Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
DURO SCONTRO TRA RENZIANI E BERSANIANI SU SOGLIA E LISTE BLOCCATE, LA BINDI GUIDA LE TRUPPE ANTI-RENZI CONTRO LA LEGGE TRUFFA
“Ma non avete sentito Brunetta?! Ma li leggete gli appelli dei costituzionalisti che bocciano l’Italicum e lo descrivono come un Porcellum?! Basta, le nostre modifiche non possono più essere un prendere o lasciare, vanno fatte serie e circostanziate!”. Così sarebbe sbottata l’ex ministro Rosy Bindi contro i renziani e il loro tentativo di andare ‘fino in fondo’ sull’Italicum.
Al centro della discussione (e della pressione) della minoranza bersaniana-bindiana-cuperliana (e, pare, lettiana) le soglie per premio di maggioranza e la questione delle liste bloccate.
Scontro, dunque, nel Pd, tra maggioranza renziana (che, per accidens, è minoranza in commissione Affari costituzionali: nove contro dodici) e minoranza cuperliana (a mezzadria, però, tra bersaniani, dalemiani, Giovani Turchi e Cuperlo medesimo, oltre che con apporto lettiano…) che detiene, appunto, il core business della componente democrat (21 componenti in tutto).
Scontro che, nella riunione interna al gruppo democrat in I commissione che si tiene per tutto il giorno alla Camera, sfiora il diapason della rottura.
Salvo ricomposizioni dell’ultima ora, che il clima della riunione non lascia intravedere, il Pd andrà in ordine sparso e saranno solo pochi gli emendamenti comuni fra le diverse correnti.
Forzisti (cinque) e NCD (due) compatti come un sol uomo a chiedere, invece, ognuno le cose che, peraltro, già si sanno (‘tenere duro’ sul ‘no’ alle preferenze per FI, ‘aprire’ alle preferenze o a un sistema misto ‘alla tedesca’ fatto di metà collegi e metà preferenze per NCD)
E tutti altri ‘piccoli’ che, pure se volessero sommare tutti i loro voti (21) compreso l’apporto degli otto grillini, mai raggiungerebbero e dunque mai potrebbero violare la (teorica) maggioranza blindata Pd+Fi (26).
Ormai, sull’Italicum, siamo alla corsa contro il tempo.
Domani mattina, lunedi 27 gennaio scade improrogabilmente, alle ore 13, il termine per presentare degli emendamenti da parte di tutti e 47 i membri della Prima Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati.
Dopo, per la serie ‘non si ammazzano così anche i cavalli’ andrà avanti, “giorno e notte” (si chiamano seduta ‘lunga’ e ‘notturna’, in gergo parlamentare) due giorni di discussione generale, voto sugli stessi e voto finale che non potrà arrivare oltre le ore 13 di mercoledì 29 gennaio, quando il testo dell’Italicum è stato calendarizzato per la discussione finale in Aula.
Ecco il perchè, dunque, di una due giorni e notti di passione e relativa discussione ‘fino a esaurimento’, come si suol dirsi, dei parlamentari della Prima commissione…. Voto finale della Camera previsto il 30-31.
Una marcia ‘a tappe forzate’ che fa a pugni con la complessità e la delicatezza della materia, la legge elettorale: incandescente sul piano politico e ‘ardua’ sul piano tecnico, per chi debba cimentarsi con essa.
Prendiamo, per dire, la minoranza Pd, quella che fa capo a Cuperlo, ma che — dentro la I commissione — è guidata da Alfredo D’Attore (bersaniano doc): “Vogliamo la riforma della legge elettorale e non vogliamo boicottarla” — fanno sapere in serata dopo ‘lunghe, infinite e poco cordiali’ discussioni con i renziani, capitanati da Maria Elena Boschi mentre il capogruppo in I, Emanuele Fiano, è lì a far da paciere — “ma è giusto presentare emendamenti, se possibile di tutto il gruppo sui punti dell’Italicum che possono essere di incerta costituzionalità ”.
Le modifiche cui punta la minoranza riguardano in particolare le soglie (da abbassare: tutte), le liste bloccate (da superare, in parte) e la parità di genere (da garantire in modo tassativo: e qui c’è accordo).
“Non siamo noi quelli che vogliono boicottare la legge elettorale e non vogliamo apparire tali”, sottolineano gli esponenti della minoranza Pd presenti alla riunione, convinti che sia necessario tenere assieme la riforma del voto con la riforma del Senato e quella del titolo V, senza dunque cedere di un passo ai ‘ricatti’ elettoralistici di Brunetta and co.
Tra i punti su cui — a sera tardi, nonostante una ‘finta’ sospensione — ancora si discute e per le quali preme e premerà ancora, dentro il Pd, fino a lunedì 27 e fino all’ultimo minuto, ci sono: la soglia per il premio di maggioranza al 35% che è troppo bassa, la soglia di sbarramento dell’8% (troppo alta), l’assenza della possibilità di scegliere gli eletti, che si potrebbe affrontare sostituendo i listini bloccati con le preferenze o introducendo collegi uninominali o primarie obbligatorie. Inoltre, si vorrebbe cambiare anche la norma che prevede che chi è in coalizione concorre al premio di maggioranza anche se si ferma sotto il 5% e non elegge i propri deputati (norma ribattezzata ‘salva-Sel’).
In una pausa della faticosa riunione, la leader della pattuglia renziana, Maria Elena Boschi, fa capolino fuori dalla sala della I commissione per ‘rassicurare’ i giornalisti, parlando di “clima sereno e costruttivo” (classica frase che si pronuncia quando si litiga fino alla morte…): “Ci sono varie proposte — spiega la Boschi – riguardo le soglie, le preferenze e la rappresentanza di genere e domani (lunedì 27, ndr.) la nostra sintesi verrà presentata dal capogruppo, Roberto Speranza, ma sappiamo che le proposte di modifica al testo base devono passare attraverso l’accordo e la condivisione con le altre forze politiche, con cui dobbiamo mantenere l’accordo complessivo sulle riforme”.
Che è come a dire (e come, appunto, dice Renzi): senza accordo con il Cav, Brunetta (e, soprattutto, Verdini) per quanto riguarda il Pd si discute tutto ma, alla fine, non se ne fa niente. Niente preferenze, dunque, e neppure sostanzialmente abbassamenti delle soglie di sbarramento mentre la soglia e l’entità del premio quelle sì, si possono ‘discutere’.
Intanto, e pure in modo inaspettato, oggi pure Forza Italia ha organizzato, sempre a Montecitorio, una riunione dei suoi ‘esperti’ in materia: si presentano all’appello della riunione, convocata ad horas, il responsabile Organizzazione del fu Pdl e della presente Forza Italia, Denis Verdini, mago dei numeri di Berlusconi e appassionato esperto di sistemi elettorali, il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, il presidente della I commissione e relatore del testo dell’Italicum, Francesco Paolo Sisto (raffinato avvocato barese, appassionato di canzoni e raffinato gentiluomo) e, in collegamento telefonico, c’è anche il responsabile Ufficio elettorale del partito, Ignazio Abrignani.
Ribadito che il partito del Cav non intende cedere di un millimetro nè sul tema delle ‘soglie’ interne (5%) ed esterne (8% per i partiti singoli e 12% per i partiti coalizzati) a ogni coalizione, non foss’altro che per mantenere il potere storicamente ‘aggretativo’ di FI sui suoi ‘piccoli’, come pure, ma questo era scontato, sul vessillo di NCD, le preferenze, qualche (timida) apertura trapela in merito all’entità del premio che anche i forzisti potrebbero accettare che venga innalzato dal 35% al 38% (non oltre, però), diminuendone di risulta la consistenza al 15% (dal 18% previsto nel testo base), costringendo dunque Cav e alleati a un quasi sicuro turno di ballottaggio che non fa far loro salti di gioia ma che sono pronti ad accettare se il Pd ‘tiene duro’ su tutto il resto.
Non piccoli nè indolori, invece, gli emendamenti di cui si farà portatore il partito che vede alla sua testa Silvio Berlusconi. In primis, una clausola meglio nota come ‘salva-Lega’ (cofirmata dagli stessi deputati leghisti) che permetterà a un partito che supera l’8% solo in tre regioni del Paese ma con una popolazione superiore al 20% del territorio nazionale (le quali sono, appunto, tre: Piemonte, Lombardia e Veneto…) di accedere al riparto di tutti i seggi sul piano nazionale.
E, in secundis, la richiesta di affidare al Parlamento e non al Viminale, dove siede il ‘perfido’ Alfano di cui, dentro FI, ben poco si fidano, e “a cui, in seconda battuta, si potrebbe anche affidare la pratica”, spiega un’autorevole fonte azzurra, solo se dentro una cornice ben precisa: la definizione dei collegi elettorali (o, meglio, circoscrizioni plurinominali) stabilendone in modo tassativo il numero dei collegi medesimi (60 le circoscrizioni regionali del Senato, 120 quelle provinciali per la Camera) e con una data ultimativa (60 giorni) per la loro definizione, oltre che con un numero altrettanto fisso di eletti (quattro massimo).
Infine, sempre ieri, si sono incontrati anche i rappresentanti di Sc.
Il partito fondato da Monti oggi guidato dalla senatrice Stefania Giannini ha visto all’opera, insieme a lei, una piccola task force – formata da Renato Balduzzi, responsabile riforme, Andrea Romano, capogruppo alla Camera e Andrea Mazziotti, responsabile giustizia — che proporrà , all’esame degli altri partiti di maggioranza pochi emendamenti-chiave.
Primo: modificare la soglia di accesso al premio di maggioranza, garantendo il 13% in più alla lista che arriva al 42% oppure (ipotesi minimale ma realistica), soglia al 38% e premio fissato al 15%; Secondo: abbassare le ‘asticelle’ di sbarramento per le forze politiche. Terzo: introdurre collegi uninominali e l’effettiva alternanza di genere, introducendo anche le primarie per legge per eleggere i deputati.
Tranne il primo, gli altri, come gli emendamenti di tutti gli altri partiti cosiddetti piccoli, rientrano nel campo delle famose ‘buone intenzioni’.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
TRA DI LORO SPICCA IL NOME DI RODOTA‘
Una riformulazione del Porcellum, peggiore del Porcellum.
Così 27 autorevoli costituzionalisti italiani, fra i quali spicca il nome di Stefano Rodotà , bocciano l’Italicum, esprimendo “sconcerto e preoccupazione” per la legge elettorale proposta da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e attualmente in discussione alla Camera.
La proposta, spiegano, “consiste sostanzialmente, con pochi correttivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale — il cosiddetto Porcellum — e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della Corte costituzionale”.
La Consulta aveva sottolineato la “lesione dell’uguaglianza del voto e della rappresentanza politica” determinata dal premio di maggioranza del Porcellum; nell’Italicum, si “introduce una soglia minima, ma stabilendola nella misura del 35% dei votanti e attribuendo alla lista che la raggiunge il premio del 53% dei seggi rende insopportabilmente vistosa la lesione dell’uguaglianza dei voti e del principio di rappresentanza lamentata dalla Corte”.
Senza contare, aggiungono i costituzionalisti, che “in presenza di tre schieramenti politici ciascuno dei quali può raggiungere la soglia del 35%, le elezioni si trasformerebbero in una roulette”.
Inoltre il secondo profilo di illegittimità del Porcellum “consisteva nella mancata previsione delle preferenze”.
Il medesimo vizio è presente anche nell’attuale proposta di riforma, nella quale “parimenti sono escluse le preferenze, pur prevedendosi liste assai più corte.
La designazione dei rappresentanti è perciò nuovamente riconsegnata alle segreterie dei partiti. Viene così ripristinato lo scandalo del Parlamento di nominati”.
I costituzionalisti sottolineano poi “un altro fattore che aggrava” ulteriormente la situazione: le soglie di sbarramento.
Se il Porcellum incostituzionale “richiede per l’accesso alla rappresentanza parlamentare almeno il 2% alle liste coalizzate e almeno il 4% a quelle non coalizzate, l’attuale proposta richiede il 5% alle liste coalizzate, l’8% alle liste non coalizzate e il 12% alle coalizioni”.
Questo comporterà la “probabile scomparsa dal Parlamento di tutte le forze minori, di centro, di sinistra e di destra e la rappresentanza delle sole tre forze maggiori affidata a gruppi parlamentari composti interamente da persone fedeli ai loro capi”.
Insomma per i 27 esperti di diritto l’Italicum “consiste in una riedi ¬zione del Porcellum, che da essa è sotto taluni aspetti — la fissazione di una quota minima per il premio di maggioranza e le liste corte — migliorato, ma sotto altri — le soglie di sbarramento, enormemente più alte — peggiorato”.
I costituzionalisti “esprimono il loro sconcerto e la loro protesta” per una proposta di legge che rischia una “nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima, un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica”
I primi firmatari sono Gaetano Azzariti, Mauro Barberis, Michelangelo Bovero, Ernesto Bettinelli, Francesco Bilancia, Lorenza Carlassare, Paolo Caretti, Giovanni Cocco, Claudio De Fiores, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luigi Ferrajoli, Angela Musumeci, Alessandro Pace, Stefano Rodotà , Luigi Ventura, Massimo Villone, Ermanno Vitale.
Hanno sottoscritto anche Pietro Adami, Anna Falcone, Giovanni Incorvati, Raniero La Valle, Roberto La Macchia, Domenico Gallo, Fabio Marcelli, Valentina Pazè, Paolo Solimeno.
Per aderire inviare una mail a perlademocraziacostituzionale@gmail.com
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
IN UN’INTERVISTA A QN DICE DI APREZZARE RENZI “UN UOMO CHE DECIDE E SI GETTA NELLA MISCHIA” E BERLUSCONI “UN COMBATTENTE”… “GRILLO SI E’ INFILATO IN FRETTA LE CIABATTE DEL SISTEMA”
Beppe Grillo? “Un tribuno sfiatato”. Matteo Renzi? “Un personaggio molto interessante”. E Silvio Berlusconi? “Un combattente”.
In un’intervista a Qn Marine Le Pen, leader del Front national francese, dato nettamente in testa (al 23 per cento per Ifop) nei sondaggi alle elezioni europee del prossimo maggio, ha una definizione per ciascun leader italiano.
E se per il capo di Forza Italia e il segretario Pd spende aggettivi positivi — “istintivo, furbo” il primo, “un decisionista” il secondo — per l’ex comico genovese fondatore del Movimento 5 stelle — la donna forte dell’estrema destra francese riserva parole non propriamente gentili: “Grillo non mi piace. L’ho trovato estremamente sgradevole nei nostri confronti, e per uno che si proclama anti-sistema trovo che abbia infilato molto in fretta le ciabatte del sistema — Spiega Le Pen al quotidiano milanese — E’ un tribuno sfiatato, un ribelle col piede corto. Trovo incoerente il suo progetto. Il suo non è un partito ma un’eruzione cutanea, un’allergia alla vita politica. E’ stato forse il suo punto di forza all’inizio, adesso è un enorme punto debole“.
Nel giorno in cui l’ormai ex compagna del presidente francese Francois Hollande, Valerie Trieweiler, lascia Parigi per atterrare in India, la leader del Front national esprime il suo giudizio sul sexy gate che ha scosso la Francia: “Penso che la fiducia e la stima nei confronti di Hollande sia scesa ulteriormente. La realtà è crudele: non è un presidente, è solo il capo di un governo tecnico. Si limita ad applicare la dottrina di Bruxelles, non decide niente, non è particolarmente competente. Possiamo solo riconoscergli una certa onestà ”.
Marine Le Pen rifiuta l’etichetta di partito di estrema destra: “Questa definizione è un’arma semantica puntata contro di noi. La usano i media avversari per screditarci, per far credere che siamo settari, violenti, estremisti. Poteva forse avere un senso negli anni ’80, quando il Fn era alla destra della destra. Ma oggi? Destra e sinistra non ci sono più, l’unica discriminante è fra mondialisti e nazionalisti. Noi identifichiamo nella Nazione la struttura migliore per assicurare la sicurezza, la prosperità e l’identità di un Paese”.
Una visione che rischia di diventare centrale se, come attestano i sondaggi, il Fron national vincerà le prossime elezioni europee: “Possiamo diventare benissimo il primo partito di Francia. Il che dovrebbe aprire una crisi politica imponendo la dissoluzione dell’Assemblea nazionale e la fine della moneta unica. Dopo di noi anche la Germania rinuncerà all’euro e tornerà al marco“.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
AUMENTANO I MALUMORI NEL GRUPPO DI ALFANO, ANCHE QUAGLIARELLO MEDITA L’ADDIO SE L’ITALICUM NON AVRA’ LE PREFERENZE
La notizia giunge all’improvviso, alla vigilia di una giornata delicatissima per l’approvazione della legge elettorale. Nunzia De Girolamo si dimette da ministro delle Politiche agricole. Lascia e accusa. “L’ho deciso per la mia dignità ” afferma, “la voglio salvaguardare a qualunque costo”, perchè “vale più di tutto questo ed è stata offesa da chi sa che non ho fatto nulla e avrebbe dovuto spiegare perchè era suo dovere prima morale e poi politico”.
C’è la gestione della sanità sannita e una storia di registrazioni rubate, fatta di presunte pressioni esercitate sul direttore generale dell’Asl di Benevento e anche un interessamento per la gestione del bar di famiglia dentro un ospedale privato, nella spy story di provincia che coinvolge Nunzia De Girolamo, che sbatte la porta e lancia accuse.
Si era difesa in Parlamento dalle interrogazioni parlamentari, ma aveva ancora davanti a sè da superare una mozione di sfiducia. Non si è sentita tutelata all’interno dell’esecutivo, e il riferimento indiretto è al vice premier Angelino Alfano. “Non posso restare in un Governo che non ha difeso la mia onorabilità ”.
Le dimissioni aprono un problema nel Governo, che potrebbe vedersi costretto ad accelerare sul fronte del rimpasto, annunciato ma ancora ieri rinviato da Enrico Letta al confronto interno alla maggioranza.
Aprono una breccia soprattutto all’interno del Nuovo Centrodestra, che perde un ministro, ma registra anche altri malumori al suo interno.
Gaetano Quagliariello, in un’intervista all’Avvenire, lascia chiaramente intendere che il percorso parlamentare della legge elettorale è un momento decisivo per la sua permanenza al Governo.
Il ministro delle Riforme considera “un disastro per l’Italia” l’eventuale affondamento dell’Italicum e osserva il deterioramento del quadro politico, a cui non hanno contribuito le divergenze fra Matteo Renzi ed Enrico Letta.
Ancora oggi, secondo quanto si apprende da ambienti vicini al ministro, Quagliariello starebbe meditando sul suo futuro dentro il Nuovo Centrodestra e considera il passaggio della legge elettorale un punto dirimente.
Per Alfano si prospetta una situazione delicatissima.
Aumentano i mal di pancia e le posizioni espresse da Ncd sulla legge elettorale non sembrano fare breccia nell’accordo Renzi-Berlusconi. Alfano promette battaglia sulle preferenze, Schifani paventa addirittura la via di un referendum abrogativo, ma ricevono una porta in faccia sia da Forza Italia — “ci sono le liste corte, non c’è spazio” dice Denis Verdini — sia dal Pd, che sulla rinuncia alle preferenze ha costruito l’accordo con Berlusconi.
“Perchè fare torto agli italiani e tenersi la parte peggiore del Porcellum? Non capisco proprio, è inspiegabile” dice Alfano e come lui diversi giuristi, fra cui Stefano Rodotà , che segnalano che l’Italicum ha vizi ancora peggiori del Porcellum sul premio di maggioranza, sulle preferenze e sulle soglie di sbarramento.
Alfano deve quindi ora cercare di portare a casa un risultato sulla legge elettorale. L’Italicum così com’è sarebbe una disfatta totale per il Nuovo Centrodestra, che vedrebbe messa a repentaglio la sua stessa esistenza.
Un Alfano più debole è però un problema anche per Letta, che con Ncd vuole ricostruire le basi del Governo con Impegno 2014.
Non basterà sostituire Nunzia De Girolamo con un altro “alfaniano” per riprendere la rotta giusta.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
PROBABILE MOSSA CONCORDATA CON VERDINI, IN ATTESA DI RIENTRARE IN FORZA ITALIA
Colpo di scena nel caso De Girolamo. Il ministro per le Politiche agricole ha scelto di dimettersi dopo le polemiche per l’inchiesta sulla Asl di Benevento.
«L’ho deciso per la mia dignità : è la cosa più importante che ho e la voglio salvaguardare a qualunque costo. Ho deciso di lasciare un ministero e di lasciare un governo perchè la mia dignità vale più di tutto questo ed è stata offesa da chi sa che non ho fatto nulla e avrebbe dovuto spiegare perchè era suo dovere prima morale e poi politico. Non posso restare in un governo che non ha difeso la mia onorabilità », si legge in una nota ufficiale.
La decisione del ministro, in carica da appena un anno, è arrivata improvvisa in serata: nessuno del suo staff, a quanto si apprende, era stato avvisato.
La sua, sempre a quanto si apprende, è stata una decisione presa in totale autonomia, sofferta e ponderata, che ha sollevato stupore e dispiacere tra i suoi collaboratori.
La prima reazione è quella del Pd: «De Girolamo si dimette? Tutto quello che porta chiarezza fa bene al governo», è la dichiarazione del deputato Edoardo Patriarca. «Le vicende non chiare, come quella della De Girolamo sono un ostacolo per il governo – continua – E l’esecutivo in questo momento deve continuare con sempre maggiore decisione».
«Rispetto il grande gesto di dignità di Nunzia, che rispecchia la sua passione per la politica sempre disinteressata e desiderosa solo di voler costruire un futuro più giusto. E di servire il bene comune», è il commento del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi. «Mi dispiace perdere un ottimo ministro, ma so che guadagneremo in ruoli di grande responsabilità una risorsa enorme e tanta energia e passione per l’affermazione del Nuovo Centrodestra».
Ma sono in molti a ritenere che questo atto sia il primo passo per rientrare in Forza Italia dopo i colloqui avuti con Verdini.
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Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
NON SI RICUCE LO STRAPPO SULLA LEGGE ELETTORALE… MA SE IL PREMIO SCATTASSE AL 38% E LA SOGLIA SCENDESSE AL 4% L’INTESA CI SAREBBE
Gli assedianti sono sulle mura, ma Renzi difende il castello costruito insieme al Cavaliere.
Soprattutto contro le preferenze, la testa d’ariete che i nemici dell’Italicum – dalla sinistra del Pd ai piccoli partiti – vogliono utilizzare per aprirsi un varco e far crollare l’intesa.
“Le prefernze non fanno parte dell’accordo votato anche in direzione: nessuno spazio per iniziative non concordate », ammonisce il segretario nei suoi colloqui riservati in vista della riunione di oggi dei membri democrats della commissione affari costituzionali.
Insomma, l’apertura di Enrico Letta sulle preferenze viene sonoramente bocciata. Ma su ventuno componenti i renziani sono soltanto otto, quindi l’esito del vertice – in cui si dovranno discutere eventuali emendamenti da presentare domani in commissione – non è affatto scontato. La minoranza è infatti sul piede di guerra e non intende mollare.
«Noi – spiega Alfredo D’Attorre – faremo la nostra battaglia alla luce del sole. Se volessimo far fallire la riforma basterebbe un’imboscata con il voto segreto. Gli aut aut di Renzi non servono. Andare alle urne con la legge partorita dalla sentenza della Consulta sarebbe un disastro per la vocazione maggioritaria del Pd. Non conviene neanche a Matteo»
Convinti di farcela, grazie alla sponda con Ncd, Sel e Scelta Civica, i bersaniani stanno preparando tre emendamenti che puntano tutti a far saltare le liste bloccate: preferenze, collegi uninominali, primarie obbligatorie per legge.
Ma il muro eretto da Renzi è per ora invalicabile.
«I mal di pancia sono naturali – ha detto ieri ai suoi – ma il Pd ha deciso e non si torna indietro: chi vuole riportare tutto sempre a capo non sa quale occasione rischia di farci perdere. Sono le cose per le quali hanno votato milioni di italiani alle primarie del Pd».
Il segretario, con una serie di tweet, ieri ha aperto soltanto alla possibilità di eliminare il divieto di candidature multiple. Per ora non ci sono, ma «non mi ci immolo (come ballottaggio, premio, sbarramenti)», cinguetta Renzi assicurando comunque che il Pd «non farà mai candidature multiple».
In effetti, parlando con gli sherpa che per il Pd e Forza Italia stanno seguendo la partita, questa piccola concessione per sbloccare un po’ le liste (e tutelare i leader a rischio) potrebbe passare.
Come pure, alla fine del negoziato, non si esclude che lo sbarramento al 5% per chi si coalizza possa scendere al 4% o che la soglia per accedere al premio di maggioranza possa salire verso il 37-38 per cento.
A patto però che il resto marci in fretta. Un interesse questo anche del Quirinale.
Nei suoi contatti con Renzi il capo dello Stato avrebbe infatti chiesto di approvare la riforma il prima possibile, possibilmente cercando di tenere unita la maggioranza.
Al segretario del Pd sta invece a cuore portare a casa tutto «il tris» di provvedimenti che fanno parte del pacchetto concordato con il Cavaliere.
«La riforma storica – ha ribadito ieri istruendo il suo staff – non è la legge elettorale ma tutto il tris: Senato senza indennità , lotta alle disfunzioni regionali, garanzia del bipolarismo. Su questo dobbiamo battere, altrimenti la gente non capisce il valore straordinario di questo accordo».
Quanto ai tempi, «una settimana fa – ha ricordato il leader dem – eravamo all’incontro con Berlusconi. Oggi abbiamo approvato già un testo base. C’è voluto tempismo, energia, visione».
Una visione condivisa nell’altro campo, quello dei berlusconiani. Come fa notare il presidente della commissione affari costituzionali, Francesco Paolo Sisto: «Se l’Italia vuole guarire deve prendere l’antibiotico di un vero bipolarismo. E deve prendere tutta la scatola, non si può scegliere una pasticca sì e un’altra no».
Certo, superare il FUP, il fronte unito delle preferenze, non sarà semplice. Gli alfaniani ad esempio, pur avendo firmato e votato il testo base, lunedì depositeranno un emendamento “alla tedesca” che introduce il 50% di collegi uninominali e il restante 50% di liste proporzionali con due preferenze, un maschio e una femmina. Sperano su questa “mediazione” di tirarsi dietro tutti gli altri.
Lo stesso emendamento potrebbe ricomparire a sorpresa in aula e non è detto che una parte di Forza Italia – con il voto segreto – non si lasci tentare.
Nelle file dei deputati forzisti sta infatti crescendo il malcontento verso l’Italicum. L’hanno ribattezzata «la legge dei numeri primi», perchè, se Forza Italia non dovesse vincere il premio di maggioranza, nei collegi passerebbero soltanto i 122 capilista.
Per i numeri due della lista non ci sarebbe scampo, figuriamoci la sorte dei numeri tre e di quelli a scendere: semplici riempitivi. E non ha rassicurato i più la promessa (o minaccia) fatta da Denis Verdini ai parlamentari: «Cercheremo di mettere i migliori di voi come capilista». Oltretutto anche le donne, a cui è stata promessa l’alternanza di genere, sono sul piede di guerra per lo stesso motivo. «Con questo Porcellum camuffato – sbotta una forzista alla seconda legislatura – o ci mettono capolista o torniamo tutte a casa».
L’altro scoglio sulla riforma è un meccanismo che sta mettendo a punto la minoranza Pd, con l’accordo anche di socialisti e Sel.
Sono le primarie o parlamentarie regolate per legge. Ma potrebbero anche essere facoltative, sul modello toscano. E in effetti proprio alla «legge toscana del 2005 sulle primarie» si è richiamato ieri il segretario socialista Nencini, ricevendo gli applausi del congresso di Sel.
Insomma il “FUP” è più attivo che mai e sperimenta inediti assi trasversali. E tuttavia anche i sostenitori delle preferenze ammettono che fermare il treno della riforma non sarà semplice.
Quando venerdì è stato approvato il testo base, nella barberia di Montecitorio l’udc Ferdinando Adornato confidava a un collega centrista: «Se abbassano lo sbarramento al 4% e alzano la soglia per il premio al 38% la riforma passa in un minuto, La battaglia di bandiera sulle preferenze la faremo, insieme ad Alfano e agli altri, ma dobbiamo dirci la verità : chi se la prende la responsabilità di far fallire questa riforma? Saremmo travolti tutti da Grillo. Tutti, nessuno escluso».
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA SCUSANTE: “ANGELINO MI HA LASCIATA SOLA” …. E VERDINI STA LAVORANDO AD ALTRI RIENTRI
L’operazione politica è tutta da definire nei tempi: il dato certo è che Nunzia De Girolamo, ministro dell’Agricoltura, coinvolta nello scandalo Asl a Benevento, lascerà il Nuovo centrodestra alfaniano per tornare tra le braccia della rinata Forza Italia di Silvio Berlusconi. Probabile che avvenga prima della mozione di sfiducia contro di lei — dovrebbe essere in calendario il 4 febbraio — o nei giorni immediatamente successivi, giusto per complicare la vita del “fu delfino” Angelino.
L’operazione traghettata da Denis Verdini e benedetta da Silvio Berlusconi, avverrà .
E se tutto in Forza Italia è in discussione, se Berlusconi ha mostrato aperture a falchi e colombe anche sul ruolo da affidare a Giovanni Toti, per la signora Nunzia, coniugata Boccia, le porte sono aperte. Punto.
Il Cavaliere è andato oltre: ha fatto sapere dalla clinica dove si trova a dimagrire che se non si dimettesse prima del voto, tutti i parlamentari di Forza Italia sono invitati a votare contro la mozione di sfiducia.
Il ministro, in Transatlantico, ha ripetuto ai vecchi colleghi: “Mi sono sbagliata, sono pronta a rientrare. Alfano e i suoi mi hanno lasciata sola nel momento di difficoltà , Silvio non l’avrebbe mai fatto”.
È il primo passo della tattica berlusconiana ai tempi del renzismo: riportare a casa i transfughi. C’è posto per tutti, meno che per lui, quello che Arcore considera il grande traditore, Angelino Alfano.
Non sono tenere le soldatesse del Cavaliere, le varie Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo. La scelta di riaccogliere il ministro dell’Agricoltura non entusiasma neppure Francesca Pascale che, con il trascorrere dei mesi, ha acquistato molto più che un diritto di parola sul partito. Ma non saranno loro a far cambiare idea a Berlusconi: “Abbiamo bisogno di tutti, non ci possiamo permettere gli errori del passato”.
Anche Toti ha avallato il rientro della De Girolamo anche se l’operazione, alla fine, l’hanno portata a termine Denis Verdini e Deborah Bergamini, legata all’attuale ministro da una vecchia amicizia.
Al nuovo consigliere politico e portavoce unico di Forza Italia spetta invece il compito di mettere insieme le candidature per le Europee.
Un puzzle per niente facile visto che il posto potrebbe fare gola a molti. Con l’instabilità e un futuro incerto infatti, gli eletti si assicurerebbero un posto certo al Parlamento europeo per cinque anni.
Cosa che non è all’orizzonte in caso di elezioni politiche, visto il caos istituzionale e un sistema elettorale sul quale c’è solo un accordo di massima con Matteo Renzi.
“Ma vedrete — dicono le persone vicine al Cavaliere — l’operazione non si ferma qui. È probabile che insieme a De Girolamo facciano ritorno a casa anche altri parlamentari”.
Questo vorrebbe dire mettere a serio rischio non solo il partito di Alfano, nato già sepolto dai sondaggi, ma anche il governo delle larghe intese.
Un’operazione che mette in difficoltà Enrico Letta e Giorgio Napolitano.
Emiliano Liuzzi
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Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
“NON SI PUO’ CHIEDERE LA LUNA, MEGLIO ASPETTARE TEMPI MIGLIORI”
«Se Renzi chiede la Luna questo governo non gliela può dare… Ma se il premier chiede al Pd la Luna, o una legge sul conflitto di interessi, è chiaro che anche questo non si può ottenere»: Graziano Delrio, ministro per gli Affari regionali, in un’intervista al Corriere auspica che sia Letta sia il segretario del Pd si assumano «un pezzo delle responsabilità dell’altro» perchè, altrimenti, «ci rimette il Paese». Intanto Renzi insiste: sulle riforme non si torna indietro.
ROMA
«Se Renzi chiede la luna questo governo non gliela può dare… Ma se il premier chiede al Pd la luna, o una legge sul conflitto di interessi, è chiaro che anche questo non si può ottenere».
È la metafora con cui il ministro Graziano Delrio, Affari regionali, chiede a Renzi di lasciar lavorare Letta sul fronte economico e sociale e al capo del governo di star lontano dalla legge elettorale: «È un momento delicato, è importante che ognuno assuma un pezzo delle responsabilità dell’altro. Se non si conciliano le posizioni, ci rimette il Paese».
Tra Renzi e Letta è resa dei conti?
«No, io credo di no. Gli italiani ci chiedono due cose, un quadro politico solido e la soluzione di problemi molto seri come la disoccupazione. Il campo da gioco è molto largo e ognuno deve fare la sua parte. L’iniziativa di Renzi sulle riforme ha dato al Parlamento un’occasione d’oro per dimostrare che la politica è in grado di passare il guado e di ritrovare dignità . Non possiamo fallire ancora».
Letta ha detto no alle liste bloccate e Renzi ritiene «tecnicamente possibile» votare durante il semestre.
«Da ministro dello Sport ricordo che ci sono squadre che possono vincere anche quando i due calciatori più forti non si parlano negli spogliatoi. La cosa importante è giocare per il Paese, per battere la crisi e far ripartire l’occupazione».
Ci riusciranno? Letta sembra soffrire il «fattore Renzi».
«Le sue ambizioni personali non sono state mai così lontane, altrimenti Matteo avrebbe fatto altre scelte e aveva gli strumenti per farle. Sulla legge elettorale Renzi ci ha messo la faccia rischiando grosso, il passaggio con Berlusconi non è stato indolore».
È vero che quando non si parlano è lei che fa da ponte telefonico?
«Sono uno di quelli che parlano con tutti e due».
Avrà capito se Renzi vuole davvero votare durante il semestre…
«Così non è. Ma se non riusciamo ad approvare le riforme il rischio per la legislatura sarà molto alto. Se non si arriva in fondo al processo costituente, le elezioni anticipate si avvicinano. Grillo è rimasto fuori dal processo proprio con la speranza di assistere all’ennesimo fallimento della politica».
La sua ricetta per scongiurarlo?
«Credo che il governo dovrebbe tenere un atteggiamento molto prudente a entrare dentro la dinamica delle riforme. È un governo di larga coalizione, anche se adesso meno ampia, in Parlamento ci sono i partiti e il lavoro sulla legge elettorale spetta a loro».
Letta non doveva rompere il silenzio? Non doveva dire la sua contro le liste bloccate?
«La questione non è che Letta non può o non deve dire la sua, così come è impensabile che il Pd non si esprima sull’agenda di governo. Ma se il Pd e il governo chiedono la luna…».
La luna sono le preferenze?
«Le opinioni sono legittime, però ci vuole buon senso. Tutti sanno che qualsiasi avanzamento sulla legge elettorale va fatto d’intesa con coloro che hanno sottoscritto il testo».
E se Berlusconi fa muro?
«Chi vuole modificare il testo costruito con tanta abilità deve essere in grado di proporne uno migliore. Se la minoranza del Pd o i colleghi del governo trovano un punto di sintesi migliore se ne facciano carico. Cerchiamo di essere onesti dal punto di vista della memoria, Renzi ha tenuto fede al suo impegno di non compromettere la durata del governo. Il suo punto di sintesi non umilia il Nuovo centrodestra e l’argomento della legge elettorale come pericolo per il governo è stato tolto dal piatto».
Letta si fida di Renzi?
«Ho parlato con il premier, sa bene che il pacchetto delle riforme può consacrare Renzi come colui che ha dato il via alla Terza Repubblica, ma sa anche che non può metterlo in condizione di concorrere per il governo a breve scadenza. È chiaro che il capo dello Stato può sempre sciogliere le Camere se il premier ritiene di non avere più la fiducia, ma le riforme sono un antidoto al voto anticipato».
Il suo appello ai duellanti?
«Cerchiamo di essere ottimisti e facciamo un po’ di autocritica, senza nasconderci che abbiamo bassi indici di fiducia da parte degli italiani. Il governo dovrebbe imprimere uno scatto alla forza della sua azione e renderla più incisiva, come ha fatto Hollande».
Letta rivendica i risultati.
«I risultati sulla stabilizzazione finanziaria ci sono ed è stato faticoso raggiungerli, ma non vengono percepiti dalla popolazione. Come la politica ha fatto uno scatto in avanti con l’iniziativa di Renzi, così il governo deve cambiare passo sotto la regia del premier».
Per cambiare di passo serve il Letta bis, ma il premier non può farlo finchè Renzi non ci mette la faccia
«È ovvio che, nel momento in cui il Pd darà un contributo forte al programma, dovrà anche sostenere il governo in modo convinto. Il Pd deve fare nei suoi organi un ragionamento diretto e franco, lo deve al Paese. Non si può essere ambigui. Una volta approvata la legge elettorale il segretario metterà la faccia anche sul rilancio, ama l’Italia e capisce che vale più di ogni cosa»
Sulle preferenze si litiga…
«Se ne parla troppo, non sono il totem della democrazia. Il Pd ci sta mettendo un’enfasi enorme rispetto alla sua linea di sempre»
In commissione il Pd è diviso, c’è il rischio franchi tiratori in Aula?
«Dopo la vicenda penosa di Prodi c’è sempre questo rischio e porterebbe diritti al fallimento del progetto. A quel punto andare verso il voto anticipato, che per mesi abbiamo cercato di scongiurare, sarebbe molto facile».
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 26th, 2014 Riccardo Fucile
PENTITO DI MAFIA DAL 1992, EX BRACCIO DESTRO DI TOTO’ RIINA: “DI MATTEO STA COMBATTENDO MA LO HANNO LASCIATO SOLO”
“Sono stato autista e killer per Totò Riina, responsabile di 22 omicidi, eseguiti quasi sempre stringendo una corda intorno al collo. Gli altri dissociati hanno confermato le mie dichiarazioni, anche le più rilevanti, come quelle sull’omicidio di Salvo Lima. Inoltre, sono il primo collaboratore a provenire dalle schiere di Riina. La mia storia è quella di un uomo che ha voluto rompere un sistema scellerato, figlio della follia di Riina. Io che ero legato alla mafia vincente, ero stato il braccio destro di Riina, ho parlato non per paura di essere ammazzato, ma per affossare il sistema instaurato da Riina: i libri di storia sono pieni di esempi di tiranni uccisi dai loro uomini più fedeli”. Si presenta così Gaspare Mutolo, pentito di mafia dal 1992, nel libro testimonianza La mafia non lascia tempo (con Anna Vinci, Rizzoli)
Oggi il braccio destro del feroce boss vive sotto copertura, lontano dall’amata Sicilia, e continua a collaborare con la giustizia.
In questo memoir pieno di omicidi, vendette, denaro e potere, Totò Riina s’incontra spesso, spessissimo.
Con lui Mutolo non va per il sottile. Lo definisce “un demonio” “artefice di un regime del terrore”. Uno il cui pensiero fisso era: “Questo è diventato troppo importante. Meglio ammazzarlo”.
E ancora “un pazzo sanguinario che non si faceva problemi ad ammazzare i suoi parenti”, “imprevedibile e inavvicinabile”. Totò u’ curtu, detto anche la Belva, è in cella, nel carcere di Opera: intercettato durante l’ora d’aria, spiega a un “collega” della Sacra corona unita come vorrebbe eliminare Nino Di Matteo, il pubblico ministero del processo sulla trattativa Stato-mafia.
Mutolo, che cosa pensa delle intercettazioni di Riina?
Le aspettative di Riina, ma non solo le sue, sono state tradite: si capisce da come parla con Lorusso, quel compagno di sventura suo. Dopo tanti anni di collusione tra mafia, politica e affari, tutti questi grossi personaggi come Riina sono finiti in galera. Secondo la loro mentalità storta è perchè sono stati traditi. La realtà è che i politici sono stati incalzati, in questi anni, dalle associazioni, dai familiari delle vittime della mafia. Penso a Maria Falcone, a Salvatore Borsellino, ai figli di Dalla Chiesa, alla moglie di Rocco Chinnici: persone che hanno continuato a mantenere alta l’attenzione sulle cose della mafia. Sono loro gli unici che lottano alla mafia, la volontà politica non c’è. Non vedo nessuna volontà di tagliare questi cordoni ombelicali tra le istituzioni e Cosa Nostra.
Torniamo ai discorsi di Riina.
Io a Riina lo conosco benissimo. Riina non parla perchè vuole dare fiato alla bocca, no. Parla perchè lui pensa che fuori c’è qualche fanatico — e ci sarà ancora — che prenderà la palla al balzo. Il problema che bisogna porsi è: riusciranno a fare del male a Di Matteo? Di Matteo è visto dai mafiosi come Falcone nell’85. Logicamente quando nasce un magistrato che non guarda in faccia a nessuno, diventa pericoloso. A Ingroia l’hanno fatto stufare: io penso che ha abbandonato la magistratura perchè gli davano sempre addosso. Falcone era uno dei pochi magistrati che volevano liberare la Sicilia dalla mafia, eppure ci andavano tutti contro. Anche i suoi colleghi, anche i suoi amici.
Di Matteo sta combattendo, ma l’hanno lasciato solo. Anche se io penso che oggi i giudici sono tutti concordi, con qualche eccezione, a dare contro alla mafia.
Purtroppo in Italia le infiltrazioni della mafia nella politica sono profonde. Pensiamo a Marcello Dell’Utri. Ma anche certi atteggiamenti criminali di Berlusconi, condannato per evasione fiscale. Il problema è che ci sono delle cose che al sud si chiamano mafia e al nord si chiamano in un altro modo.
Io sono rimasto terrorizzato quando ho letto le intercettazioni della Cancellieri, il nostro ministro della Giustizia, con la compagna di Ligresti. Lei dice di suo marito che è un brav’uomo perchè ha dato lavoro a tanta gente. Ma che discorso è? Anche Ciancimino dava tanto lavoro, ed era un mafioso, anche i Salvo davano tanto lavoro ed erano mafiosi.
Il boss in carcere dice anche: “I Graviano avevano Berlusconi”. Che significa?
Li conosco, me li aveva presentati Pino Savoca. Riina vuol dire che i Graviano avevano rapporti con Dell’Utri (la circostanza, affermata nella sentenza di primo grado, non è stata confermata dai giudici d’Appello, ndr). E Dell’Utri era molto amico di Berlusconi: c’erano interessi d’affari. È una verità che si vuole nascondere che la mafia avesse rapporti con Dell’Utri e di conseguenza con Berlusconi. Non dimentichiamo Vittorio Mangano.
Lei dice: Riina parla perchè si sente ancora un uomo forte. Lo è davvero o è solo una sua convinzione?
Qualche potere ce l’ha. Ci sono i figli, non bisogna dimenticarlo. E poi la mentalità non è cambiata. Se la maggior parte delle persone in Sicilia paga il pizzo e viene ricattata, allora la mafia non è finita. Lo Stato si è fatto più moderno, ci sono tutte queste tecnologie che ora anche il mafioso sa che lo beccano. Prima era diverso, ma adesso lo sanno tutti che con queste cose elettroniche…
…quindi Riina parla sapendo di essere ascoltato?
Sapendo di essere ascoltato e con la speranza che qualcuno fuori obbedisca. È uno spietato, lo è sempre stato. Quando qualcuno non si sottomette al suo volere, lo vorrebbe morto. Così faceva con i mafiosi, con le donne e i bambini, con i suoi amici, con i poliziotti, con i magistrati. Chiunque gli si metteva contro lo voleva eliminare. Ha questo carattere. Se c’è qualcuno che tenta di combatterlo o di fargli vedere la verità , lui l’unica cosa che spera è che viene ucciso.
“Gli farei fare la fine del tonno”, cosa vuol dire?
Il tonno viene preso quando fa il viaggio dell’amore per andare a deporre le uova, o al ritorno. L’operazione della pesca è complessa. Vengono gettate le reti, le tonnare, che sono divise in diverse camere. Ma quando il pesce entra nella camera, non ha più scampo: dalla prima arriverà all’ultima, la camera della morte. Ed è in gabbia, non si può muovere, non può tornare indietro. Alla fine del tunnel c’è la mattanza: il tonno viene ucciso violentemente. Di Matteo ha preso quel tunnel lì di combattere la mafia, perchè tutti i processi importanti ce li ha anche Di Matteo, e quindi è come se fosse entrato nella camera della morte. Anche il magistrato ha un passaggio obbligato, tutti i giorni: va al Palazzo di giustizia e torna a casa. È come i tonni, che seguono sempre la stessa rotta, all’andata e al ritorno del loro viaggio: si chiama la strada della morte. Se vuole, lo Stato è più forte di tutto questo: Di Matteo non deve essere abbandonato dallo Stato e dal governo.
Silvia Truzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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