Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
SUGLI ALTRI IMMOBILI IL PRELIEVO POTRA’ CRESCERE DI OLTRE 200 EURO.. DA MILANO A ROMA, ECCO I PRIMI CONTI DELLE NUOVE ALIQUOTE
Si dice che in Italia nulla è più definitivo del provvisorio; a volte però può essere vero anche il contrario se può succedere che si debba cambiare una legge chiamata di Stabilità dopo pochi giorni dalla sua entrata in vigore.
E a farne le spese ci saranno i proprietari di immobili che si vedranno presumibilmente salire il conto Tasi.
A Milano su una casa media la nuova tassa, istituita formalmente per coprire i costi sopportati dai Comuni per la fornitura dei servizi indivisibili ma di fatto nata per riproporre il vecchio tributo sotto altro nome, rischia di costare addirittura più dell’Imu, con un aumento che può arrivare anche a 150 euro per un contribuente senza figli a carico, cifra che potrebbe addirittura salire quando c’è anche la prole.
Nè hanno motivo di maggior contentezza i proprietari delle seconde case, che la legge di Stabilità aveva parzialmente risparmiato.
A Milano infatti si prospetta un incremento delle imposte su una casa media di classe A/2 di 250 euro e di 108 per la A/3.
A Roma i due valori di incremento sono rispettivamente di 195 e 149 euro.
Ma come si arriva a questi risultati?
Partiamo appunto dalla legge di Stabilità che per quanto riguarda il Tasi prevede che per il 2014 non si possa superare lo 0,25% e con un vincolo ulteriore gli altri immobili (che pagheranno ancora l’Imu): la somma delle aliquote di Tasi e Imu non può superare l’1,06%.
A differenza di quanto prevedeva l’Imu la Tasi non ha detrazioni fisse: i Comuni possono abbassare l’aliquota fino ad azzerarla o prevedere riduzioni in funzione del reddito o dei carichi familiari del contribuente, ma a spese delle casse municipali; per garantire almeno in parte le detrazioni senza dissanguare le casse comunali si starebbe prospettando la soluzione classica in questi casi, alzare altre tasse; nello specifico si tratterebbe di dare ai municipi la possibilità di incrementare l’aliquota massima di un decimo di punto.
Se così si decidesse per le abitazioni principali di minor valore si finirebbe per pagare cifre molto simili o addirittura più alte rispetto a quelle sborsate nel 2012 per l’Imu e le case di maggior pregio fiscale pagheranno un po’ meno mentre i possessori di seconde case ubicate dove l’amministrazione municipale già applica l’Imu al massimo dovranno mettere in conto per pagare l’accoppiata Imu e Tasi un esborso superiore del 9,4% rispetto al 2013; e nei Comuni che nel 2013 non hanno chiesto il massimo per l’Imu l’incremento teorico rischia di essere a due cifre.
Non solo: a tutto questo bisogna poi aggiungere che chi possiede una casa non affittata nel Comune in cui ha anche l’abitazione considerata principale ai fini Imu deve pagare già a partire dalla prossima dichiarazione dei redditi l’Irpef sul 50% della rendita catastale rivalutata.
Si può calcolare che tenere una casa vuota del valore catastale di 500 euro possa costare tra Imu, Tasi, e Irpef circa 1100 euro all’anno.
Ipotizzando che il valore Imu dell’immobile (84 mila euro) sia la metà di quello di mercato si ricava che il prelievo patrimoniale sia pari a circa lo 0,7%, cioè tre volte e mezzo in più rispetto alle imposte che si pagano sul possesso di titoli e liquidità depositati in banca.
Di entità più modesta l’esborso necessario per la mini Imu; come vediamo nella tabella per un’abitazione con rendita catastale di 500 euro l’esborso sarà di 67,20 euro per i Comuni che per il 2013 hanno deliberato un’aliquota dello 0,6%: è questo il caso di Milano, mentre dove si è decisa un’aliquota dello 0,5% (come Roma) il conguaglio si dimezza a 33,60 euro.
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
TETTO A QUOTA 11,6 PER LA SECONDA CASA… I COMUNI DEVONO STABILIRE DETRAZIONI E IMPORTI, IL RISCHIO CONCRETO DI PAGARE DI PIU’ DELL’IMU
La facoltà ai comuni di aumentare la Tasi, la nuova tassa sui servizi indivisibili, verrà data e lo si farà con un emendamento al decreto legge che ha abolito la seconda rata dell’Imu sulla prima casa per il 2013.
Questo provvedimento debutterà lunedì nell’aula del Senato e sarà proprio qui che il governo presenterà la modifica che consentirà ai comuni di portare dal 2,5 per mille al 3,5 per mille il prelievo Tasi sulla prima casa e dal 10,6 per mille all’11,6 per mille quello sulle seconde.
È questo l’orientamento maturato al ministero dell’Economia. In questo modo i sindaci avranno quel miliardo e mezzo in più che ritengono indispensabile per far quadrare i bilanci, ma dovranno usare le nuove risorse, almeno in parte, per stabilire detrazioni a favore delle famiglie e dei soggetti svantaggiati.
Anche se l’aumento è una facoltà è probabile che molti comuni lo decideranno, rendendo di fatto per i proprietari il costo della Tasi, la tassa sui servizi indivisibili (illuminazione, polizia locale, eccetera), molto simile alla vecchia Imu, le cui aliquote di base erano del 4 per mille sulla prima casa e del 7,6 per mille aumentabile fino al 10,6% sulle seconde.
Su queste ultime, in particolare, la Tasi rischia di aggravare il prelievo rispetto al 2013.
Protesta, non a caso, la Confedilizia, parlando di «stato di esasperazione dei piccoli proprietari».
E anche nella maggioranza c’è chi, come Scelta civica, non è d’accordo, al punto che Enrico Zanetti, responsabile delle politiche fiscali del partito, minaccia di non votare un eventuale emendamento del governo con gli aumenti della tassa
In attesa di questi sviluppi restano i comuni, ma soprattutto i cittadini che, ad oggi, non sanno nè quanto nè quando dovranno pagare.
La versione finale della legge di Stabilità ha infatti mantenuto la data del 16 gennaio come scadenza per la prima rata della Iuc (Tasi e Tari), ma ha dato ai comuni la facoltà di posticipare questa data, oltre che di stabilire il numero di rate annuali in cui dovrà essere suddivisa la nuova imposta.
Se il comune non avrà preso entro il 16 una decisione nè sull’aliquota da applicare nè sulla scadenza della prima rata, come dovrà comportarsi il cittadino?
Dovrà pagare, al massimo il 16 gennaio, la Tasi con l’aliquota base dell’uno per mille e la Tari versando la stessa somma pagata per la vecchia tassa rifiuti con la prima rata del 2013, spiegano i tecnici del Tesoro.
Stando così le cose è evidente che tutti si ridurranno all’ultimo minuto a meno che i comuni non stabiliscano in massa uno slittamento del termine del 16 gennaio.
Resta ferma, invece, la scadenza del 24 gennaio per il pagamento della cosiddetta mini-Imu in quei comuni, circa 2.500, che hanno deliberato un aumento dell’aliquota base del 4 per mille.
Qui i proprietari dovranno coprire il 40% della differenza tra l’aliquota maggiorata e il 4 per mille.
Nella maggior parte dei casi si tratta di qualche decina di euro, ma anche qui bisognerà ricorrere ai Caf o comunque all’assistenza di professionisti. Il rischio di un grande ingorgo è reale.
I sindaci dell’Emilia-Romagna hanno proposto al governo di sostituire la mini-Imu del 24 gennaio con un prelievo una tantum sul gioco d’azzardo.
Il ministro degli Affari regionali, Graziano Del Rio, ha promesso un’attenta valutazione della proposta, aggiungendo però che è difficile cambiare le norme in corso.
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
“SE OGNI VOLTA CHE UNO PROPONE QUALCOSA CHE NON AGGRADA, VIENE TRATTATO COSI’, CHI SI AZZARDA PIU’ A CRITICARE”
«I due non si sono mai amati, e del resto lo spazio di Stefano Fassina nel governo con la segreteria Renzi si era fatto sempre più stretto. Ma quest’episodio è la spia di qualcosa di ben più profondo di uno scontro fra due diverse personalità del Pd».
Onorevole Civati, ha sbagliato Renzi a snobbare platealmente il viceministro?
«Al suo posto non l’avrei fatto. Se ogni volta che uno propone qualcosa che non aggrada, il segretario tira fuori tanta supponenza, chi si azzarda più a sollevare la minima critica? Anzi, anticipo Renzi, e me lo dico già da solo: Civati chi?».
Ma lo strappo di Fassina è arrivato troppo a botta calda?
«Forse non aspettava altro per mollare, e ha colto al volo l’occasione. Già una volta Fassina aveva minacciato ledimissioni, poi rientrate. Dentro il governo la sua posizione si stava facendo sempre più difficile, la sua linea in rotta di collisione con quella del nuovo segretario».
Insomma, l’incidente è stata l’ultima goccia.
«Più che altro, guardando dietro lo scontro fra due persone, quel che è successo dimostra quanto sia fragile e instabile il rapporto fra l’intero governo Letta e il Pd a trazione Renzi».
Chi tocca il rimpasto muore?
«Letta vorrebbe “renzizzare” il governo, sta valutando se mettere dentro due o tre uomini di Matteo, per garantirsi il cammino. Però sa anche che danza delle poltrone che innesca può diventare una danza macabra per l’esecutivo. Rischia di non controllarla più».
E il segretario?
«Resiste, per Renzi rimpasto è come una parolaccia. Con i suoi ministri, e con un patto di governo sottoscritto, è chiaro che l’esecutivo diventa il governo del segretario, e addio alle mani libere».
Per esempio?
«Vedo che Renzi evoca di continuo riforme da approvare con maggioranze diverse rispetto a quella della coalizione di governo. Sulla legge elettorale, ma anche sui diritti civili, e pure sul job act. Ma allora, facciamole su tutte quante le proposte, no? Facciamo una maggioranza per cambiare la Fini-Giovanardi e poi un’altra con Sel sugli F-35, e via così».
Conclusione?
«A furia di rispostacce ad Alfano, e di minacciare di approvare lo stesso il suo pacchetto con maggioranze trasversali, sai che succede? Che quelli del Nuovo centrodestrasalutano e se ne vanno, Alfano si stufa e torna nella vecchia band, a rifare i Rolling Stones col Cavaliere…».
Messa così, la strategia di Renzi è un abbraccio mortale per Letta.
«La tensione è fortissima, il governo in realtà è sempre più fragile. Una volta lo dicevo solo io, ora vedo che in tanti non gli danno lunga vita. Io dico: ben venga un patto di governo se serve a dare risposte al paese. Ma non mi aspetto grandi cose da Letta, stretto com’è fra Renzi, ma anche Alfano e Scelta Civica».
Che suggerisce?
«Durante la battaglia delle primarie, dicevo: meglio andare a votare. Lo dico anche adesso, solo che i margini si son fatti sempre più stretti. E una fine traumatica della legislatura io proprio non me la auguro».
Umberto Rosso
(da “la Repubblica“)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
E’ LI’ LA CHIAVE DI VOLTA SU MODELLI E TRATTATIVE
Adesso c’è anche una data. Il 13 gennaio prossimo, lunedì.
È la data che nelle agendine dei giudici della Corte Costituzionale sarebbe già stata cerchiata con la penna rossa.
Perchè proprio in quella data la Consulta dovrebbe rendere note le motivazioni che stanno alla base della sentenza con cui, all’inizio del mese scorso, i giudici costituzionali hanno cancellato il Porcellum.
Partendo dall’incostituzionalità dei due aspetti principali della legge elettorale confezionata nel 2005 da Roberto Calderoli.
E cioè il premio di maggioranza e le liste bloccate.
Tempi abbastanza stretti, insomma. Forse persino più stringenti di quanto non si pensasse.
Col timer azionato dalla Consulta, sulla base di un conto alla rovescia di soli nove giorni a cominciare da oggi, che potrebbe rivoluzionare il dialogo sulla legge elettorale avviato da Matteo Renzi con la lettera inviata l’altro giorno ai leader degli altri partiti
Ha indicato tre strade, il segretario del Pd.
Il sistema spagnolo, che piace a un pezzo significativo di Forza Italia, a cominciare da Denis Verdini.
Poi il Mattarellum corretto con un premio di maggioranza. E infine il modello del sindaco d’Italia, quel doppio turno di coalizione su cui s’è registrata anche l’apertura «tattica» di Angelino Alfano.
Ma i tavoli di confronto bilaterali, su cui Renzi ha già incassato il disco verde di Silvio Berlusconi, possono essere rovesciati già dalle motivazioni che la Consulta renderà note il 13 gennaio.
Perchè è vero, come sottolinea Cesare Mirabelli, che della Consulta è stato anche presidente, «che nella scelta di una nuova legge elettorale il Parlamento è sovrano».
Ma è altrettanto vero, aggiunge, «che le Camere non potranno non tenere conto dei principi che la Corte Costituzionale fisserà nelle motivazioni della sentenza. Sia per quanto riguarda il premio di maggioranza, sia per quanto riguarda le liste bloccate». D’altronde, scandisce l’ex giudice costituzionale, «saranno principi che non ha inventato la Corte. Ma che sono contenuti nella Costituzione, da cui la Corte li deduce».
Non è una questione accademica. Al contrario, il dispositivo della Corte può scombinare il quadro dei rapporti tra i partiti sulle diverse bozze di riforma e, soprattutto, rafforzare il sistema dei veti incrociati che mette a rischio il «tavolone».
Basti pensare al modello spagnolo, che piace a berlusconiani della vecchia guardia e non dispiace al Cavaliere.
«La Corte ha bocciato il Porcellum anche sulla base delle liste bloccate. Ma non sappiamo se ha bocciato le lunghissime liste previste dal Porcellum oppure se l’idea di lista bloccata in sè», è la premessa di Stefano Ceccanti.
«Ma se nella sentenza ci fosse una bocciatura totale dell’idea di lista bloccata», aggiunge il costituzionalista ed ex senatore del Pd, «la strada del modello spagnolo, che prevede delle piccole liste chiuse, diverrebbe a quel punto impraticabile».
Con delle probabili ricadute sul fronte del dialogo tra Pd e Forza Italia. Una tesi che, però, non convince del tutto Mirabelli. Secondo cui «c’è una differenza evidente tra le lunghissime liste del Porcellum, che automaticamente portavano in Parlamento degli eletti secondo un ordine fissato dai partiti, e quelle dei collegi spagnoli».
Più semplice, invece, il rebus che riguarda l’aspetto del premio di maggioranza.
«Già dall’annuncio della sentenza», spiega Ceccanti, «la Consulta ha lasciato intendere che non va bene un premio di maggioranza indeterminato, spropositato rispetto ai voti che, per esempio, le principali forze politiche hanno preso alle ultime elezioni. Le tre proposte di Renzi, invece, ne prevedono uno determinato. Compreso il sistema del sindaco d’Italia, che assegna il 55 per cento dei seggi solo a chi avrà superato il 50 per cento più uno dei voti».
Ed è forse l’unico tassello a posto di un puzzle ancora da costruire.
E che la data del 13 gennaio potrebbe complicare ulteriormente.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
QUATTRO ORE IN SALA OPERATORIA, SI ATTENDE COMUNICATO UFFICIALE DELLA DIREZIONE OSPEDALIERA
L’ex segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, è stato colpito da un grave malore nella mattinata di domenica: la tac cui è stato sottoposto presso l’ospedale di Piacenza ha evidenziato una lieve emorragia cerebrale in seguito alla quale è stato disposto il trasferimento all’ospedale Maggiore di Parma dove, dopo ulteriori esami angiografici, i medici hanno optato per un intervento chirurgico, iniziato intorno alle 18e durato circa 4 ore.
I dettagli saranno resi noti dall’Azienda Ospedaliera in una comunicazione ufficiale.
L’intervento, eseguito dall’equipe di Ermanno Giambelli, è cominciato attorno alle 18.
Attorno alle 21.30 è finita la parte più delicata dell’intervento.
Fra gli amici più stretti dell’ex segretario c’è un cauto ottimismo.
Le condizioni di salute di Bersani, 62 anni, destano comunque grande preoccupazione, anche se è sempre rimasto vigile e cosciente.
Fondamentali per le sue condizioni saranno le prossime ore.
IL MALORE E IL RICOVERO
Bersani è comunque rimasto cosciente. Fonti del suo entourage sottolineano che il malore «non avrebbe causato conseguenze serie dal punto di vista neurologico».
L’ex candidato premier si è sentito male nella sua casa di Piacenza intorno alle 10, poi un’ora dopo è arrivato al Pronto Soccorso della stessa città accompagnato dalla moglie e dal fratello, medico.
Bersani accusava capogiri e attacchi di vomito. I sanitari lo hanno sottoposto ad accertamenti e dall’esame della Tac è emerso il problema cerebrale. L’esponente del Pd è stato quindi immediatamente trasferito a Parma, nel reparto di neurochirurgia, a bordo di un mezzo del 118.
EMORRAGIA SUPERFICIALE
L’ex ministro dello Sviluppo economico, che ha 62 anni,ha riportato un’emorragia, definita «subaracnoidea», cioè nella zona superficiale, tra le meningi.
Nella maggior parte dei casi le emorragie di questo tipo sono causate da un’aneurisma intracranico, una dilatazione di un vaso arterioso della testa che può arrivare alla rottura. Il sangue così si raccoglie negli spazi subaracnoidei, cioè nella parte delle membrane che avvolgono il cervello fino al cranio.
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
CASE, MUTUI, AUTO, CIBO: GLI ITALIANI COSTRETTI A RIDURRE LE SPESE SU TUTTO
Il Pil batte in testa? Le tasse aumentano? La politica fatica a fare la sua parte? No problem.
A metterci una pezza nel 2013 – tanto per cambiare – sono state ancora una volta le famiglie tricolori.
Che per far quadrare i conti di casa hanno impugnato l’accetta e varato l’ennesima finanziaria fai-da-te, tagliando 16 miliardi dalle spese domestiche.
Il copione è lo stesso andato in scena, con numeri ancora più impressionanti, nel 2012. Davanti al calo delle entrate e all’impennata delle uscite — la pressione fiscale (per chi paga le tasse) è salita al 45% — gli italiani hanno fatto di necessità virtù: rinviando l’acquisto dell’auto, rinunciando a qualche week-end fuori porta, tagliando carne e persino medicinali e mettendo in freezer il sogno di cambiar casa.
Risultato: un’austerity autarchica che porta a quasi 50 miliardi in due anni i risparmi dei cittadini del Belpaese.
Sacrifici che non sono bastati a salvare il “tesoretto” accumulato negli anni del boom: la crisi ha bruciato dal 2008 secondo la Banca d’Italia ben 520 miliardi della ricchezza nazionale, mandando in fumo qualcosa come 24mila euro a famiglia.
Un carrello a dieta
Quando si tratta di far quadrare i conti di casa, non c’è cosmesi finanziaria che tenga. E la prima vittima della spending review degli italiani è stata anche nel 2012 la spesa quotidiana.
Abbiamo rinunciato a comprarci abiti e scarpe (-3% secondo l’Istat), rimandato il cambio della lavastoviglie (-3,7% gli acquisti di elettrodomestici), lasciato sugli scaffali i profumi (-1,4%) e sforbiciato per il secondo anno consecutivo — non era mai successo nel Dopoguerra —le spese per medicinali calate del 2,6%.
La crisi ha cambiato anche le nostre abitudini a tavola: nel carrello è cresciuto il peso di cibi poveri come pasta e pollo a scapito di carne e pesce e per mettere assieme pranzo e cena abbiamo pagato l’1,3% in meno.
Questi esercizi ragioneristici ci hanno permesso di tagliare le uscite per i consumi del 2,2%, riducendo di 6,7 miliardi la nostra spesa
Risparmi a quattroruote
Benzina e motori, gioie e dolori. Il gioco è il solito: quando il governo ha bisogno di soldi e non sa dove trovarli, l’ultima spiaggia sono le accise sulla benzina. E — sul fronte opposto — anche i cittadini del Belpaese hanno capito l’antifona: in periodi di vacche magre, quando i soldi si vedono con il contagocce, meglio lasciare l’auto in garage e archiviare il sogno proibito di comprarsene una nuova.
Carta canta: nel 2013 abbiamo acquistato 100mila auto in meno di un 2012 già da dimenticare, evitandoci un esborso di 1,5 miliardi circa.
E — quando è stato possibile — abbiamo fatto a meno della macchina. Il consumo di benzina è calato del 4,8%, quello del gasolio del 2,6%.
Un risparmio di un miliardo di tonnellate e di 2 miliardi di euro, quanto basterebbe per fare 375mila volte il giro della terra all’altezza dell’Equatore.
Due soldi, nessuna capanna
La vittima più illustre dell’austerity forzata è stata anche lo scorso anno la casa. Si sta stretti in due locali? Ce ne si fa una ragione. Un appartamento nuovo? Meglio aspettare altri chiari di luna.
Morale: lo scorso anno in Italia sono state comprate e vendute 407 mila, l’8,3% meno dello scorso anno pari a 6,7 miliardi di euro.
Un buon risultato, dice qualcuno, visto che nel 2012 gli affari erano crollati del 25%. Sarà . Dal 2006 però, quando le case andavano come il pane e i valori immobiliari erano più alti del 15-20% le transazioni si sono dimezzate.
L’ultima spiaggia
I tagli, a volte, non bastano. E quando il conto in banca è a secco e piovono bollette e rate, la soluzione (obbligata) è solo una: non si paga.
Nel 2013 il valore dei prestiti non “onorati” dalle famiglie italiane è salito secondo i dati Banca d’Italia da 52 a 55 miliardi. Una rata su 10 non viene più saldata.
Quattro milioni di auto circolano per risparmiare senza assicurazione. E il tasso delle sofferenze bancarie — assicurano Prometeia- Assofin.Crif — è destinato a salire di un altro 10% anche l’anno prossimo.
Il Pil dell’ex-Belpaese avrà pur ripreso a crescere.
Ma la spending review delle famiglie tricolori, c’è da scommetterci, andrà avanti in replica anche l’anno prossimo.
Ettore Livini
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
LO SFOGO DEI MINISTRI NEL MIRINO DEL SEGRETARIO PD
Adesso Alfano e i suoi alzano le barricate.
Il rischio di essere travolti è altissimo, le dimissioni del viceministro Fassina in parte dirottano le fibrillazioni a sinistra, ma l’attacco di Renzi è ormai frontale, così almeno viene percepito dal Nuovo centrodestra.
La sensazione che hanno i cinque ministri e i vertici del nuovo partito è che il segretario Pd tenda ad alzare sempre più la tensione.
L’allerta è massima e il vorticoso giro di telefonate serali tra i big Ncd ne è la conferma. «Dobbiamo evitare in tutti i modi di essere tagliati fuori dalla partita della riforma elettorale, in quel caso sì dovranno fare i conti con noi. Il resto è tattica» è il commento preoccupato coi suoi di Angelino Alfano.
Il responsabile del Viminale più di ogni altra cosa teme l’abbraccio «mortale» tra il sindaco di Firenze e il suo ex leader Berlusconi sulla modifica della legge voto.
Del resto in giornata già¡ Cicchitto e Formigoni mettono in guardia i democratici, avvertendo che con due maggioranze, sul governo e sulle riforme, si va dritti verso la crisi.
I paletti li metterà in serata lo stesso vicepremier: «Che non ci vengano a parlare di frontiere libere e aperte per tutti gli immigrati o di matrimoni gay».
Nessuna retromarcia, insomma, dopo le parole di Renzi sui punti che da loro vengoni considerati «non trattabili », non disponibili.
Barricate, appunto. Nei colloqui riservati con gli altri ministri di centrodestra Alfano invita tutti alla calma. «Enrico farà scudo. Non ci facciamo prendere in contropiede, le dimissioni di Fassina dimostrano che è tutta una partita interna al Pd, teniamo la posizione e i nervi saldi».
Convinti che, come spiega un ministro targato Ncd, «Renzi può tirare la corda ma sa che non può romperla, la crisi porterebbe alle dimissioni di Napolitano, al voto col Mattarellum non corretto e la responsabilità della catastrofe ricadrebbe su di lui».
Il clima resta teso. Sebbene da Milano il ministro Maurizio Lupi tenti di smorzare i toni, escludendo il rischio crisi.
Intanto, sulla legge elettorale, dice, ci sarebbero le condizioni per fare in fretta, grazie alla «convergenza» su uno dei tre modelli proposti da Renzi (il sindaco d’Italia).
Ma il doppio turno di coalizione è più un auspicio loro.
Berlusconi ha già sposato il sistema «spagnolo », bocciando proprio il meccanismo simile a quello delle amministrative. La partita dunque è più complessa. E poi ad essere in gioco è la tenuta stessa dell’esecutivo.
«Il nuovo centrodestra aveva chiesto all’inizio dell’anno che si facesse un contratto di 14 mesi – ricorda Lupi – Non è in discussione la caduta del governo ma dobbiamo indicare delle priorità equando si realizzeranno».
Renzi? «Ha tutta la legittimità di porre al tavolo le sue priorità e noi faremo lo stesso. Lui ritiene che le unioni civili e la Bossi-Fini siano la priorità e ha tutto il diritto di porle al tavolo e noi proporremo le nostre, che sono famiglie, imprese e lavoro. Ne discuteremo insieme e faremo una sintesi perchè non è un governo monocolore nè del Pd nè del Nuovo Centrodestra. Letta farà sintesi, i diktat non servono a nessuno».
Le posizioni restano assai distanti proprio sui temi posti a Palazzo Chigi dal leader dei democratici.
E lo scoglio più arduo da evitare sembra sia proprio quello delle unioni civili. E non sono solo gli ultrà cattolici alla Giovanardi o Sacconi o Roccella o Formigoni a essere sul piede di guerra.
E a chiedere quanto meno una moratoria di dodici mesi, per rinviare il fardello alla prossima legislatura.
«Guai a equiparare le unioni civili alle famiglie – spiega al Tg3 il presidente del Ncd Renato Schifani – Diremo no, perchè automaticamente il rischio sarebbe di passare alle adozioni di figli. E sui fondi alle famiglie, Renzi prima di parlare dovrebbe informarsi. Nuovo centrodestra ha sempre posto questo tema al centro della propria azione politica. Grazie al nostro impegno sono state varate all’interno della legge di Stabilità importanti misure come quella del rifinanziamento del bonus bebè o l’istituzione di un Fondo per le giovani coppie che vogliono acquistare la prima casa».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
IN ITALIA I DIRITTI SONO ANCORA UN MIRAGGIO
FRANCIA
È il paese dei Pacs, patti civili di solidarietà , istituiti con una legge del 1999. Il patto è un contratto che regola la convivenza tra due persone, anche dello stesso sesso. Prevede molte tutele: dai giorni di congedo dal lavoro in caso di malattia o morte del convivente, alla pensione di reversibilità e al diritto di lasciare eredità al partner.
I conviventi devono impegnarsi a una vita in comune e garantirsi reciproco aiuto materiale.
Il patto non dà diritto all’adozione, possibile invece per i single.
La legge francese regola anche la convivenza, ma con diritti molto più limitati rispetto ai Pacs.
Nell’aprile scorso, l’Assemblea nazionale ha dato il via libera ai matrimoni gay, tra le proteste di associazioni cattoliche ed estrema destra.
Alcuni sindaci hanno fatto ricorso alla Consulta, che l’ha respinto: nessun primo cittadino può rifiutarsi di celebrare matrimoni omosessuali.
Divorzio : se la separazione è consensuale, per ottenerlo bastano dai 3 ai 9 mesi. Immigrazione: il sistema francese prevede due tipi principali di permesso di soggiorno.
Il primo, temporaneo, dura un anno; il secondo, decennale e rinnovabile, può essere richiesto da chi abbia la residenza da almeno 5 anni e abbia sottoscritto il contratto di accoglienza e integrazione, che prevede corsi di lingua e di formazione civica.
Chi chiede il ricongiungimento familiare deve avere risorse pari almeno al salario minimo garantito e deve dimostrare il legame di parentela con il test sul dna.
GERMANIA
In Germania le unioni civili sono previste solo per persone dello stesso sesso, tramite la “convivenza registrata”, istituita nel 2001.
Prevede grande parte dei diritti previsti dal matrimonio, tra cui la possibilità di scegliere lo stesso cognome del coniuge, il diritto alla pensione di reversibilità e alla successione ereditaria, il permesso di immigrazione per il partner straniero.
Non è concessa l’adozione congiunta, ma si possono adottare i figli del convivente. Dopo un anno di separazione, scatta automaticamente il divorzio.
In luglio la Germania ha semplificato le norme per l’immigrazione di lavoratori qualificati, di cui ha gran bisogno, velocizzando le procedure per i visti.
Ma non si è mai dotata di un meccanismo per regolarizzare la posizione di gran parte degli immigrati. Ottenere la cittadinanza rimane difficile.
SPAGNA
È uno dei paesi più cattolici del mondo, eppure nel 2005 ha legalizzato i matrimoni gay, con una modifica al codice civile.
In Spagna si possono celebrare anche matrimoni omosessuali tra stranieri, a patto che almeno uno dei due futuri coniugi abbia ottenuto la residenza nel paese.
Undici regioni su 17 riconoscono le coppie di fatto. La prima è stata la Catalogna, nel 1998, con una legge che prevede la responsabilità solidale per le spese domestiche e per alcuni debiti.
Per il divorzio consensuale bastano dai 2 ai 4 mesi. È allo studio una legge per consentire di sbrigare tutto davanti a un notaio.
Immigrazione: sono previsti permessi di permanenza temporanea fino a 90 giorni. Può richiedere di rimanere a tempo indeterminato chi soggiorni nel paese da almeno 5 anni. Non è indispensabile ottenere il permesso di soggiorno prima di cominciare a svolgere un’attività lavorativa.
STATI UNITI
L’istituto del matrimonio è regolato in via autonoma da ciascuno Stato.
Nel complesso, sono 18 gli stati americani che consentono i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Il primo, nel 2004, è stato il Massachusetts. In molti altri stati i matrimoni omosessuali sono espressamente vietati.
Alcuni di questi prevedono le unioni civili. Le adozioni da parte di coppie omosessuali sono consentite in dieci Stati.
Nello scorso giugno, la Corte Suprema ha stabilito che i matrimoni omosessuali (contratti dove sono permessi) hanno valore legale in tutti gli Usa.
Nel paese con il più alto tasso di divorzi del mondo, ci si può separare in tempi brevi. Ma anche in questo caso le norme variano da Stato a Stato.
Immigrazione: negli Stati Uniti vige il principio dello ius soli. Chiunque nasca sul suolo americano acquisisce la cittadinanza, automatica anche per chi è nato all’estero ma da almeno un genitore cittadino statunitense.
Il miraggio di molti stranieri è la green card, permesso di lavoro che di fatto dà anche la residenza.
Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 5th, 2014 Riccardo Fucile
ALFANO USA LA FAMIGLIA COME UNO SPAVENTAPASSERI: IN EUROPA E NEGLI USA PREVALE LA DESTRA DELLA TOLLERANZA E DELL’INCLUSIONE…. E ANCHE PAPA FRANCESCO INDICA LA VIA DEL CONFRONTO SENZA PREGIUDIZI
Il leader della diaspora berlusconiana, Angelino Alfano, ha il difficile compito di dare ai propri parlamentari identità e cultura politica nella stagione che ci separa dalle elezioni.
Impresa che si è rivelata dura per un veterano come Pierferdinando Casini e, al centro, impossibile per il senatore a vita Mario Monti.
Sbaglia però Alfano a pensare — o ad ascoltare chi in tal senso lo indirizza – che schierando il suo movimento su posizioni «dure», demagogiche, «di destra», guadagnerà voti, consensi, attenzione. Al contrario, perderà stime, considerazione, spazio.
Chi vuol menare gli immigranti, sbattere tutti in galera, usare la famiglia non come nido ma come spaventapasseri, ha già i suoi riferimenti a destra, e spesso tra i 5 Stelle.
Sperare che il no del Nuovo centro destra alle unioni civili tra omosessuali, proposte dal Partito democratico del neo segretario Matteo Renzi, ringalluzzisca la base cui guardano Alfano, Lupi, Mauro, è illusorio.
L’Italia si è rivelata dai tempi dei referendum sul divorzio e l’aborto, mezzo secolo or sono, allergica alla politica dei valori, confermando che l’antico buon senso di casa nostra sa evitare le polemiche che a lungo hanno diviso l’America, per esempio, sull’interruzione di gravidanza.
Due grandi regioni meridionali, la Sicilia e la Puglia, hanno eletto, con notevole presenza di voti cattolici e tradizionali, presidenti omosessuali, Crocetta e Vendola.
La destra occidentale ha ormai accettato, dalla Francia alla Gran Bretagna, culture di tolleranza e inclusione.
In America, dove lo stesso Ronald Reagan trattò con compassione la morte per Aids dell’attore Rock Hudson fermando gli estremisti, i repubblicani sono divisi da febbri ideologiche, ma perfino le figlie dell’ex vicepresidente Dick Cheney, due conservatrici Doc, si dividono sulle nozze gay, ne parlano, non discriminano o tacciono.
La proposta di Renzi è soft, non si tratta di matrimoni omosessuali — pur ormai routine in tante metropoli da New York a Los Angeles -, ma di unioni civili che cancellano solo le più odiose discriminazioni a danno dei cittadini gay.
Bloccarla non rende Alfano e il suo Ncd bastione credibile dei valori tradizionali, ma al contrario palcoscenico petulante, dove risuona la grancassa populista.
Il voto cattolico in Italia è stato studiato a lungo, da Mannheimer a D’Alimonte, e non rivela correnti di maggioranza contro l’integrazione dei cittadini.
Nel suo libro «Il ventennio», l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini riflette con amarezza sulla strada aspra che la destra italiana deve compiere per diventare definitivamente occidentale e liberale, amarezza tanto politica quanto esistenziale.
La disattenzione di Silvio Berlusconi ai temi etici, l’accordo meccanico tra centrodestra e gerarchia della Chiesa italiana nel recente passato, hanno seminato confusione e opportunismi.
Oggi il clima è diverso, dal Vaticano, alla Cei, alle parrocchie, ai movimenti, Comunione e Liberazione di don Carron in testa. Papa Francesco incanta il mondo restando saldo sulla strada maestra della Chiesa, ma ammonendo che essa va percorsa da «tutti i peccatori», senza barriere o protezionismi dell’anima.
Il grido neo francescano «Chi sono io per discriminare quel peccatore…?» commuove le anime, ci parla di fratellanza per chi non condivide la nostra etica, la nostra condotta personale.
Insomma la scommessa di Alfano è perdente nella tattica della politica e disastrosa nella strategia dei valori.
E — se ci possiamo permettere – stride anche con la sua personalità , che non ha rivelato finora il difetto dell’astioso settarismo.
Gianni Riotta
(da “La Stampa“)
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