Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL VIETNAM DI RENZI IN PARLAMENTO…”RENZI E’ UNO DI QUELLI CHE VUOLE PRENDERE LA BASTIGLIA CON L’ACCORDO DI BARONI E BARONESSE”
Il passo è, da sempre, felpato. Si vede e non si vede, ma è peggio quando non si vede; le conseguenze, poi, arrivano all’improvviso, quando è ormai troppo tardi per metterci riparo.
Le dimissioni di Cuperlo, per dire, sono opera sua.
Massimo D’Alema ne aveva già discusso con l’ormai ex presidente Pd prima della direzione del partito, Fassina ne era al corrente, ma non approvava, poi quella frase, sprezzante, di Renzi nella replica al suo discorso e tutto è stato più semplice.
Il piano del vero, grande rottamatore della sinistra italiana, appunto Massimo D’Alema, è andato splendidamente in porto.
Renzi ha perso definitivamente il controllo della sinistra del partito e il suo incubo peggiore, ora, è che questa sinistra non abbia un vero leader con il quale interloquire.
E che il percorso di tutte le sue iniziative, dalla legge elettorale al piano lavoro, passando anche per la riforma della giustizia (che sta scrivendo con Maria Elena Boschi) si trasformino in un Vietnam, prima in commissione, poi in Aula. .
D’Alema sostiene di trovarsi a distanza perchè “com’è noto, passo la maggior parte del mio tempo all’estero”, ma dietro questo ennesimo cortocircuito interno c’è chi l’ha giurata a Renzi da sempre.
Solo a fine estate scorsa, d’altra parte, diceva: “Renzi è come quelli che vogliono prendere la Bastiglia con l’accordo di baroni e baronesse”.
E che poi, giusto l’altro giorno, a commento del discorso del segretario in direzione: “Siamo alle comiche”. L’ultimo che l’ha detto è finito male, ma lui non se ne cura; l’importante, in questa fase, è non far trionfare Renzi, forse per dimostrare che nessuno è in grado davvero di “cambiare verso” al Paese.
Poi Renzi ha fatto entrare il pregiudicato al Nazareno, colpendo al cuore l’ortodossia dell’ancien regime del Pd, certo, ma rompendo anche un tabù della “vecchia politica”, cifra dalemiana nei rapporti con gli avversari di sempre.
Per questo, ora D’Alema punzecchia. L’ha fatto anche l’altro giorno, ovviamente dall’estero, mandando i soliti messaggi cifrati: “Fare le riforme è un elemento molto positivo, sono necessarie per il nostro Paese, certamente bisogna farle bene. Il Parlamento discuterà e approfondirà , nella piena libertà di approfondire, correggere, decidere, secondo le regole democratiche normali”.
Pochi minuti prima, il sindaco di Firenze aveva avvertito: “Se si cambia qualcosa, salta tutto”.
La lettura in filigrana del messaggio dalemiano non ha bisogno di grande esegesi, è limpida: occhio Renzi — ecco la “profanazione” del verbo politichese dalemiano — perchè in Aula sulle riforme te le facciamo scontare tutte. E prima dell’Aula, direttamente in commissione”.
I numeri, invero, sono tutti a sfavore di Renzi.
Commissioni, gruppi, ovunque bisogna fare i conti con la composizione voluta da Bersani e, dunque, di stretta osservanza della sinistra del partito.
In commissione Affari Costituzionali, dove c’è la legge elettorale, la geografia è particolarmente contraria al segretario Pd: 13 a 8. Altro che Vietnam.
Servirebbe un mediatore, uno capace di reggere le fila senza dar sfogo all’ala dalemiana che a ogni pie’ spinto da l’idea di voler riaprire il congresso.
Pensano a Pier Luigi Bersani, anche per la sostituzione di Cuperlo, l’uomo capace di arrivare al chiarimento di rapporti tra maggioranza e minoranza Pd senza strappare tutto e, soprattutto, senza lasciare che i tatticismi dalemiani prendano il sopravvento.
Un lavoto certosino, di lunga e difficile tessitura, che presuppone anche l’assenso proprio di D’Alema a dare il via libera al “cambio del verso” del partito.
Ma come fidarsi mai di chi sostiene, non smentito, che “capotavolo è solo dove mi siedo io”?
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER IN TV: “IL PAESE NON HA BISOGNO DI DIATRIBE, IO E MATTEO ABBIAMO CARATTERI DIVERSI”
“Parlo, agisco, faccio ciò che è necessario nel mio ruolo. Oggi sono in questo ruolo, devo fare le cose, devo interpretare il mio ruolo al meglio, in un momento in cui gli italiani faticano credo che ci sia bisogno di una politica che affronti il merito delle cose con la dovuta attenzione”.
Il premier Enrico Letta, ospite di “Otto e mezzo” su La7, ha difeso il suo governo dalle critiche, ha parlato del rapporto con Matteo Renzi, ma soprattutto ha sottolineato l’urgenza di una riforma elettorale: “È importante che la legge elettorale si faccia presto e bene, è fondamentale farla prima delle Europee, insieme al primo voto sul bicameralismo. Questo consentirebbe di avere più fiducia nei cittadini nella politica”. Poi l’assicurazione di non voler mettere i bastoni tra le ruote: “Quando sarà fatta la legge elettorale il governo sarà più a rischio? Se lei pensa che io per durare un giorno in più mi metto di traverso sulla legge elettorale è una cosa proprio sbagliata”.
Legge elettorale.
Il premier tiene fermo il punto della distanza del governo dal dibattito sulla legge elettorale che appartiene al Parlamento, ma si spende in favore dello spazio alle preferenze nella riforma elettorale attualmente sul tappeto.
La decisione di Renzi di intervenire sulla legge elettorale e sul bicameralismo “è un fatto assolutamente positivo” e “io lo sostengo”, ha detto, aggiungendo che “se in Parlamento c’è un accordo largo alcuni aspetti” della riforma del voto “possono essere modificati. Io ad esempio credo che i cittadini debbano essere resi più partecipi nella scelta dei candidati”.
Renzi.
Per quanto riguarda il rapporto con il segretario Pd, il premier ha sottolineato che “ognuno c’ha il suo carattere e, come gli italiani hanno capito, noi siamo molto diversi. Lui ha una grande forza nell’interpretare il suo ruolo e io penso possa essere indirizzata in positivo, il Paese non ha bisogno di diatribe”.
Ma di una cosa è sicuro: con il segretario del Pd si rema nella stessa direzione: “Sono troppo determinato a mantenere il ruolo di chi cerca una soluzione alle cose concrete, non possiamo permetterci il lusso di dividerci. Ho sentito l’intervista di Renzi al Tg3, che va nella stessa direzione. Ognuno fa la sua parte”.
In merito, invece, all’ipotesi del sindaco di Firenze a Palazzo Chigi: “L’ha smentito Renzi stesso, dopodichè vorrei parlare di cose”, ha tagliato corto il presidente del Consiglio.
Crisi.
Per il premier “la situazione è ancora complicata, ma dei passi avanti li abbiamo fatti. Avessi la possibilità di stampare soldi lo farei, ma non è così, e la vera fatica è quella, poi la dialettica politica è normale”.
Per quanto riguarda le accuse di fallimento, parola usata proprio dal leader pd, il premier replica: “Stiamo ai fatti. L’Italia era in crisi, pesantemente. Oggi non è più così. Si è fermata la recessione ed è cominciata la crescita nel terzo trimestre; per la prima volta è ripartito il fatturato industriale e per la prima volta, dopo due anni, il debito è sceso. Si possono fare tanti discorsi. Ma questi tre dati dicono che la strada per uscire dalla crisi la si è imboccata”.
Futuro.
Sul futuro, Letta spende parole chiare, in giorni in cui si ventilano “staffette” a Palazo Chigi: “Ci saranno altri mesi di governo perchè sono assolutamente determinato a continuare questa opera di risanamento”.
“Questo governo ha una squadra che difendo, che ha lavorato in condizioni difficilissime e ha ottenuto risultati. Anche Saccomanni, il più attaccato da destra, ha fatto molto. Servono più risultati? Sì, ma la strada è quella giusta e l’inversione di tendenza è fondamentale”.
Conflitto d’interessi.
Nel 2014 Enrico Letta vorrebbe riuscire ad approvare una regolamentazione del conflitto di interessi. “Alcune cose mi piacerebbe farle meglio, penso al conflitto di interessi che quando Berlusconi sosteneva il governo era più difficile da fare”. Quando gli è stato chiesto se ne abbia parlato con Angelino Alfano, ha risposto: “Sarà uno dei punti che discuteremo nelle prossime settimane”. Ovviamente, ha precisato, “il tema non è punitivo nei confronti di nessuno”.
Jobs act.
Enrico Letta ha annunciato che parteciperà alla direzione del Pd che varerà il Jobs act e sul patto di governo di Matteo Renzi sul lavoro.
Bersani.
Un pensiero il premier lo ha rivolto a Pier Luigi Bersani: “La più bella cosa che ho vissuto nelle ultime settimane è stato passare un’ora e mezza con Pier Luigi. È stato un incontro emotivamente forte e quello che gli è successo è una delle cose che ti fanno ragionare sulle priorità vita. Ora lui pensa a tornare completamente e rapidamente in salute. Io lo ho visto in palla”, ha detto rispondendo a una domanda sulla possibilità di affidare a Bersani la poltrona lasciata vuota da Gianni Cuperlo.
Sulle dimissioni di quest’ultimo, Letta ha affermato: “Ho provato a dissuaderlo, per quello che potevo. Evidentemente non ci sono riuscito. Penso che in questo così delicato bisogna essere tutti… Dopodichè ho stima di lui e sono convinto che continuerà un suo contributo, un suo ruolo fondamentale”.
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
SOTTO INCHIESTA LE FATTURE PER MISSIONI INTERNAZIONALI, INVITO A COMPARIRE ANCHE PER ALCUNI ASSESSORI E CONSIGLIERI
Le inchieste sui “rimborsi facili” toccano anche la Regione Abruzzo.
La procura della Repubblica di Pescara ha emesso 25 informazioni di garanzia, con invito a comparire, nei confronti del presidente della Giunta, Gianni Chiodi, di quello del Consiglio, Nazario Pagano e di altre 23 persone, tra assessori e consiglieri.
I reati contestati sono truffa aggravata nei confronti della Regione Abruzzo, peculato e falso ideologico riguardo a rimborsi per una serie di missioni istituzionali.
Titolari dell’inchiesta sono i sostituti procuratori Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli, già nel pool dell’inchiesta “Sanitopoli”.
Solo due mesi fa invece, il gip del Tribunale di Pescara Mariacarla Sacco, aveva sottoposto ai domiciliari l’assessore Pdl alla Cultura Luigi De Fanis e la sua segretaria, dopo una denuncia di un imprenditore a seguito delle continue richieste di denaro che il politico gli avrebbe fatto.
Le indagini sullo scandalo “rimborsopoli” erano iniziate un anno e mezzo fa e riguardano il periodo compreso tra il gennaio 2009 e dicembre 2012.
Nel mirino degli inquirenti, le spese sostenute per trasferte non giustificate o in luoghi diversi da quelli indicati.
Oltre a irregolarità nelle fatture di rimborso spese.
I documenti contabili, in particolare, sono tutti nelle mani dei magistrati che, tramite i carabinieri, li hanno acquisiti anche in copia nei vari centri dove gli amministratori si recavano per le trasferte.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
LO CHIAMANO “BONITAXI” PERCHE’ SCARROZZA IN AUTO RENZI DA 5 ANNI…MA BONIFAZI NON HA ANCORA VERSATO I 30.000 EURO DOVUTI AL PARTITO
C’eÌ€ stato un tempo in cui Francesco Bonifazi, 37 anni, nuovo tesoriere del Pd di provata fede renziana, era dalemiano; era la stagione 2008-2009, a Firenze c’erano le primarie per scegliere il nuovo sindaco e Bonifazi, detto «Bonitaxi» percheÌ spesso scarrozza il segretario democratico sulla sua Audi A4 nera, era il capo dello staff elettorale di Michele Ventura, ex vicecapogruppo alla Camera del Pd che del dalemismo ha fatto una religione.
D’altronde, la storia familiare bonifaziana eÌ€ inserita nella filiera Pci-Pds-Ds.
Tutti comunisti, in casa: il babbo eÌ€ Franco Bonifazi, per anni direttore della Mukki, la centrale del latte; lo zio eÌ€ Alberto Bruschini, giaÌ€ membro della deputazione generale del Monte dei Paschi e giaÌ€ direttore della Cassa di risparmio di Prato. Persone, insomma, che un tempo sarebbero state definite «notabili di partito».
Insieme con Bonifazi, nel comitato pieno di antirenziani, c’era anche Maria Elena Boschi, oggi responsabile riforme della segreteria pd, con la quale c’eÌ€ un’amicizia di vecchia data.
EÌ€ stato infatti Bonifazi qualche anno fa, quando ancora il sindaco non la conosceva bene, a spingere percheÌ la bionda avvocatessa facesse parte della squadra di Renzi, proponendola per il cda di Publiacqua, partecipata del Comune di Firenze.
Ma Boschi non eÌ€ l’unica a essere stata segnalata da Bonifazi.
Il tesoriere in passato ha sponsorizzato anche Federico Lovadina, avvocato tributarista trentenne e suo collega di studio, nominato nel cda della Mercafir.
PercheÌ anche le segnalazioni devono rispettare le pari opportunitaÌ€. Buona sorte anche per la fidanzata Caterina Carpinella: la sua associazione culturale Cultcube nel 2010 ha preso in gestione il teatro dell’Affratellamento, luogo storico della sinistra fiorentina (il cui vicepresidente eÌ€ babbo Bonifazi) e lei eÌ€ da poco responsabile cultura del Pd fiorentino.
Da quando è stato folgorato sulla via di Rignano, Bonifazi non si stacca più da Renzi.
Ma non si limita a guidare la macchina del capo; una volta, quando Bersani era segretario del Pd e incontroÌ€ a pranzo il sindaco, toccoÌ€ a «Bonitaxi» pagare il conto.
Per questo chi non lo conosce lo scambia per la guardia del corpo. Ma fisiognomicamente, saraÌ€ la barba, saraÌ€ la faccia, eÌ€ una via di mezzo fra il Valerio Staffelli di Striscia la notizia e un naufrago dell’Isola dei famosi.
Mettici anche il ventre prominente di cui un po’ si vergogna. Lo scrive su Facebook quando, il 24 settembre 2013, interviene per la prima volta alla Camera: «Dichiarazione di voto su articolo 11 delega fiscale. Emozione irripetibile, ma anche un grande onore! E forse anche un po’ troppa pancia» eÌ€ la didascalia del selfie di Bonifazi, che assieme a Boschi e a Luca Lotti, il braccio ambidestro del sindaco, eÌ€ nel «giglio magico» di Matteo Renzi.
Nel 2009 Renzi gli chiese di fare l’assessore, ma lui disse no percheÌ si trova meglio nei ruoli politici che in quelli tecnici.
Da capogruppo del Pd a Palazzo Vecchio ha fatto da cuscinetto a Renzi su tutte le magagne che il sindaco si trovava di fronte, cercando di tenere a bada la minoranza del gruppo consiliare.
Un ruolo rispettato fino in fondo, anche a sua insaputa, quando non era ancora alla guida del gruppo consiliare: durante la campagna elettorale per le amministrative ogni tanto uscivano fuori comunicati tonitruanti contro gli avversari, tipo Giovanni Galli, l’ex portiere scelto dal centrodestra, di cui lui non sapeva neanche l’esistenza; erano preparati dallo staff renziano, ma uscivano con la firma di Bonifazi.
Quando dichiara spontaneamente, invece, dichiara poco. Prima di aprire bocca vuole sempre essere sicuro di dire una cosa in linea col segretario. Questo tuttavia non gli evita qualche gaffe. Nel maggio 2012, durante il Consiglio comunale, si diffuse in aula la notizia, falsa, della morte di Paolo Villaggio.
Bonifazi prese parola e propose un minuto di silenzio. Poi si scopriÌ€ che Villaggio era, ed eÌ€, vivo e vegeto. «Ringrazio per la gentilezza dell’iniziativa e per le condoglianze, ma per ora sto ancora abbastanza bene» disse Villaggio. «EÌ€ stato un minuto di silenzio preventivo, un’iniziativa mai vista».
A differenza di altri renziani, Bonifazi non critica mai il sindaco-segretario. Non lo sentirai mai sfogarsi, neanche se c’eÌ€ qualcosa che non gli torna.
Lo chiama «Matteo» come tutti quelli che gli stanno intorno, ma anche «Il cavallo»; e aggiunge che «con Matteo si vince tutto».
Il suo vecchio amico Ventura, quando erano insieme, lo ammoniva spesso: «Francesco, il senso critico bisogna sempre mantenerlo». Oggi peroÌ€, dice Ventura, «il senso critico di Francesco si eÌ€ un po’ perso, diciamo meglio: si eÌ€ annullato. Eppure un leader che forma una squadra deve contornarsi di persone che lo criticano. Anche percheÌ per criticare bisogna avere personalitaÌ€. Io comunque non nutro alcuncheÌ nei confronti di Francesco, pur pensandola diversamente, continuiamo a confrontarci».
Di Antonio Misiani, il suo predecessore, Bonifazi dice che eÌ€ «una persona seria», ma appena nominato ha fatto subito fare una due diligence per avere il bilancio a raggi X e dato in pasto ai giornali i conti del partito per rivelare quanto sia messo male.
Anche lui però ha qualche conticino aperto con il partito.
Quello del Piemonte, la Regione dov’eÌ€ stato eletto nel febbraio scorso grazie al listino bloccato. In Piemonte, come in molte altre federazioni regionali, il Pd chiede un contributo ai suoi candidati consiglieri regionali e parlamentari.
In questo caso sono 30 mila euro spalmabili sulla legislatura, cioeÌ€ in teoria 6 mila l’anno. Bonifazi, ha scoperto il Foglio, fino alla metaÌ€ di gennaio non aveva ancora cominciato a pagare le quote.
A Panorama spiega che «eÌ€ solo un problema burocratico: sono stato eletto in Piemonte, ma non eÌ€ ancora chiaro se i soldi li devo dare alla federazione piemontese o a quella in cui sono iscritto, cioeÌ€ quella della Toscana. Avevo giaÌ€ chiesto delucidazioni quando il responsabile enti locali era Luca Lotti. PagheroÌ€ appena questo nodo saraÌ€ sciolto».
Ma la coordinatrice della segreteria regionale del Piemonte, Magda Negri, eÌ€ inflessibile: «Capisco che l’onorevole Bonifazi, eletto nella circoscrizione Piemonte 2 per la Camera, voglia molto bene alla sua cittaÌ€ e dopo 11 mesi dalla sua elezione s’interroghi su dove versare la quota che i candidati in posizione eleggibile, nel caso dell’on. Bonifazi non conquistata attraverso primarie ma regalata nella trattativa nazionale tra le correnti, dovevano garantire alle organizzazioni territoriali nella misura di un terzo alla firma di accettazione della candidatura e il resto rateizzato».
Continua Negri: «Eppure l’attuale amministratore del Pd non puoÌ€ non ricordare di avere firmato una dichiarazione di accettazione del regolamento finanziario del Pd del Piemonte al fine di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di autofinanziamento della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2013. Un’accettazione con firma di suo pugno. Per usare il tono piuÌ€ lieve che va di moda oggi, caro Bonifazi non c’eÌ€ nessun problema: i soldi sono dell’organizzazione piemontese che ti ha eletto e non dei fiorentini che ti hanno proposto».
Insomma, caro Bonifazi, la porti un assegno in Piemonte.
David Allegranti
(da “Panorama“)
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Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
IN COMMISSIONE DEMOCRATICI SPACCATI
Il presidente della I commissione (Affari costituzionali), Francesco Paolo Sisto di Forza Italia, suona il pianoforte (pare che si sia esibito con il Cavaliere in una prova canora memorabile) e di professione fa l’avvocato penalista a Bari dove è molto quotato.
Nel capoluogo pugliese, appunto, lo chansonnier Sisto ha avuto la ventura di difendere l’allora governatore Raffaele Fitto e da quel patrocinio legale gli è poi venuta voglia di tuffarsi in politica.
Così – dopo aver fatto parte della «squadra giustizia del Cavaliere» insieme ai colleghi Ghedini e Longo – Sisto ha fatto il salto di qualità quando la sua vicinanza a Denis Verdini ha facilitato l’ascesa alla presidenza della I commissione, che conta ben 47 poltrone.
Penalista più che costituzionalista, il galante Sisto (talvolta in Transatlantico si inchina e mima il baciamano con le colleghe) si è ritrovato dunque a dirigere il traffico sulla legge elettorale.
Presidente e relatore, Sisto è stato contestato per il doppio incarico ma poi il Pd ha mollato la presa perchè aveva altre gatte da pelare
Infatti il partito che fu di Bersani schiera in commissione due squadre.
La prima, soccombente nei numeri, è fedele al sindaco di Firenze: guida il drappello Maria Elena Boschi, la giovane avvocatessa fiorentina – membro della segreteria e responsabile del Pd per le Riforme (il posto che fu di Violante) – che di recente è stata ricevuta anche da Napolitano.
Boschi ieri pomeriggio non era in commissione perchè impegnata dietro le quinte a tenere i contatti con il segretario durante le ore convulse in cui è stata decisa la sorte della norma salva Lega.
La Boschi, ma anche il portavoce di Renzi, Lorenzo Guerini (che non è in commissione ma è sempre nei paraggi), hanno avuto un bel daffare con il collega Alfredo D’Attorre che incarna più degli altri lo spirito dell’ex segretario Pier Luigi Bersani (anche lui membro della prima commissione).
Come un’ombra accanto a D’Attorre, si muove il professore Andrea Giorgis, torinese vicino a Chiamparino, docente di diritto costituzionale – che in questi giorni ha organizzato il riavvicinamento tra «renziani» e «cuperliani», tant’è che gli iniziali rapporti di forza in commissione (13 a otto) vanno via via smussandosi: «Bisogna fare presto e bene sulla legge elettorale. Per cui non c’è nulla di male, e Renzi ci ha dato atto di non volersi mettere di traverso, se discutiamo di soglia di accesso al premio di maggioranza, di sbarramento e di liste bloccate».
Col passare dei giorni D’Attorre e Giorgis hanno intessuto una tela grazie anche a un eccellente interlocutore in commissione che si chiama Gianclaudio Bressa (franceschiniano schierato con Renzi), uno che mastica pane e legge elettorale fin dalle elementari.
Così hanno iniziato a ragionare intorno a un percorso finalmente unitario anche gli altri commissari del Pd non schierati con Renzi: Roberta Agostini (archivista, nominata da Bersani come responsabile Pari opportunità ), l’ex popolare Maria Gullo, il bersaniano Enzo Lattuca (il più giovane deputato del Pd, classe 1988, dottorando in diritto costituzionale a Bologna), il palermitano Giuseppe Lauricella (docente di diritto pubblico e figlio dell’ex ministro socialista Salvatore Lauricella), il lettiano Marco Meloni (responsabile università con Bersani), il padovano Alessandro Naccarato (vicino al ministro Zanonato), Barbara Pollastrini (parlamentare da molte legislature, moglie del banchiere Piero Modiano), e l’ex ministro Rosi Bindi.
Resta difficile la posizione di Gianni Cuperlo che ancora ieri sera, dopo una fugace apparizione in commissione, diceva che non tollera l’accusa di «comportamento strumentale» mossagli da Renzi.
I renziani della commissione (Ettore Rosato, Emanuele Fiano, Luigi Famiglietti, Daniela Gasparini e Matteo Richetti, più il lettiano Francesco Sanna) sanno però che dovranno trattare con i «pontieri» di Cuperlo.
Sanna, per esempio, ha contestato la parte in cui la legge sottrae al Viminale il compito di disegnare i collegi e li affida al Parlamento.
Come dire che anche chi appoggia Renzi non considera tutto il testo base come oro colato.
A bordo campo, comunque, osservano e sono pronti a intervenire altri membri della commissione che non hanno nulla da invidiare in quanto a preparazione: Pino Pisicchio (Centro democratico), l’ex ministro Ignazio La Russa (Fdi), l’ex ministro Maria Stella Gelmini (FI), il vendoliano Gennaro Migliore, il costituzionalista del Movimento 5 Stelle Danilo Toninelli, l’avvocato Gregorio Gitti (Per l’Italia).
Dino Martirano
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
SPUNTA L’IPOTESI BERSANI
Botte da orbi nel Pd. Le dimissioni di Gianni Cuperlo e la corsa per la sua successione, i veleni e le recriminazioni si fondono dando vita a un lacerante braccio di ferro interno.
A largo del Nazareno è già partita la corsa per la poltrona di Presidente.
E nelle ultime ore è iniziata a farsi largo un’ipotesi suggestiva: affidare la guida dell’assemblea dem a Pierluigi Bersani, da poco rientrato a casa dopo l’intervento.
Matteo Renzi gioca in queste ore la delicatissima partita della legge elettorale. Eppure ha già iniziato a mettere la testa sul dossier.
Convinto, il segretario, della necessità di rilanciare: «Voglio spiazzare».
Ecco allora l’idea fatta trapelare da ambienti della maggioranza dem – di proporre all’ex segretario l’incarico appena abbandonato da Cuperlo
Non è escluso che Bersani alla fine accetti. Ammesso che il clima interno migliori, ammesso che davvero ottenga garanzie – come sottolineato in mille contesti – per un Pd capace di mostrarsi «comunità politica nella quale tutti possono dire quel che pensano».
Sulla pagina Facebook del candidato premier alle ultime Politiche, intanto, si moltiplicano i messaggi di incoraggiamento, accompagnati dalla richiesta di tornare in pista: «Mai come in questo momento c’è bisogno di te»,scrivono.
Oppure ancora l’ala dura: «Riposati che poi c’è da rimediare ai danni di quel moccioso».
La rosa di nomi vagliata in queste ore per individuare il dopo Cuperlo non si esaurisce con Bersani.
C’è innanzitutto Andrea Orlando, ministro dell’Ambiente in quota “giovani turchi”.
A loro, per ragione di equilibri, potrebbe spettare la Presidenza. Anche se Matteo Orfini gioca in difesa: «Io? Non credo di essere adatto. E Orlando fa il ministro». Circolano anche i nomi di Walter Veltroni e dell’attuale vicepresidente Sandra Zampa.
Più difficile invece che possa spuntarla Guglielmo Epifani, protagonista due sere fa di un durissimo botta e risposta con Renzi.
«Caro Matteo – ha tuonato l’ex leader della Cgil durante la riunione del gruppo – con Cuperlo sei stato screanzato». «I miei genitori mi hanno insegnato bene l’educazione», l’infastidita replica del sindaco di Firenze.
I tempi della successione, in ogni caso, restano comunque incerti.
«Per l’assemblea deve venire la gente da tutta Italia – sottolinea Zampa – Ci vorrà qualche settimana. Credo che entro febbraio chiuderemo la vicenda».
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
PERPLESSITA’ ANCHE SULLA SOGLIA DEL PREMIO
Una riflessione che pesa. Ovviamente se a farla è un giudice della Consulta. E soprattutto se la sua opinione è condivisa da molti suoi colleghi.
Praticamente da tutti quelli, un’ampia maggioranza della Corte, che il 4 gennaio hanno confermato la bocciatura del Porcellum.
Decisa il 4 dicembre, confermata e motivata un mese dopo.
La riflessione è questa: «Non sarei troppo sicuro nel ritenere che c’è un nostro pieno via libera a una legge elettorale in cui non sia prevista almeno una preferenza».
E allora quel riferimento alle liste corte, alla spagnola, quindi con candidati riconoscibili?
«Quello era un esempio per dimostrare quanto grande fosse lo svarione contenuto nel Porcellum, con le sue liste lunghe e bloccate».
L’interrogativo seguente è d’obbligo: quindi c’è il rischio che la futura legge elettorale, quell’Italicum frutto dell’incontro Renzi-Berlusconi, possa finire di nuovo davanti alla Consulta per un vizio di costituzionalità almeno sulla questione delle preferenze?
Qui si raccolgono affermazioni convinte. E preoccupanti. Sulle quali riflettere.
Del tipo: «La Corte ha aperto una porta importante per porre subito la questione di costituzionalità . Se il ricorrente Bozzi è dovuto arrivare in Cassazione per veder recepita la sua istanza, adesso la faccenda è cambiata. Un nuovo ricorso potrebbe arrivare sui nostri tavoli anche subito».
Come andrebbe a finire? Anche in questo caso la risposta è assai pregnante: «La Corte, sta scritto nelle carte, non ha sdoganato un sistema senza preferenza».
È settimana “bianca” alla Consulta. Ma i giudici lavorano ugualmente.
È troppo fresca la bocciatura del Porcellum per non interrogarsi su che sta succedendo adesso.
Anche se la premessa è necessaria: «La Corte non dà patenti di costituzionalità sulle leggi in itinere o approvate nella loro interezza. I giudici valutano il singolo punto. Su quello si pronunciano. Proprio com’è avvenuto per il Porcellum».
Già , sul premio di maggioranza e sulle preferenze, giusto i due fantasmi di potenziale incostituzionalità che cominciano ad agitarsi in queste ore. La preferenza che non c’è. La soglia minima per il premio di maggioranza, quel 35%, valutato come «ancora troppo basso».
Ma è la preferenza il vero scoglio. Perchè, come dicono alla Corte, il passaggio che riguarda la necessità che ce ne sia almeno una viene considerato del tutto inequivoco. Anzi, chiarissimo.
Ovviamente i giudici sono stati attenti, nelle motivazioni, a non “sposare” un sistema elettorale, nè avrebbero potuto farlo. Ma hanno valutato il diritto costituzionale di un cittadino ad esprimere un suo pieno voto e quindi una sua scelta.
Per questo, alla Corte, ci si meraviglia sulla convinzione del palazzo della Politica che, sin dal primo momento, ha ritenuto che i giudici avessero sponsorizzato il sistema spagnolo e dato il via libera a quelle liste corte, da 3 a 6 candidati, che adesso fanno bella mostra di sè nel nuovo testo della legge elettorale.
Ma questo via libera invece non c’è. «Quello era solo un esempio di un sistema diverso da quello previsto dal Porcellum». Tutto qui.
«Ma non significava affatto che un sistema senza le preferenze sia costituzionale .
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI E’ L’IPOTESI DI REATO CHE VEDE COINVOLTI ANCHE LONGO E GHEDINI
L’ex premier Silvio Berlusconi e i suoi difensori, gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo, sono indagati a Milano nella inchiesta cosiddetta ‘Ruby ter’.
La loro iscrizione segue la trasmissione degli atti da parte del tribunale di Milano con l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari, in particolare dei testimoni.
Quarantacinque in tutto i nomi iscritti nel registro degli indagati: fra loro molti fra i testimoni del processo Ruby accusati di aver detto il falso.
“Si è proceduto alla dovuta iscrizione nel registro notizie di reato”, è scritto scarno comunicato stampa letto dal procuratore della repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, a proposito dell’inchiesta.
“Il procedimento è assegnato al procuratore aggiunto Pietro Forno e al pubblico ministero Luca Gaglio” anche perchè “Ilda Boccassini ha comunicato che lei ha altri impegni più pressanti”.
Bruti Liberati ha spiegato che quando il tribunale dispone con sentenza ulteriori indagini, la prassi della Procura è quella di affidarle ai magistrati che hanno già seguito la prima parte di inchiesta.
In questo caso si tratta dei procuratori aggiunti Boccassini e Forno e del pubblico ministero Antonio Sangermano, che però nel frattempo si è trasferito in un’altra Procura.
Di qui, e dal rifiuto di Boccassini, la scelta di affidare l’inchiesta a Forno e a un nuovo pm che lavora nel suo dipartimento.
Con la sentenza del 24 giugno scorso (il Cavaliere è stato condannato a sette anni di carcere per concussione e prostituzione minorile), i giudici della quarta sezione penale hanno disposto la trasmissione degli atti alla Procura per indagare sulle presunte false testimonianze.
Nelle motivazioni i giudici hanno chiarito che la gran parte di questi testimoni avrebbero detto il falso in aula con “deposizioni compiacenti” anche per “vantaggi economici e di carriera” che gli avrebbe garantito l’ex premier.
Lo stesso collegio nelle motivazioni ha denunciato la gravissima attività di “inquinamento probatorio” portata avanti dal leader di Forza Italia a indagini e processo in corso, con Ruby e molte delle ragazze “pagate” per mentire.
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Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile
DAL 1° GENNAIO SCORSO VIA IL MENSILE DI 2.500 EURO
Da alcune settimane, Silvio Berlusconi non corrisponde più la paga alle oltre trenta cosiddette “olgettine”.
Dalla fine del 2013, a quanto pare, le ragazze che hanno percepito in questi ultimi anni 2.500 euro al mese, in media, hanno visto chiudersi i rubinetti dai conti correnti personali del leader di Forza Italia.
Troppo alto il rischio di finire ai domiciliari fin dai prossimi giorni, avrebbero intimato gli avvocati Ghedini e Longo.
Il fatto è che domani con molta probabilità la Procura di Milano deciderà se aprire formalmente le indagini per corruzione di testimone nel filone cosiddetto Rubyter. L’eventuale sospetto di reiterazione del reato – il pagamento delle testimoni, appunto – potrebbe fornire ai pm una motivazione valida per la misura cautelare.
Il Cavaliere ha preferito dunque correre ai ripari: «Io non le pago più quelle lì ed è bene che si sappia».
La situazione era precipitata quando nei mesi scorsi ben sette delle “papigirls” avevano ammesso in sede processuale di essere stipendiate da Silvio Berlusconi.
Si tratta di Marysthelle Polanco, Elisa Toti, Iovana Visan, Eleonora De Vivo, Myriam Loddo, Aris Espinoza e Lisney Barizonte.
Ma il sospetto dei magistrati di Milano, stando a quanto emerso dal processo Ruby e dalle indagini successive, è che a ricevere il “beneficio” siano state almeno una trentina di altre persone poi finite nelle maglie delle indagini.
Il leader di Forza Italia vuole anche evitare che possa scattare il sequestro dei conti correnti dai quali sarebbero partiti inquesti anni i pagamenti.
Della mossa Berlusconi ha parlato con alcune delle persone più fidate, con i dirigenti del partito, poco prima di partire alla volta del beauty center sul Garda dove si trova da martedì con la Pascale, Giovanni Toti e consorte per buttare giù chili e brutti presentimenti.
Ha confidato la preoccupazione che lo attanaglia, ma anche con l’intento di far circolare l’informazione: perchè chi debba sapere, sappia che quell’andazzo è finito.
Sta di fatto che il clima si è fatto di nuovo pesante, anche nei capannelli forzisti in Transatlantico.
La sensazione diffusa è che la vera mannaia potrebbe scendere non tanto il 10 aprile, con l’udienza del Tribunale di sorveglianza di Milano sull’applicazione dei servizi sociali post condanna Mediaset.
Ma ben prima, se verrà formalizzata l’apertura dell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza e se verrà riconosciuto il rischio di reiterazione del reato.
«Il capo rischia di finire ai domiciliari anche prima se i giudici si convinceranno che il reato c’è stato davvero», si dicevano ieri mattina alcuni deputati durante la pausa dei lavori.
Il nuovo spettro si chiama Rubyter. Escluso che il settantesettenne già condannato a quattro anni in via definitiva possa finire in carcere, ma i domiciliari potrebbero integrare le eventuali «esigenze cautelari». Questo il timore.
Che va di pari passo con quello di trovarsi decapitati, privi di leader e del mattatore proprio a ridosso della campagna elettorale per le Europee.
Che si aprirà proprio quel 10 aprile, quando si deciderà intanto sui servizi sociali. Figurarsi cosa comporterebbe, la misura restrittiva, se dovesse pesare anche sulla campagna per le Politiche a maggio o comunque tra un anno.
Berlusconi vuole anticipare le tappe rispetto al sipario che comunque scenderà per lui tra 50 giorni.
La dieta full immersion di questi giorni, le immagini di ieri dal lago con Toti in abiti bianchi, prelude all’avvio anzitempo della campagna elettorale, con uscite tv e comizi. «Non abbiamo tempo da perdere», va ripetendo.
E le dispute interne al partito le giudica davvero secondarie, comunque risolte a modo suo.
Da ieri circola l’ipotesi che possa fare una puntata domenica alla kermesse per il ventennale della «discesa in campo», organizzata da Raffaele Fitto nella sua Bari dopo l’annullamento di quella nazionale a Roma.
Bagno di folla da tremila e passa elettori pugliesi convocati al Palatour del capoluogo. Nessun invito ad altri parlamentari lealisti per non dare l’impressione della convention di corrente, certo l’appuntamento è una risposta al clima da “rottamazione” che spira da Arcore.
«Se il presidente ci farà l’onore di esserci saremo entusiasti, sarà il protagonista assoluto – spiega Fitto – Diversamente, celebreremo comunque».
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