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RENZI, MONOLOGO CATODICO: IL NULLA (MA DETTO BENE)

Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

AD ASCOLTARLO CI SI SENTE TUTTI PIU’ GIOVANI, FORSE PERCHE’ IL PIU’ VECCHIO E’ LUI

Sta sempre in tivù, e fa bene. C’è da capirlo. È l’uomo del momento, quasi tutti i giornalisti fanno a gara a chi lo celebra di più.
Matteo Renzi sa usare il piccolo schermo e non ignora che i suoi apostoli non siano altrettanto capaci.
Maria Elena Boschi, la Karina Huff di Jerry Calà  Renzi, ha candidamente ammesso a Ballarò che le mancate preferenze del “Verdinum” sono una concessione al maestro Berlusconi (“C’è un veto di Forza Italia, convincetelo voi”).
Una titanica Simona Bonafè, a Piazzapulita, ha rivelato che i renziani votarono contro la mozione Giachetti (che lei stessa aveva firmato) “per agevolare le riforme con Berlusconi”.
E la tenera Alessia Morani, a Ballarò, ha deliziato oltremodo con le sue perle economiche (criticata in merito, ha risposto piangiucchiando e gridando al complotto: “Tutti noi renziani dobbiamo abituarci ai giornalisti di parte, di destra, pagati per infangarci, per demolire subito il nuovo che nasce, che cresce”).
Ovvio, dunque, che Renzi preferisca andare personalmente in tivù: per evitare i danni altrui. Per quanto uno e trino, a volte anche lui sbaglia.
Una volta dice che ha il treno che gli parte e quindi non può dilungarsi, un’altra rifiuta di commentare le dimissioni di Cuperlo perchè “ha già  risposto la Madia” (la qual cosa, a ben pensarci, costituisce un’aggravante più che un’attenuante).
Solitamente, però, Renzi è assai efficace. La sua tecnica televisiva è molto semplice: entrare in uno studio e occuparlo.
Il suo sport preferito è il monologo catodico con supercazzola prematurata: a destra, ovviamente.
Due sere fa era a Porta a Porta. Con lui, oltre a Vespa, un solitamente spumeggiante Marcello Sorgi. Il direttore dell’Avvenire, drammaticamente ossessionato dal tema delle coppie gay.
E Paolo Scaroni, amministratore delegato Eni, impegnatissimo a plaudire qualsivoglia pensiero (parola impegnativa) di Renzi.
Il segretario Pd rappresenta certo il nuovo, e guai a chi non lo sostiene. Guardandolo da Vespa, colpiva però una volta di più l’analogia con Berlusconi.
La “profonda sintonia” non è solo nelle idee, nella claque (da Lele Mora a Briatore), nel personalismo, nel decisionismo, nel superomismo: è pure nella logorrea mediatica. Fiumi di parole, neanche fosse il leader di una cover band dei Jalisse.
La zuppa del Renzi non cambia mai.
Un po’ di iconoclastia rubacchiata al discount (“I partitini si arrabbiano? Si arrangiano. Basta al potere di ricatto”).
Una spruzzata di numeri distribuiti a caso, per dare l’idea che lui è competente e ne sa (quando un politico è in difficoltà , nove volte su dieci si rifugia in una percentuale buttata là  come una ciliegina rancida su una torta scaduta).
Citazionismo diffuso, battutine da Pieraccioni debole, inchini al compagno riformista Tony Blair.
E il mantra eterno delle primarie vinte (il consenso elettorale usato come clava contro i contestatori: anche questo, se è lecito asserirlo, ricorda vagamente i sillogismi berlusconiani).
Quando Renzi va in tivù, più che argomentare dilaga. Più che disquisire, tracima. Più che il nuovo che avanza, sembra il vecchio che indietreggia.
Decisionista come Craxi, logorroico-catodico come Berlusconi.
È una (presunta) Terza Repubblica che somiglia tanto alla Seconda, e pure alla Prima. Nelle idee labili, nei concetti sdruccioli: nel dire niente, ma dirlo bene.
Sembra quasi di essere tornati indietro di vent’anni.
Ci si sente tutti più giovani, osservando e ascoltando Renzi.
Forse perchè il più vecchio è proprio lui.

Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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NOMINE, RENZI BENEDICE L’INDAGATO SCARONI

Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

IL MANAGER DELL’ENI SOTTO ACCUSA PER CORRUZIONE INTERNAZIONALE SI SENTE SICURO DELLA CONFERMA DOPO L’INTESA ESIBITA IN TV COL SEGRETARIO PD

L’occasione è quasi ufficiale, il salotto di Porta a Porta di Bruno Vespa, la sintonia è così totale che sembra una promessa di riconferma: Matteo Renzi, segretario del Pd, e Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni che a maggio spera di ottenere un quarto mandato alla guida dell’azienda nonostante sia sotto inchiesta dalla Procura di Milano per corruzione internazionale. Uno suggerisce, l’altro completa, il dissenso, effimero, è solo lo spunto per chiarire dettagli.
Nella notte di Rai1 gli spettatori svegli per l’incontro tra il politico più potente e il più temuto dei manager pubblici sono pochi, ma attentissimi.
E il messaggio arriva chiaro: se nella stagione di nomine nelle partecipate del Tesoro che si sta per aprire Renzi chiederà  a Enrico Letta che qualche testa cada, non sarà  quella di Paolo Scaroni.
La benedizione è efficace, ora la coppia più a rischio sembra essere quella che guida Finmeccanica, l’amministratore delegato Alessandro Pansa e il presidente Gianni De Gennaro che, secondo il Giornale, potrebbe andare alla segreteria del Quirinale.
Franco Bernabè, da quando ha lasciato Telecom Italia, è libero e da anni il suo nome è accostato al colosso della difesa, magari è la volta buona.
Scaroni si sente tranquillo, l’Eni, che domina dal 2005, resterà  cosa sua: sia che ottenga la conferma come amministratore delegato sia che, questa l’idea alternativa che coltiva da qualche mese, si trasferisca alla presidenza al posto di Giuseppe Recchi affidando la guida operativa dell’azienda al suo fedelissimo Claudio De Scalzi, oggi direttore generale di Eni a capo della divisione Exploration & Production, la più importante dell’azienda, quella che si occupa di cercare ed estrarre il petrolio e il gas.
In teoria il presidente dovrebbe avere solo una funzione di garanzia e vigilare sull’amministratore delegato.
Ma salendo sulla poltrona più alta, per quanto meno operativa, Scaroni avrebbe il controllo assoluto sul gruppo per tramite di Descalzi. “Io so cosa ho in testa”, ha replicato sibillino il sindaco di Firenze a chi gli chiedeva se fosse il caso di dare una legittimazione così plateale a un manager che, a parte aver patteggiato per le mazzette pagate dalla sua Techint all’Enel durante Tangentopoli, ora è sotto indagine per la presunta corruzione di esponenti del governo algerino per far ottenere contratti miliardari alla Saipem, una controllata dell’Eni .
Da giorni colpiva che la vaghezza delle proposte economiche di Renzi su tutte le materie avesse una sola eccezione: l’energia, un campo in cui, sia pure con parecchie giravolte, il segretario del Pd è sempre prodigo di dettagli.
Vuole tagliare il costo dell’energia del 10 per cento, “Scaroni sarà  per farlo pagare a Snam e Terna”, dice il sindaco, lasciando intendere di conoscere perfettamente la posizione del manager che preferisce scaricare tutto il costo dell’eventuale taglio della bolletta lontano dall’Eni, cioè sulle reti.
à‰ la stessa tesi che Renzi aveva sostenuto in una puntata di Otto e Mezzo, prima di scrivere nel JobsAct una proposta completamente diversa, cioè la revisione dei sussidi concessi alle grandi imprese energivore.
Ora si è riconvertito alla linea che piace a Scaroni, con cui è d’accordo anche nel censurare gli incentivi esorbitanti alle energie rinnovabili: il capo dell’Eni vorrebbe un taglio drastico del 20 per cento, Renzi non si sbilancia sulla percentuale ma dice che Scaroni ha “perfettamente illustrato” le ragioni per cui le imprese italiane pagano troppo l’elettricità .
Di corruzione internazionale e degli scandali che hanno travolto Saipem non si parla, ovviamente.
Raccontano che Renzi e Scaroni abbiano una consuetudine che si è intensificata in queste settimane.
In diretta tv il sindaco lo tratta come uno dei tanti amici-consulenti di cui si circonda per le questioni economiche, dal finanziere Davide Serra ad Andrea Guerra di Luxottica.
Il manager e il sindaco si conoscono da tempo.
Sui giornali toscani si parlò molto del matrimonio dell’anno del 2012, quello tra Bruno Scaroni, figlio di Paolo (e da un anno manager delle Generali, di cui il papà  è consigliere di amministrazione), e Violante Mazzei.
Il sindaco di Firenze non poteva mancare , ovviamente. Il padre della sposa, Jacopo, è uno dei poteri forti fiorentini che circondano Renzi, per due anni presidente dell’Ente cassa di risparmio di Firenze, una fondazione bancaria azionista di Intesa Sanpaolo che nel 2012 ha investito 10 milioni di euro nell’aggressivo fondo Algebris di Davide Serra. “Renzi non ne sapeva niente”, assicurò Mazzei al Fatto che aveva rivelato l’investimento.
In teoria il governo Letta ha introdotto una procedura di selezione dei manager pubblici che dovrebbe assicurare trasparenza: società  di “cacciatori di teste” scatenati sul mercato internazionale.
Ma alla prima occasione Letta e il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni hanno confermato i vertici in scadenza (incluso il presidente delle Ferrovie dello Stato Lamberto Cardia) senza che si sia mai avuta notizia di alcuna gara internazionale.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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RETROSCENA-VERGOGNA, FORZA ITALIA RASSICURA LA LEGA: “IL SALVA-SALVINI LO INSERIREMO DOPO CON UN EMENDAMENTO”

Gennaio 23rd, 2014 Riccardo Fucile

RENZI SAPEVA TUTTO E LO HA GARANTITO A BERLUSCONI: NEGA LE   PREFERENZE AGLI ITALIANI PER FARE IL FAVORE AI PADAGNI … MA RENZI CON CHI STA? CHE INTERESSI RAPPRESENTA? COSA PENSANO I 3 MILIONI DI ELETTORI DELLE PRIMARIE DEI SUOI FAVORI AGLI XENOFOBI?

A sentire un’autorevolissima fonte berlusconiana, “la soluzione è in un emendamento che ci facciamo carico noi di presentare in un secondo momento. Renzi e Berlusconi hanno parlato anche di questo punto, e si risolverà  tutto”.
Parole che chiudono una giornata di convulse trattative sulla legge elettorale.
Per capirne il senso occorre riavvolgere il nastro e partire dall’inizio.
Secondo piano del palazzo dei gruppi della Camera dei deputati, primo pomeriggio.
I membri Dem della commissione Affari costituzionali sono riuniti. La presentazione della bozza della nuova legge elettorale si allungano.
I partiti sono bloccati sulla clausola “salva Lega”. Che non sarebbe altro che un codicillo per permettere a un partito dalla forte rappresentanza regionale di accedere al Parlamento anche qualora non riuscisse a superare le soglie di sbarramento.
Difficilmente il Carroccio, nelle condizioni date, supererebbe quota 5%.
Per questo agli uomini in camicia verde occorre una riga nel testo che gli permetta di arrivare a Montecitorio al semplice raggiungimento di una soglia più elevata (12/15%) in tre regioni contigue.
Quel che è uscito dall’incontro tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi non è andato giù a uno come Umberto Bossi. Fuma il sigaro a due passi dal Transatlantico, e davanti ai cronisti lascia cadere parole che pesano come il piombo: “Se non inseriscono quella clausola l’unica strada sarebbe una lotta di liberazione per la quale siamo già  pronti”.
È l’acme di un pressing che va avanti da giorni.
Gli uomini di Matteo Salvini hanno marcato stretto Denis Verdini e quel piccolo gruppetto che per conto di Forza Italia sta seguendo la questione. E hanno fatto breccia.
Gli azzurri aprono, il Pd non è persuaso, ma non si mette di traverso.
L’alt arriva dal Nuovo centrodestra.
Spiega un esponente di prima fila: “Se facciamo passare questa cosa perde totalmente il senso della possibile alleanza con il Cavaliere. Un conto è tentare di rappresentare il 5% in tutto il paese, una sfida che ci entusiasma e che siamo certi di portare a termine con successo. Un altro è costringerci alla regionalizzazione per competere con la Lega. Noi non siamo nati per questo”.
C’è un problema di seggi, al di là  della volontà  di salvaguardare l’ambizione nazionale degli uomini del vicepremier.
Se la Lega accedesse tramite una scorciatoia, la quota dei seggi attribuiti al partito di Alfano verrebbe sensibilmente ridotto. Così da Ncd il no che arriva è secco.
È in questa cornice che va inquadrata la riunione dei deputati del Pd al secondo piano di Montecitorio. Ironia della sorte, proprio a due passi dagli uffici dei lumbard.
Il tentativo di venirene a capo è frenetico. Maria Elena Boschi, responsabile delle Riforme di via del Nazareno entra e esce dalla sala del summit, in contatto telefonico diretto con il sindaco di Firenze.
La diplomazia forzista si mette in moto. E tranquillizza gli alleati storici: “Per noi il salva Lega è compreso nel pacchetto, facciamo intanto partire la bozza, la emendiamo insieme in una fase successiva”.
È un post su Facebook del segretario federale del Carroccio il segnale del via libera: “La Lega non ha bisogno di aiutini o leggi elettorali fatte su misura”, una palese menzogna.
Un segnale di fumo perchè Forza Italia possa chiudere alla luce del sole un accordo anche con Alfano, forte dell’assicurazione che sembra arrivare dall’entourage di Palazzo Grazioli: le camicie verdi stiano tranquille, vedranno rientrare dalla finestra quel che oggi è uscito dalla porta.

(da “Huffingtonpost“)

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