Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
IL GESTO DI FASSINA E IL DRAMMA DI BERSANI RIDANNO DIGNITA’ A UN GRUPPO DIRIGENTE USCITO MALE DALLE PRIMARIE
Le dimissioni di Stefano Fassina da viceministro del governo Letta, il dramma di Pierluigi Bersani, sottoposto d’urgenza ad un’operazione chirurgica per emorragia cerebrale. ù
Due eventi evidentemente scollegati tra loro che il fato ha messo insieme, catapultandoli sulla scena politica nel giro di 24 ore.
Quando due contingenze, inattese e non volute, possono ridare dignità ad una sconfitta politica, quella subita alle primarie…
Chi lo conosce bene, giura che Stefano Fassina ha fatto una scelta individuale: ‘dimissioni express’ dal posto di viceministro del governo Letta per dare una lezione allo ‘sbruffone’ Matteo Renzi.
Perchè quella battuta, “Fassina chi?”, pronunciata dal neosegretario non è andata giù nè al diretto interessato e nemmeno ai suoi più stretti compagni di partito, i bersaniani ora particolarmente preoccupati per lo stato di saluto del loro leader Pierluigi, ricoverato in prognosi riservata a Parma.
Eppure, man mano che passano le ore, nel Pd si fa strada un’interpretazione politica del gesto di Fassina. Non sono solo i renziani come Angelo Rughetti a pensare che l’ex viceministro, libero da incarichi di governo, ambisca ora a ricoprire il ruolo di “ leader della minoranza Pd”.
La questione ancora non è stata socializzata tra gli anti-renziani, complice l’incidente accaduto a Bersani che in queste ore fa prevalere l’angoscia alla politica tra i vari dirigenti che si stanno recando a fargli visita a Parma.
Però è una questione che esiste, tanto più che la minoranza Pd che fa capo a Gianni Cuperlo, a meno di un mese dalle primarie, è già spaccata non solo sul leader ma anche sulla linea politica.
Si riuniranno la prossima settimana per cercare la quadra, in vista della direzione nazionale del 16 gennaio.
Per capire, basta mettere gli orologi indietro di una settimana.
Lunedì scorso, in un’intervista all’Huffington Post, il bersaniano Danilo Leva, ex responsabile Giustizia della segreteria Epifani, usava lo stesso linguaggio di Fassina contro Renzi.
Il segretario parla “come Grillo e Berlusconi”, contesta Leva, “il Pd deve incalzare il governo sulle riforme, ma il voto anticipato non è una soluzione…”. Il giorno dopo, in un’intervista all’Unità , Cuperlo si esprime in maniera diversa se non opposta.
Toni agguerriti con il governo piuttosto che con Renzi: “Se non si va avanti sulle riforme, meglio tornare al voto”, sono le parole di Cuperlo, candidato sconfitto alle primarie, ora presidente dell’assemblea Pd, carica che ha accettato accogliendo l’offerta insistente di Renzi e respingendo il parere contrario di Massimo D’Alema.
Vicini a Cuperlo, anche i Giovani Turchi che non condividono fino in fondo il gesto di Fassina. Spiega Matteo Orfini, un altro che potrebbe ambire alla leadership della minoranza cuperliana: “Non capisco la scelta di Stefano. E’ vero che il ‘chi’ di Renzi è stato politicamente inopportuno e offensivo, tuttavia penso che durante le primarie noi abbiamo detto ben peggio di Renzi. Critiche di merito a Renzi vanno fatte ma le dimissioni non aiutano a indirizzare il governo nella giusta direzione”.
La profezia di D’Alema evidentemente si sta avverando. Il presidente di ItalianiEuropei, sostenitore della candidatura di Cuperlo alle primarie, era fortemente contrario all’idea di accettare l’offerta della presidenza Pd.
Proprio perchè temeva che in questo modo la minoranza anti-Renzi – ferma ad un impietoso 18 per cento alle primarie – non avrebbe più avuto un punto di riferimento unitario.
Del resto, si ricorderà che Bersani e i suoi ci hanno messo tre mesi per decidere di appoggiare la candidatura di Cuperlo, in pista con il sostegno di D’Alema già a luglio.
E proprio prima di accordargli il sì, l’area dell’ex segretario provò a mettere in campo proprio la candidatura di Stefano Fassina, allora già viceministro.
La spiegavano così: “la scelta di Cuperlo è troppo divisiva, troppo targata ex Ds, invece Fassina è uno che raccoglie consensi anche dentro AreaDem”, che poi alle primarie si è divisa tra i franceschiniani con Renzi, altri con Cuperlo (Marini), altri non schierati (Bindi, Fioroni).
Le dimissioni dal governo Letta sono dunque per Fassina un modo per riprovarci, con una linea decisamente più governista di quella di Renzi, Cuperlo e Orfini. Anzi.
La scelta di lasciare la carica di viceministro alla fine è tesa più a fare da argine agli attacchi contro il governo che a mettere in difficoltà il premier Letta.
L’obiettivo è invece mettere in difficoltà Renzi, che, come spiega lo stesso Fassina al Corsera, dovrebbe mettere le mani nel rimpasto, occuparsene, “mettere a disposizione anche le sue donne e i suoi uomini per il funzionamento del governo. Altrimenti c’è il rischio di dettare un’agenda al governo sempre più ambiziosa e poi scaricare soltanto sul governo il fallimento di quegli obiettivi eventualmente mancati”.
E il fatto che al fianco di Fassina sia sceso in campo anche il ministro Flavio Zazonato, altro bersaniano doc, conferma che nell’area della ‘fu’ mozione Cuperlo sta per entrare nel vivo un acceso dibattito sulla linea da tenere: con i Giovani Turchi e il presidente Pd più vicini alle scelte ‘battagliere’ e magari spericolate del sindaco-segretario e i bersaniani schierati invece a tutela del governo, anche in virtù di quel patto siglato dal leader Pierluigi con Letta a novembre scorso.
Insomma, è come se si stesse riproponendo l’eterno duello tra D’Alema e Bersani, pur con entrambi i leader nell’ombra, il primo per scelta, il secondo per infausta sorte.
Al loro posto c’è una generazione più giovane. Anche dalla loro capacità di trovare o meno una linea comune dipenderà il destino del governo, ora che ci si accinge a stendere il famoso ‘patto di coalizione’.
L’idea di chi guarda a Fassina è di rafforzare l’area a sostegno del governo, soprattutto nei gruppi parlamentari, dove Renzi sulla carta non ha maggioranza.
Rosi Bindi, profondamente anti-renziana, ha già risposto all’appello schierandosi con l’ex viceministro.
Chissà chi altri lo farà se si dovesse arrivare al dunque: andare avanti o tornare al voto?
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
ASSUNZIONI RECORS PER ATAC , AMA E ACEX: 31.000 OCCUPATI
È dura da credere. Ma c’è un farmacista, in Italia, che vendendo le medicine riesce perfino a rimetterci una barca di soldi. Si tratta del Comune di Roma.
Le farmacie comunali hanno 362 dipendenti e il Campidoglio ha già tirato fuori 15 milioni per tappare i buchi pregressi.
Ma per rimetterle in sesto ce ne vorranno altri 20.
Dice tutto la verifica affidata alla Ernst & Young che si è resa necessaria per comprendere la reale situazione. Gli esperti hanno scoperto uno scostamento di 7,3 milioni nell’attivo rispetto ai dati scritti nel bilancio 2011. Quasi tre milioni solo la differenza fra le «rimanenze di magazzino» contabilizzate e quelle accertate: 9,1 milioni contro 6,2.
Sono cifre rivelate da un dossier che il consigliere comunale radicale Riccardo Magi sta per pubblicare sul sito internet Opencampidoglio.it.
Il primo di una serie di fascicoli scottanti dedicati allo scenario impressionante delle municipalizzate romane.
Ventisei società , più una marea di controllate: oltre cinquanta quelle di Acea (energia e acqua), Ama (rifiuti) e Atac (trasporti).
Tre gruppi che da soli hanno qualcosa come 31.338 dipendenti, ovvero l’85 per cento del personale di tutte le partecipate comunali, che si aggira intorno alle 37 mila unità . Circa diecimila in più rispetto ai 26.800 dipendenti degli stabilimenti Fiat in Italia. Senza contare i 25 mila dipendenti diretti dell’amministrazione comunale.
Sostengono i tecnici che Roma Capitale ha un disavanzo strutturale di circa 1,2 miliardi l’anno.
Ed è proprio sulla galassia delle società comunali che gravano le responsabilità maggiori di una situazione, in assenza di interventi, ai limiti del dissesto.
L’Atac, per esempio. Con un numero di stipendi paragonabile a quello dell’Alitalia ha accumulato in dieci anni perdite per 1,6 miliardi.
Negli ultimi cinque anni si sono avvicendati al suo vertice ben quattro amministratori delegati e un numero imprecisato di presidenti e consiglieri, senza riuscire a rimetterla in carreggiata.
Il contratto di servizio costa al Comune una cifra che si aggira intorno ai 400 milioni l’anno, ma per il 2014 la richiesta era di oltre 500.
La verità è che queste aziende, e non è certo una particolarità di Roma, sono state spesso interpretate dalla politica, anche con pesanti complicità sindacali, alla stregua di poltronifici o gigantesche macchine clientelari, piuttosto che strumenti per fornire servizi essenziali alla città da gestire oculatamente.
Salvo poi trovarsi di fronte a sorpresine al pari di quella spuntata nell’ultimo bilancio dell’Ama, che dà notizia di una raffica di arbitrati innescati dalla società titolare della discarica di Malagrotta.
Alcuni dei quali già conclusi nel 2012 in primo grado con la condanna dell’azienda pubblica a pagare alla ditta che fa capo a Manlio Cerroni, tenetevi forte, la bellezza di 78,3 milioni di euro.
Ma leggere l’elenco delle controversie in cui è incappata la municipalizzata dei rifiuti, indebitata con le banche per 670 milioni, somma paragonabile ai ricavi di un anno, e capace di assumere 1.518 persone fra il 2008 e il 2010, strappa anche qualche amaro sorriso: quando salta fuori che fra le innumerevoli cause in cui è protagonista l’Ama ce n’è persino una con l’Atac.
Che va avanti da almeno sette anni, fra sentenze ricorsi e controricorsi, per la gioia degli avvocati. E chissà quanto durerà ancora.
Il tempo del presidente Piergiorgio Benvenuti, esponente di Fratelli d’Italia, scade invece giovedì 9 gennaio, quando l’assemblea dovrà nominare il suo successore: incrociamo le dita.
Al contrario il presidente dell’Acea Giancarlo Cremonesi, nominato dal centrodestra, seduto su una dozzina di poltrone metà delle quali pubbliche nonchè socio di un gruppo di imprese edili e immobiliari, è in una botte di ferro.
Questo perchè in piena campagna elettorale la precedente amministrazione comunale procedette elegantemente al rinnovo dei vertici, confermando in blocco tutto il consiglio.
Con clausole tali che la sostituzione prematura comporterebbe comunque il pagamento dei loro emolumenti fino all’aprile 2016. E che emolumenti.
Al presidente Cremonesi, 408 mila euro l’anno. All’amministratore delegato e direttore generale Paolo Gallo, un milione 318 mila euro più un appartamento da 4.300 euro al mese ai Parioli e automobile adeguata.
Agli altri sette consiglieri, una media di 120 mila euro ciascuno.
Chi sono? Due rappresentanti del socio francese Gdf, una dirigente del Comune, l’ex parlamentare del Pdl ed ex assessore della giunta Alemanno Maurizio Leo, Francesco Caltagirone junior, il consorte dell’ex Guardasigilli Paola Severino nonchè ex commissario Consob (l’Acea è quotata in Borsa) Paolo Di Benedetto, e il segretario generale della dalemiana fondazione Italianieuropei Andrea Peruzy.
Da una società del genere sarebbe naturale attendersi utili a palate.
Invece nel 2012 i profitti netti sono stati di appena 77 milioni e anche se nei primi nove mesi del 2013 hanno superato i 100, restano striminziti.
Certi fatti, del resto, parlano da soli.
Negli ultimi cinque anni i debiti sono cresciuti di circa un miliardo, toccando 2 miliardi e mezzo. Ed è di qualche mese fa la scelta di fondere due società energetiche del gruppo, una delle quali (Acea energia spa) ha accumulato in 18 mesi perdite per 56 milioni
Ma tutto va avanti come nulla fosse. Almeno se è vero che l’ufficio del personale diretto da Paolo Zangrillo, incidentalmente fratello del medico personale di Silvio Berlusconi, ha proceduto qualche giorno fa all’assunzione di un nuovo capo della comunicazione nella persona di Stefano Porro, ex capoufficio stampa del ministro dello Sviluppo dell’ultimo governo del Cavaliere, Paolo Romani, Passera e Zanonato. Accade mentre è da un mese senza incarico il vecchio responsabile Maurizio Sandri, licenziato due anni fa dopo essere stato parcheggiato a lungo su un binario morto per ragioni politiche (aveva collaborato in passato con amministrazioni di centrosinistra), e reintegrato all’inizio di dicembre dal giudice del lavoro.
E accade in una struttura, quella delle relazioni esterne, dove sono in 25.
Compreso il capo ufficio stampa Salvo Buzzanca, incidentalmente fratello minore dell’attore Lando Buzzanca nonchè, ha ricordato Ferruccio Sansa sul Fatto Quotidiano, zio di Massimiliano Buzzanca: figlio di Lando e compagno di Serena Dell’Aira, collaboratrice di Cremonesi.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
A CREMONA UN UOMO DI 56 ANNI TROVATO MORTO A CASA AL BUIO E AL FREDDO DOPO CHE GLI ERANO STATE TAGLIATE LE UTENZE
La vicenda di Cesare Zovadelli, il 56enne di Cremona trovato morto nella sua casa due giorni dopo Natale, solo, al buio e al freddo, perchè gli erano state da poco tagliate le utenze per “morosità ”, ha riproposto perentoriamente il problema casa.
Nella civilissima Cremona ma anche nel resto d’Italia, dove premono crisi economica e povertà dilagante.
Cresce così il numero di coloro ai quali vengono tagliati luce e gas o, nel peggiore dei casi, vengono buttati in mezzo a una strada, perchè impossibilitati a pagare l’affitto.
Anche se nella vicenda cremonese precisi colpevoli sono difficili da individuare, c’è da dire che Zovadelli era conosciuto e seguito dai servizi sociali locali.
Un motivo in più per chiedersi come sia possibile morire soli e in quel modo.
Nel frattempo il Comitato anti-sfratti cremonese lanciare l’allarme, denunciando le storie di decine e decine di famiglie a rischio.
“Ci deve essere maggiore considerazione per quella che è una vera e propria emergenza sociale”, dicono gli attivisti del comitato, che poi aggiungono: “A febbraio avremo più sfratti che saranno eseguiti in un unico giorno; noi cercheremo di bloccarli tutti”
Fabio Abati
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Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIO DEL LEADER SPD SIGMAR GABRIEL: NON PARTECIPERA’ ALLA RIUNIONE CHIAVE SETTIMANALE DEL GOVERNO… LA SEGUIRA’ CON SMS O TWEET, IL 91% DEI TEDESCHI LO SOSTIENE
Successo e potere non bastano: un uomo è realizzato se sa anche essere davvero un padre presente, e trovare tempo per i figli.
Magari a spese del tempo del lavoro.
È la parola d’ordine del movimento trasversale dei maschi consapevoli, tendenza in crescita nella Germania della grande Coalizione.
Lo ha lanciato nientemeno che il vicecancelliere, superministro dell’Economia e leader della Spd, Sigmar Gabriel. Die Neue Vaeter, i nuovi padri: il movimento fa proseliti in corsa, 91 papà di Germania su cento lo appoggiano.
Il suo simbolo è Marie, una tenera bimba di due anni. Figlia appunto del vicecancelliere e della sua seconda moglie, la dentista di Magdeburgo Anke Stadler.
“Anke ha bisogno di tempo per il suo lavoro, dunque è giusto che io dia una mano”, si è confessato il compagno Gabriel a Bild.
“Mercoledì tocca a me andare a prendere Marie al Kindergarten, e occuparmi di lei, e ne sono felice”. Scelta difficile, inevitabilmente concordata con un’altra donna, la cancelliera Angela Merkel, perchè proprio il mercoledì si tiene a Berlino la riunione settimanale-chiave del governo.
Come conciliare i ruoli di papà e di numero due del governo della prima potenza europea?
Se necessario, Sigmar Gabriel si farà sostituire. Oppure, giocando con Marie tra altalene, scivoli e castelli di sabbia dell’asilo-nido, sarà in contatto con la cancelliera con lo smartphone, o esprimerà le sue scelte con sms o cinguettando su Twitter.
“Del resto parliamoci chiaro”, spiega l’iperattivo, 54enne papà vicecancelliere, “non si governa nè abbastanza nè bene se non ci si rassegna a studiare dossier e consultare esperti anche in viaggio, se non si pensa a soluzioni dei problemi anche fuori del lavoro”.
E subito aggiunge: “Avere abbastanza tempo per i figli, e per aiutare la partner, è imperativo, così come è consigliabile andare a fare la spesa… altrimenti noi politici rischiamo di estraniarci dalla realtà , di perdere contatto e conoscenza del mondo reale in cui vivono i cittadini che ci eleggono”.
Certo, obiettano scettici e maligni: quella del vicecancelliere che un giorno alla settimana lascia vuota la sedia al vertice per giocare con Marie accovacciato in grisaglia nella sabbia del Kindergarten è anche un’ottima trovata d’immagine e di pr.
E altrettanto certo, nota malizioso Spiegel online, è che tante volte al Kindergarten e poi a casa papà Sigmar sarà sì accanto a Marie o passeggerà tenendola per mano, ma con l’altra mano terrà sempre lo smartphone all’orecchio per contatti continui con Merkel, e chi sa quante volte Marie gli dirà “ma insomma, quand’è che infine giochiamo?”.
Però la scelta resta. E appare sincera, perchè non è la prima volta che il compagno Gabriel antepone la famiglia alla leadership politica.
Nel 2012, dopo la nascita di Marie, prese tre mesi di congedo parentale, e solo online, con lo smartphone e Twitter, fu dirigente del più antico partito di sinistra del mondo. Scusate se è poco.
Sono passati, nella moderna società tedesca, i tempi in cui i padri che dedicavano più tempo della media ai figli venivano derisi con disprezzo arrogante dai conservatori come “volontari dei pannolini”.
Già 27 papà su cento nel paese hanno preso il congedo parentale per occuparsi dei bimbi, tendenza in aumento.
E in dieci anni è raddoppiato (dal 10 al 20 per cento) il numero dei padri che hanno chiesto un orario di lavoro part-time in nome della prole.
Per le piccole aziende è un problema, i big del made in Germany come Lufthansa invece appoggiano il trend: “Un padre vicino ai figli ha una sensibilità che serve anche a noi come azienda”, afferma Bettina Volkens, capo del personale nella compagnia.
Gabriel non è il solo qui nell’establishment ad aver scelto i figli.
Gli fa compagnia illustre Joerg Asmussen, fino a poco fa secondo tedesco al vertice della Banca centrale europea.
Adorava quel lavoro, e il gusto di schierarsi con Draghi contro il compatriota falco Jens Weidmann, presidente della Bundesbank.
“Ma due figlie di sei e cinque anni contano di più, quindi sono divenuto sottosegretario al Lavoro per stare a Berlino accanto a loro, non più a Francoforte, e mi è indifferente se mi si giudichi un modello o uno scemo”, afferma.
Pazienza se “Supermario” si è dispiaciuto di perderlo.
Andrea Tarquini
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Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
PARTITO IN PREDA ALLE BEGHE INTERNE: NEL TIMORE CHE UN RISULTATO NEGATIVO POSSA RIPERCUOTERSI SULLE EUROPEE, GRILLO SCARICA I SARDI CHE DA OGGI VALGONO MENO DI UNO
Nulla è servito. Non gli scioperi della fame, non l’intervento di due parlamentari, la deputata Emanuela Corda e la senatrice Manuela Serra, non la riunione fiume a Riola Sardo, Oristano, di ieri, non i tanti messaggi che stanno riempiendo i canali Facebook del M5S di militanti che chiedono di risolvere l’impasse.
Beppe Grillo sembra essere intenzionato a non concedere l’uso del simbolo del Movimento per le elezioni regionali in Sardegna. I termini scadono stasera alle 20, finora sono 21 i simboli presentati e quello del M5S non c’è.
La conferma di quanto si sta profilando — Sardegna senza il Movimento sulla scheda, che alle Politiche del 2013 era stato il partito più votato con il 29,68 per cento — arriva proprio dalla deputata Corda, che sulla pagina Facebook del Meetup in Sardegna pochi minuti fa ha scritto un post di sfogo per spiegare come stanno andando le cose. “Il nostro tempo — dice la deputata Corda — è scaduto e bisogna farsene una ragione. Ieri (alla riunione a Riola, ndr) abbiamo semplicemente voluto dimostrare a noi stessi che sappiamo veramente andare ‘oltre’. In parte ci siamo riusciti, in parte no. Noi non presenteremo alcuna lista, perchè non siamo ancora pronti per farlo. Quando avremo un metodo definito e regole certe condivise, arriverà il nostro momento”.
Il problema è che le modalità di selezione delle candidature, secondo il Movimento, non sono compatibili con le regole del “nonStatuto”.
Già nell’ottobre scorso una nota del M5S aveva denunciato il “tentativo, da parte di alcuni attivisti del Movimento 5 Stelle, di voler selezione possibili candidati per le prossime elezioni regionali con modalità che non trovano l’accordo e la condivisione della gran parte del Movimento stesso”.
Modalità che, scriveva il M5S in un comunicato, “non sarebbero alcuna garanzia di veridicità e di rappresentatività ”.
Il resoconto della riunione organizzata a Riola, con l’obiettivo di proporre una lista con i nomi da candidare, scritto su Facebook dalla Corda, è abbastanza impietoso. “Considero positivo il fatto di essere riusciti ad incontrarci ieri sera, per discutere anche della lista. Devo purtroppo confessarvi che ci sono stati momenti nei quali avrei voluto andar via e abbandonare il tavolo. Temo che alcuni abbiano scambiato il Movimento per uno sfogatoio dove poter fare il proprio comodo, senza curarsi del fatto che in certi contesti, occorra rispettare delle elementari regole di buona educazione. Questo non è tollerabile in alcun contesto e nulla giustifica reazioni scomposte o prevaricazione gratuita”.
Le ultime vicende del M5S in Sardegna hanno in effetti dell’incredibile.
Non c’è alcuna ragionevole proporzione tra le divisioni tra i “grillini” sardi (divisioni peraltro originate dalla fragile struttura organizzativa che il leader ha dato al suo movimento) e la decisione di non presentarsi alle Regionali.
Negando il simbolo, Grillo si assume la responsabilità di disperdere un enorme patrimonio di consenso: quasi il 30 per cento alle Politiche.
Certo, alle amministrative il M5S è più debole, perchè il voto di opinione si affievolisce.
Ma anche facendo la tara più severa, si stima almeno un 10-15 per cento, cioè una quantità di voti idonea a modificare in un senso o nell’altro il risultato elettorale.
E a garantire con certezza una pattuglia di consiglieri regionali.
Ma qualcuno ha compreso le vere ragioni che hanno indotto il capo supremo a disinteressarsi delle Regionali.
Secondo i conoscitori delle dinamiche del Movimento 5 Stelle, confermate da fonti interne, Grillo ha deciso di puntare tutto sulle Europee che si terranno nel prossimo giugno.
E le divisioni dei suoi sostenitori isolani (unite probabilmente alla presenza di un competitor temibile come Sardegna Possibile) l’avrebbero indotto a scegliere la defezione piuttosto che rischiare un risultato mediocre, cattivo viatico verso le elezioni per il Parlamento di Strasburgo.
In parole povere, le ambizioni, i sogni, le elaborazioni, i programmi, dei militanti sardi sono stati buttati via, come carta straccia, in nome dell’interesse superiore dell’organizzazione e del “piano rivoluzionario” del leader.
Uno forse vale più di “meno uno” ?
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Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
STAMATTINA IN VISITA CUPERLO, SPERANZA ED ERRANI, POCO FA E’ ARRIVATO FASSINA… LETTA TELEFONA, RENZI SFILERA’ ALLE 18…. BOLLETTINO MEDICO: “E’ SULLA BUONA STRADA”
Matteo Renzi andrà a visitare Pier Luigi Bersani, ricoverato ieri all’ospedale di Parma per un’improvvisa emorragia cerebrale.
Dopo Cuperlo, Speranza, Stumpo e altri esponenti locali del Pd anche il segretario ha deciso di portare i suoi saluti e il suo sostegno all’ex ministro. S
Secondo indiscrezioni Renzi sarà a Parma alle 18 (in tempo per le edizioni del Tg della sera)
C’è anche Fassina
“Incontrerà Renzi? “Sono qui per salutare Pier Luigi, tutto il resto è altro”.
Il vice ministro dimissionario arriva a Parma alle 14.20 per portare un abbraccio all’amico “Pier”. “Abbiamo bisogno di lui” specifica subito (anche dopo le polemiche interne al partito) e su un possibile incontro con il segretario Pd, atteso in ospedale nel tardo pomeriggio, glissa. “Non sono qui per lui”.
Il ricovero e poi l’intervento “E’ il mio solito Pier”.
Una Befana di speranza per l’onorevole Bersani. Il volto della moglie un filo più disteso racconta molto della notte appena trascorsa dall’ex segretario Pd dopo l’operazione.
“Sì, la moglie mi ha detto che era il suo solito Pier Luigi” confessa il dottor Ermanno Giombelli all’indomani dell’intervento per cercare di porre rimedio all’emorragia subaracnoidea. “Decorso post operatorio positivo, valori stabili, nessun deficit neurologico. Rimane in Rianimazione con prognosi riservata” recita il bollettino.
E nessun collegamento con il possibile stress politico dei mesi scorsi, tiene a precisare il professore.
Bersani sta meglio, del pericolo di vita “non si può parlare” perchè finchè la “nave non è in porto”, dice Giombelli, neurochirurgo e marinaio per passione, “non si può mai dire”.
Insomma, la solita forma del cauto ottimismo, ma un ottimismo che questa volta c’è davvero. Del resto, appena sveglio, dopo aver riabbracciato moglie e figlie, l’ex ministro ha subito chiesto conto della partita, Juve-Roma, la Signora vien prima di tutto.
Il suo ex portavoce Stefano Di Traglia sorride: “Voleva sapere se avevamo registrato il match”. Vigile, provato ma sereno, ora Bersani dovrà attendere “qualche giorno” prima di poter scongiurare il rischio di ricadute.
Intanto il premier Letta “ha chiamato e verrà presto” dicono dallo staff dell’ex segretario.
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Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
“LUI FA BATTUTE, IO PARLO CON I DOCUMENTI”
Ha parlato con Enrico Letta, sabato. Ma soltanto per comunicargli una decisione già presa, in una manciata di ore.
Ed inutilmente il presidente del Consiglio ha provato a trattenere nel governo il suo viceministro di uno dei dicasteri chiave dell’esecutivo, quello dell’Economia.
Stefano Fassina, ma perchè queste dimissioni «irrevocabili»? Davvero è bastata quella battuta di Matteo Renzi?
«La battuta è soltanto la forma».
Che vuol dire?
«Che Renzi è un uomo brillante e parla con le battute. Io sono un grigio burocrate e parlo con i documenti. Il punto però sono i contenuti di quello che viene detto. E Renzi con quella battuta ha mandato un messaggio chiarissimo, ponendo una questione irricevibile di dignità personale e politica».
Dunque? Cosa spera di ottenere con queste dimissioni? Creano problemi all’interno del governo, prima di tutto..
«Veramente io ho dato le dimissioni per il motivo esattamente contrario. Ovvero che in questo modo si possa sciogliere l’ambiguità della posizione della segreteria del Pd rispetto al governo. Un’ambiguità che fa male al Pd, al governo, all’Italia».
Di quale ambiguità parla?
«Dell’atteggiamento del segretario del partito. Chiariamo: Matteo Renzi non solo ha il diritto, ma grazie al suo mandato così netto, ha il dovere di incidere sulla posizione del governo. Però un conto è lavorare in positivo, per imprimere una svolta. Un altro sono le caricature distruttive da campagna pre elettorale, con il Pd di Renzi che rischia di comportarsi come il Pdl di Berlusconi negli ultimi mesi del governo Monti. In questi mesi ne abbiamo viste tante».
Quali? Cosa è successo?
«In questi mesi la fatica morale e politica di stare al governo è stata molto elevata. E da una parte c’era chi si prendeva tutta la responsabilità di stare al governo e dall’altra chi invece faceva campagna elettorale sulle pelle del governo. Si è visto con la legge di Stabilità ».
Cosa si è visto?
«Dalla segreteria di un partito che esprime il presidente del Consiglio mi aspetto che oltre alle legittime critiche venga messo in rilievo anche le cose positive di una legge che ha costruito impianti per lo sviluppo e l’equità . Sono tanti: c’è la piattaforma di garanzia per il credito delle piccole imprese. La salvaguardia di 23 mila esodati. Abbiamo ridotto di tre miliardi il cuneo fiscale, bloccato gli aumenti per i contributi delle partite Iva. Trovato tante risorse per le calamità naturali e il dissesto idrogeologico. E potrei andare avanti, per quante cose positive ci sono dentro».
Molte critiche sono arrivate per il decreto cosidetto salva Roma.
«Già , anche quelle all’indirizzo sbagliato: gli errori su quel decreto sono stati più che altro di natura parlamentare. E invece…».
Invece?
«È stata descritta un’attività di governo come una sequela di marchette. E non ci sto: troppo facile far passare un responsabile di governo, come ad esempio il sottoscritto, come uno che fa le marchette, e dall’altra parte quelli che fanno i duri e puri, come il segretario del Pd, e sono in sintonia con la gente. Non può funzionare così. Per questo ho posto una questione di coerenza a Matteo Renzi».
La coerenza di cui parla vorrebbe dire il rimpasto del governo?
«La coerenza vuol dire che oltre alle idee, il segretario di una partito che è uscito dalle primarie con un consenso tanto forte dovrebbe mettere a disposizione anche le sue donne e i suoi uomini per il funzionamento del governo. Altrimenti c’è il rischio di dettare un’agenda al governo sempre più ambiziosa e poi scaricare soltanto sul governo il fallimento di quegli obiettivi eventualmente mancati».
Non pensa che le sue dimissioni possano creare un bailamme all’interno del Pd?
«Io spero invece che possano essere di qualche utilità ».
Utili a cosa?
«Al segretario del Partito democratico, prima di tutti, affinchè impari ad avere rispetto per tutti i componenti del partito, soprattutto per chi ha idee diverse dalle sue. Ma spero che possano essere utili a tutti a ricordare che il rispetto reciproco è il pre requisito fondamentale per stare insieme».
Ha avuto messaggi di solidarietà da parte del Pd in queste ore?
«Tanti».
Da parte di chi?
«Da tante parti di tutto il partito. E poi ho avuto valanghe di sms, tweet, messaggi su Facebook. Davvero molte persone hanno approvato la mia scelta. E quello che mi ha fatto più piacere sono stati i messaggi che mi sono arrivati dagli altri partiti. In forma privata, dunque non per strumentalizzazioni di alcun genere».
Quali partiti?
«Forza Italia, Fratelli d’Italia, Scelta civica: uomini e donne che si sono firmati anche con il loro nome».
E adesso? Il 16 gennaio c’è la direzione del Pd. Matteo Renzi ha fatto già sapere che lui non smetterà di fare battute, riuscirete a chiarirvi?
«Renzi può fare tutte le battute che vuole. L’ho già detto: il problema è quello che dice, non come lo dice. Ma un segretario che ha avuto un consenso così ampio deve imparare ad ascoltare. Altrimenti si rischia una deriva davvero pericolosa».
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
“L’AUTOREVOLEZZA DEL RUOLO NON VA CONFUSO CON L’AUTORITARISMO: CI VUOLE RISPETTO DELLA DIGNITA’ DELLA PERSONA”
“Renzi ha avuto un grande consenso alle primarie come Prodi, Veltroni, lo stesso Bersani. E questo deve servire per far germogliare l’autorevolezza. Che non va mai confusa con l’autoritarismo. La cifra caratterizzante dei democratici non può che essere il rispetto della dignità della persona, a cominciare dagli avversari e dagli ultimi”.
Beppe Fioroni, deputato Pd, ex popolare, oggi in minoranza (uno degli ultimi “rottamandi”) è molto critico con quel “Fassina chi?” che ha portato il vice ministro dell’Economia alle dimissioni.
Dunque, Renzi ha sbagliato?
Conosco bene Matteo. A lui, come a me, piace la battuta anche tagliente e anche pungente. Ma spesso bisogna esercitare su noi stessi il senso del limite. Perchè la battuta può ferire, a seconda di chi la fa e come, più di ogni altra cosa. Sono convinto che in futuro Matteo saprà mordersi qualche volta la lingua per evitare di dare il via a un bullismo politico di cui non sentiamo la mancanza .
E’ stata sicuramente una battuta, ma Renzi non solo non ha chiesto scusa, ma l’ha rivendicata, chiarendo che lui non ha intenzione di cambiare. Con Fassina è stato critico in maniera ferocemente ironica, richiamandolo a ragioni politiche
Il bullismo politico che dobbiamo evitare è un’arma a doppio taglio perchè la forza tranchant della battuta e anche della frusta verbale diventa un boomerang e a lungo andare si trasforma in un celodurismo che se non produce fatti quotidiani si ritorce contro il partito, il suo gruppo dirigente e alimenta solo divisioni e lacerazioni. Un segretario autorevole come Renzi deve costruire il consenso e l’unità anche in un confronto vivace. Ma se travalica il limite del rispetto e per primo non dà importanza alle sue battute e alle sue affermazioni per slogan si danneggia perchè autorizzerà tutti a pensare che non sono cose serie.
Però provocando queste dimissioni ha piazzato una mina sotto il governo, o no?
La mina non sono le dimissioni di Fassina, che si è dimostrato serio e coerente come sempre, ma il clima costante di stress e di esame di riparazione cui vengono sottoposti Letta e il governo dal partito cardine della maggioranza.
E se Renzi di battuta in battuta facesse fuori un ministro alla volta?
Se il Pd vuole procedere ad avvicendamenti nel governo per migliorarne performance ed efficacia è perfettamente legittimo anzi in alcuni casi auspicabile. M auguro Letta lo prenda in considerazione. L’unica cosa che non è possibile è che qualcuno porti avanti una conflittualità permanente con il governo e gli uomini del governo per portarci al voto
È la strategia di Renzi?
Non lo so. Mi auguro che nessuno pensi questo e il modo migliore per smentirlo sono i fatti. Lo spread è sotto 200 e ci sono miliardi di euro da investire in crescita, lavoro e famiglia. Sarebbe criminale tornare a un anno fa invece che per dei posti di lavoro per un posto al sole,
L’idea di Renzi di fare la legge elettorale con tutti, anche con Berlusconi è giusta?
Un accordo con lui significherebbe senza alcun alibi un ritorno indietro e una nuova chance per il Cavaliere, riportando il paese a un sistema bloccato in una contrapposizione tra berlusconiani e snti berlusconiani. Il malore di Bersani oggi ha colpito tutti, raggelando il Pd. Mi auguro che Pier Luigi superi bene questa situazione. È uno dei grandi leader della sinistra di cui il Pd non può prescindere”
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 6th, 2014 Riccardo Fucile
FIGURANO ANCHE BIANCOFIORE, RAVETTO E COMI…GRADITI INVECE GELMINI, CARFAGNA E BRUNETTA
Banditi i volti “troppo aggressivi”, in questo momento in televisione servono facce “rassicuranti” in grado di “non spaventare l’elettorato moderato”.
L’ordine verrebbe direttamente da Silvio Berlusconi, che avrebbe messo a punto la sua “black list”: personalità di Forza Italia che, in questa fase, non sono graditi sul piccolo schermo.
A sorpresa, ne fanno parte alcuni big del partito e “amici” di casa Arcore: da Daniela Santanchè a Maurizio Gasparri.
Secondo Repubblica, la lista nera comprende almeno 12 nomi, di cui finora ne sono noti soltanto sei.
Oltre alla pitonessa e al fido Gasparri, ne fanno parte Alessandra Mussolini, Micaela Biancofiore, Laura Ravetto e Lara Comi.
“Quelli li voglio vedere meno nei tg d’ora in poi, quegli altri di più”.
“Entriamo da gennaio in piena campagna elettorale, almeno nei telegiornali di maggiore ascolto voglio volti rassicuranti, poco aggressivi, che non spaventino l’elettorato moderato”, è l’ordine impartito dal Cav.
Dall’altro lato ci sarebbe anche una “white list”, vale a dire la lista con i volti graditi nei tg e nei talk show. Tra questi ci sono Mariastella Gelmini, Mara Carfagna, Renata Polverini e il sempre presente Renato Brunetta.
La responsabile comunicazione di Forza Italia, Deborah Bergamini, ha smentito “l’esistenza di una qualsiasi lista di proscrizione”.
Eppure – rincara Repubblica – il Cavaliere ha compiuto la sua scelta e l’ha comunicata a molti.
Alcuni, a cominciare da Laura Ravetto, non hanno nascosto il loro malumore.
(da “L’Huffington Post“)
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