Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
BORSE, CRAVATTE, PROFUMI, SOGGIORNI IN ALBERGHI DI LUSSO PAGATI CON SOLDI PUBBLICI
Con i fondi destinati al funzionamento dei gruppi parlamentari è stato acquistato di tutto: borse Louis Vuitton, cravatte, profumi e soggiorni in alberghi di lusso.
La Procura di Palermo ha ora iscritto nel registro degli indagati 97 esponenti politici della scorsa legislatura, tra i quali l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo, l’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio e anche Davide Faraone, deputato del Pd responsabile del Welfare nella segreteria formata da Matteo Renzi.
Ha inoltre notificato tredici avvisi di garanzia agli ex capigruppo Giulia Adamo, Nunzio Cappadona, Antonello Cracolici, Francesco Musotto, Rudy Maira, Nicola Leanza, Nicola D’Agostino, Giambattista Bufardeci, Marianna Caronia, Paolo Ruggirello, Livio Marrocco, Innocenzo Leontini e Cataldo Fiorenza.
Gli esponenti politici, alcuni rimasti in carica anche in questa legislatura, sono stati convocati in Procura nei prossimi giorni dai sostituti procuratori Sergio Demontis, Maurizio Agnello e Luca Battinieri, nonchè dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci.
E’ così a una svolta l’inchiesta avviata dalla Procura nell’ottobre 2012, quando i finanzieri del nucleo tutela spesa pubblica della polizia tributaria entrarono all’Ars acquisendo tutta la documentazione sulle spese dei gruppi parlamentari.
Tra i 97 sotto inchiesta, 83 sono parlamentari della scorsa legislatura gli altri sono stati rieletti col nuovo presidente Crocetta.
E’ stato lo stesso Antonello Cracolici, ex capogruppo del Pd a Sala d’Ercole, a darne notizia all’Aula. “Sono indagato, ma non ho nulla da nascondere”. Convocata per domani una conferenza stampa.
“Benissimo la procura: indaghi. E se c’è qualche ladro deve pagare. Sono certo che emergerà chiaramente se qualcuno che ha rubato e ha utilizzato le risorse per lucro personale” replica Faraone, “non ho ricevuto al momento alcuna comunicazione e sono comunque serenissimo. Anzi, quanto accaduto sarà l’occasione per far conoscere a tutti i modi in cui ognuno di noi utilizza le risorse destinate a fini politici e di rappresentanza”.
Sono 13 milioni all’anno le spese finanziate, il 50% delle quali, avrebbe stabilito l’inchiesta, illegittime.
Ma variano di molto gli importi contestati a ogni singolo esponente politico: per Faraone, ad esempio, si parla di conti per 3.380 euro, per Giuseppe Lupo si indaga su quasi 40 mila euro.
Ed ecco le cifre nel dettaglio: per l’allora semplice deputato Udc Giovanni Ardizzone, oggi presidente dell’Ars, si fa riferimento a un ammanco di 2.090 euro; poi Guglielmo Scammacca della Bruca, Franco Mineo, Alessandro Aricò, Giovanni Cristaudo, Carmelo Currenti, Giovanni Greco, Carmelo Incardona, Ignazio Marinese, Raffaele Nicotra, Antonino Scilla, Marco Lucio Forzese, Orazio Ragusa, Mario Parlavecchio, Salvatore Lentini, Salvatore Giuffrida, Nino Dina, Salvatore Cascio, Toto Cordaro, Pippo Gianni, Giuseppe Lo Giudice, Orazio Ragusa, Cateno De Luca, Michele Cimino, Raffaele Lombardo, Francesco Calanducci, Paolo Colianni, Orazio D’Antoni, Antonio D’Aquino, Giovanni Di Mauro, Giuseppe Federico, Giuseppe Gennuso, Riccardo Minardo, Fortunato Romano, Giuseppe Sulsenti, Giuseppe Arena, Marcello Bartolotta, Mario Bonomo, Raimondo Sciascia, Calogero Speziale, Miguel Donegani, Riccardo Savona, Cataldo Fiorenza, Salvino Pantuso, Roberto Ammatuna (5.810,66 euro ).
E ancora: Giuseppe Apprendi (480 euro), Giovanni Barbagallo (11.569,44 euro), Mario Bonomo (4.918 euro), Roberto De Benedictis (per 4.653 euro), Giacomo Di Benedetto (per 27.425 euro), Giuseppe Digiacomo (per 6.727 euro), Michele Donato Donegani (10mila euro), Cataldo Fiorenza (4.327,80 euro), Michele Galvagno (5.681 euro di cui 1.248 per iniziative insieme a Salvatore Termine), Baldassare Guacciardi (1.365 euro), Giuseppe Laccoto (3.492 euro), Giuseppe Lupo (39.337 euro), Vincenzo Marinello (3.900 euro), Bruno Marziano (12.813 euro), Bernardo Mattarella (6.224 euro), Camillo Oddo (2.500 euro), Filippo Panarello (16.026 euro), Giovanni Panepinto (2.600 euro), Francesco Rinaldi (45.300 euro).
Salvo Palazzolo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
RINVIATA LA NOMINA DI TOTI A COORDINATORE
È un atterraggio complicato quello che attende Silvio Berlusconi e Giovanni Toti a Roma. Perchè il Cavaliere è stato costretto a cambiare la rotta. E pure bruscamente.
Tanto che, prima di prendere il volo per rientrare nella capitale con suo direttore di Studio Aperto e Tg 4, ha messo a verbale: “Non ho mai pensato di nominare un coordinatore unico di Forza Italia. Valorizzerò i veterani ma non bisogna temere di aprire il partito a forze nuove”.
Una virata, rispetto alla rotta programmata, che prevedeva di arrivare a Roma con Toti proprio per formalizzare il nuovo incarico e l’inizio della rivoluzione (o rottamazione) di Forza Italia e della sua nomenklatura.
È di fronte all’insurrezione dei veterani che l’ex premier sceglie di mediare e di rinviare la nomina.
Nel fantastico mondo berlusconiano non si era mai vista un’intervista dura come quella di Raffaele Fitto a Paola Di Caro del Corriere: “Il presidente — dice il leader dei lealisti – non ci umili con la nomina di Toti”.
Parole dure, che lasciano intendere come il corpaccione del partito non sia disposta ad obbedire a un dipendente Mediaset senza esperienza politica.
“Lealtà e correttezza” dice Fitto impongono di dire a Berlusconi che “la scelta di Toti è un errore” e mortifica il grosso del partito.
Parole pesanti, che costringono il Cavaliere a rinviare l’investitura di Toti a data da destinarsi. Almeno per ora.
Colpito, amareggiato da una reazione così dura, Berlusconi ha la sensazione che la nomina di un esterno rischia di sfasciare tutto.
E che Fitto raccolga un umore e un malcontento diffusi. Per questo chiama parecchi parlamentari per chiedere uno “stop immediato alle dichiarazioni”. Prima che la faida diventi incontrollabile.
Uno stop che riguarda anche quelle a suo favore, sollecitate da palazzo Grazioli. E ora inizia la trattativa più difficile. Possibile che nelle prossime ore il Cavaliere appena rientrato a Roma (con Toti) incontrerà Fitto e i vertici di Forza Italia per trovare una quadra.
È certo che la frenata ha alimentato la preoccupazione del partito Mediaset che nelle scorse settimane ha lavorato e non poco per mettere l’ex vice di Mauro Crippa alla guida della nuova Forza Italia.
Con l’obiettivo di “riallacciare” con Alfano e arginare i falchi, da Verdini e Fitto.
Non è un caso che per Toti si sia mosso Fedele Confalonieri in persona, che ha avuto colloqui con parecchi azzurri di comprovata fede berlusconiana.
All’atterraggio, per Berlusconi inizia una trattativa complicata.
L’unica certezza è che il battesimo di Toti è rinviato.
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Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
“RENZI NON HA LA FORZA PER FAR CADERE IL GOVERNO”: E IL CAVALIERE PREFERISCE DEDICARSI AL PARTITO
«Ma a me conviene davvero il voto a maggio? In queste condizioni non andiamo da nessuna parte». L’interrogativo assillava da giorni Silvio Berlusconi, nelle ultime ore i dubbi sono diventate certezze, confidate nel chiuso di Arcore.
Ripiegate le mappe di guerra, il quartier generale resta in assetto da battaglia, ma l’obiettivo unico a questo punto sono le Europee del 25 maggio e le amministrative.
Il leader di Forza Italia per l’occasione confessa ai suoi di sognare un nuovo tour elettorale in grande stile, come ai vecchi tempi, almeno fino a quando i servizi sociali non ne limiteranno gli spostamenti.
Ma alle elezioni per il rinnovo del Parlamento ha già detto addio.
“Election day” resterà lo slogan della campagna martellante forzista delle prossime settimane. Ma il Cavaliere non ci crede più, meglio, tira anche un sospiro di sollievo.
Racconta di essersene convinto dopo il faccia a faccia dell’altro giorno tra il premier Letta e il segretario Pd e quello di ieri tra lo stesso sindaco di Firenze e il presidente Napolitano.
«Renzi non ha la forza di buttare giù il governo e ha capito che comunque il Colle glielo impedirebbe in tutti i modi, dobbiamo prepararci a un lungo anno di opposizione ed è meglio così» ha confidato l’ex premier ai dirigenti che lo hanno chiamato e sono andati a trovarlo ieri al termine di una giornata campale. Trascorsa quasi per intero con vertici dell’azienda e figli (l’ad del Milan Barbara, soprattutto) per far fronte alla crisi della squadra, alla sostituzione dell’allenatore Allegri.
Come ha spiegato ai suoi, alla fine la chiusura della saracinesca elettorale di primavera è un «male» che per Forza Italia non verrà per nuocere.
Il partito è al palo, non è pronto, i club ancora non decollano, non c’è un candidato premier spendibile e lui stesso sarà “impedito” da qui a poche settimane.
A sentire i legali di casa, da marzo. E poi, col ciclone Renzi che incombe, con qualsiasi sistema elettorale il responso rischia di essere devastante, gli attuali parlamentari dimezzati.
Anche se l’ultimo sondaggio targato Eumedia Research, consegnato ieri dalla Ghisleri e pubblicato dal “Mattinale”, assegna a Forza Italia il 21,4 per cento.
Ma cosa ne sarà da qui a qualche mese? Meglio tirare a campare così, almeno quest’altro anno, «tra dodici mesi tutto può succedere» ammette il Cavaliere.
Oggi dovrebbe rientrare a Roma e rimettere la testa sull’altro caos che gli preme, quello tutto interno al partito.
Fino a ieri sera rassicurava falchi e dirigenti riottosi sui nuovi assetti. A modo suo, come sempre, Berlusconi ha deciso in completa autonomia.
Anche sul discusso ruolo di Giovanni Toti, direttore di Tg4 e Studio Aperto in corsa per la carica di coordinatore (unico) organizzativo ma messo nel mirino da Denis Verdini e altri falchi.
Il capo nominerà a giorni il comitato di presidenza con i suoi 36 componenti e poi un comitato più ristretto di 8-10 big, qualcosa di molto simile alla segreteria in stile Renzi.
E Toti – in contatto col capo, se non presente al suo fianco, ormai costantemente – assolverà al ruolo di segretario di quel comitato, oltre che di portavoce del partito.
Targhetta modificata ma la sostanza non cambia. Accantonare la nomina a coordinatore (non lo farebbe nemmeno Verdini) dovrebbe disinnescare la mina di veti e gelosie.
Ma di fatto questo vuol dire che le prossime liste elettorali, a cominciare da quelle per le Europee, le deciderà in prima battuta quel comitato guidato appunto da Toti e composto tra l’altro da Raffaele Fitto, Mariastella Gelmini, Mara Carfagna, Paolo Romani, Renato Brunetta. E non dal vecchio plenipotenziario Verdini.
Sarebbe questo il cambio di passo per dare un’impronta di novità al vecchio simbolo.
Un pacchetto da presentare poi alla kermesse celebrativa del ventennale della «discesa in campo».
È tornata in discussione la data, sabato 25 forse anzichè domenica 26 gennaio, ma non la città : si farà a Roma, magari in un luogo più contenuto piuttosto che nell’enorme e «rischioso» Palalottomatica da 12 mila posti. A metà febbraio potrebbe tenersi l’assemblea costituente di Forza Italia, invece, funzionale in realtà al lancio della campagna elettorale per le Europee.
Per il Piemonte la trattativa è appena iniziata, Berlusconi non esclude di cedere davvero la candidatura al “fratello d’Italia” Guido Crosetto.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO LE MOTIVAZIONI DELLA BOCCIATURA DEL PORCELLUM L’ITALIA TORNA ALLA PRIMA REPUBBLICA, PREFERENZE E NIENTE PREMIO DI MAGGIORANZA
Da ieri sera l’Italia è di nuovo una Repubblica fondata sul proporzionale.
Col deposito delle motivazioni con cui la Corte costituzionale ha bocciato il Porcellum sul premio di maggioranza senza soglia e l’assenza della possibilità di esprimere almeno “una preferenza”, il sistema elettorale italiano viene ridisegnato in profondità : da stamattina è in vigore la legge scritta dagli ermellini, il cui nome in filigrana è “larghe intese per sempre”.
Cosa resta, infatti, della legge di Roberto Calderoli dopo il passaggio dei giuristi della Consulta? Solo la Prima Repubblica, cioè quella parte proporzionale della legge del 2005 scritta da Pier Ferdinando Casini e dall’Udc (il premio di maggioranza e le coalizioni le volle invece il Cavaliere).
La nuova legge elettorale italiana è la seguente.
I voti vengono ripartiti proporzionalmente: a livello nazionale alla Camera a tutte le liste che superino il 4 per cento e alle coalizioni che superino il 10; a livello regionale in Senato per le liste che vadano oltre l’8 per cento (il 20 per le coalizioni).
Ovviamente l’elettore potrà esprimere una preferenza: per introdurle non serve nemmeno una legge, mette nero su bianco la Corte, ma basta un semplice regolamento o una circolare del Viminale, se si dovesse andare al voto senza che il Parlamento trovi l’accordo su una nuova legge.
Il sistema “Prima Repubblica” applicato ai risultati di febbraio, ad esempio, significherebbe immaginare un Pd senza quasi un terzo dei suoi eletti alla Camera e parecchi in meno anche in Senato, seggi che sarebbero finiti in larga parte al Movimento 5 Stelle e al Pdl.
Il risultato più ovvio di questa situazione è che oggi Enrico Letta non sarebbe più a palazzo Chigi: la scissione del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, infatti, non sarebbe bastata a tenere in vita l’esecutivo.
Anche coi sondaggi attuali, peraltro, se si votasse ora non ci sarebbe alcuna maggioranza dopo il voto.
Non solo: anche ammesso che il centrosinistra s’avvicini al 40 per cento — come prevedono e sperano ai vertici del nuovo Pd – Matteo Renzi non potrebbe formare il governo se non attraverso un accordo con qualche ex avversario.
Motivo per cui il sindaco di Firenze si gioca molto nelle trattative sulla nuova legge elettorale: la sua immagine di leader giovane e dinamico al limite della frettolosità si sposerebbe poco con i minuetti necessari a un governo di coalizione in cui ogni voto parlamentare finirebbe per pesare.
Fore anche per questo la Consulta — con uno dei suoi tradizionali giudizi giocati sul filo sottilissimo tra il magistero giuridica e il realismo politico — ha lasciato graziosamente aperta la via alle due principali opzioni sul tappeto: il sistema spagnolo e il Mattarellum.
Entrambi, infatti, prevedendo le liste bloccate potevano essere considerati incostituzionali.
La Corte s’è preoccupata di far capire a Renzi, Verdini, Alfano e chiunque altro giochi questa partita che possono mantenere la mente aperta: le liste del Porcellum con enormi circoscrizioni, a volte regionali, sono una cosa “non comparabile nè con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi (Mattarellum, ndr), nè con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte (lo spagnolo, ndr)”.
Altrimenti, sembrano dire in un inciso gli ermellini, dovremmo considerare incostituzionale “il collegio uninominale”.
Dunque i giochi sono ancora tutti aperti. Come abbiamo scritto nei giorni scorsi, Silvio Berlusconi predilige il modello adottato in Spagna: si tratta in sostanza di un finto proporzionale, o meglio di un proporzionale che grazie a circoscrizioni molto piccole ha effetti maggioritari fortissimi.
Lo spagnolo è un sistema che piace, ovviamente, ai partiti più grandi (non escluso il M5S, che aveva presentato una bozza di questo tenore anche se poi derubricata ad iniziativa individuale) e anche a quelli radicati territorialmente com’era un tempo la Lega e sono ancora la SVP sudtirolese e l’UV valdostana.
Sel, l’attuale Carroccio, alfaniani, dipietristi e quant’altro non conterebbero niente e probabilmente non entrerebbero in Parlamento (a meno di non lasciare per legge un po’ di seggi al cosiddetto “diritto di tribuna”).
Il Matarellum è, d’altra parte, il sistema che potrebbe mettere tutti d’accordo (più della legge dei sindaci col doppio turno, che ha il grosso problema di applicarsi ad un sistema che non è un premierato, non prevede cioè elezione diretta).
Il vecchio sistema — in vigore per le politiche del 1994, 1996 e 2001 — ha due grandi vantaggi: può entrare in funzione con una leggina di due righe che si limita ad abolire il Porcellum e piace anche ai piccoli e medi partiti perchè costringe quelli grandi a coalizzarsi per forza.
Il rapporto eletto ed elettore sarebbe salvo, ma riavremmo governi sostenuti da maggioranze parecchio eterogenee.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
AL RITORNO DALLE VACANZE ALLE MALDIVE TRE AUTO ATTENDONO IL MINISTRO CHE CARICA ANCHE GLI AMICI… BOCCIA PRUDENTE PRENDE IL TAXI
Una lunga fila di taxi attende chi atterra a Malpensa. E una navetta ogni sette minuti porta i passeggeri dal terminal 1 al terminal 2.
Tutto questo però a un ministro e ai suoi compagni di viaggio non basta.
Così il 6 gennaio scorso, quando la responsabile dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo (Ncd) torna dalle vacanze alle Maldive, al terminal 1 di Malpensa ci sono tre auto del Corpo Forestale ad attendere lei, la figlia, il marito Francesco Boccia, deputato del Pd, e almeno tre compagni di viaggio.
Il ministro, per tornare a casa, deve prendere un altro volo al terminal 2, non più di cinque chilometri più in là .
De Girolamo ha diritto a una scorta, precisa la Forestale, che dipende proprio dal suo dicastero.
Ma in questo caso vengono impiegate addirittura tre vetture: una panda con insegne più due auto blu, una Lancia Thesis e un’Alfa 159.
E non si capisce perchè i forestali diano un passaggio anche agli amici della De Girolamo.
E’ proprio necessario un tale spiegamento di forze?
“Lei lo sa che ho una bambina piccola di un anno?”, si giustifica il ministro appena salito sulla Lancia.
Sbatte la portiera e l’auto parte, con a bordo anche qualcuno degli amici, come le immagini de ilfattoquotidiano.it dimostrano. Direzione terminal 2.
L’Alfa rimane in attesa di altri passeggeri.
Dov’è finito il marito del ministro, Francesco Boccia? Eccolo, sta venendo anche lui verso le auto della Forestale. E’ al telefono.
Forse lo stanno avvisando della nostra presenza. Una cosa è certa: appena ci vede, si ferma, fa dietrofront e torna indietro.
Tre vetture della Forestale per trasportare famigliari, amici e bagagli da un terminal all’altro? Boccia è spaesato, poi si riprende e risponde: “Evidentemente è stato male informato. Io ho la macchina qui perchè vivo a Milano”.
Come mai ha cambiato direzione? “Sto cercando gli altri che sono con noi. Siamo una decina di persone”.
Si guarda intorno. Prende l’ascensore. Sta per pigiare il pulsante quando uno degli amici lo ferma: “Francesco, dove vai?”. “Sto andando… eeeeeh… mi stanno aspettando giù gli altri”. “No, stanno qua”, lo corregge l’amico.
Boccia cerca una via d’uscita.
Non bastava un taxi? O una navetta? “Mia moglie è con una bambina di un anno. Domattina deve andare a Bruxelles. E ha fatto quello che può fare, mia moglie non fa mai quello che non si può fare. Dopo di che, come vede, siamo divisi”.
Poi ribadisce: “Io ho casa a Milano”. E dà di nuovo i numeri della compagnia: “Siamo 15 persone. Non una, siamo in 15”.
Il deputato del Pd si guarda a destra e a sinistra. Cerca di capire se lo stiamo ancora seguendo. Poi va verso i taxi e alla fine si infila in uno di questi. Pochi minuti prima aveva garantito: “Io ho la macchina qui”.
Il fattoquotidiano.it ha chiesto chiarimenti al comando del Corpo Forestale.
A che titolo sono stati impiegati mezzi e uomini per dare un passaggio al ministro e agli amici e per aiutarli a trasportare i bagagli?
“Il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali è assegnatario di un livello di tutela disposto dal Prefetto di Roma — ha risposto il comando -. In base alla normativa vigente, legge 4/2011 che ha modificato la legge 133/2002, la tutela disposta nei confronti delle personalità appartenenti al ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è affidata al Corpo forestale dello Stato. Il ministro deve avvalersi di questa tutela”.
Perchè sulle auto, oltre al ministro, sono salite altre persone?
“A quanto risulta, il marito viaggiava in taxi”, è la risposta.
Che però omette una cosa: sulle auto blu è salito anche qualcuno degli amici. E nulla dice del dietrofront improvviso del marito Boccia.
Contattato da ilfattoquotidiano.it il Sapaf, il sindacato più rappresentativo dei forestali, è duro nel giudicare lo spiegamento di forze a favore del ministro e dei suoi compagni di viaggio: “Sono allibito che il nostro ministro si ricordi dei forestali della Regione Lombardia solo in occasione dei suoi spostamenti personali — accusa il segretario lombardo Fabio Cantoni -. Sono comunque certo che i colleghi abbiano eseguito un ordine impartito dall’alto”.
Per Cantoni la vicenda è una questione di “malcostume all’italiana”.
Non vuole commentare ulteriormente l’accaduto, ma aggiunge: “Solo alla signora ministro compete la nomina del comandante regionale del Corpo Forestale dello Stato per la Lombardia, che risulta ormai vacante da oltre due anni, nonostante a Roma siano stati già nominati otto dirigenti superiori con qualifica a ricoprire tale incarico. Tutto questo nonostante la mole di lavoro che è aumentata in vista dell’Expo 2015″.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
L’ALLORA ESPONENTE DELL’IDV ERA GIA’ STATO AL CENTRO DELL’INDAGINE SULLE SPESE DEL GRUPPO…PERQUISIZIONI PRESSO ALTRI TRE CONSIGLIERI REGIONALI
L’ex vicepresidente della Giunta regionale della Liguria, Nicolò Scialfa, è stato arrestato nell’ambito dell’indagine sulle spese del gruppo dell’Italia dei Valori in Consiglio regionale tra il 2010 e il 2012.
A Scialfa (ora consigliere del gruppo Diritti e Libertà , nato dalla scissione interna al partito di Di Pietro), viene contestato dalla Procura di essersi appropriato di 70.000 euro usciti dai fondi del gruppo senza giustificazioni.
In pratica, avrebbe usato fondi del gruppo politico, cioè soldi pubblici, per spese personali, “non pertinenti all’attività politica”.
In particolare Scialfa, per comprovare l’uscita dei soldi, avrebbe falsificato le firme di consiglieri regionali nonchè del tesoriere Giorgio de Lucchi, anche lui indagato.
Scialfa si è sempre dichiarato innocente.
Esattamente un anno fa, quando la Procura lo iscrisse nel registro degli indagati, l’allora vice presidente della Giunta regionale mise le mani avanti: “Mi sento in un tritacarne ma sono sereno riguardo a quello che ho fatto. Si parla di uso disinvolto dei soldi dei gruppi? In passato certe spese erano legittime e opportune, poi le stesse spese sono diventate legittime ma inopportune. Ne parlerò con i giudici e mi assumerò tutte le mie responsabilità “.
Nei confronti di Scialfa, indagato per peculato, falso e truffa aggravata, sono stati disposti gli arresti domiciliari perchè, come spiegano gli inquirenti, c’era il rischio di reiterazione dei reati.
Perquisite anche le abitazioni dei consiglieri Marilyn Fusco e Stefano Quaini entrambi ex Idv, e Marusca Piredda attuale capogruppo in Regione del partito di Di Pietro.
“Le perquisizioni – ha spiegato il procuratore capo Michele Di Lecce – sono state fatte per trovare eventuali beni di interesse ai fini della nostra inchiesta”.
L’indagine aveva già indotto alle dimissioni altri due nomi eccellenti anche loro dell’Idv: Marylin Fusco, vicepresidente della Giunta e Rosario Monteleone, presidente del Consiglio regionale.
Le spese fatte dal gruppo regionale ligure dell’Idv nel 2012 erano finite sotto inchiesta della Procura di Genova nell’autunno dello stesso anno.
A gennaio 2013 scattarono gli avvisi di garanzia per peculato per quattro ex consiglieri regionali del partito e due funzionari. La capogruppo Maruska Piredda, l’allora vicepresidente della giunta, Nicolò Scialfa, la ex vicepresidente Marylin Fusco (entrambi oggi in Diritti e Libertà ), il consigliere Stefano Quaini, passato poi in Sel e dimessosi alcuni mesi fa da consigliere regionale.
Furono indagati anche il tesoriere del gruppo, Giorgio De Lucchi e una sua conoscente. Scialfa si dimise da vicepresidente il 31 gennaio.
La Procura indagava su voci di spesa apparentemente lontane da cose che potevano rientrare nelle cosiddette “spese di rappresentanza”: migliaia di euro per viaggi, parrucchieri, giochi, modellini di auto, frigoriferi, divani, casse di vino, oltre che per tablet, computer, capi di abbigliamento, cravatte.
Era emerso che il gruppo aveva già speso a ottobre l’intera somma a disposizione per il 2012, 230 mila euro, al punto che vi furono problemi per pagare i compensi dei cinque dipendenti del gruppo.
Ci pensò poi di tasca propria uno dei consiglieri indagati, Maruska Piredda.
(da “la Repubblica“)
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Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
COMMENTI RAZZISTI SUL BLOG DI GRILLO DEI BALUBI PADAGNI
Militanti del M5s in rivolta sul blog contro l’abrogazione del reato di clandestinità .
Il giorno dopo il referendum in molti, sul Web, si chiedono se i risultati accreditano uno spostamento a sinistra del Movimento fondato da Beppe Grillo.
Sono stati 15.839 gli iscritti che hanno votato per l’abrogazione; 9.093 per il mantenimento.
Ma sono molti di più, spiegano i Cinque stelle sul blog di Grillo, quelli che avrebbero voluto dire ‘no’ alla deriva a sinistra.
E sui social network, il dibattito sfocia nell’aperta contestazione al leader.
Intanto un nuovo referendum sarà dedicato alla riforma elettorale.
Il nuovo capogruppo al Senato, Maurizio Santangelo, ha rivendicato da Radio Anch’io che “Noi siamo stati da subito propositivi, tanto che a luglio abbiamo proposto una delle leggi arrivate da uno dei nostri Vday, con preferenze e no ai condannati in Parlamento”.
“Ne parleremo e chiederemo, come abbiamo fatto ieri sul reato di clandestinità , nuovamente il parere degli elettori con un referendum”, ha annunciato.
“Questa volta avete proprio toppato. Vi hanno votato milioni di persone, tra le quali tantissimi di destra che se sapevano che volevate far entrare cani e porci (e poi non sono razzisti… n.d.r.) in Italia certo non vi votavano”, si legge sul blog.
Renato, da Venezia, sempre sul blog si chiede perchè il M5s non abbia scelto di astenersi. “Avete fatto un clamoroso errore politico. Un favoloso regalo al sistema dei partiti! Un regalo al Pd e alla sua politica democristiana dei ‘due forni’: quando serve, voti con Alfano per sostenere il governo, e quando si vuole approvare ‘qualcosa di sinistra’, voti con Grillo. Così Renzi ha risolto il ‘problemino’ di Bersani, e il Pd può governare tranquillo pur senza avere vinto le elezioni. Ma è stato- aggiunge – anche un bel regalo a Berlusconi, che ha avviato una politica di recupero dell’elettorato M5s proveniente dalla destra. Non c’è che dire, complimenti ai 14000 votanti!”.
Il fatto è che ci sono “troppi sinistroidi in questo movimento che non perdono le loro ideologie terzomondiste”, prova a spiegare Fulvio Sparapani.
“E con questa gente – aggiunge – non voglio averci a che fare, neanche involontariamente. Non avrete più il mio voto, nè alle Europee e neanche alle prossime politiche” (deo gratias, torna a casa Lassie… n.d..r.)
C’è anche chi contesta il meccanismo stesso del referendum online.
“Sinceramente a me e alla stragrande maggioranza degli italiani che hanno votato 5 stelle non gli frega niente degli iscritti che esprimono il loro parere – scrive Dani -. A Roma è ormai un casino con gli immigrati. Fra qualche mese ci sono le Europee e il Movimento comincia a tagliarsi le palle. Se Cinque stelle appare uguale a Pd o a Sel è la fine. E rischiamo di far rinascere il condannato Berlusconi. La vedo male. Adios”.
“La maggioranza degli utenti certificati ha deciso secondo me in contrasto con la maggioranza degli italiani. Questa scelta produrrà certamente un riscontro negativo nel nostro elettorato”, dice Antonio Mignemi, dalla Sicilia. E pronostica: “La strada verso il nostro 51%, la vedo molto difficile”.
Anche sulla pagina Facebook di Grillo, il clima è incandescente.
“I balubba te li porti a casa tua”, gli manda a dire con molta finezza ad esempio Marco Bartolini.
In tanti annunciano che non voteranno più Cinque stelle.
Così fa Roberto Fanizza: “Dopo questa vi saluto mi tolgo dai piedi”.
Andrej Mussa si aggiunge alle voci di chi si dissente anche sul metodo. “Democrazia diretta- spiega- non vuol dire svegliarsi un mattino e decidere: oggi quale referendum mi gira? E proporlo all’improvviso così in mezza giornata. Vi sembra chiaro e corretto? Condivido tutto ma non così! È stato un gioco di gruppo mattutino compresa colazione. Non servirà a niente questo risultato. Servirà solo a dare in pasto il nostro Beppe ancora una volta a tutta la stampa italiana. L’avete tradito non più per tre denari. Ma per tre clandestini!” (chissà se questo sub-umano ha mai pensato che si tratta di uomini come lui…n.d.r.)
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Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
GRILLO E CASALEGGIO NON RAPPRESENTANO LA MAGGIORANZA DEGLI ELETTORI CINQUESTELLE
Il Movimento 5 Stelle, ieri, ha votato due volte: contro il reato di clandestinità e, per la prima volta, contro Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Il referendum online di ieri è discutibile sotto vari punti di vista.
Non c’è stato preavviso, gli iscritti hanno dovuto scegliere in poche ore e senza preavviso.
Alcuni parlamentari, tra cui il senatore Buccarella (colui che aveva presentato l’emendamento contro il reato di clandestinità assieme a Cioffi), hanno lamentato la poca informazione fornita dal blog.
L’esito delle consultazioni online rimane poi gestito interamente da Casaleggio: il liquid feedback, di cui si parla da mesi, garantirebbe trasparenza totale.
A fronte di tali perplessità , il Movimento 5 Stelle ha salvato la “forma”, che nel suo caso è anche sostanza: Buccarella e Cioffi avevano sbagliato nel metodo, più che nel merito. Se il parlamentare è solo un “cittadino portavoce”, non può arrogarsi il diritto di scegliere senza consultare gli elettori.
In questo modo, attraverso la consultazione si è salvato un caposaldo del M5S: “È la Rete che decide”, e dunque il parlamentare non fa che eseguire l’ordine (che arriva dagli elettori, non dai due “leader”).
Anche qui ci sarebbe da discutere.
Grillo e Casaleggio sanno bene che la politica vive di decisioni da prendere sul momento.
La politica, persino in Italia, ha tempi più rapidi del blog di Grillo: i due senatori “dissidenti” non solo non sbagliarono, ma seppero interpretare il presente con una lungimiranza che ovviamente il governo non ebbe.
E seppero dar vita al desiderio della maggioranza degli elettori, come attestato dal voto di ieri.
Un voto che continua a riguardare troppe poche persone: una forza politica che aveva a febbraio quasi 9 milioni di voti non può dipendere dalla scelta (giusta o sbagliata che sia) di 25 mila militanti della prima ora.
Grillo e Casaleggio scrissero un post livoroso, attaccato da quasi tutti e difeso teneramente da due yesman e tre o quattro troll.
I motivi del loro astio erano molteplici: il non aver rispettato il protocollo e il temere che quella decisione “di sinistra” potesse erodere il consenso tra i delusi di destra.
Grillo, guardando i sondaggi, si preoccupò. E Casaleggio, che certo di sinistra non è, temette che il “suo” movimento subisse svolte ideologiche indesiderate.
Il risultato di ieri costituisce un successo anche per loro: non solo hanno fatto sì che le regole interne fossero rispettate, ma hanno anche dimostrato che “uno vale uno”, al punto tale che i due nomi più rilevanti di una forza politica vengano sbugiardati dal loro elettorato (di più: dalla base storica, fino ad oggi duropurista).
La giornata di ieri dice però anche un’altra cosa: Grillo, e più ancora Casaleggio, non sempre — e non necessariamente — rappresentano la maggioranza degli elettori M5S.
Sulla cacciata di Mastrangeli e Gambaro avevano vinto.
Anche la scelta di Rodotà , per quanto non “grillino”, era stata accettata da entrambi con piacere.
Ora il no al reato di clandestinità è anche un no (circoscritto , ma innegabile) a Grillo e Casaleggio.
Non tanto a loro, quanto al loro dominio. Alla loro onnipresenza.
Alla loro supposta pretesa di ipercontrollo (il controllo ci sta, l’iper no).
Il voto di ieri certifica l’eterogeneità degli elettori 5 Stelle, a maggioranza palese di sinistra, ed esemplifica la discrasia tra “gruppo dirigente” e base elettorale.
Grillo e Casaleggio, non si sa quanto serenamente, prima o poi dovranno prenderne atto.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 14th, 2014 Riccardo Fucile
I DUE LEADER SI ERANO ESPRESSI CONTRO L’ABOLIZIONE MA IL SONDAGGIO ONLINE SCONFESSA LA LORO LINEA… L’APPLAUSO DEI SENATORI AI 16 MILA SàŒ: “ABBIAMO VINTO”
Maurizio Buccarella corre su per le scale, paonazzo.
Fa irruzione nella sala al terzo piano di Palazzo Madama dove i suoi colleghi senatori sono in riunione, come tutti i lunedì.
“Abbiamo vinto”, urla. E i 50 senatori Cinque Stelle si lasciano andare a un applauso liberatorio. Sono le 18:08.
E ufficialmente, tutti loro, si sono appena presi la rivincita su Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
La Rete ha dato ragione a loro, all’emendamento che abolisce il reato di immigrazione clandestina.
E loro possono tornare ad applaudire, come fecero il giorno in cui i due senatori illustrarono la loro idea in assemblea, un lunedì come ieri, tre mesi fa.
Ora si festeggia: viva la democrazia dal basso, altro che regime, ecco da chi arrivano i “diktat”.
Ma per capire la portata del risultato del sondaggio di ieri bisogna tornare a quei giorni di ottobre.
È giovedì 3 quando 366 corpi di migranti in arrivo dal Nordafrica vengono recuperati al largo di Lampedusa.
Uno dei peggiori naufragi del Mediterraneo, una strage che indigna il mondo intero. Ai senatori Cioffi e Buccarella (il secondo, avvocato leccese, prima di approdare in Parlamento si è occupato spesso di queste questioni) viene in mente un emendamento che hanno presentato prima dell’estate.
È l’asso nella manica che può inchiodare i partiti che si sperticano in buoni propositi sul superamento della Bossi-Fini: via questo odioso reato di clandestinità , che intasa i tribunali e non serve a niente.
Il lunedì lo illustrano ai colleghi M5S che lo approvano per acclamazione; il mercoledì è ai voti in commissione Giustizia: parere positivo del governo, sì dai democratici e da Scelta Civica, l’emendamento passa.
Il mattino dopo, il blitz dei Cinque Stelle è l’apertura di tutti i giornali. Grillo e Casaleggio perdono la testa.
E senza pensarci su, battono un comunicato durissimo sul blog, per la prima volta a doppia firma: sconfessano Cioffi e Buccarella (“la loro posizione è del tutto personale”, sono dei “dottor Stranamore senza controllo”), spiegano di non essere “d’accordo sia nel metodo che nel merito”: primo perchè “un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante senza consultarsi con nessuno”, secondo perchè “se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità , il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico”.
Imbarazzo generale, i due senatori costretti al dietrofront, lacrime e urla dei colleghi. Finisce con una decisione salva-tutti: ogni argomento che non sta nel programma, va discusso in Rete.
E finalmente, ieri, è arrivato quel giorno.
Votano in circa 25 mila iscritti al blog (su 80 mila aventi diritto). Quasi 16 mila stanno con Cioffi e Buccarella, solo in 9 mila sposano la linea Grillo-Casaleggio.
Non se lo aspettava nessuno, diciamo la verità .
Tant’è che ieri, prima che venissero diffusi i risultati, era già pronto a scoppiare il patatrac. Tre senatori (Francesco Campanella, Luis Orellana, Lorenzo Battista) si espongono pubblicamente contro le modalità del sondaggio: la mail che allerta gli iscritti è arrivata ieri mattina a urne già aperte, ci sono solo sette ore per votare, non c’è stata nessuna informazione preliminare, sono “dilettanti allo sbaraglio”, Casaleggio usa il blog “come una pistola”.
Dallo staff li liquidano come i soliti dissidenti in cerca di pretesti per fare casino: non c’è stato tempo per fare prima, Cioffi e Buccarella hanno allertato Casaleggio solo giovedì, quando hanno visto che il calendario del Senato tornava a discutere di clandestini e reati proprio oggi.
State tranquilli, assicurano, “la nostra gente è del 2014”, “sta al computer tutto il giorno”, “si è già fatta un’idea”, “voterà ”.
Non va proprio così: clicca meno di un terzo dei certificati.
Ma è scongiurato il rischio che oggi i banchi dei Cinque Stelle finissero falcidiati da “pipì tattiche” (copyright senatrice Michela Montevecchi), appelli ai “temi etici” (Elena Fattori) e altri escamotage per evitare di rispettare le volontà supposte della Rete. Defezioni che avrebbero mandato in tilt il gruppo e il principio movimentista del “portavoce”.
Evidentemente ha ragione Vito Crimi quando avverte i giornalisti: “Sottovalutate gli attivisti, vedrete che la nostra base ha una sensibilità un po’ diversa da quella che pensate”.
E anche da quello che pensano Grillo e Casaleggio.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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