Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
MARCO CARRAI, L’AMERICA E L’OPUS DEI
Per Matteo Renzi, e per gli altri amici è Marchino, un vezzeggiativo amichevole dovuto anche alla sua gracilità .
Ma il peso specifico di Marco Carrai è inversamente proporzionale alla sua statura, perchè da sempre è il collaboratore di maggior fiducia del nuovo segretario del Partito democratico.
Eppure di questo 38enne di Greve in Chianti si sa piuttosto poco. Schivo di natura, Carrai tende a evitare i contatti con i media.
Solo con notevole sforzo, Il Sole 24 Ore è riuscito a convincerlo non solo a parlarci di sè ma anche di scrivere quello che ci avrebbe detto.
Abbiamo così saputo che da ragazzo ha trascorso ben otto anni in un letto d’ospedale. E che in quel periodo ha sviluppato un fortissimo senso di lealtà per alcune persone, che gli sono state vicine e lo hanno sostenuto negli anni di malattia.
A partire da Matteo Renzi. «La sua amicizia mi ha salvato la vita», dice.
Ma veniamo alle sue attività pubbliche.
Negli anni della presidenza della Provincia di Firenze Carrai è stato capo della segreteria di Renzi e consigliere della Florence Multimedia, la società di comunicazione che gli ha fatto da trampolino di lancio mediatico (secondo la Corte dei Conti anche a spese dei contribuenti fiorentini), poi responsabile della campagna elettorale, fondatore del think tank del renzismo, la “Fondazione Big Bang”, e consigliere comunale.
Con il tempo sono arrivate le cariche più pesanti: consigliere dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, amministratore delegato di Firenze Parcheggi, presidente di Aeroporto di Firenze Spa.
Oltre a quelle di membro del Cda della Banca di Credito Cooperativo di Impruneta e della Banca di Credito Cooperativo del Chianti fiorentino.
Fin qui le cariche publiche.
Ma Carrai non è solo il consigliori del politico su cui poggiano le speranze di molti italiani, è anche un imprenditore. Quindi conduce affari per se stesso.
E ha accumulato varie cariche private: consigliere di Cki Srl, presidente di Cambridge Management Consulting Srl, direttore generale di Your Future Srl e socio di quest’ultima, della menzionata Cambridge, di D&C Srl, Panta Rei Srl, ItalianRoom Srl, Imedia Srl, Car.Im Srl e indirettamente anche di C&T Crossmedia Srl. Fin qui in Italia
All’estero è socio di Wadi Ventures Management Company Sarl, società registrata in Lussemburgo comproprietaria di Wadi Ventures Sca, altro veicolo lussemburghese al quale Carrai partecipa come membro del Consiglio di sorveglianza, e a sua volta omonimo di un fondo di investimento israeliano lanciato da un suo socio.
In termini puramente quantitativi – di accumulazione di cariche o, se si preferisce, di sovrapposizione di ruoli – il suo metodo sembra insomma quello tradizionale del melius abundare quam deficere
Passiamo ai comportamenti.
«Quando venne la prima volta all’assemblea dei soci dell’Ente Cassa di Risparmio, Carrai si presentò dicendo che Renzi era come un fratello per lui», ricorda un socio. «Il discorso non fu accolto bene. Anzi, fu considerato un passo falso. Perchè all’Ente Cassa abbiamo almeno la pretesa di essere indipendenti e quella frase fu interpretata, forse a torto, come il preavviso di una maggiore politicizzazione. Non si deve infatti dimenticare che l’Ente dispensa circa 25/30 milioni all’anno che, in una realtà piccola come la nostra, non è poco».
L’Ente Cassa non è solo un dispensatore di fondi. È anche un importante azionista di Banca Intesa Sanpaolo.
E qui gli intrecci non mancano. Perchè Jacopo Mazzei è stato nominato nel Consiglio di Sorveglianza di Intesa. Così come Francesco Bianchi, ex dirigente di banca e consulente, che assieme al fratello Alberto è amico sia di Carrai sia di Renzi. Mentre nella sua veste di imprenditore privato, Carrai è diventato socio in Italia e/o in Lussemburgo di due ex alti dirigenti di Intesa
Tra i soci del trentottenne di Greve ci sono anche due persone vicinissime a Franco Bernabè, manager di Stato per eccellenza, oggi senza poltrona eccellente.
Ci riferiamo al socio di Carrai in C&T Crossmedia, Chicco Testa, ex presidente dell’Enel da anni legato da amicizia e affari a Bernabè.
E a Marco Norberto Bernabè, figlio di Franco, che con il veicolo di famiglia FB Group ha investito in Cambridge Management Consulting, in YourFuture e nel fondo israeliano Wadi Ventures (di cui è socio fondatore un veterano dell’Unità 8200, il servizio di signal intelligence delle forze armate israeliane, l’equivalente della Nsa americana)
Che anche su questo fronte, i rapporti di affari si intreccino con quelli “politici” lo dimostra l’elenco dei finanziatori della Fondazione Bing Bang, il think tank renziano costituito dallo stesso Carrai nel febbraio 2012.
Oltre ai 10mila euro di Jacopo Mazzei, spuntano infatti i 10mila di E.Va. Energie, società di cui Chicco Testa è presidente e FB Group azionista (al 18,60%), e altrettanti della Telit, anch’essa gestita da Testa, storicamente partecipata da FB Group attraverso il veicolo Boostt BV e, attraverso altri veicoli, anche da Massimo Testa, fratello di Chicco
Insomma, nella vasta rete di contatti che Carrai ha costruito in questi ultimi anni, distinguere quelli attribuibili alla politica da quelli attribuibili agli affari personali non pare facile
Abbiamo dunque chiesto lumi.
Quando si tratta con lei, come si fa a capire se si sta trattando con il più stretto collaboratore del candidato alla guida del Paese, con un manager pubblico, oppure con un imprenditore privato?
«Non ho capito di cosa sta parlando, scusi?»
Quando si ha lei come interlocutore, come si fa a capire in quale veste lei interloquisce?
«Quando io parlo dell’aeroporto di Firenze interloquisco come presidente dell’Aeroporto di Firenze, quando parlo dei miei business privati interloquisco come imprenditore. Non voglio conflitti di interessi nemmeno a diecimila miglia: nessuna delle mie aziende ha mai lavorato per il Comune o per l’Aeroporto di Firenze. Mi attengo alle leggi italiane, a quello che dovrebbero fare tanti italiani e a quella che è la mentalità americana».
Parlando di mentalità americana sul conflitto d’interesse, non trova inopportuno ricevere denaro con la mano destra in quanto socio-fondatore della Fondazione Big Bang e con la mano sinistra in quanto socio-fondatore di Cambridge Management e YourFutures. Magari dalle stesse persone?
«Che? Scusi, ma cosa dice? Da chi avrei ricevuto soldi io?»
Dai finanziatori di Fondazione Bing Bang e dagli investitori di Cambridge e YourFuture.
«Ma che dice? Cambridge Consulting e YourFuture sono società di consulenza… non ricevo soldi».
Sono entrati dei soci, che hanno investito dei soldi. E le stesse persone hanno messo dei soldi nella Fondazione.
«Io non vado a vedere le visure camerali… non mi competono queste cose. A me compete assicurarmi che tra i miei soci non ci siano dei delinquenti… E’ un reato quello che sto facendo? No».
Noi parlavamo di potenziali conflitti di interesse, non di reati. E su quello, in America, vige un motto: better safe then sorry – traducibile in meglio circospetti che pentiti.
A parte la politica, l’amministrazione pubblica e gli affari, c’è la sfera religiosa. Marco Carrai appartiene a una famiglia profondamente cattolica, nella quale è consuetudine andare a Lourdes o farsi il segno della croce prima di mangiare. Profondamente cattolico anche lui, oltre all’Azione cattolica, è da sempre vicino a organizzazioni spesso associate al potere temporale. Ci riferiamo alla Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e Liberazione (che in Toscana ha avuto suo cugino Paolo tra i fondatori) e all’Opus Dei.
Sulla scena politica italiana l’Opera si è affacciata in vari modi. Il contributo che probabilmente ha avuto l’impatto più significativo l’ha dato favorendo l’incontro tra Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.
«La mia formazione è legata all’Opera, che lascia un’impronta indelebile sugli uomini che ha formato», ha spiegato il senatore co-fondatore di Forza Italia in un’intervista a La Stampa.
«Cominciai a frequentare la loro residenza universitaria. Direttore era (…) un sacerdote dell’Opera (…) che aveva fatto l’università con un giovane di cui mi parlò molto bene, Silvio Berlusconi. Mi diede il suo numero e mi disse: “Se vai a Milano chiamalo, è un ragazzo in gamba”». Il resto è storia. Politica e non.
Vari articoli di giornale hanno associato Carrai all’Opera. Gli abbiamo perciò chiesto se ne è membro.
«No!», ha risposto pronto.
Che rapporti ha con l’Opus Dei?
«Che rapporti ho con l’Opus Dei??? Zero!».
Nella sua pagina personale del sito LinkedIn, oltre alle cariche pubbliche, viene citata solo Artes, un’associazione dell’Opus Dei. Come mai?
«Artes è una bella cosa, io conosco il direttore… come conosco tante altre persone».
In occasione dell’uscita del film tratto dal bestseller di Dan Brown Il Codice da Vinci, Carrai ha sentito l’urgenza di intervenire a difesa di un’istituzione che riteneva ingiustamente bistrattata. Da un romanzo. E dopo aver ingaggiato due studiosi italiani e un sacerdote dell’Opus Dei, ha curato la pubblicazione di un libello di rettifica intitolato Codice da Vinci: bugie e falsi storici. Gli abbiamo chiesto il motivo.
«In ospedale ho letto tanti libri. Incluso quello di Brown», ha risposto. «E ho trovato che diceva una marea di cazzate».
Che sapeva lei dell’Opus Dei per arrivare a questa conclusione?
«C’erano scritte cose talmente strane che mi sembravano cavolate… sembravano il peggio del peggio che c’era al mondo… Io alcune persone dell’Opus Dei le conoscevo… il mio professore… uno dei miei professori di economia era dell’Opus Dei, e le assicuro che era una delle persone più buone che abbia mai incontrato in vita… che più mi ha aiutato quando ero in ospedale. E quindi pensai di fare un libretto contro. Punto. Io non sono mai stato dell’Opus Dei. E probabilmente non lo sarò mai».
Claudio Gatti
(da “Il Sole24ore”)
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Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE DI MESSINA ARDITA DEMOLISCE IL DECRETO DEL GOVERNO : E’ PEGGIO DI UN INDULTO E NON RISOLVE IL SOVRAFFOLLAMENTO”
“Non serve a risolvere il problema del sovraffollamento, è molto peggio di un indulto. E, soprattutto, premia i mafiosi”. Non usa mezzi termini il procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, esaminando il decreto svuota-carceri durante un’audizione in commissione Giustizia alla Camera.
Le critiche più pesanti riguardano la “liberazione anticipata speciale”, ovvero la norma che porta da 45 a 75 i giorni di sconto concessi ogni sei mesi di detenzione.
Misura che prevede una retroattività al 2010.
“Avendo deciso di affrontare il sovraffollamento rinunciando alla sanzione penale — scrive Ardita nella sua relazione —, il legislatore d’urgenza sembrerebbe da un lato aver effettuato una opzione minimale, e dunque certamente non in grado di risolvere il problema dell’affollamento, e dall’altro avere scelto i soggetti da scarcerare tra i mafiosi e i più pericolosi (rectius condannati a pene lunghe) e solo in parte minima tra coloro che sono stati raggiunti dall’intervento penale a pioggia (in primo luogo extracomunitari e tossicodipendenti)”.
Ardita, che è una delle persone più competenti in materia essendo stato per nove anni direttore generale dei detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, spiega nel dettaglio.
La misura prevista dal decreto si applica a tutti i detenuti, 416-bis compresi, perchè si basa come unico presupposto sull’“opera di rieducazione”.
Che, attenzione, non vuol dire altro che colloqui con la famiglia, attività teatrali, attività sportive. Nessuno escluso, dunque.
Ma quanto la liberazione anticipata inciderà realmente sul problema per cui Strasburgo rischia di condannarci, e cioè il sovraffollamento?
“Non potrà che incidere in modo molto marginale — scrive Ardita — potendo riguardare al più qualche migliaio di soggetti”.
Non usciranno certo di galera i poveri cristi, o saranno pochissimi, mentre verrano premiati — non si sa a fronte di cosa — coloro che sono stati condannati a pene lunghe.
Tradotto: chi deve scontare, da sentenza, sei anni di carcere potrebbe uscire dopo tre anni e mezzo.
“Anche un penitenziarista poco esperto — prosegue il procuratore aggiunto — può ben comprendere come uno strumento così concepito venga a minare alle fondamenta i principi stessi del trattamento penitenziario, che presuppone sempre percorsi nei quali i benefici siano il frutto di sacrificio, attraverso la revisione critica del proprio passato criminale e la provata volontà di reinserirsi nel tessuto sociale”.
Un regalo, bello e buono, a chi ha commesso gravi delitti e non ha mostrato neanche il minimo segno di pentimento.
C’è poi un altro elemento che vale la pena evidenziare.
Il ministro Cancellieri ha messo in piedi il decreto per svuotare le carceri sovraffollate, ma coloro che hanno condanne pesanti, i criminali veri, sono in celle doppie o al massimo triple, non sono certo stipati come bestie sulle brandine a quattro piani.
Più che rispondere alle accuse di Strasburgo, il provvedimento potrebbe tornare utile a delinquenti dentro i nostri confini .
Ardita si pone infine una domanda importante: perchè destinare il costo sociale di quest’operazione ai cittadini, che ne pagherebbero la pericolosità , visto che — statisticamente — il numero dei reati aumenterebbe?
Una timida risposta arriva, a tarda sera, dal capogruppo Pd in commissione Giustizia, Giuseppe Lumia: “Non approveremo mai un decreto che contenga falle così clamorose. Inseriremo un doppio binario che esclude tassativamente i reati di mafia”.
Silvia D’Onghia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
GLI ELETTI DELL’ERA BERSANI TEMONO, CON LISTE BLOCCATE, CHE IL SEGRETARIO LI FACCIA FUORI PER NOMINARE I SUOI
Il tema sul tappeto ora è uno solo. Matteo Renzi deve fare un accordo sulla legge elettorale su cui convergano gli altri partiti e, soprattutto, il gruppo del Pd.
Il tema non è nuovo, ma ieri grazie alla sentenza della Consulta che ha riportato l’Italia nella Prima Repubblica nel Transatlantico di Montecitorio è esploso con incredibile potenza in conversazioni allarmate e confidenze preoccupate tra compagni di partito e di sventura.
A leggere la sentenza, infatti, se la Corte non ostacola il ritorno al Matterellum, pure non risparmia critiche al rapporto tra governabilità e rappresentanza nel sistema in vigore per le politiche del 1994, 1996 e 2001.
Insomma, la preferenza degli ermellini sembra andare al cosiddetto sistema spagnolo: un proporzionale con pesanti effetti maggioritari, frutto di piccole circoscrizioni con brevi liste bloccate, che consentono cioè agli elettori secondo le parole della Consulta di conoscere chi si candida a rappresentarli
Questo sistema, come si sa, va bene tanto a Matteo Renzi (è uno dei tre proposti agli altri partiti) che a Silvio Berlusconi, mentre è assai malvisto dal Ncd di Angelino Alfano, dai montiani e pure dai neodemocristiani. Non solo.
Spiega Roberto D’Alimonte, politologo spesso ed erroneamente presentato come voce del sindaco di Firenze: “Il modello spagnolo non garantisce, neanche con il 15 per cento di premio, la maggioranza assoluta a una delle due maggiori formazioni”, mentre “il modello Mattarellum, con il doppio turno di lista (proposto ieri da Scelta civica, ndr), potrebbe essere politicamente più fattibile e più costruttivo sul piano di una maggioranza di governo”.
E soprattutto, aggiungiamo noi, ha più chance di ottenere i voti democratici in Parlamento: i gruppi del Pd sono infatti quelli usciti dalla vittoria di Bersani alle primarie del 2012 e ora se restassero le liste bloccate, pur in salsa iberica il timore degli interessati è di essere fatti fuori in favore di persone più vicine a Matteo Renzi.
E pure in fretta: se l’intesa è sullo spagnolo, si può fare solo con Silvio Berlusconi e il M5S.
Il risultato più probabile, dunque, sarebbe il voto.
Anche per sminare una certa ansia da elezioni diffusasi ieri tra le sue truppe nel palazzo, il segretario del Pd ha gettato una ciambella di salvataggio al presidente del Consiglio: “Un patto” che tenga insieme legge elettorale, riforme e modifica del Titolo V della Costituzione. Con questo, “anche le preoccupazioni di Letta verrebbero meno perchè a farlo ci mettiamo almeno un anno”, ha detto ieri pomeriggio rispondendo alle domande che gli arrivano via Twitter sul sito del partito.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
“E’ TEMPO DI APRIRE UN DIALOGO CON LE ALTRE FORZE POLITICHE”
Luis Orellana è scosso. Contento solo a metà . «Sì, abbiamo scelto di depenalizzare il reato di clandestinità . Bene, resta però il fatto che è sbagliato mettere ai voti un principio senza adeguato preavviso. Ci hanno dato solo sette ore per votare».
In passato il senatore grillino ha sfidato Gianroberto Casaleggio sulla linea politica, reclamando un dialogo con il Pd. E adesso rilancia: «Non sono più così sicuro di essere in minoranza quando chiedo un’apertura di credito alle altre forze politiche»
Senatore, davvero l’hanno avvertita solo a scrutinio in corso?
«Si votava dalle 10. A me è arrivata comunicazione quando erano quasi le 11. E poi anche il modo in cui è stato presentato il problema…».
Cosa non andava?
«Non hanno spiegato bene che cosa si votava. Nè hanno sottolineato che abrogare il reato significava evitare di ingolfare i Tribunali. E infatti il numero di votanti conferma l’analisi».
Pochi votanti? Ventimila sugli ottantamila aventi diritto.
«Beh, se dai sette ore per votare… Molti non l’hanno neanche saputo, altri erano a lavorare. Sa, la gente a quell’ora lavora. E poinon si capisce perchè comunicarlo solo all’ultimo secondo».
A molti è sembrato un blitz.
«Soprattutto perchè la cosa si sapeva da mesi. La settimana scorsa era emersa questa questione del sondaggio. Pensavamo sarebbe stato lanciato giovedì, per dare tutto il week-end per votare».
Senatore, resta un dato per voi “storico”: per la prima volta la Rete degli attivisti sconfessa la linea di Grillo e Casaleggio.
«Sì. Poi va riconosciuto anche di non aver taroccato i dati. In fondo, uno poteva pensare: i server sono miei, tarocco i numeri. Magari potevano alzare il numero dei votanti. E invece non l’hanno fatto. Non riesco comunque a darmi una spiegazione di tutta questa storia».
Una svolta, per voi che avete sempre chiesto di discutere la linea imposta dall’alto.
«Esatto. Gridarono al mio “scilipotismo”, ma ora devo dire che non sono più così sicuro di essere in minoranza quando chiedo un’apertura di credito alle altre forze politiche. Pensavo che gli iscritti fossero contrari, ma dopo questo voto non ne sono più così certo. Quando lo chiesi, comunque, ricevetti tanto supporto da chi si diceva attivista. Sia sul web che al telefono».
Finora non le hanno dato ascolto. Ora sarebbe giusto mettereai voti questa proposta?
«Sì, esatto».
Tracciamo un bilancio complessivo di questa giornata.
«Da una parte c’è un dato importante: per la prima volta si esprimono gli iscritti. Questo è il bicchiere mezzo pieno. Anzi, pieno per un quarto, visto i problemi sulla tempistica che le ho detto. E poi c’è il bicchiere mezzo vuoto».
Cioè?
«Siamo in mano a uno staff che non è adeguato. Non so chi lo componga, ho chiesto di saperlo. Credo siano ragazzi scelti per altri tipi di mansione, poi messi da Casaleggio a seguire il Movimento. E così si improvvisano. Ne discendono scelte raffazzonate. Dilettanti allo sbaraglio».
Parole dure.
«Guardi, è per questo che io chiedo i loro nomi. Per incontrarli, ragionarci. Andiamo noi a Milano, oppure vengano loro a Roma: potremmo spiegargli come funziona qui, in Parlamento».
(da “la Repubblica”)
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Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA SUL GRUPPO IDV DOPO L’ARRESTO DEL VICEPRESIDENTE SCIALFA: LE INTERCETTAZIONI
Nell’aprile del 2011 il gruppo in Regione dell’Italia dei Valori era unito e felice, e infatti tre consiglieri regalarono una penna Montblanc da 310 euro alla collega Marylin Fusco che festeggiava il compleanno.
Un presente gradito, pagato però dai contribuenti.
Anche la penna griffata è finita nel calderone delle spese pazze contestate ai consiglieri della Regione Liguria nell’inchiesta che ieri ha fatto registrare il primo arresto: Nicolò Scialfa, oggi consigliere indipendente, ma ex vicepresidente della giunta ed ex capogruppo Idv.
A Scialfa, docente di filosofia alle superiori, il procuratore aggiunto Nicola Piacente contesta i reati di peculato e falso e il gip Roberta Bossi ha concesso i domiciliari ma con considerazioni pesantissime: “Utilizzo disinvolto ed abnorme di pecunia publica, negativa personalità … totale indifferenza e spregio per gli interessi economici della collettività “.
Le indagini dei finanzieri della tributaria coordinati dal colonnello Carlo Vita hanno scoperto che dai fondi del gruppo tra il 2010 e il 2011 sono usciti 70 mila euro non rendicontati nè giustificati. Scialfa e il tesoriere commercialista Giorgio Delucchi sono anche accusati di aver falsificato atti e documenti per coprire i buchi, e poi c’è il capitolo delle migliaia di euro in spese ritenute illegittime perchè prive del requisito della rappresentanza.
Con Scialfa sono indagati Maruska Piredda, attuale capogruppo dell’Idv, e gli ex dipietristi Marylin Fusco e Stefano Quaini.
Oltrechè sull’esame delle carte e sull’analisi di migliaia di scontrini e fatture, l’indagine si fonda sulle dichiarazioni di Giovanni Dettoni, precedente tesoriere sostituito con il più malleabile Delucchi.
Ma alcune delle imputazioni sono anche frutto delle dichiarazioni di Fusco, Piredda e Quaini, che di fronte al pm e nelle loro chiacchierate intercettate hanno accusato Scialfa di essere il responsabile della situazione.
Il gip Margherita Bossi la chiama “stanza”: è la voce delle spese di rappresentanza utilizzata dai consiglieri dell’Idv come un deposito in cui far confluire “ogni tipologia di spesa personale”.
Anche slip, gratta e vinci, vini della Borgogna, penne Montblanc o cibo per gatti, collant di cachemire, fiori, biglietti da visita per 650 euro, libri di Leopardi e Grisham. Maruska Piredda, la pasionaria Alitalia catapultata dalla Lombardia in Liguria per espresso volere dell’allora leader Idv Antonio Di Pietro, ha cercato di far entrare nella “stanza” anche gli assorbenti.
Il 27 settembre del 2012 Giorgio Delucchi, il commercialista tesoriere anche lui indagato, parla con la sua compagna e collaboratrice Alessandra Menconi: “Ho notato che hai lasciato degli slip della Maruska nella rendicontazione… ma dovevi toglierli”. E la donna risponde: “Si vede che è stata una svista… ho tolto anche i… Lines, ho tolto ogni cosa”. E il contabile la tranquillizza: “Non succede niente, quella roba lì l’abbiamo messa a parte non ti preoccupare “.
Si preoccupa invece per il buon nome dell’istituzione il presidente della Regione Claudio Burlando, che quando scoppia lo scandalo, nel dicembre 2012, parla con Scialfa e gli impartisce una lezione di deontologia: “Troppi casi per giustificarli come uno sbaglio di un impiegato, è il segnale di un andazzo… capisci che è una roba incredibile… questa qui Nicolò è gente che ha vissuto a danni del contribuente… un elenco di 300 cose ragazzi, non una due, belin…. viene l’ambasciatore e quello è un regalo istituzionale, ma se il destinatario, come dire, persone di varia umanità che cazzo c’entra la rappresentanza. Io, per essere chiari, regalo delle bottiglie a Natale, ma le pago io, non so se è chiaro…”.
La procura accusa Scialfa di aver presentato fatture per decine di bottiglie di vino comprate in Borgogna e di aver chiesto il rimborso anche di quelle comprate dagli amici.
Al telefono con un collaboratore Scialfa afferma che si è trattato di un errore del tesoriere: “È un pasticcione”.
Ma non sembra pensarla così l’unico consigliere Idv non indagato, Gabriele Cascino, assessore all’Urbanistica della Liguria, che il 9 dicembre del 2012 parla con la Piredda: “Se ci sciolgono qua in Liguria fanno bene, sembra che uno passa la giornata a mangiare… ho capito che vi scaricavate un po’ tutto no?”.
E in effetti il “catalogo” dell’Idv è quanto mai eterogeneo. Stefano Quaini, che dopo l’uscita dall’Idv e una beve parentesi con Sel ha lasciato la Regione per dedicarsi alla sua attività di medico, nelle rendicontazioni ha inserito 54,50 euro di “strumenti chirurgici”, ma anche 133,40 euro di “modellismo e giochi acquistati ad Albenga”. Quaini si era giustificato così: “È un regalo ai figli di simpatizzanti dell’Idv che avevano partecipato ad un convegno sulla sanità “.
Ma che ogni tanto lo shopping fosse poco opportuno lo capivano anche gli stessi consiglieri.
Racconta una negoziante sentita dai finanzieri che la Fusco acquistò un portablocco Montblac da 375 euro in pelle stampata coccodrillo: “Mi ha chiesto specificatamente di frazionare l’acquisto in tre scontrini… di non indicare sullo scontrino il bene venduto e il codice corrispondente”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
I DUBBI DI NAPOLITANO SUL RIMPASTO E SUL LETTA BIS
I giochi sono finiti, adesso si fa sul serio, e Matteo Renzi mette la freccia per sorpassare.
La Corte costituzionale ha parlato, lunedì alla Camera inizierà la discussione sulla legge elettorale ed è tempo di stringere.
Così, dopo una settimana di attesa inconcludente, il segretario del Pd ha deciso che fosse arrivato il momento di capire qual è la risposta forzista alle sue tre proposte. Per questo, in gran segreto, ieri pomeriggio ha deciso di incontrare a quattr’occhi il plenipotenziario del Cavaliere, Denis Verdini
Un faccia a faccia organizzato lontano da occhi indiscreti. I due parlano a lungo del modello spagnolo che in fondo piacerebbe a entrambi. Ma ci sono tante incognite ancora.
E il nodo preliminare è politico: il leader Pd vuole garanzie. Non si fida del Cavaliere. «Leggo del vostro partito in rivolta, quelli che attaccano Berlusconi per la scelta di Toti, Fitto che minaccia, cosa sta accadendo? » chiede incuriosito.
«Ma nulla, problemi interni, che il presidente risolverà a breve», taglia corto Verdini. Renzi lo incalza: «Sicuro? E se io poi chiudo l’accordo con lui e questi qui non lo seguono? Non voglio scherzi».
L’ex coordinatore forzista tampona: «Tutto è in via di soluzione, noi abbiamo una sola parola, quella di Berlusconi, te lo garantisco ».
E il sindaco di Firenze: «Le garanzie le voglio da lui, voglio parlare con lui».
Forza Italia infatti è lungi dall’essere un monolite sulla legge elettorale. Se ne è accorto Dario Nardella, che ieri ha incontrato a Montecitorio Renato Brunetta, il capogruppo che si spende per il Mattarellum.
I distinguo non mancano. «Non condivido la posizione espressa dal mio capogruppo – ha messo subito a verbale il “lealista” Saverio Romano – e auspico che, su un tema cosi importante come la riforma elettorale, venga convocata una riunione di gruppo».
Per questo, viste le due linee dentro Forza Italia, Renzi si è deciso a incontrare di persona il “titolare” della ditta. Il vero faccia a faccia, quello che pesa, avverrà molto presto, dopo la direzione Pd di domani.
È in agenda per sabato, forse nella sede democratica di Largo del Nazareno. Dove il Cavaliere non ha mai messopiede.
È convinto, nel momento storico di maggior discredito personale, di conquistare in questo modo la resurrezione politica.
Nel frattempo Renzi e i suoi iniziano a vedere con una certa apprensione il formarsi di un fronte trasversale favorevole al mantenimento del proporzionale puro con una preferenza, così come lasciato in piedi dalla Consulta.
Anche nel Pd non mancano i favorevoli, come Beppe Fioroni: «La Consulta ci consegna un sistema proporzionale e la preferenza. Guardo con preoccupazione a come si lavorerà per togliere ai cittadini il loro diritto di scelta e di democrazia piena». La nostalgia del proporzionale starebbe contagiando anche molti della mozione Cuperlo, spaventati dall’idea di un sistema elettorale – spagnolo o Mattarellum – che metterebbe le candidature alla mercè del segretario.
Tra i sostenitori del proporzionale ci sarebbero anche Grillo e Casaleggio.
Forse non è un caso se ieri, quando il vicepresidente M5S della Camera, Luigi Di Maio, ha chiesto il ripristino del Mattarellum, una nota firmata da tutti i componenti grillini della commissione affari costituzionali l’abbia apertamente sconfessato con una benedizione del sistema proporzionale puro: «Non sarà un granchè, ma almeno è legittimo».
In fondo anche a Berlusconi il proporzionale non dispiacerebbe: nessun vincitore e il Pd sarebbe costretto di nuovo a rivolgersi a lui. Rischi che sono ben presenti ai renziani.
«La legge elettorale – spiega Maria Elena Boschi – va cambiata subito. Altrimenti, se prevalessero le tentazioni proporzionaliste, andremmo dritti alla prima Repubblica e addio governabilità ».
Se Renzi teme questa nuova nostalgia proporzionalista, sul tema del rimpasto sembra diventato invece indifferente.
Un cambiamento che è stato apprezzato da Napolitano nel lungo colloquio dell’altro ieri. Anche perchè il capo dello Stato resta contrario sia al rimpasto – difficile non aprire una crisi con 4-5 ministri da sostituire – sia all’ipotesi di un Letta-bis.
Troppi i rischi legati a questa operazione, troppo tempo perso inutilmente. Un altro aspetto che Napolitano ha valutato positivamente del faccia a faccia con il segretario democratico è stata la chiusura ufficiale del capitolo elezioni anticipate.
«Renzi – è la convinzione del presidente della Repubblica – ha capito che bisogna arrivare alla primavera del 2015. Con Letta a palazzo Chigi a gestire il semestre europeo».
Francesco Bei e Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
OGNI DISPOSITIVO CI COSTA 55.000 EURO
Quando si parla di sprechi da anni si finisce per parlare di braccialetti elettronici.
È un lungo tormentone senza fine, un sistema alternativo alla detenzione in carcere che nell’epoca delle grandi tecnologie e del Grande Fratello non riesce a funzionare, a costi altissimi per lo Stato.
“Il costo della convenzione per i braccialetti elettronici è fino a 9,083 milioni di euro, di cui 2,4 milioni per il solo costo di 2 mila braccialetti e 3,160 per l’organizzazione, ma al momento ne sono utilizzati 90, ad un costo di circa 5 milioni” afferma in Commissione Giustizia alla Camera il capo della Polizia, Alessandro Pansa, parlando del decreto Cancellieri sulle carceri.
Sono numeri da Tiffany o Bulgari: il prezzo di ogni braccialetto elettronico è superiore ai 55 mila euro.
“E’ chiaro che è una diseconomia enorme perchè tarata su 2 mila braccialetti – ha aggiunto Pansa – mentre noi ne usiamo 90. La convenzione con Telecom Italia è stata dichiarata illegittima. Abbiamo sbagliato e l’amministrazione si assume le sue responsabilità “.
Sulla convenzione con Telecom Italia pende infatti il giudizio della Corte di Giustizia europea, dopo il ricorso dell’azienda sulla sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato illegittimo l’accordo rinnovato nel 2011.
Parlando della nuova gara che si dovrà fare per l’appalto dei nuovi braccialetti elettronici, Pansa ha detto che “speriamo di trovare tecnologie più avanzate ad un costo inferiore rispetto a quello attuale che è di 9.082.000 euro”, perchè è “un costo enorme, soprattutto considerando il numero di soggetti interessati”.
Quella con Telecom, ha aggiunto Pansa, “è una vecchia convenzione del 2001, rinnovata nel 2011, ed è ovvio che se oggi andassimo sul mercato troveremmo di meglio. Rinnovare questo contratto è stato un errore da parte nostra, abbiamo sbagliato”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
DUE VITE DI SUCCESSO FINO AGLI ULTIMI MESI, PER ENTRAMBI DIFFICILI
Sembra ieri (primavera 2009). L’economista mite ed elegante infilzò con la forchetta due ziti di Gragnano (simili a bucatini, ma più corti e con un diametro maggiore) e rimase a bocca aperta, letteralmente. «Ma… Ma quanto peperoncino ci hai messo?».
Lei, già nota su Dagospia come «nostra regina del Sannio», deputata del Pdl con ambizioni sfrenate, aprì un sorriso carnoso dei suoi.
«E su… uè, come fai…». L’aveva conquistato.
Ora non restava che passare alla fase due: avvertire il capo, Silvio Berlusconi.
Davvero, sembra ieri.
Il Cavaliere, sulle prime, si infuriò. «Come sarebbe che vuoi fidanzarti con Boccia? E poi, Nunzia, scusa: chi sarebbe questo Boccia?» (è opportuno ricordare che il Cavaliere a lei, Nunzia De Girolamo, e a un’altra giovane parlamentare, Gabriella Giammanco, spediva biglietti galanti durante le sedute parlamentari).
La De Girolamo spiegò che questo Boccia era un deputato del Pd molto in carriera, con un storia d’amore appena finita e già padre di due figli, un tipo comunque molto serio, un ex democristiano poi prodiano, quindi lettiano, il rampollo d’una famiglia di Bisceglie che aveva girato il mondo, master alla Bocconi e quadriennio alla London School, soggiorno negli Usa e poi sì, certo, pure due tragiche tornate elettorali in Puglia (2005 e 2010), sempre sconfitto da Nichi Vendola nelle urne delle primarie ma non nello spirito rampante: infatti l’aveva conosciuto a VeDrò, una specie di club fondato da Enrico Letta per far amalgamare le giovani speranze della politica italiana.
Si erano piaciuti. Poi lei gli aveva preparato quel piatto di ziti.
Baci segreti, in Transatlantico giochi di sguardi, l’annuncio ufficiale affidato al settimanale Chi . Si sposarono, in municipio, il 23 dicembre del 2011. Il 9 giugno dell’anno successivo nacque Gea.
Un amore veloce, subito nell’immaginario collettivo proprio perchè così perfettamente meticcio, se le larghe intese potevano funzionare in amore, figuriamoci a Palazzo Chigi.
Dove però alla fine arriva lei: le affidano il dicastero delle Politiche agricole, mentre lui resta a Montecitorio, presidente della Commissione Bilancio.
Una coppia di successo. Per un po’. Poi succedono un sacco di cose.
Lui, che alla tivù appare pacato, misurato, su Twitter si trasforma.
Se gli interlocutori osano criticarlo, va fuori come un balcone. «Se non sei d’accordo con me, fatti eleggere e poi ne riparliamo», «Vai… vai a lavorare», «Fai ridere… coniglio».
Nel giugno scorso, il capolavoro.
Mentre si discute sull’acquisto degli F35 – che lui, Boccia, caldeggia – risponde a qualche cinguettìo pacifista scrivendo: «In sostanza non si tratta di fare guerre, con gli elicotteri si spengono incendi, trasportano malati, salvano vite umane #F35».
Per capirci: Boccia è convinto che gli F35 siano elicotteri e non cacciabombardieri.
Non basta: politicamente sembra subire il fascino di Renzi; e così ammicca, dichiara, e tutto questo non piace a Enrico Letta, che i suoi, di solito, li preferisce allineati e prudenti.
Un certo tormento politico, contemporaneamente, assale anche lei, la moglie Nunzia.
Che, dopo essere stata a lungo una fedele berluscones (la leggenda racconta che conobbe il Cavaliere a Napoli, durante un comizio, dopo avergli lanciato sul palco un orsacchiotto) decide di uscire dal cerchio magico di palazzo Grazioli (Francesca Pascale l’aveva ammessa) e di seguire Angelino Alfano, mantenendo così la poltrona di ministro (nonostante gli animalisti non perdano occasione per ricordare che la responsabile del dicastero delle Politiche forestali, una volta, ospite di Michele Santoro, sostenne che le lontre sono uccelli).
Meno male che, a un certo punto, arriva il Natale.
La famigliola decide di andarlo a trascorrere alle Maldive. Al diavolo il tragico momento economico che vivono milioni di italiani: certe volte una bella vacanza è proprio quello che ci vuole. Sole a picco e tuffi, le squisite grigliate di un magnifico resort, le partite di pallavolo, Boccia che smette di twittare con il mondo ostile, la De Girolamo che s’abbronza, la piccola Gea che gioca sulla spiaggia bianca.
Speriamo, pensano Nunzia e Francesco, che il nuovo anno sia un buon anno.
Ma sì, certo, bisogna essere ottimisti: auguri, cin cin!
Tornano.
Purtroppo un cronista del Fatto non è andato in vacanza. Ha lavorato. Ha trovato quelle che, in gergo, chiamiamo «carte».
Il racconto di intercettazioni carpite a casa del padre di lei, della De Girolamo, a Benevento. Riunioni per decidere affari e appalti della locale Asl e del 118. Lei usa toni forti, volgari. Al Corriere dichiara: «Quanto perbenismo… a casa mia, io faccio quello che mi pare».
Lui, il Boccia, adesso, in un lancio dell’agenzia Ansa , non la chiama più Nunzia, non chiama per nome sua moglie.
Dice solo: «Il ministro spiegherà » (secondo alcune fonti, sarebbe furibondo anche perchè avrebbe appreso solo dai giornali che lo storico fidanzato di Nunzia, Antonio Tozzi, è stato da poco nominato direttore generale della Sian – il sistema informativo usato da Stato e Regioni in materia di agricoltura – con uno stipendio di 175 mila euro l’anno, più benefit).
Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 15th, 2014 Riccardo Fucile
“MASTELLA LASCIAVA QUALCHE SPAZIO DI LIBERTA’ AI SUOI, CON NUNZIA BISOGNA SOLO OBBEDIRE”
Il grido fu dolente e arrabbiato, da uomo tradito. Piazza Roma, Benevento.
Chiusura della campagna elettorale alle ultime comunali della città delle streghe. Maggio 2011. Clemente Mastella si sporge dal palco e paonazzo in volto accusa: “La fanciulla è diventata deputato a più di trent’anni, io a ventotto. Lei, per ragioni orizzontali, è stata nominata. Io, per ragioni verticali, sono stato eletto con le preferenze”.
La fanciulla in questione si chiama Nunzia De Girolamo detta Nunziatina, che subito s’indigna e querela. Ma perde. Archiviazione.
Scena completamente opposta un anno prima, in Liguria.
A Loano si sposa un rampollo della famiglia Mastella, Elio. Nunzia De Girolamo è tra gli invitati, con Diego Della Valle e Carlo Rossella. Caciotta di Ceppaloni e trenette al pesto.
In una città e in una provincia come quella di Benevento, l’ascesa di “Nunzia la Belva”, questo il suo nomignolo, è stata un terremoto per i vecchi ras locali. Non solo Mastella.
Ecco Cosimo Izzo, avvocato di antica scuola democristiana, poi fulminato sulla via miracolosa di Arcore ed eletto senatore nella Seconda Repubblica.
Izzo ha vegliato come un padre sulla prima, sfortunata candidatura di “Nunzia” in politica. Consiglio comunale di Benevento, anno 2006. Meno di duecento voti, 178 per la precisione. Un flop che indurrà De Girolamo, da coordinatrice provinciale del Pdl, a fare l’ennesimo parricidio.
Nel 2013, Izzo è fuori dal Senato. La colpa? Di “Nunzia”. L’avvocato non ha dubbi e attacca: “È una nominata, in pieno delirio di onniscienza e onnipotenza”.
Stessa scena, anzi più violenta, con Pasquale Viespoli, altro nome di rango della destra sannita. I due non si sono mai amati. Un giorno passeggiano lungo corso Garibaldi, nel centro di Benevento e finiscono quasi alle mani.
Qualcuno, sulla base di telecamere a circuito chiuso, giura che si sono picchiati.
Ora Ndg, acronimo della Belva, che fa il paio con quello del suo nuovo partito, Ncd, non ha più avversari a Benevento. È sola. Sola contro tutti.
Il Sistema “Nunzia” nasce così, grazie soprattutto al link diretto con Silvio Berlusconi, conosciuto nel giro di Sandro Bondi e Denis Verdini. Tosta sin dall’inizio. Sin da quando fa la responsabile delle hostess della rassegna Città Spettacolo voluta da Sandra Lonardo in Mastella e diretta da Maurizio Costanzo.
De Girolamo si insinua nella ragnatela di “Clemente” e comincia la sua scalata.
Sono anni di formazione, puntellati dal fidanzamento in casa, come usa al Sud, con Antonio Tozzi, altro anello del suo cerchio magico beneficiato (con l’incarico di direttore generale del Sian, sistema informatico del ministero) dall’ascesa di “Nunzia” alle Politiche agricole. L’agricoltura, la terra.
Materia lontana dai suoi studi di Legge, culminati con un dottorato di ricerca all’Università del Molise, ma da sempre tra gli interessi principali della sua famiglia.
Perchè il caso De Girolamo, al di là della polemica politica, è uno spaccato esemplare, come ce ne saranno altri cento o mille, di quel “familismo amorale” del Mezzogiorno analizzato senza pietà dal sociologo americano Banfield.
Un sistema assoluto. “Direi spietato, Mastella lasciava qualche spazio di libertà ai suoi, con la De Girolamo invece bisogna solo obbedire”, chiarisce Carmine Nardone, già deputato del Pds e presidente della provincia.
Il familismo di “Nunzia” ha il suo vertice nel papà Nicola, che regna sul consorzio agrario di Benevento, in liquidazione coatta e oggi sotto la sorveglianza di due ministeri, tra cui quello della figlia. Nicola De Girolamo è molto amico di Pasqualino Lombardi, il geometra al centro delle trame della P3 di Denis Verdini. Anche qui nulla di penalmente rilevante.
Una telefonata tra Ndg e il faccendiere Lombardi: “Caro Pasqualino, ho parlato con il presidente si è fatto ripetere più volte il tuo nome, aspetta che gli porti qualche dettaglio. Vuole sapere tutto di questa cosa”.
Il presidente, of course, è Berlusconi. “Pasqualino”, grato, ricambia: suo figlio Gianfranco è amministratore unico di Ivg, Istituto per vendite giudiziarie, e nella sede beneventana trova lavoro una sorella di “Nunzia”, Francesca.
L’intreccio di rapporti cresce in modo proporzionale alla scalata di De Girolamo. Deputata nel 2008, ministro cinque anni dopo per volontà del Cavaliere.
La scissione del Nuovo centrodestra ha provocato la rottura tra Ndg e un altro suo storico pigmalione: Luca Colasanto, giornalista e consigliere regionale nonchè editore dell’influente Sannio quotidiano.
Colasanto non la segue nel partito alfaniano ma con “Nunzia” rimane Luigi Barone, ex vicedirettore del quotidiano e attuale capo della sua segreteria politica.
A Benevento, Barone è considerato l’uomo dei segreti di Ndg, quelli inconfessabili.
In città circolano varie voci sulle intercettazioni abusive di Pisapia e in una il protagonista è proprio Barone. Sospetti pesantissimi. O solo veleni?
Quando Francesco Boccia, lettian-renziano del Pd e marito di “Nunzia”, allude al complotto contro la moglie punta il dito contro i ras fautori della santa alleanza anti-De Girolamo alle ultime comunali, quelle del 2011.
Ossia Clemente Mastella e Umberto Del Basso De Caro.
Così come da circa tre mesi, da novembre, un sito di informazione locale, vicino a Cosentino, allude alle famigerate bobine di Pisapia che hanno inguaiato “Nunzia la Belva”.
“La politica è sangue e merda” ammoniva il socialista Rino Formica.
In questa storia è soprattutto “merda”, come dimostrano gli sms di insulti di Ndg a Mastella per le interviste di questi giorni. Vite e coppie parallele. “Clemente e Sandra”. “Francesco e Nunzia”.
Prodi cadde per Mastella. Letta cadrà per De Girolamo?
D’Esposito e Fierro
(da “il Fatto Quotidiano“)
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