Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE DELLA SEGRETERIA DEL PD: “NESSUNA DOMANDA SULLA GIUSTIZIA, L’ARGOMENTO CHE CONOSCO”
«Eh… la supercazzola …».
Il conte Mascetti
«Guardi, giuro che è un caso: ma, davvero, “Amici miei” è un film che adoro”.
Però ora dicono: l’onorevole Alessia Morani del Pd, quella della supercazzola a «Ballarò». Non è il massimo della vita…
«Lo so, lo so… comunque non ci bado. Tutti noi renziani dobbiamo abituarci ai giornalisti di parte, di destra, pagati per infangarci, per demolire subito il nuovo che nasce, che cresce».
(Sono le due del pomeriggio e, prima di continuare a parlare con l’onorevole Morani, è opportuno consultare Wikipedia. Che, alla voce “supercazzola”, dice: «Il termine nasce dal film “Amici miei” di Mario Monicelli – 1975 – in cui si raccontano le vicende d’un gruppo di amici burloni che si divertono a corbellare il prossimo. È soprattutto Ugo Tognazzi, nei pani del conte Raffaello – detto Lello – Mascetti, a usare la “supercazzola”, investendo la vittima di turno con una raffica di parole incomprensibili» ).
A «Ballarò», in effetti, e lo dico con il rispetto dovuto a una signora brillante come lei, il suo intervento è risultato piuttosto involuto.
«Involuto?».
Non si capiva cosa volesse dire, onorevole.
«Uff!… Sì, mi si accusa di essere stata poco chiara. E resto molto sorpresa: perchè è la prima volta che mi capita d’essere criticata per l’eloquio, uno dei miei punti di forza…».
Senta: ma non sarà che voi parlamentari andate in tivù un po’ troppo spesso e a parlare anche di argomenti che non padroneggiate?
«Oh, questo è sicuro! Veniamo interrogati su qualsiasi cosa. Siamo diventati dei tuttologi!».
E perchè non si sottrae?
«Uh!… perchè perchè… la faccio io, a questo punto, una domanda: perchè nessuno mi chiede mai niente di Giustizia?».
Lei, nella nuova segreteria di Renzi, è la responsabile Giustizia.
«Ecco, appunto: perchè non mi fanno parlare di Giustizia? Di un argomento che conosco? Perchè non mi chiedono del lavoro che stiamo facendo su una riforma che, ad esempio, vuole evitare sia l’amnistia che l’indulto?».
Lei è stata assessore all’Istruzione della Provincia di Pesaro e Urbino, giusto?
«Giustissimo».
Posso chiederle come e perchè Renzi le ha dato l’incarico di occuparsi di Giustizia?
«Ma come perchè? Perchè sono avvocato, no?».
Renzi le ha detto qualcosa su questa storia della supercazzola?
«No, assolutamente… anche perchè dovrebbe essere chiaro che siamo tutti sotto attacco…».
Tutti chi?
«Ma come tutti chi? Hanno acceso il ventilatore sul fango e cercano inutilmente di sporcare il nuovo gruppo dirigente del Pd inventando menzogne su menzogne! Prima hanno cercato di mettere in mezzo la Serracchiani con la storia del volo di Stato… Poi hanno messo nel mirino Davide Faraone: i grillini lo accusano di aver chiesto voti alla mafia… ma le pare? E lasciamo stare la povera Maria Elena Boschi…».
Già , la Boschi.
«Lo sa anche lei, no? Sulla Boschi fanno illazioni per i rapporti che ha con Bonifazi e con Renzi, cose pesanti, molto pesanti francamente…».
La lezione di «Ballarò», comunque, è servita?
«Servita a cosa? Guardi, le dico: stasera sono ospite di SkyTg24 e… Beh, insomma: se pensavano di spaventarmi, non hanno capito che tipetto sono io…».
(Una donna ironica, giocare sulla “supercazzola” non era facile, ma anche forte e coraggiosa. «Undici anni fa mi ammalai di leucemia, e la malattia ha ridefinito le mie priorità ». Nata a Sassocorvaro, provincia di Pesaro-Urbino, è una trentottenne «orgogliosamente compagna di un carabiniere»: in Transatlantico celebre anche per un vistoso tatuaggio sul piede sinistro, a Roma condivide un appartamento con Alessandra Moretti e, come la Moretti, è stata a lungo bersaniana ).
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
TRA LE IPOTESI: EPIFANI AL LAVORO, TABACCI AL POSTO DELLA DE GIROLAMO, DEL RIO O TINAGLI AL POSTO DI ZANONATO, NENCINI A QUELLO LASCIATO VACANTE DALLA IDEM
Se non fosse per un particolare non di poco conto, cioè il recalcitrare (se non la conclamata ostilità ) del leader del Pd, Matteo Renzi, a ‘sporcarsi le mani’ in un ‘rimpasto’ di governo, quello guidato da Enrico Letta, il che equivarrebbe, politicamente, a legarsi mani e piedi ai suoi destini (di Letta), il ‘rimpasto’ sarebbe bello che fatto.
A questo punto, infatti, è lo stesso premier — in questi giorni in Messico e che riprenderà i colloqui con la maggioranza a partire dal 15/16 gennaio) — a voler accelerare a tal punto da essere pronto anche a un rimpasto così largo da prefigurare, appunto, un Letta bis e, dunque, la necessità di un nuovo voto di fiducia delle Camere anche perchè difficilmente il Capo dello Stato, davanti a un rimaneggiamento ampio della squadra di governo, non chiederebbe una verifica parlamentare su una o più mozioni di fiducia.
Il che costringerebbe Renzi e il suo Pd a vincolarsi almeno per un anno intero (agenda che Letta chiama, non a caso, ‘Impegno 2014’) al programma e alla squadra del premier.
Ove ciò accadesse, sia nella versione del ‘rimpastone’ (oggi più quotata, per paradosso) che in quella del ‘rimpastino’ la disponibilità di nomi da collocare e caselle da riempire e/o collocare è già molto ampia.
E, come si usa dire, ‘il catalogo è questo’.
L’ex segretario della Cgil nonchè ex segretario pro tempore del Pd mai sgradito nè inviso a Renzi e suoi (Lotti, Guerini, etc), Guglielmo Epifani, al Lavoro, al posto di quell’Enrico Giovannini che non passa giorno (e ormai da mesi) senza criticare il Job Act di Renzi e le sue idee sul lavoro.
Il che sarebbe un buon modo (Epifani in luogo del tecnico Giovannini, ministro pochissimo amato da sindacati e industriali e che, oggettivamente, ha fatto poco, vedi alla voce: flop cuneo fiscale) per ‘rassicurare’ la Cgil di Susanna Camusso, cioè il primo sindacato che il Job Act dovrà digerire.
Un ‘Mister X’ non facile da individuare al posto di Flavio Zanonato, titolare dello Sviluppo Economico, a sua volta nella black list di Renzi, e non solo per il suo essere ‘bersaniano’ d’imprinting ma perchè è dal suo dicastero che possono partire risorse e occasioni per la ripresa del Paese e che — dicono molti renziani doc — “a differenza del povero Pier Luigi che da quel ministero fece faville, le sue azioni migliori, non ha fatto nulla”.
Poltrona su cui potrebbe andare o un renziano di stretta fiducia del leader, magari promuovendo il suo solo uomo al governo, Graziano Del Rio (Affari regionali), che ieri ha detto a Skytg24 “Il rimpasto lo affronteremo solo con un’agenda nuova”, aprendo però in modo implicito all’ipotesi. Oppure un esponente di Scelta Civica, ove si volesse preferire una donna che, in ogni caso, è vicina a Renzi, la giovane economista Irene Tinagli, Front man anche dei desiderata, insieme al senatore Ichino, dei montiani.
I quali, per bocca dello stesso leader di Sc, Mario Monti, tolgono di mezzo ogni sospetto di voler sostituire Fabrizio Saccomanni (il quale, oltre che ‘protetto’ a testuggine dal Colle, informa: “resto al mio posto”…) al dicastero dell’Economia proprio con il nome dell’ex premier. “Mi pare del tutto improbabile mi venga chiesto di entrare nel governo — scrive oggi Monti attraverso un post sulla sua pagina Facebook — e comunque non sarei disponibile nè per l’Economia nè per altre posizioni. Saccomanni resta la miglior soluzione, anche se mi piacerebbe vederlo più grintoso…”.
Ma, per un Monti che si sfila, preferendo proiettarsi in chiave europea super partes quando in autunno ci saranno da distribuire molti posti chiave dentro il nuovo board della Ue, a partire da quelli di commissari europei, c’è una Sc ‘partito’ che conferma — come ha chiesto direttamente a Letta il neo segretario, la dinamica Stefania Giannini durante le consultazioni – di puntare apertamente a un ‘riequilibrio’ che compensi le fuoriuscite del ministro Mario Mauro&co. che hanno dato vita a I Popolari con l’Udc.
Sc, peraltro, chiede ‘solo’ dicasteri economici, anche se non per forza in posizione di ministro come per Tinagli, ma anche ‘solo’ di viceministri.
In pole position, i nomi di Benedetto Della Vedova, senatore ex radicale, poi ex-finiano, oggi portavoce del partito di Monti, e/o di Enrico Zanetti, responsabile Politiche fiscali di Sc, montiano doc, volto poco noto, ma da risarcire dopo aver perso contro Andrea Romano il ballottaggio interno tra i deputati di Sc su chi dovesse diventare il neocapogruppo alla Camera.
Infine, due vere new entry.
La prima è il segretario del Psi, il toscano Riccardo Nencini: in ottimi rapporti con Letta, potrebbe ambire a un dicastero tutto suo (e sarebbe la prima volta da lungo tempo, per un socialista) che potrebbe essere lo Sport e le Pari Opportunità (casella lasciata vuota dall’ex campionessa di canoa Josefa Idem, allora quota Pd) oppure l’Integrazione dove Cecile Kyenge potrebbe decidere di lasciare, si dice nel Pd, “un po’ perchè sotto pressione, un po’ perchè inadeguata” e candidarsi alle Europee sempre per il Pd in una circoscrizione del Nord.
La seconda è il presidente di Centro democratico, Bruno Tabacci al posto dell’attuale ministro dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamo (NCD).
Ex diccì di lungo corso, già presidente della regione Lombardia, allievo di Marcora e della ‘sinistra di Base’, uscito indenne e pulito da Tangentopoli, una lunga seconda vita come oppositore di Tremonti sui temi economici, poi passato all’Udc, infine approdato nel partito di Pisicchio e Formisano, in ottimi rapporti con la giunta di Milano guidata da Giuliano Pisapia, ma ben visto persino dal governatore lombardo, Bobo Maroni, esperto di agricoltura e capace di tessere relazioni con gruppi industriali e bancari in un anno clou tra Expò (dedicato proprio all’Alimentazione) ed economia, Tabacci rappresenterebbe la classica ‘quadratura del cerchio’. Sia per accontentare Cd (i cui eletti, come i Socialisti, al Senato valgono tanto oro quanto pesano…) che per uscire dall’imbarazzo dal ‘caso De Girolamo’.
Un caso che, nonostante la autodifesa orgogliosa del ministro (“Sono pronta a venire in Parlamento a riferire sulla vicenda in ogni momento”), rischia di logorarla (forse neppure con una mozione di sfiducia, basta la pioggia interrogazioni coi deputati democrat che si sommano ai grillini…) tra difese ‘d’ufficio’ del suo partito e il gelo imbarazzato di palazzo Chigi.
Senza dire del fatto che, in un eventuale — ma ormai sempre più possibile — ‘rimpasto’ la quota dei ministri dell’NCD, il partito di Angelino Alfano, non potrebbe che scendere.
Oggi sono cinque e considerando che nè Lupi, che deve seguire partite delicate (Alitalia, nomine negli enti, autostrade) nè Lorenzin hanno demeritato mentre Quagliariello è protetto dal Quirinale, oltre che dal suo partito e da Letta, per quanto sia ‘inviso’ al Pd di Renzi, l’unica pedina davvero sacrificabile resta, appunto, quella De Girolamo.
Solo che, insieme all’NCD, a ‘scendere’, in un eventuale ‘Letta bis’, ci sarebbe anche il ‘vecchio’ Pd di quando Renzi non ne era ancora alla guida a scapito del suo, certo, ma pure dei ‘piccoli’, da Nencini a Tabacci.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
DAI CRAXIANI A DE LORENZO, DA FIORITO A CARBONE: LA RICEVUTA DEL RISTORANTE SI SALDA CON IL BENE PUBBLICO… E SENZA REMORE
Nella fenomenologia del magna magna, che qui è da intendersi nel senso proprio del termine (mazzancolle con cipolle, sautè di vongole veraci, moscardini fritti, polpettine di tonno, eccetera eccetera), la figura di Ernesto Carbone si proietta al centro della scena.
Ernesto è un giovanotto sui quarant’anni della leva Renzi, è deputato e vuole far cambiare passo all’Italia.
Intanto che lo fa — anche ieri ha inchiodato un suo compagno di partito al solito bla bla politicista — mangia. Quando ha dovuto decidere, prima di essere eletto a Montecitorio, dove andare con la sua carta di credito aziendale ha scelto di provare ad accomodarsi al tavolo dei “Due ladroni”, nel centro di Roma.
Siamo sicuri che lo ha fatto per una questione tecnica, di pura connessione ambientale.
Era bambino ma ricordava che il ristorante, dentro il quadrilatero dei Palazzi romani, sfornava cibi caldi per parlamentari affamati e piuttosto affannati, senza obbligo di contanti.
Pagava il partito, il ministero, l’azienda, il capo, l’amico, il cliente. Insomma, pagava sempre qualcun altro. “Due ladroni”, appunto.
Un po’ sintesi un po’ metafora. Più di vent’anni fa sull’uscio, sazio nell’umore e rotondetto di pancia, fu scorto Francesco De Lorenzo, immortale ministro della Sanità arrestato per tangenti (c’era Mani Pulite), rinchiuso in carcere e lì lasciato per un po’ di tempo.
De Lorenzo, notevole professore napoletano, esperto di sanità e altro, ebbe un collasso emotivo, entrò in un circuito depressorio che lo prosciugò.
Quindici chili perduti, anoressia galoppante, barba lunga. Lo vedemmo in tv e rimanemmo travolti dall’angoscia. I giudici, compassionevoli, decisero il rilascio.
Ma qualche settimana dopo, ecco il flash: l’anoressico, ormai ex, aveva appena tribolato, vincendo la mortale sfida, con l’amatriciana nel rifugio storico dei “Due ladroni”.
Da allora il locale è divenuto il punto geografico del magna magna, il deposito delle pance, il tovagliolo sopra il quale pulire la coscienza e dare ristoro alle amarezze. L’onorevole Carbone, accomodandosi, ha forse voluto riannodare i fili della memoria convinto — lui e anche noi — che mondo è stato e mondo sarà .
Non c’è da scomodare “ajo, ojo e Campidojo”, la politica ha sempre avuto buon gusto nello scegliersi i luoghi nei quali ritrovare l’intimità quotidiana, un momento di relax e anche di introspezione psicologica.
Capire quel tonno da dove viene e dove va, com’è grande la mia bocca e la tua, com’è vicina la mia forchetta alla tua.
I socialisti, per dire, avevano la loro mensa all’“Augustea”, un salone di bellezze craxiane e di cravatte attempate, crocevia di risotti e champagne e carne alla brace, verdure grigliate, focacce, spaghetti, tonnarelli, soufflè, misticanza e finocchietti.
Finì in manette quel tempo e l’“Augustea” s’afflosciò per l’improvviso restringimento del mercato, dei forchettoni ministeriali.
Però era evidente che la politica non poteva permettersi una dieta permanente e quindi, ritrovato coraggio e spirito di corpo, ha ripreso a conquistare il posto a capotavola.
Fior di scrittori (per tutti ricordiamo Filippo Ceccarelli con il suo immortale Lo stomaco della Repubblica) hanno rovistato negli scontrini e tra le posate per offrire un ritratto fedele della politica affluente e digerente e quell’eterna sfida tra il bene (risotto all’astice) e il male (filetto di baccalà ).
Questione di destra e di sinistra e anche di colesterolo, di tasso glicemico, di trigliceridi erranti. Perciò il valore dell’atto di Ernesto Carbone, renziano di ferro, è indubitabile.
Riconduce tutti alla nuda verità dell’esistenza e alla domanda centrale: bisogna sempre fare i conti con la pancia.
Con quella che si ritrovava il suo collega Fiorito dove immaginate che potesse andare? Perchè Carbone , atletico e snello, si è fermato spesso a un conto di 180 miserelli euro, invece il consigliere laziale ha dovuto toccare traguardi ben più impegnativi.
Solo da “Pasqualino al Colosseo” la sua pancia ha fatturato (presumiamo in una coalizione da larga intesa) la meraviglia di 19.500 euro tra fettuccine, tartufati di vario indirizzo e compressione, e pesci di taglia mutevole ma comunque prelibata.
C’è stata, è vero, anche una scelta autoimmune (in Ciociaria, la sua terra d’elezione, proiettava il suo corpo nella “Tana dei briganti”).
Nella Capitale al bar “Martini” ha lasciato altri 15.800 euro, da Celestino molti di meno. E Lusi, l’indimenticato tesoriere della Margherita, con gusti più selezionati (spaghetti al caviale) e conti notevolmente ridimensionati avendo ridotto il numero dei commensali per tenere comunque alta la location (“La Rosetta”, alle spalle del Pantheon).
Questo è quanto.
E la verità è una sola: lo scontrino allunga la carriera.
Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
FRA LE FAMIGLIE DEL KERALA: “ABBIAMO PERSO TUTTO, LE VERE VITTIME SIAMO NOI”
La strada che porta al cimitero quasi non si vede; stretta, polverosa, corre perpendicolare al porto, tra case che sono blocchi squadrati di cemento, vestiti stesi ad asciugare per terra sulla sabbia e bambini che giocano incuranti delle moto e dei risciò che sfrecciano ad alta velocità .
Bambini come Jeen, 12 anni, che, scesi quattro gradini, tra decine di lapidi tutte uguali ne indica una in basso, in ultima fila, proprio a contatto con la terra brulla, marrone.
Si china, sposta una collana di fiori gialli un po’ rinsecchiti e, impassibile, senza tradire alcuna emozione nonostante la sua giovane età , dice: «Qui riposa mio papà , aveva solo 48 anni. Da quel giorno per me è cambiato tutto».
Quel giorno è impresso con caratteri dorati sulla lapide: 15 febbraio 2012.
Sono passati quasi due anni da quando suo padre Valentine Jelestine e il suo collega Ajesh Binki hanno perso la vita sul peschereccio sul quale lavoravano, il St. Anthony. Uccisi da colpi di fucile, intorno alle quattro e mezzo del pomeriggio, mentre tornavano in porto a Kollam dopo sette giorni passati in mare a pescare.
Della loro morte, e questa è storia nota, sono stati accusati i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre che quel giorno si trovavano sulla petroliera Enrica Lexie in servizio anti-pirateria.
Meno nota, invece, è la storia delle due vittime. Due pescatori, due padri di famiglia, morti ancora senza un motivo.
Finiti in un tritacarne mediatico, spariti velocemente dalle cronache per far posto a un braccio di ferro giuridico-diplomatico tra India e Italia.
Ma a Kollam nessuno si è dimenticato di Valentine e Ajesh.
Non se ne sono dimenticati i loro amici pescatori, nè, tantomeno, le loro famiglie. Non se n’è dimenticato di certo Jeen, che prima di lasciare il cimitero passa un dito sulla foto del padre cercando di togliere un leggero strato di polvere.
Una foto nella quale Valentine appare elegante, fiero, con una camicia bianca, dei folti baffi e gli occhiali.
La stessa foto che è appesa sui muri sporchi, leggermente scrostati, della casa dove ora, senza più un padre e un marito, vivono Jeen, suo fratello Derrick, di 19 anni, e la madre Dora.
Illuminato da una piccola luce rossa a forma di stella, con a fianco fiori e un porta-incenso, Valentine sembra vegliare sulla sua famiglia e su quella che una volta era la sua casa. Questo d’altronde è il ruolo che spetta ai padri di famiglia da queste parti, a maggior ragione se si tratta di pescatori.
Sono loro, nella maggior parte dei casi, gli unici a lavorare, a portare a casa i soldi, a cercare di garantire un futuro ai figli.
«La morte di Valentine ci ha sconvolto — racconta Dora —. È arrivata del tutto inaspettata, era un giorno qualsiasi, uguale a tanti altri. Ma avevo delle brutte sensazioni quel pomeriggio. Mentre ero in chiesa a pregare ho sentito la necessità di tornare a casa, e una volta arrivata il telefono ha squillato. In quel momento ho capito che qualcosa non andava».
Gli amici di Valentine volevano accertarsi che l’uomo fosse in casa perchè poco prima, a circa 20 miglia dalla costa, un incidente, ancora poco chiaro, aveva visto protagonisti una petroliera e un piccolo peschereccio.
«Da quel momento è iniziato un incubo — continua Dora —. Un incubo che ci ha cambiato la vita. Senza più lo stipendio di mio marito, l’unica fonte di reddito della famiglia, tutto è diventato più difficile, ed è solo da pochi mesi che lo Stato indiano mi ha trovato un lavoro. Peggio ancora sta la famiglia di Ajesh, con i figli, che si trovano ora in Tamil Nadu, rimasti senza un padre e, da poco, anche senza la madre».
Poi, certo, c’è la compensazione data dal governo italiano alle famiglie di Valentine e Ajesh, «circa 150 mila euro che da queste parti sono tanti soldi», afferma Padre Jacob Rolden, della diocesi di Kollam, che è stato vicino alle famiglie dei pescatori fin dal primo momento.
Al porto di Kollam, tra gli amici e i colleghi dei due pescatori uccisi, non tutti sembrano vedere di buon occhio queste compensazioni ma glissano e, tra dubbi sull’andamento del processo e racconti, ripresi anche dal «Times of India», di possibili tentativi da parte di ignoti di cancellare, dal peschereccio St. Anthony, le prove dell’incidente, raccontano della paura che ora hanno ad andare in mare, dei brividi che corrono loro lungo la schiena quando vedono avvicinarsi una petroliera o un mercantile.
Ma non solo. Raccontano anche delle difficoltà e dei problemi che stanno riducendo alla fame i pescatori della zona con «i pescherecci stranieri, soprattutto cinesi, che fanno razzia nei nostri mari, senza alcun controllo da parte del governo, con i mercantili che passano a 20 miglia dalla costa tagliando le reti da pesca e mettendo in pericolo la nostra vita», racconta Thomas, pescatore e amico di Valentine.
Non si percepisce ostilità nei confronti dell’Italia e degli italiani, e questo rende ancora più inspiegabile il crollo del turismo italiano nella regione, anche se i pescatori non negano che per alcuni mesi questa ostilità ci sia stata.
Non tanto, o meglio, non solo, per l’incidente in sè, quanto piuttosto per come tutta la vicenda è stata trattata.
Un pensiero sintetizzato perfettamente da Derrick, il figlio maggiore di Valentine, conscio dell’importanza della compensazione ricevuta per il futuro suo, di suo fratello e di sua madre: «Non vogliamo vendetta, non proviamo rancore, e anzi siamo vicini alle famiglie dei due soldati italiani che stanno vivendo, anche loro, una situazione difficile e dolorosa, ma in quasi due anni nessuno si è mai interessato alle uniche due vittime di tutta questa storia: mio padre e Ajesh».
(da “La Stampa“)
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Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
TOCCHERA’ A UN REFERENTE ISTITUZIONALE FORNIRE INFORMAZIONI SULLA LORO CANDIDABILITA’… IL CAVALIERE PUO’ SPERARE SOLO NEI RICORSI PRESENTATI IN SEDE UE
Le commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato hanno dato parere favorevole allo schema di decreto legislativo (n.49) approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 8 novembre, facendo avanzare in modo spedito l’adeguamento alle nuove norme per la candidatura all’Europarlamento di propri cittadini residenti nei Paesi membri così come di cittadini di Paesi partner che volessero candidarsi in Italia.
Il provvedimento, che consentirà all’Italia di conformarsi entro il 28 gennaio 2014 alla direttiva Ue n.1 del 2013, riguarda i requisiti per la candidabilità al Parlamento europeo e fissa nuove regole per rendere più celeri le comunicazioni tra Stati in merito agli aspiranti euro-onorevoli.
Ai quali toccherà dichiarare di non essere decaduti dal diritto di elettorato passivo nel loro Paese di origine, con un referente nominato dal ministro dell’Interno chiamato a garantire, su richiesta dello Stato di residenza in cui il candidato vorrebbe correre alle elezioni, la conformità delle dichiarazioni presentate.
Attualmente la procedura è più complicata, per la difficoltà degli interessati a farsi rilasciare una dichiarazione sul pieno godimento del diritto di elettorato passivo dalle autorità statali.
L’iter della riforma si era a un certo punto intrecciato mediaticamente con la vicenda della decadenza dal Senato di Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere aveva accarezzato, secondo diverse ricostruzioni, la possibilità di farsi candidare da un partito amico in un Paese membro dell’Unione.
Era la cosiddetta “opzione lettone”, ispirata dal precedente del giornalista Giulietto Chiesa, che si candidò alle europee del 2009 proprio nel Paese baltico con il movimento ‘Per i diritti umani in una Lettonia unita’. ma Chiesa non aveva, a differenza del Cavaliere, guai giudiziari pregressi.
La condanna definitiva in Cassazione per frode fiscale sui diritti tv Mediaset non lasciava, in realtà , margini a Berlusconi.
Il Cavaliere, decaduto dopo il voto al Senato, è soggetto a restrizioni sulla libertà di movimento. La legge Severino ne certifica l’incandidabilità , anche sopravvenuta, anche per l’Europarlamento, stabilendo che chi riceve una condanna superiore a due anni di reclusione non può candidarsi o, se è già stato eletto, deve lasciare il Parlamento e sia incandidabile per sei anni.
Per Berlusconi, inoltre, è stata disposta una pena accessoria che dispone due anni di interdizione dai pubblici uffici.
La sua unica possibilità di ribaltare lo scenario è di vedersi accolti i ricorsi presentati in sede europea. Eventualità a cui andrebbe quindi ricollegato l’auspicio espresso dal Cavaliere venerdì ai coordinatori regionali di Fi, di candidarsi capolista in tutte le circoscrizioni.
Vicenda dell’ex premier a parte, l’Italia si mette in linea con la normativa varata dal Consiglio dell’Ue e ovvia alle difficoltà incontrate dal candidato in uno Stato diverso, e di cui non è cittadino, da quello di origine.
Se attualmente sta all’interessato produrre un attestato rilasciato dalle autorità dello Stato d’origine che dimostri la sua eleggibilità , la direttiva del 2013, ripresa dal decreto legislativo, sostituisce la certificazione dello Stato di origine con una semplice dichiarazione del candidato, affidando allo Stato di residenza la verifica sull’eleggibilità nel Paese di origine.
La perdita del diritto a candidarsi consegue a “una decisione giudiziaria individuale o di una decisione amministrativa, purchè quest’ultima possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale”.
E’ lo Stato di residenza che deve verificare l’eleggibilità nello Stato di origine, eliminando l’obbligo, del cittadino dell’Unione che intende candidarsi, di presentare un attestato ad hoc rilasciato dalle autorità competenti dello Stato di origine.
Viene fissata una precisa procedura per la verifica dell’eleggibilità : c’è una notifica dello Stato di residenza a quello di origine, chiamato a fornire le informazioni necessarie entro 5 giorni o, ove richiesto, in un tempo più breve. In caso di mancata ricezione delle informazioni, la candidature è ammessa.
Se invece le informazioni, anche se trasmesse oltre il termine, invalidano la dichiarazione del candidato, lo Stato di residenza prende le misure opportune per impedire la presentazione della candidatura o, ove ciò non sia più possibile, per impedire l’elezione o l’esercizio del mandato.
Altra novità è rappresentata dalla creazione di un organo specifico: gli Stati membri devono designare un referente incaricato di ricevere e trasmettere le informazioni. Alla Commissione europea il compito di redigere un elenco dei referenti da tenere a disposizione degli Stati membri.
Per l’Italia, la competenza a designare questo referente spetta al ministro dell’Interno.
Ulteriore innovazione, l’abbreviazione dei termini per le forme di pubblicità per il manifesto riproducente i contrassegni delle liste e i candidati ammessi: devono intervenire entro l’ottavo giorno antecedente la data delle elezioni e non più, come attualmente, entro quindici giorni dalla data del voto.
Nello specifico, la dichiarazione formale richiesta al momento della candidatura al cittadino dell’Unione Europea che intenda candidarsi in Italia alle elezioni del Parlamento europeo, deve contenere l’indicazione di data e luogo di nascita e dell’ultimo indirizzo nello Stato di origine e l’indicazione di “non essere decaduto dal diritto di eleggibilità nello Stato membro d’origine per effetto di una decisione giudiziaria individuale o di una decisione amministrativa, che possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale”.
Su questo versante, la prima commissione della Camera, dando parere favorevole al decreto, suggerisce all’esecutivo l’opportunità di approfondire “l’effettiva possibilità per i comuni di procedere alla verifica della eventuale condizione di incandidabilità prevista dal decreto legislativo n.8194-235 del 2012 (legge Severino, ndr) entro il termine previsto” (24 ore) “dato che l’incandidabilità , diversamente dalle altre ipotesi di ineleggibilità in senso stretto, non comporta infatti la cancellazione dalle liste elettorali e potrebbe pertanto non essere nota al comune”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
NON PIU’ I COMUNISTI, MA IL CATTOLICESIMO SOCIALE DEL PONTEFICE IL NUOVO AVVERSARIO DEI RAZZISTI VIRTUALI
Perchè l’assessore per l’immigrazione della Lombardia non vuole partecipare a un incontro sull’immigrazione con il ministro per l’immigrazione?
La risposta è dello stesso assessore, la leghista Simona Bordonali: “Ritengo le tematiche non prioritarie”.
Può essere anche divertente domandarsi quali tematiche, se non l’immigrazione, siano “prioritarie” per un assessore all’immigrazione.
Ma è più interessante notare come la poco partecipata ma molto dura contestazione di ieri, a Brescia, contro il ministro Kyenge, forse per la prima volta abbia compattato i rappresentanti politici e in qualche caso istituzionali di tutta la destra nazionale, da Forza Nuova alle camicie verdi ai Fratelli d’Italia a militanti della rinata Forza Italia (che, a prenderli in parola, sarebbero i veri eredi dei “moderati”)
La ministra “congolese”, si sa, è il bersaglio prediletto, oltre che il più ovvio, degli umori xenofobi del nostro Paese.
In quanto italiana figlia dell’immigrazione e in quanto nera è ritenuta, piuttosto che una persona a conoscenza dei fatti, una provocazione vivente, un insulto a un’idea di “italianità ” puramente virtuale, al pari di ogni astrazione razzista.
Quanto al fatto che proprio nelle scorse settimane la rivista americana Foreign Policy abbia inserito la Kyenge tra le cento personalità mondiali più influenti in funzione del cambiamento può valere, negli ambienti dell’isolazionismo italiano, solo come conferma del complotto “mondialista” ai danni della retta conduzione di ogni nazione.
Ieri a Brescia si è rischiato che la gazzarra trascendesse in botte da orbi, essendo il presidio anti-Kyenge venuto quasi a contatto con gruppi di immigrati e “militanti dei centri sociali” non meglio identificati, gli uni e gli altri.
È stata una breve e intensa rappresentazione di strada, in carne e ossa, dell’odio e degli insulti che dilagano sui social network, per una volta avvantaggiati dalla loro virtualità , nel senso che, almeno, sul web le parole grevi e i concetti violenti non hanno il supporto delle urla stridule, e dei volti trasfigurati dall’eccitazione, che i telegiornali della sera ci hanno documentato.
Tenuti a bada dalle forze dell’ordine (accusate da un signore quasi apoplettico per la rabbia di “proteggere solo i negri e i comunisti”), gli xenofobi di popolo e di Palazzo (c’erano anche l’assessore Beccalossi e il consigliere regionale Rolfi) si sono allontanati furibondi, e certamente convinti di essere stati discriminati nonostante incarnino la voce popolare.
Nei fatti, sempre che i fatti contino, il vero problema, per loro, non è certo uno spintone di troppo da parte della polizia; nè i loro veri antagonisti coincidono, se non in piccola parte, con i ragazzi antirazzisti e gli immigrati che ieri gli si sono opposti in strada, avendo uguale diritto di manifestare.
Il vero problema, per la destra lombarda e italiana, è che Kyenge era stata invitata, oltre che da un paio di enti locali, dall’Azione Cattolica di Brescia, vale a dire da quel cattolicesimo sociale che in Lombardia è molto presente e molto influente; ed è, soprattutto, profondamente “popolare”, non certo riducibile alle detestate lobby mondialiste o salottiere o comuniste o bancarie o gay o altro che, nella visione piuttosto paranoica della destra xenofoba, regola le cose del mondo con subdola protervia.
Mentre la Beccalossi, la Bordonali e Rolfi (e Maroni? ha un’opinione in proposito, Maroni?) vorrebbero dare alla Kyenge il foglio di via, e il loro manipolo di ripulitori etnici sventolava un grande biglietto di aereo “Italia-Congo” da consegnare al ministro, Azione Cattolica la invita a Brescia e le mette a disposizione un microfono e un vasto pubblico, in una delle città più cattoliche e più ex democristiane di Italia.
Specie sotto un papato come questo, antifondamentalista ed ecumenico (mondialista?), i veri grattacapi, per gli xenofobi padani e italiani, non verranno dai “comunisti” dei centri sociali.
Michele Serra
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
GLI ARCITALIANI DI UN PARTITO MIRACOLATO: CAMPANO GRAZIE AI BENI ACCUMULATI
Ha ragione il giovane segretario leghista Matteo Salvini, «non si vince con i giudici».
Ma non si dovrebbe vincere neanche con la frode; e lamentare l’onnipresenza della magistratura, in Italia, ha un senso solo se si ragiona anche sull’onnipresenza dell’illegalità , tanto per ristabilire il nesso tra causa ed effetto.
Quanto alla politica: la Lega, che è un partito ridotto ai minimi termini, deve le sue tre presidenze di Regione (salvo, forse, il Veneto) alla sua fedeltà a “Silvio”, e a nient’altro.
Dipendesse solo dal proprio peso elettorale il Carroccio, nella famosa Padania, potrebbe governare al massimo qualche comunello di crinale o di fondovalle, non una sola città grande o media, non una sola delle tre regioni.
Dal punto di vista delle poltrone è un partito miracolato, con un ruolo di potere talmente sproporzionato rispetto ai voti raccolti da ricordare i saragattiani di una volta, o i mastelliani di poco fa, sempre seduti al tavolo del potere grazie a pura furbizia tattica.
Furbi, dunque arcitaliani, i leghisti possono solo ringraziare il cielo per il clamoroso gruzzolo che resta in loro dotazione anche dopo la caduta dell’amico Silvio.
Dal punto di vista politico sono i classici redditieri: campano grazie a beni accumulati sotto l’ancien règime.
Michele Serra
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
MINISTRI IN BALLO, DEL RIO CONFERMA… A RISCHIO LA DE GIROLAMO
Dopo tante allusioni e ammissioni a mezza bocca, alla fine arriva la prima ammissione da parte del governo che la squadra dell’esecutivo di Enrico Letta potrà subire qualche cambiamento.
Parole che arrivano significativamente dall’unico ministro di stretta osservanza renziana, Graziano Delrio: “Il tema del rimpasto verrà affrontato se vi sarà un’agenda nuova”, ha candidamente dichiarato ai microfoni di Skytg
L’aspetto che preoccupa non poco Palazzo Chigi è che i principali indiziati a cedere il passo sono i componenti dell’intera filiera economica del governo delle piccole intese. Sono, per motivi diversi, Fabrizio Saccomanni, Enrico Giovannini e Flavio Zanonato a rischiare il posto, titolari rispettivamente dei dicasteri dell’Economia, del Lavoro e dello Sviluppo economico.
È lo stesso Matteo Renzi a far presente che il giudizio su via XX settembre non è positivo. “Il problema non è Saccomanni, il problema è la forma mentis burocratica – ha spiegato al Corriere della sera – È la politica che non decide e non agisce”.
Parole che arrivano qualche giorno dopo che Dario Nardella, che del sindaco di Firenze è stato il vice, aveva tagliato il problema con l’accetta: “Al Mef serve un politico”.
Salvo poi fare mezza marcia indietro, ma dando il polso di quale sia il parere dell’inner circle del segretario sul lavoro dell’ex alto funzionario di Bankitalia.
E, incalzato da Maria Latella, Delrio non ha escluso una staffetta in quel riuolo chiave con Mario Monti, leader di quella Scelta civica che dopo la scissione con l’ala popolare di Mario Mauro si sente sotto rappresentata.
“Non lo so – ha spiegato il ministro – ma di certo la competenza e la professionalità di Monti non si discutono”.
Saccomanni, pressato dalla sua maggioranza oltre che dalle dure critiche di Forza Italia e M5s, è stato costretto a difendersi: “Non ho mai preso in considerazione le dimissioni. In nessun momento – ha spiegato al Messaggero – Il che non significa che apprezzi il tiro al bersaglio di cui ogni tanto vengo fatto segno. Lo trovo unfair. Ma dimettermi mai. Sarebbe una sconfitta per tutti”.
Non esattamente quel che si pensa in casa democratica.
Che non prenderà bene il tentativo del superministro di scaricare le responsabilità del caos sull’Imu sulla maggioranza: “Perchè prendersela con il ministero dell’Economia, quando è chiaro a tutti che in questo pasticcio siamo finiti per l’incapacità della politica di trovare un accordo?”.
Anche Enrico Giovannini non ha risparmiato qualche puntura di spillo ai partiti. Puntando in particolare sul jobs act di Renzi, tra i primi a parlarne il giorno dopo la presentazione della bozza. “La proposta del segretario sulla natura dei contratti e le tutele ad essi collegati non è nuova, ma va dettagliata meglio. C’è poi da dire che molte delle proposte presentate in questa lista prevedono investimenti consistenti”.
L’ex presidente dell’Istat difende quanto fatto dal suo ministero. Ma sa che la sua è una delle posizioni che più traballano.
Sia per la natura tecnica del suo incarico e la mancanza di una vera copertura politica, sia per la poca incisività della sua azione (vedi il mezzo flop del tanto sbandierato taglio al cuneo fiscale).
Debolissima la posizione del titolare dello Sviluppo economico. “Quel ministero ai tempi di Bersani era uno di quelli che contavano – il ragionamento di tanti deputati dem, renziani e non – oggi chi saprebbe indicare una delle cose fatte dall’ex sindaco di Padova?”.
Alle voci critiche che lo additano come un grigio funzionario e poco più, si aggiunga che la parabola politica del suo principale sponsor, proprio quel Bersani che fu suo predecessore, non è di certo agli apici.
Una combinazione di fattori che lo rende tra i principali sacrificabili in caso di rimpasto.
C’è poi il caso di Nunzia De Girolamo, coinvolta (anche se per ora in maniera marginale) in un’inchiesta su appalti e commesse nella sanità beneventana.
Il M5s è a un passo dalla mozione di sfiducia, e l’interessata si è detta poco fa pronta a chiarire in Parlamento.
Ma il segretario del Pd non è di certo tenero nei confronti di Angelino Alfano e, numeri parlamentari alla mano, considera troppi cinque ministri del Nuovo Centrodestra.
Lo stesso vicepremier potrebbe fare buon viso a cattivo gioco, e sacrificare la De Girolamo (ieri circolava il nome di Bruno Tabacci per sostituirla).
Dopotutto, si ragiona nel Ncd, se dobbiamo rinunciare a qualcosa meglio l’Agricoltura che altro.
Insomma, una bella gatta da pelare per Letta.
Nulla si muoverà prima della stipula del patto di coalizione prevista entra la fine del mese.
Ma la pentola dei malumori bolle, e non è escluso che possa esplodere prima.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 12th, 2014 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO PD: “LETTA NON SI FIDA DI ME, PERO’ SBAGLIA”
Osteria d’Oltrarno, il sindaco arriva in bicicletta, è il suo compleanno, i passanti fiorentini gli fanno gli auguri
Renzi, il quadro emerso dal suo incontro con Letta è univoco: accordo fatto, nel 2014 si lavora insieme, rimpasto e codice di comportamento. È davvero così? O si rischia ancora una rottura?
«Non si rischia nessuna rottura. Ma guardiamo la realtà : la popolarità del governo è ai minimi, non ci sono più le larghe intese, nè l’emergenza finanziaria. Se uno mi chiede cosa ho fatto da sindaco in questi undici mesi, so cosa rispondere: piazze, asili, pedonalizzazioni. Se mi chiedono cos’ha fatto il governo in questi undici mesi faccio più fatica a rispondere. Per questo motivo bisogna cambiare passo»
Lei stesso riconosce che l’emergenza finanziaria è passata.
«Ma la disoccupazione è aumentata. Su twitter ho visto un vecchio manifesto del Pd. Dicevamo allora: “La disoccupazione giovanile è al 29%; Berlusconi dimettiti!”. Oggi siamo al 42 e governiamo noi. Quindi bisogna avere il coraggio di dire che qualcosa non funziona. Il mondo sta correndo. Nell’ultimo trimestre del 2013 gli Stati Uniti sono cresciuti del 4%. L’Italia è ferma»
Letta rivendica di aver diviso la destra.
«Mi pare che abbiano fatto tutto da soli. E comunque lei è sicuro che Alfano abbia rotto con Berlusconi? In Piemonte, Basilicata, Sardegna si presentano alle elezioni insieme, come in quasi tutti i quasi quattromila Comuni in cui si voterà in primavera. Non basta dividere la destra, bisogna governare il Paese. E io voglio dare una mano a Enrico. Mi sento legato a un vincolo di lealtà : diamo l’ultima chance alla politica di fare le cose. Le mie ambizioni personali sono meno importanti delle ambizioni del Paese: io sono in squadra»
Come sono davvero i rapporti tra lei e Letta?
«Enrico non si fida di me, gliel’ho detto l’altro giorno. Ma sbaglia. Io le cose le dico in faccia. E sono le stesse che dico in pubblico: non uso due registri diversi. Impareremo a conoscerci. Ma ora è importante finalmente mantenere gli impegni e realizzare le promesse».
Allora il governo andrà avanti per tutto il 2014?
«Andare avanti significa non stare fermi. Quindi, sì, certo, il governo proseguirà per tutto il 2014. Ma non può andare avanti così. Più decisi, più concreti, più rapidi nelle scelte. Anche per questo il Pd proporrà che il contratto di coalizione, Impegno 2014, non sia un documento scritto in democristianese, con il preambolo e frasi arzigogolate. No, noi in direzione proporremo che il patto di coalizione sia un file Excel».
Spiega anche a noi over 39 cos’è un file Excel?
«Nella prima casella si indica la cosa da fare, nella seconda i tempi in cui la si fa, nella terza il responsabile che la fa. Un esempio? Tagliamo del 10% il costo dell’energia per le piccole e medie imprese: chi lo fa, entro quando; poi si comunica. Le rendite finanziarie sono tassate al 20%, il lavoro praticamente al 50: riequilibriamo? Bene: quando, come e chi. Cose concrete. Il primo che mi parla di “semplificare la pubblica amministrazione” lo rincorro; noi dobbiamo mettere on line in qualche settimana tutte le spese della pubblica amministrazione. Vivo l’urgenza come un dramma e mi stupisco che a Roma non si rendano conto della necessità di correre. Saranno quindici giorni decisivi. Dobbiamo votare la legge elettorale. Trasformare il Senato nella Camera delle autonomie, senza elezione e senza indennità . Abolire le province. Tagliare un miliardo di costi della politica: un tema su cui sto ancora aspettando la risposta di Grillo. Se avviamo queste riforme, la politica italiana darà il buon esempio. Allora si potrà anche pensare di andare oltre il vincolo del 3%, per far ripartire l’economia o modificare il lavoro. E si può allentare il patto di stabilità interno: perchè i Comuni virtuosi non possono spendere per l’edilizia scolastica? Mi interessa di più la stabilità di una scuola che la stabilità burocratica».
Pensa anche lei, come il suo braccio destro Nardella, che il ministro dell’Economia debba essere un politico?
«Il problema non è Saccomanni. Il problema è la forma mentis burocratica. È la politica che non decide e non agisce. Chiarezza di obiettivi, rapidità di esecuzione. Sulla legge elettorale abbiamo fatto più in questo mese che negli ultimi tre anni. Venendo qui ho incontrato una signora che mi ha preso in giro per il Jobs act: “Oh Renzi, falla finita con questi nomi strambi!”. Ha ragione: basta anglicismi. Però abbiamo sottratto la discussione sul lavoro agli “esperti” e l’abbiamo portata in pubblico. I dilettanti hanno fatto l’arca. Gli “esperti” hanno fatto il Titanic».
È segretario da un mese e già si celebra?
«Per carità , ancora non abbiamo fatto nulla. L’unico Matteo che emoziona gli italiani è il don Matteo di Terence Hill. Ma abbiamo dato una bella scossa, vedrà che i risultati arriveranno».
Il Jobs act o come si chiama adesso a Giovannini non è piaciuto.
«È sicuramente migliorabile. Compito dei ministri però non è dare giudizi o opinioni, come i professori o gli ospiti dei talk show. Compito dei ministri è fare le cose. Che abbiamo fatto in questi mesi? Perchè la disoccupazione è cresciuta? Giovannini dovrebbe rispondere su questo».
Mattarellum, sindaco d’Italia, spagnolo: tra le sue proposte quale passerà ?
«Quella che avrà il consenso più ampio. Che però dovrà comprendere le altre riforme, a cominciare da Senato, titolo V, taglio di un miliardo dei costi della politica. Facciamo un pacchetto unico…».
Incontrerà Berlusconi? Non teme che si tiri indietro a un passo dall’accordo, come in passato?
«Berlusconi è il leader del principale partito d’opposizione insieme a Grillo. Se serve, lo incontrerò. Per il momento non ne vedo la necessità , proprio perchè ancora non ci siamo. Ma non accetto di escludere Forza Italia dalle riforme. Le regole si scrivono insieme anche alle opposizioni e non hanno senso i veti. Di solito mette i veti chi non ha i voti».
Alfano mette il veto sulle nozze gay.
«Ognuno di noi, quando a scuola il professore lo interrogava e non aveva studiato, aveva il suo argomento a piacere. Il mio era la seconda guerra mondiale. Quello di Alfano sono le nozze gay: se si trova in difficoltà su qualcosa lancia un’agenzia su questo tema e “mette in guardia” da questa sinistra pericolosa. Io non parlo di matrimonio gay. Parlo di unioni civili. Siamo l’unico Paese dell’Occidente a non avere una legge che le riconosca. La faremo».
Esiste l’ipotesi che lei vada a Palazzo Chigi prima delle elezioni?
«A Palazzo Chigi c’è Enrico Letta».
Il sindaco di Bologna Merola, di Bari Emiliano, di Brescia Del Bono, di Salerno De Luca si sono espressi per il voto anticipato a maggio. Cosa risponde?
«I sindaci sono arrabbiati e hanno ragione. Ci sono troppi burocrati che pensano di risolvere i problemi scaricandoli su di loro. Il balletto delle tasse sulla casa è indecente. Si finge di togliere l’Imu a Roma per far contenti Brunetta e Alfano e si costringono i sindaci a prendersi gli insulti dei cittadini. Ma le elezioni non sono la soluzione. Alcuni di loro mi hanno mandato sms: “Matteo, è il tuo turno”. No, non è così: io faccio un passo indietro sul piano delle ambizioni personali, purchè sia una rincorsa per fare quel che serve al Paese».
Come sono davvero i suoi rapporti con Napolitano?
«Buoni. Per il presidente ho grande rispetto umano, personale, politico e istituzionale. In questi anni, nel rispetto delle sue prerogative, ha supplito alle mancanze della politica. Credo che il suo vero obiettivo sia lasciare il Quirinale una volta che le riforme siano fatte; e credo che ne abbia diritto. Il miglior modo per rispettarlo non è fare comunicati per elogiare il suo discorso di fine anno; è fare le riforme che ci chiede. A partire dalla legge elettorale».
Vorrebbe Vendola nel Pd?
«Perchè no? Io sono per il bipartitismo. Pisapia a Milano, Zedda a Cagliari, lo stesso Vendola in Puglia governano con la stessa coalizione con cui governiamo Fassino, Emiliano e io».
Il caso Fassina le ha attirato molti rimproveri sul suo stile arrogante.
«Potevo risparmiarmi la battuta, certo. Ma un viceministro dell’economia si dimette per i dati della disoccupazione, o per il pasticcio dei 150 euro dati, tolti e ridati agli insegnanti; non per una Chi? Non siamo all’asilo. Io non rinuncio a essere me stesso, alla mia bicicletta, e anche alle battute. Ma chiedo di essere giudicato sui fatti. Se mi fossi dimesso tutte le volte che Fassina mi ha insultato…».
Guardi che c’è il codice di comportamento.
«Ho visto che Letta lo ha proposto in una intervista. Non so di preciso cosa intenda. Escludo che si parli di galateo. Suggerisco il primo articolo: è vietato combinare guai come quello dell’Imu o degli insegnanti o delle slot machine. Questo mi sembra il codice di comportamento migliore: smettere con i pasticci. Però il codice di comportamento a qualche ministro effettivamente servirebbe: occorre più stile».
Non teme una scissione a sinistra del Pd?
«E perchè dovrebbero andarsene? Perchè hanno perso? Non abbiamo cambiato i capigruppo, Cuperlo è presidente. Quando andai io in minoranza, diedi una mano; mi aspetto che l’attuale minoranza faccia altrettanto. Magari la prossima volta tornerò in minoranza e toccherà a un altro. Noi siamo una comunità , e l’abbiamo capito ritrovandoci impauriti e preoccupati davanti all’ospedale in cui è ricoverato Pier Luigi Bersani. Siamo una comunità di persone con idee e storie diverse, ma unite da valori comuni e dall’obiettivo di cambiare l’Italia».
(da “il Corriere della Sera”)
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