato fonti alternative di finanziamento, sono stato anche deriso quando parlavo di cinesi, salvo poi vedere che in Turchia hanno finanziato opere con i soldi della Bei e della Cina, ma potrei tirar fuori le carte per dimostrare che c’era l’interesse di questi investitori”.
Ci sono rischi per Anas derivanti dallo stop al progetto del Ponte?
“Non abbiamo previsto alcuna perdita potenziale in bilancio. La liquidazione del progetto è stata decisa per legge, non per inadempimento della Stretto di Messina Spa, controllata di Anas. Eventuali penali certamente non sarebbero quindi a carico nostro”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
ALL’ARS SI E’ APERTA LA CORSA ALL’ASSUNZIONE DELL’ULTIMO MINUTO…UNA SANATORIA PREVEDE CHE I COLLABORATORI ASSUNTI AL 31 DICEMBRE 2013 RIMARRANNO IN CARICA FINO ALLA FINE DELLA LEGISLATURA
Si aggirano tra i corridoi di Palazzo dei Normanni in giacca e cravatta, sono spesso avvocati o commercialisti, collaborano alla stesura di disegni di legge e interrogazioni, ma per lo Stato dovrebbero stirare, lavare i piatti e rassettare le stanze. Accade in Sicilia, dove per risparmiare sui contributi contrattuali, alcuni deputati regionali hanno deciso di assumere assistenti parlamentari come se fossero colf: il risparmio in busta paga è garantito.
A rendere noto lo strano trattamento contrattuale è stata la deputata dell’Udc Alice Anselmo, che a proposito degli assistenti assunti come colf ha candidamente ammesso: “Io e molti miei colleghi abbiamo scelto questa soluzione”.
Il motivo? “l contratto delle colf — ha spiegato l’esponente dell’Udc al Giornale di Sicilia — è l’unico che prevede la tipologia utilizzabile da una persona fisica, qual è un deputato: si tratta genericamente di servizi alla persona e all’interno del contratto da colf è prevista anche una categoria di servizi amministrativi”.
I contratti fatti ai due portaborse sono a tempo indeterminato e per 40 ore settimanali. Contratti simili sarebbero stati stipulati da altri deputati per uno o più portaborse.
Ma per la Fisascat-Cisl si tratterebbe di contratti illegittimi. “Se uno di questi collaboratori assunti come colf venisse da noi apriremmo subito una pratica per l’ispettorato del Lavoro”.
Parole che hanno gettato nel panico Palazzo dei Normanni.
“Contratti da colf per i collaboratori dei deputati? Lo trovo di cattivo gusto”, ha commentato il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, che aggiunge: “Io avevo assunto un collaboratore con un contratto giusto e ci rimettevo almeno 5mila euro”.
“Otre che eccessivo, sarebbe ridicolo — ha replicato il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone — Ho chiesto spiegazioni all’onorevole Alice Anselmo. Mi ha assicurato che si tratta di contratti per assistente personale amministrativo e addetto di segreteria. Pertanto, l’ho invitata a dare, immediatamente, pubblica contezza dei contratti, evitando sterili e inutili polemiche su argomenti inesistenti”.
All’onorevole Anselmo, dopo la strigliata di Ardizzone, non è rimasto che chiarire: “Nessuno di noi, singoli parlamentari, può procedere ad alcuna assunzione, se non nei termini di legge che sono, appunto, quelli che in queste ore qualcuno si diverte a fare apparire anomali: un contratto di servizi alla persona, che comprende varie categorie e varie mansioni. Si tratta di un contratto che, tra contributi e tfr, garantisce il lavoratore sotto ogni punto di vista, rispettando i ccnl”.
Il problema dei contratti degli assistenti parlamentari però rimane: il nodo della questione è la parte riservata ai contributi. La forma più adatta di assunzione sarebbe quella di praticare contratti da coadiutori amministrativi, inquadramento che però fa aumentare chiaramente le spese contributive.
All’Ars, dopo un lungo tira e molla durato più di un anno, è stato approvato il decreto sulla spending review: i parlamentari potranno spendere al massimo 58mila euro lordi ogni anno per i loro collaboratori, che possono essere anche infiniti dato che nessuna norma ne individua il numero massimo da assumere.
L’importante è che abbiano un regolare contratto: logico dunque che convenga praticare formule che facciano risparmiare sulle tasse in modo da potere assumere diversi collaboratori con lo stesso budget.
Una sorta di sanatoria, poi, prevede che tutti i collaboratori assunti al 31 dicembre 2013 rimarranno comunque in carica fino alla fine della legislatura.
Ecco quindi che all’Ars si è aperta la corsa alle assunzioni dell’ultimo minuto. Nonostante il Parlamento siciliano sia l’unico consiglio regionale d’Italia che può contare su 85 collaboratori interni fissi (che cambiano gruppo parlamentare ad ogni legislatura a seconda delle necessità ) a Palazzo dei Normanni sono comparsi durante il periodo natalizio nuovi assistenti parlamentari.
Che siano assunti come coadiutori amministrativi o come colf non importa: l’importante è che il loro contratto sia stato firmato entro il 2013.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
I LETTORI DI “PAGELLA POLITICA” HANNO DECISO CHE, QUANTO A BALLE, GRILLO HA SUPERATO IL SUO MAESTRO (SOLO TERZO)… SECONDO SI PIAZZA ALEMANNO
Ha un cognome che richiama il Grillo Parlante, ma quest’anno il leader dei Cinque Stelle ha avuto nel 2013 prestazioni da Pinocchio superiori a Silvio Berlusconi.
Una sparata di Beppe Grillo contro la crescita economica in Germania, che secondo l’ex comico avrebbe ridotto l’occupazione, è ha vinto il poco ambito premio la “Panzana dell’anno”, assegnato dai lettori di Pagella Politica.
Un sito indipendente e partecipativo di fact-checking politico, composto da un gruppo di giovani studiosi e ricercatori che monitorano, anche grazie ai lettori, le principali affermazioni dei politici italiani, e controllano quelle che si possono verificare perchè contenenti fatti e numeri.
“La crescita non dà posti di lavoro, li toglie” (Beppe Grillo)
A gennaio, a Siena per lo Tsunami Tour, Grillo predicava la decrescita felice portando come esempio negativo la Germania, arrivando a dire che il raddoppio della produzione tedesca aveva causato una riduzione dei posti di lavoro del 15%; affermazione smentita e doppiamente ribaltata da Pagella Politica, citando dati Eurostat e Ocse (qui la scheda di Pagella politica): la produzione era aumentata, ma non del doppio, e l’occupazione complessiva aumentata. Una panzana pazzesca dunque, cioè bufala, balla, fandonia (come spiega la Treccani.it).
“Attualmente, il debito del Comune di Roma è zero” (Gianni Alemanno)
Nel sondaggio di Pagella Politica (477 partecipanti), dietro a Grillo (51% dei voti) è arrivato secondo Gianni Alemanno (20%).
Da sindaco della città che poi avrebbe svelato il suo bilancio in rosso, aveva detto su La7, a Corrado Formigli, in campagna elettorale per la conferma al Campidoglio, diceva che il Comune non aveva debiti.
“Non c’entra nulla il governo sulla riduzione dello spread” (Silvio Berlusconi)
Terzo Silvio Berlusconi (con il 16%), che a gennaio 2013 assolveva il proprio esecutivo sostenendo che i governi non influenzano gli andamenti degli interessi. Il Cavaliere, per altro, aveva vinto nel 2012 il poco ambito premio di Pagella politica, sempre con una Panzana sullo spread (seguiva Grillo con un attacco alla Germania, terza Renata Polverini, governatrice del Lazio).
Altre panzane presenti nel sondaggio (inserite perchè tra le più lette o commentate dell’anno):
Nichi Vendola, sulle sberle ricevute dal’Ue per l’iniquità dell’Imu
Roberto Maroni che addossa al governo Monti la responsabilità per l’estromissione della Lombardia dalla lista delle 100 regioni più competitive d’Europa
Renato Brunetta secondo cui bisogna avere una maggioranza precostituita per ricevere l’incarico di formare un governo
Mario Monti che ritiene che, in media,con i governi precedenti le tasse siano aumentate più che con il proprio governo
Ignazio Marino secondo cui Berlino nel 2012 ha superato Roma per numero di presenze turistiche.
Il sito in meno di due anni ha monitorato circa 60 mila dichiarazioni, verificandone più di mille, classificate da “Vero” a “Panzana Pazzesca” passando per “C’eri quasi”, “Nì” e “Pinocchio andante”.
Ogni politico ha la sua pagella personale, un profilo molto dettagliato dal quale si può ricavare un indice di veridicità ; non rappresentativo, ma interessante.
Berlusconi è il meno credibile, con il 58% di veridicità complessiva su 62 dichiarazioni analizzate, mentre Grillo ha un punto in più, il 59, su 130 dichiarazioni passate al vaglio.
Tra gli indici più alti si segnalano Emma Bonino (91% di veridicità su 14 dichiarazioni) e Laura Boldrini (90% su 24), bene i nuovi leader Enrico Letta (85% su 54), Matteo Renzi (78% su 99) e Angelino Alfano (69% su 31).
Il giudizio più basso ricevuto dall’attuale Presidente del Consiglio è un Pinocchio Andante, riguardava la percentuale di giovani italiani con padre non diplomato che riesce a laurearsi.
Renzi, che pure cita correttamente la maggior parte di dati e di fatti, nel 2013 ha pronunciato due Panzane: una, sbagliando il posizionamento degli studenti italiani nelle classifiche internazionali; la seconda esagerando il numero di voti ricevuti alle primarie del Pd.
Il metodo di Pagella politica.
Al sondaggio hanno partecipato circa in cinquecento, lettori che spesso contribuiscono al lavoro di Pagella politica, segnalando affermazioni con dati o fatti da verificare, o partecipando alla loro stesa verifica.
Il controllo viene svolto attraverso il recupero e la pubblicazione di dossier e documenti ufficiali che smentiscono o confermano, del tutto o in parte, l’affermazione esaminata. Il sistema, dunque, è molto aperto, partecipato e votato alla fattualità . “Perchè le bugie — recita il motto del sito, che abbassa l’altezza dei politici più avvezzi alla panzana— hanno le gambe corte”; infatti non vanno lontano.
Poi ci sono le bugie che fanno allungare il naso, ma qui ormai, non c’è più la Fata Turchina che chiama i picchi ad accorciarlo.
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Grillo | Commenta »
Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
EUROPA E DEFICIT, DOPO LE PAROLE DI RENZI “SFORIAMO IL TETTO”… L’ITALIA È TRA I POCHI “VIRTUOSI”, BERLINO FU LA PRIMA A “PECCARE”
Chiariamo un equivoco. Sforare il 3% del deficit si può: uno Stato della Ue può decidere di non rispettare i vincoli economici europei che ha liberamente sottoscritto.
E non c’è verso che la Commissione europea, nè nessuna altra istituzione comunitaria, possa impedirglielo: Bruxelles potrà al massimo aprire procedure d’infrazione, comminare sanzioni, negare l’accesso ad alcuni vantaggi riservati ai paesi virtuosi.
Il limite del deficit di bilancio al 3 per cento del Pil è, del resto, solo uno, anche se il più noto dei vincoli economici europei.
Vediamo di fare un quadro dell’esistente, di ciò che si prepara e delle scadenze che ci attendono.
Maastricht e l’euro.
Il Trattato che preconizzava l’Unione economica entrò in vigore nel 1993. L’euro diventò la moneta unica nel 1999 e cominciò a circolare il 1° gennaio 2002.
Oggi c’è in diciotto Stati Ue e in quattro micro-Stati inglobati nella zona euro (Città del Vaticano, San Marino, Monaco e Andorra), oltre che in Kosovo e nel Montenegro.
Patto di Stabilità e crescita.
In vigore dal primo gennaio 1999: stabilisce i criteri di bilancio che i paesi dell’Eurozona devono rispettare, cioè tra gli altri avere un deficit non oltre il 3 per cento del Pil e un debito non superiore al 60 per cento (criteri presi di peso dai Trattati di Maastricht e in vigore anche per quei Paesi che non hanno adottato la moneta unica come Gran Bretagna o Polonia).
Per chi sfora i parametri, scatta la procedura per deficit o debito eccessivo durante la quale la Commissione europea invia una “raccomandazione” ai governi interessati con le misure per rientrare nei parametri.
Precedenti.
La prima a subire un avvertimento per deficit eccessivo fu l’Irlanda nel 2001. L’Italia ha subìto una prima procedura tra il 2005 e il 2008, dall’ultima è uscita giusto a giugno del 2013, ma rischia di rientrarci, se il governo decidesse di sfondare il 3 per cento o non riuscisse a restarci dentro.
Non sempre, però, l’applicazione dei criteri è stata stretta come ora: tra il 2003 e il 2004, proprio la Germania e la Francia sforarono (per prime) il 3 per cento senza incorrere negli strali dell’Unione. Questione di peso politico.
Cosa si rischia?
Trascorsi alcuni anni senza rientrare nei parametri una multa che, però, non può comunque superare lo 0,5 per cento del Pil all’anno (nel caso dell’Italia si parla di circa otto miliardi). I virtuosi. Per ora solo 12 paesi su 27 dell’Unione rispettano i parametri in materia di deficit , tra questi c’è l’Italia.
Il caso Francia e Spagna.
A differenza dell’Italia, cui è stato imposto un percorso rapido verso il pareggio di bilancio, a Parigi e Madrid (e altri) quest’anno è stato di nuovo concesso più tempo anche solo per rientrare sotto il parametro del 3 per cento.
Altri accordi: il Sixpack.
In vigore dal dicembre 2011: consiste di cinque regolamenti e una direttiva — donde il nome — che riguardano la sorveglianza di bilancio e gli squilibri macro-economici nella zona euro, nonchè i requisiti che i bilanci nazionali devono rispettare. Si tratta di misure attuative del Patto di Stabilità .
Fiscal Compact. Il nome ufficiale è “Trattato su stabilità , coordinamento e governance”: in vigore dal 1° gennaio 2013, è un documento inter-governativo, non Ue, perchè Gran Bretagna e Repubblica Ceca non vollero saperne di firmarlo. È l’accordo più discusso: prevede, fra l’altro, l’obbligo del pareggio di bilancio, un deficit “strutturale” massimo allo 0,5 per cento del Pil, riduzione del debito del 5 per cento annuo della quota eccedente del 60 per cento del Pil; emissione di titoli di debito coordinata con gli altri Paesi.
Twopack.
Sono due regolamenti Ue limitati alla zona euro. In vigore dal 30 maggio 2013, prescrivono che entro il 15 ottobre, prima della approvazione da parte del proprio Parlamento, i governi sottopongano alla Commissione europeo una proposta di bilancio per l’anno seguente. L’esecutivo comunitario formula , entro il 15 novembre, le proprie considerazioni non vincolanti. Solo allora il bilancio, eventualmente modificato in base ai suggerimenti di Bruxelles, va all’esame del Parlamento nazionale, che deve approvarla entro il 31 dicembre. È quella che si chiama “Legge di Stabilità ”.
Contratti per la crescita e la competitività .
Sono intese che l’Ue potrà siglare con singoli Stati membri, barattando deroghe agli obiettivi finanziari con la realizzazione di riforme strutturali.
La Germania li ritiene uno strumento per incidere ancor più sulla politica economica degli altri Paesi e ci tiene molto. Se ne comincerà a parlare nel giugno 2014.
Giampiero Gramaglia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: economia, Europa | Commenta »
Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
ALFANO: “PRIMA PENSARE ALLE FAMIGLIE E SULLA SICUREZZA NON SI SCHERZA”… IL PD: “IN TUTTA EUROPA SONO REGOLAMENTATE, NON SONO ALTERNATIVE A INTERVENTI A FAVORE DELLA FAMIGLIA”
«Non si può pensare alle unioni civili senza pensare prima alle famiglie». Così il vicepremier Angelino Alfano, in un’intervista al Tg2, risponde a uno dei punti del patto di coalizione proposti dal segretario Pd Matteo Renzi.
Prudente anche sul superamento della Bossi-Fini: «Con la sicurezza degli italiani non si scherza».
E sul lavoro propone una «legge per lo choc burocratico, zero burocrazia per tre anni alle imprese che vogliono partire».
Infine si sofferma sulla legge elettorale. «Ok sulla tempistica – dice Alfano – va bene se a febbraio passa il primo sì alla Camera, e ci fidiamo non sia per anticipare voto». Una accelerazione sulla riforma del sistema di voto indebolisce il governo? «No, lo rafforza perchè se a maggio abbiamo la riforma elettorale e abbiamo avviato il superamento del bicameralismo ci presentiamo con risultati importanti», sottolinea Alfano.
Ma il Pd tira dritto. Almeno al Senato sembra che il partito guidato da Matteo Renzi non abbia intenzione di cedere ad alcuna mediazione con il partito di Alfano che, sul tema, non vuole sentire ragioni.
“Le unioni civili – dicono i senatori renziani del Pd Andrea Marcucci ed Isabella De Monte – non sono certo alternative ad interventi per le famiglie. Alfano è vicepremier, nel ddl Stabilità poteva inserire più provvedimenti economici di sostegno, e meno prebende. Comunque ricordiamo al leader del Ncd, che nel 1970 la legge Baslini-Fortuna che istituì il divorzio, passò nonostante l’opposizione della Dc, che pure aveva un peso ben maggiore del suo partitino”.
Marcucci e De Monte insieme alle colleghe Laura Cantini, Linda Lanzillotta e Rosa Maria Di Giorgi, hanno depositato un ddl che riconosce le unioni civili per le coppie omosessuali.
“Tutti gli Stati europei – dicono – hanno leggi che regolano la questione -sottolineano gli esponenti dem- insopportabile ed ingiusto che l’Italia resti indietro. Abbiamo offerto al Ncd la possibilità di fare un passo avanti in un’ottica riformista, se il partito di Alfano non ci sta, il disegno di legge andrà avanti cercando una maggioranza in Parlamento, esattamente come avvenne per il divorzio”, concludono i senatori.
argomento: Alfano, Renzi | Commenta »
Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
IERI VERTICE AD ARCORE CON VERDINI: VARATA LA NOMINA DEI COORDINATORI LOCALI, DALLA GELMINI IN LOMBARDIA ALL’EX OLIMPIONICO MARIN IN VENETO
Un primo passo è compiuto. Con la nomina di sette coordinatori regionali – invocati, quasi supplicati da un partito che sul territorio ha assoluto bisogno di rimettersi in moto dopo la rottura con Angelino Alfano -, Silvio Berlusconi accende la macchina di Forza Italia da oltre un mese ferma ai box
Nomine attesissime, anche se solo parziali.
Le altre, recita una nota, arriveranno «nei prossimi giorni», sia a livello regionale che nazionale.
E se sulle prime c’è da scommettere, dopo il lunghissimo incontro di ieri ad Arcore tra il Cavaliere e Verdini che ha portato alla prima tranche di promozioni sul campo, che in breve saranno varate, sulle seconde è difficile dire se Berlusconi vorrà giocarsi la carta della sua «operazione rinnovamento» subito e in ogni caso, o se lo farà solo quando avrà la certezza che si sta per andare al voto.
È infatti ancora in corso il braccio di ferro tra lui e la pancia forzista sul come, quanto e chi debba rappresentare il cambiamento in un partito che teme mosse azzardate e rottamazioni. In verità escluse dall’ex premier.
Anche nelle nomine di ieri, infatti, di rivoluzioni e tagli di teste non si è vista grossa traccia.
Ci sono conferme importanti e attese come la nomina in Lombardia di Mariastella Gelmini, gradita a tutto il partito (e salutata anche dall’alfaniano Formigoni con l’invito a confrontarsi «visto che siamo alleati»).
Ci sono scelte all’insegna del tranquillo moderatismo come quella di Sandro Biasotti in Liguria, altre di chiara indicazione di partito (ovvero di fedeli verdiniani) come Massimo Parisi in Toscana, altre ancora legate al riconosciuto merito tecnico come Sandra Savino in Friuli e Massimo Lattanzi in Valle d’Aosta, e ci sono invece novità che dividono FI tra assolutamente favorevoli e qualche scettico come quella in Veneto di Marco Marin, deputato di prima nomina, candidato a sindaco di Padova, olimpionico di scherma molto gradito – dicono – ai moderati e alla borghesia della regione: «Sarà utilissimo per contendere consensi e uomini ad Alfano».
C’è però anche chi fa storcere il naso a parecchi nel partito, ed è quel Claudio Fazzone, potente «colonnello» di Fondi e signore dei voti nel Lazio, che alla fine, sembra per esplicito volere del leader, ha superato al rush finale il contendente Giro.
Insomma, sul territorio il Cavaliere ha scelto di affidarsi a uomini e donne variamente «nuovi» ma tutti di partito, capaci di affrontare una campagna elettorale (sicuramente quella delle comunali) e di aprirsi, grazie ai vice, anche a forze emergenti.
A livello nazionale invece molto deve ancora giocarsi
L’uomo sul quale continua a puntare Berlusconi è Giovanni Toti, direttore di Studio Aperto e del Tg4, da tempo ormai attivo, presente, operante nelle riunioni ristrette e decisionali del partito.
Il Cavaliere lo vorrebbe anche a capo del suo movimento con un ruolo di primo piano, convinto com’è che serva dare una risposta a Renzi con volti nuovi anche ai vertici di Forza Italia.
Per questo il suo schema preferito resta quello di tre vicepresidenti, uno appunto Toti con delega per il partito e tutta l’area comunicativa, uno Tajani per gli affari internazionali e una figura femminile (Bernini, Carfagna) per i rapporti con il Parlamento.
Ma un po’ le resistenze del gruppo dirigente uscente (che insistono per non modificare lo statuto che prevede un solo coordinatore), un po’ il suo dubbio nel giocarsi le carte al momento giusto, hanno ancora frenato il varo di un nuovo organigramma.
Il problema infatti è che nessuno sa se davvero si stia andando a un’accelerazione verso il voto dopo le aperture di Renzi sulla legge elettorale e le mine lanciate al governo, o se prima del 2015 le urne resteranno un miraggio.
In questo caso, Berlusconi potrebbe attendere prima di giocarsi la carta della «rivoluzione» nuovista subito, proprio per il rischio che l’effetto freschezza svapori in fretta.
Viceversa, se «entro gennaio» si capisse che si sta procedendo a grandi passi verso il voto, ecco che verrebbero calate le carte a sorpresa.
Con Toti, ma giurano non solo lui, in posizione privilegiata, purchè – come ripete da settimane il direttore Mediaset – ci sia davvero «la possibilità di cambiare il partito, rinnovandolo nel profondo» per renderlo competitivo con Renzi, e purchè si passi dal falchismo che ha caratterizzato molti degli ultimi passaggi a una linea liberale ma moderata capace di riconquistare tutti gli elettori che fecero vincere il centrodestra.
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Gennaio 3rd, 2014 Riccardo Fucile
MA CON UNA NUOVA CONDANNA L’EX PREMIER RISCHIA IL CARCERE
Berlusconi, le elezioni europee del 24 maggio, la campagna elettorale che le precede… e la sua condanna per Mediaset a 4 anni, ridotti a 9 mesi grazie all’indulto del 2006.
Molti italiani si stanno chiedendo come sia mai possibile che a una sentenza così pesante non abbia ancora fatto seguito l’immediata esecuzione della pena, che pare si sia persa in una sorta di limbo indistinto.
Vediamo come è considerato “normale” che ciò avvenga, quali potranno essere i tempi della futura pena, quali gli effetti di eventuali altre condanne e soprattutto come tutto questo s’incrocia con lo scenario politico dei prossimi mesi, compresa la pressione dell’ex Cavaliere per andare al più presto al voto
Se è stato condannato il primo agosto per frode fiscale, se la sentenza è definitiva da quel momento, se anche le motivazioni sono state depositate il 29 agosto, com’è possibile che Berlusconi non stia scontando ancora la pena inflitta
A sentire i magistrati di Milano, la ragione è molto semplice. Questi tempi lunghi vengono considerati “fisiologici”, nel senso che i tribunali di sorveglianza sono oberati di lavoro, e sulle loro scrivanie hanno la priorità i processi con i detenuti. Prima di ricordare i dettagli del caso Berlusconi, va subito detto che, secondo le stime raccolte ieri nello stesso palazzo di giustizia, la decisiva udienza del tribunale di sorveglianza per Berlusconi dovrebbe svolgersi tra marzo e aprile. Subito dopo il leader di Forza Italia comincerà a scontare la pena “affidato” ai servizi sociali
Perchè Berlusconi, anche per 9 mesi, non va in carcere?
Rapido flashback su cosa è accaduto dal primo agosto e sulle leggi in materia. La condanna a 4 anni è “scontata” grazie all’indulto di 3 anni; resta un anno, ulteriormente scontato di 45 giorni (legge Gozzini) ogni sei mesi, quindi rimangono 9 mesi; fino a tre anni (ma col decreto legge Cancellieri del 17 dicembre fino a 4 anni) non si va in carcere, ma si può chiedere l’affidamento ai servizi sociali oppure in alternativa gli arresti domiciliari; il 15 ottobre Berlusconi ha optato per la prima ipotesi, ma non ha presentato dettagli ulteriori.
Perchè è libero anche se ha perso lo scudo di senatore da quando palazzo Madama, il 27 novembre, ha votato per la sua decadenza?
Qui sta l’anomalia. La procedura, come sempre, è complicata. Sarà il tribunale di sorveglianza di Milano a decidere se concedere o negare a Berlusconi l’affidamento ai servizi. I suoi legali sostengono addirittura che sarebbe “strano se ciò avvenisse prima di un anno”, perchè questi sono per loro “i tempi normali”, in quanto il tribunale prima deve prendere in esame i casi dei detenuti che sono giunti a ridosso del fine pena e chiedono l’affidamento. I magistrati della procura di Milano invece considerano “normale” un tempo ridotto della metà . Da qui la previsione che in primavera, tra marzo e aprile, si deciderà .
E quindi Berlusconi quando comincerà a scontare la pena?
Il presidente del tribunale di sorveglianza di Milano Pasquale Nobile De Santis, per fine di gennaio, farà il calendario della prossima primavera e fisserà anche il giorno per Berlusconi, il quale, a quel punto, comincerà i colloqui con gli assistenti sociali per esporre la sua proposta per scontare la pena. Il tribunale, che in un sola udienza tratterà più casi (di solito tra i 20 e i 40), ha due strade: accogliere l’istanza di affidamento ai servizi oppure respingerla e mandare Berlusconi ai domiciliari. In entrambi i casi l’esecuzione è rapida perchè il tribunale emette subito l’ordinanza
Berlusconi, a quel punto, potrà fare una “normale” campagna elettorale?
Come “affidato” i suoi movimenti dovranno essere tutti rigidamente autorizzati, da uno spostamento tra Roma (dove ha fissato la residenza) e Milano, a un incontro politico, a un’intervista in tv. Ogni volta dovrà presentare un’istanza al magistrato di sorveglianza. Molto più rigido lo stato di detenuto ai domiciliari, per il quale, col decreto Cancellieri, rischia anche il braccialetto elettronico. Se il giudice non glielo fa mettere dovrà motivare per iscritto la ragione.
Perchè, allora, Berlusconi insiste per andare a votare per le politiche a metà 2014 quando sarà già in esecuzione pena?
Per la semplice ragione che i “suoi” calcoli sono diversi e conta in un’esecuzione più tardiva, l’autunno per esempio, che gli dia la possibilità di gestire in piena libertà il voto europeo e un eventuale voto politico. In caso contrario, già si prepara a gridare a una giustizia a orologeria per fermarlo.
Che cosa accadrà qualora dovesse intervenire un’altra condanna oppure un arresto per un’altra inchiesta?
A guardare la sua situazione giudiziaria, quella peggiore, dal suo punto di vista, è il caso Ruby Uno.
Il processo d’appello potrebbe essere fissato per la tarda primavera e concludersi prima dell’estate in poche udienze.
Si ripeterebbe lo stesso scenario di Mediaset, con una Cassazione che stavolta però, senza la prescrizione incombente, potrebbe chiudere la vicenda all’inizio del 2015.
In caso di nuova condanna superiore a due anni, Berlusconi perderebbe subito i benefici dell’indulto per Mediaset e ci sarebbe il cumulo con la nuova pena. Con reati gravi come i suoi, l’ex premier rischia il carcere, salvo che non intervenga una norma che escluda definitivamente gli over 75 dalla galera.
Liana Milella
argomento: Giustizia | Commenta »