Marzo 28th, 2014 Riccardo Fucile
OBAMA PRIMA AMMIRA PAPA FRANCESCO, POI VEDE A QUATTR ‘OCCHI IL “CARO AMICO” NAPOLITANO…. INFINE DIALOGA CON IL PREMIER CHE SI APPROPRIA DELLO SLOGAN “YES WE CAN”
“Il Presidente Obama non è solo il presidente degli Usa, ma per me una fonte di ispirazione”. Cravatta rossa, abito scuro, aria decisamente emozionata, per non dire impacciata, Matteo Renzi introduce ai giornalisti italiani e americani nella sala di Villa Madama Barack Obama.
Poche parole in un inglese scolastico che appare più stentato di altre volte.
Il momento è solenne, l’impatto sul giovane premier è forte. Accanto a lui c’è il Mito. Quello dal quale ha cercato di copiare lo stile, il look, anche “il format” nelle campagne per le primarie.
Stare vicino al mito che, magrissimo sembra alto il doppio di lui, non è facile. “Yes we can, oggi vale anche per noi”.
Insomma, è un po’ come il “#cambiaverso”
Matteo stenta a trovare una cifra. Ci prova con le battute.
Il Mediterraneo, per esempio, da “Mare nostrum” diventa “our sea”.
Non proprio una traduzione esatta, ammette lo stesso Renzi.
Insiste perchè Barack veda le bellezze di Roma e mangi del buon cibo. Ma più che altro è concentrato sull’impatto che ha sull’altro
Obama ricorda che Renzi “venne alla Casa Bianca da sindaco, ora sono ansioso di accoglierlo come premier”. Cortese, gentile.
Ma le parole più forti sono per Napolitano: “Per fortuna l’Italia ha un grande statista”. Renzi lo guarda, si muove, rotea gli occhi. Guarda la sala.
Barack gli fa la sua apertura di credito: “Sono colpito dall’energia e dalla grande visione che Matteo ha portato al suo incarico. C’è una serietà , un’ambizione: sarà tutto positivo per l’Italia, ma anche per l’Europa”. Matteo si rilassa
I due nel bilaterale si sono parlati per un’ora. Renzi era ansioso di convincere, anche per rafforzarsi sul fronte interno. Ha parlato soprattutto delle riforme costituzionali e del jobs act (come dice in conferenza stampa “l’abbiamo mutuato da lui”).
Il presidente americano ha ascoltato.
Incuriosito e disposto a concedere un po’ di credito al ragazzo che ha di fronte. Non fosse altro per la giovinezza.
Gli avrebbe addirittura detto: “Se ce la fai, per l’Europa, diventi un modello”.
Ma se con Hollande Renzi era disinvolto, con la Merkel giocava la carta della novità e della simpatia, davanti a Barack sembra il fratello minore.
Il presidente degli States è venuto a Roma per conoscere il Papa e parla quasi solo di lui (“Sono un suo grande ammiratore”).
Ci tiene a brillare della luce riflessa di Bergoglio, almeno quanto Matteo ci tiene a rifulgere della sua.
Il premier non usa l’auricolare per la traduzione . Doppia concentrazione: per seguire il ragionamento e per capire fino a che punto l’altro lo sdogana
“Mi fido del premier”, dice Obama. A proposito delle riforme, ma soprattutto delle misure sul lavoro, perchè è importante aiutare i giovani ad entrare nel mercato. Finalmente. Renzi fa sì con la testa, annuisce.
Ogni tanto, gli esce qualche smorfia. Sulle spese per la difesa la prende alla larga. “Non possiamo lamentarci del dolore del mondo se non ce ne facciamo carico. Ma verificheremo i nostri budget”.
Addio al taglio degli F35? Rispondendo all’ultima domanda, comincia in inglese, poi passa all’italiano perchè “la stampa italiana deve aver chiaro il concetto”: “La nostra economia è in grado di affrontare gli impegni in Ucraina e anche una crisi energetica”. E poi, parte con la generosità degli americani durante la Seconda guerra mondiale per spiegare che le scelte di politica internazionale non dipendono da “mere ragioni di politica economica”
Il tentativo finale di prendersi la scena per 3 minuti, mentre ribadisce che l’Italia non è “la Cenerentola d’Europa”.
Barack lo guarda gesticolare e per la prima volta sorride. Foto finale. Matteo non sa quanto si può avvicinare.
Ma Barack lo circonda con il braccio, sorride a 360 gradi.
È lui il Presidente.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 28th, 2014 Riccardo Fucile
INTERVISTA A SAITTA, PRESIDENTE DELL’UNIONE PROVINCE ITALIANE: “UNA RIFORMA INCONCLUDENTE, FINGE DI CAMBIARE TUTTO PER NON CAMBIARE NULLA”
«Burocrazia batte Renzi 2-0».
Nonostante la congenita mitezza da ex democristiano, Antonino Saitta, presidente pd della Provincia di Torino e dell’Unione delle Provincie italiane, si è sempre immedesimato con un certo vigore nel ruolo di pasdaran di una istituzione con problemi di immagine.
Nell’inverno del 2012 giunse anche a ipotizzare la trasformazione delle scuole in frigoriferi mediante chiusura del riscaldamento, in segno di protesta contro i tagli per 500 milioni apportati dall’allora governo Monti.
L’apparente sconfitta di ieri non ne abbatte il piglio combattivo e una certa coerenza.
«Resto orgoglioso di aver combattuto una battaglia razionale nel momento in cui la razionalità è un bene che anche il mio partito mette da parte a favore di proclami che celano il vuoto. Fingere di cambiare tutto per non cambiare nulla».
Abolizione gattopardesca?
«Ma quale abolizione, è solo un bel titolo per i giornali. Ma dietro non c’è niente. Il governo ha scelto di farsi prigioniero di un annuncio»
Non è comunque un inizio?
«Di cosa? Questa riforma non tocca nulla dell’apparato statale. Una riforma inconcludente, confusa, che non abolisce nulla. I grandi burocrati e i prefetti ieri sera hanno brindato felici»
Aveva idee migliori ?
«Il governo Monti aveva agito in modo più serio accogliendo in buona sostanza la proposta del dimezzamento delle Province, unito all’accorpamento degli uffici periferici dello Stato. Prefetture, questure, provveditorati, motorizzazioni. Quella era la strada giusta»
Perchè non se ne fece nulla ?
«L’ostilità della burocrazia di Stato, unita a qualche localismo assortito»
Cosa rimprovera a Renzi ?
«Ha aggirato un problema invece di risolverlo. Quindi ne ha creati altri. Fosse andato alla radice, come intendeva fare Monti, accorpando Provincie, uffici statali e funzioni di oltre 7.000 società pubbliche, avrebbe risparmiato 5 miliardi. Adesso, se va bene, i tagli si fermano a 32 milioni di euro. Briciole spacciate per un lauto pasto»
Lei è un bieco conservatore
«Tutt’altro. Ero e sono consapevole del fatto che fosse necessario cambiare. Ma per me la politica è governare i processi, realizzarli per davvero, senza fermarsi alla propaganda e all’immagine»
Proprio nulla da salvare ?
«Ma anche nulla da gettare. A parte l’addio all’elezione diretta dei presidenti, la presunta riforma mantiene tutto così com’è. L’unico risultato concreto di tanto furore abolizionista è l’abbandono dell’altra Italia, quella dei piccoli e medi Comuni, a favore delle grandi città . Ma il capoluogo non è tutto. E comunque, sai che gran rivoluzione»
Niente di personale ?
«Io sono alla fine del mio mandato e non avrei potuto ricandidarmi. Continuerò comunque a combattere questa battaglia complicata ma giusta. Anche a costo di sembrare l’ultimo giapponese nella giungla delle province».
Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 28th, 2014 Riccardo Fucile
“NON TUTTI VOGLIONO BENE A PAPA'”… EUROPEE, PASSA LA LINEA FITTO
La guerra è fredda, ma non tarderà a esplodere, come sanno tutti dentro Forza Italia. Soprattutto se, con le misure cautelari, la stella di Silvio Berlusconi si inabisserà più velocemente di quanto lui stesso abbia preventivato.
È la guerra di successione, politico-dinastica stavolta, della quale fuori dal perimetro di Villa San Martino ad Arcore si intravedono già le scintille.
Che ne sarà della leadership dopo il 10 aprile?
E cosa dopo l’eventuale tracollo elettorale delle Europee in assenza di un Berlusconi in lista?
Chi gestirà Forza Italia quando lui sarà sotto vincoli?
La faccenda è «familiare» molto più di quanto appaia all’esterno. Barbara in queste ore – raccontano da Milano – non ha affatto archiviato il sogno di seguire le orme del padre sulla via del partito, dopo aver intrapreso quella che l’ha portata ai vertici del Milan.
«Mio padre è circondato da troppa gente che non gli vuole bene, dentro Forza Italia e purtroppo anche in azienda» va ripetendo la giovane manager a chi le chiede cosa intenda fare. Un entusiasmo e una foga che si sono infrante contro l’asse formato dai due figli di prime nozze, Marina e Piersilvio.
«Io e lei ci consultiamo ogni giorno, su tutto» sottolineava ancora ieri il vicepresidente Mediaset a proposito dell’intesa con la sorella maggiore, nell’intervista al Corriere con cui non escludeva in futuro anche un proprio impegno in politica («Mai dire mai»), stroncando invece quello dell’altra sorella, Barbara.
Eventualità picconata del resto proprio da Marina, che ha lavorato ai fianchi il padre per settimane.
La presidentessa Mondadori non vuole per il momento a «sacrificarsi» in prima persona, ma non per questo è disposta a cedere lo scettro della leadership politico-familiare alla sorella più piccola.
Non è un caso se Francesca Pascale, non più tardi di una settimana fa, intervistata da Repubblica, ha sponsorizzato una «discesa in campo» della stessa Marina.
Se attorno al patriarca si è stretto come mai in passato un «cerchio magico» composto proprio dalla Pascale, da Maria Rosaria Rossi, da Alessia Ardesi, sotto la consulenza politica di Giovanni Toti (espressione dei big aziendali Confalonieri e Crippa), è solo perchè appunto Marina e Piersilvio lo hanno consentito. Un filo li lega tutti, in questa storia.
Certo è che il tanto annunciato vertice familiare previsto domenica scorsa per riunire tutti i cinque figli nella sala da pranzo di Villa San Martino e spegnere le polemiche, è saltato. Sostituito da un doppio appuntamento che ha dato la visione plastica della spaccatura dinastica in corso.
Domenica sera hanno cenato col padre Barbara, Eleonora e Luigi, figli di Veronica.
Mentre lunedì, al consueto pranzo-briefing con le aziende, c’erano i soliti Piersilvio e Marina.
Il clima è un po’ questo, da fratelli coltelli.
Ecco allora che qualsiasi scelta compiuta adesso dall’ex premier farebbe saltare il tavolo ei delicatissimi equilibri familiari.
«Non possiamo dare l’impressione di fare investiture dinastiche» ha tagliato corto con gli uni e gli altri Berlusconi nei giorni scorsi, congelando di fatto la partita. Ci sono cose più «serie», come gli affari, da portare avanti.
Con Mediaset che giusto ora è tornata a produrre profitti (8,9 milioni nel 2013), a dispetto del rosso del 2012, e che ha acquistato i diritti della Champions League fino al 2018 per la cifra record da 700 milioni.
Sul simbolo per le Europee campeggerà il cognome, per mantenere il brand nel simbolo di Forza Italia, è stato confermato ieri nella prima riunione dell’ufficio di presidenza a Palazzo Grazioli.
Ma in pochi sono pronti a scommettere che sia rimasto il cognome (e non il nome) per lasciare uno spiraglio alla candidatura di uno dei figli in vista del 25 maggio.
«Quella carta è chiaro ormai che verrà giocata, ma non subito, alle politiche » spiega un big che frequenta la famiglia.
Per il momento, per evitare altre fratture al partito, Berlusconi cede alla linea dettata da Raffaele Fitto. Saranno consentite le candidature alle Europee anche dei parlamentari. Tenuti a dimettersi dopo l’eventuale elezione (e non prima, come pure era ipotizzato nella stesura originaria del discorso che il leader legge ad apertura).
«Abbiamo bisogno di liste forti, chi vorrà candidarsi potrà farlo» dice il leader dando il via al plebiscito dei 64 presenti su 67 (mancano Stefania Prestigiacomo, Paolo Bonaiuti e Gianfranco Rotondi).
Dal disco verde alle Europee resteranno esclusi, come già alle Politiche, Claudio Scajola e Nicola Cosentino
Certo è che il «liberi tutti» ha già aperto la corsa dei pochi che possono vantare un patrimonio elettorale da investire, pronti a blindarsi al sicuro per i prossimi cinque anni a Bruxelles, lontano dalle sabbie mobili del berlusconismo in declino.
Non solo Fitto, ma si muovono anche Saverio Romano e Gianfranco Miccichè in Sicilia, Salvatore Cicu in Sardegna e tanti altri ci stanno pensando.
L’ex Cavaliere prova a motivare i suoi, li chiama a un’«opposizione d’ora in poi più incisiva al governo Renzi, alla vigilia delle Europee».
Chi resta a Roma pensa piuttosto a quel che ne sarà di Forza Italia e di ciascuno di loro dopo il 10 aprile (o il 18 secondo alcuni), quando il Tribunale di sorveglianza di Milano deciderà su domiciliari o servizi sociali. La corsa al “si salvi chi può” è già cominciata.
Tutti si preparano al peggio.
Non solo Nicolò Ghedini e Maria Rosaria che si sarebbero divisi i compiti, eleggendo il primo domicilio ad Arcore, la seconda a Roma, per ogni evenienza.
Sulle spoglie del partito, su chi dovrà gestirlo e decidere sulle liste si è consumato uno scontro brutale tra la cerchia ristretta che marca a uomo il capo e la vecchia guardia.
Due correnti nel partito.
La prima composta dalla fidanzata Pascale e la Rossi, lo stesso Ghedini, e le menti più politiche, Giovanni Toti e il capogruppo al Senato Paolo Romani (che ieri in ufficio di presidenza ha tentato una mediazione per il momento accolta: «Diamo a Berlusconi la delega a creare liste forti »).
Il secondo gruppo è composto da Denis Verdini e Daniela Santanchè, da Fitto e Saverio Romano, ma anche da Mara Carfagna.
Hanno vinto i primi, per ora, stoppando intanto la corsa di Barbara e arginando Verdini, nonostante sia il regista dell’intesa con Renzi.
Ma la conta interna delle Europee, le prime senza Berlusconi, aprirà scenari inedit
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Marzo 28th, 2014 Riccardo Fucile
LUSSO E BUSINESS TRA PLAYA DEL CARMEN ED EMIRATI… MA FERMATA PER RISSA IN MESSICO
Non serve avere letto i classici per diventare investitori. Basta poter vantare una danza del ventre «con gli abiti di Gheddafi», o un passato da cubista nei night.
Soprattutto basta essere stata la femme fatale del “bunga bunga”, o Rubygate – dal suo nome – , lo scandalo sessuale che ha segnato una pagina di storia della Repubblica italiana e sancito il tramonto politico di Silvio Berlusconi.
Ma la “nuova” Karima El Mahroug, alias Ruby Rubacuori, pare la prova vivente dell’applicabilità di due aforismi: “ Homo faber fortunae suae” (“l’uomo è l’artefice delle sue fortune”, Appio Claudio Cieco); e “il denaro è meglio della povertà , se non altro per questioni finanziarie” (Woody Allen).
Case e ristoranti. Conti correnti. Viaggi, hotel e cene di lusso. Abiti, scarpe, gioielli, orologi. Stylist personali.
E un nuovo buen retiro dorato in Messico, a Playa del Carmen: “Casa Sofia”, dal nome della figlia.
L’ultimo anno della ragazza che secondo i giudici della IV sezione penale di Milano fece sesso mercenario con Berlusconi quando era ancora minorenne, è la storia di una corsa allo shopping.
Da Dubai al Messico passando per Milano. Dodici mesi dopo lo show sulle scale del Palazzo di Giustizia milanese («ho raccontato bugie a Silvio per costruirmi una vita lontana dalla povertà »), Ruby rispunta lontano dall’Italia.
In una veste inedita. Soprattutto finanziaria.
Niente understatement, il profilo basso non è mai stato il suo forte e lo confermano le ultime foto su Fb: tra sceicchi, corone, party, boutique stellate, spiagge e mari cristallini.
È la solita Ruby con una sola, sostanziale differenza: la vita adesso è davvero «lontana dalla povertà ». Per le banche Karima El Mharoug è una cliente «interessante»; broker e venditori se la contendono negli Emirati Arabi come in America e lei, che sprovveduta non è mai stata, valuta come e dove spalmare i suoi soldi.
Un patrimonio che, giura chi l’ha assistita in alcune operazioni, è molto di più di un gruzzolo.
Di certo più di quanto possa avere risparmiato un’ex entreneuse 21enne scappata di casa, alla quale Berlusconi – ha dichiarato lui – dava soldi «perchè non si prostituisse» (in alcune telefonate intercettate dalla Procura di Milano Ruby parla di una trattativa per ricevere dall’ex premier «5 milioni» in cambio del silenzio sulle notti di Arcore e di «sembrare pazza» ai magistrati; quando il 16 maggio 2013 i pm le chiedono conto della vanteria lei dice: «Era una cavolata». Ma non può smentire un appunto sequestrato nel quale scrive «4,5 milioni da B.»).
Repubblica è in grado di ricostruire, con testimonianze, l’ultimo segreto di Ruby. Transita da un gigante di vetro e mattoni nella zona di Al Barsha, Downtown Burj, Dubai. Il Mall of Emirates è un enorme centro commerciale.
La banca è la National Bank of Abu Dhabi (filiale di Dubai), uffici all’interno del mall.
Novembre 2013: la donna che si presenta per aprire un conto è nata a Fquih Ben Salah, in Marocco, il 1 novembre 1992.
Si chiama Karima El Mahroug. Professione: «artista-show girl».
La registrano così nel cervellone bancario. Ruby non è sola negli uffici della NBAD. Ad accompagnarla c’è un uomo. È il suo contatto a Dubai. La presenta e la introduce. Le ha organizzato il viaggio da Milano.
Ruby vola assieme a Sofia – la figlia di due anni e mezzo avuta dal marito Luca Risso (lui ora vive in Messico) – e la madre di quest’ultimo.
L’uomo a Dubai si chiama Tufan Moussavi, tra un po’ vedremo chi è. Intanto racconta: «Ruby mi chiama. Ci conosciamo dai tempi di Genova. Amici. Mi dice che vuole venire a Dubai. Penso a tutto: visto di ingresso, biglietti aerei, hotel 5 stelle lusso. Perchè si rivolge a me? Vuole investire. Mi dice che ha un capitale: soldi suoi, di cui Risso non è a conoscenza. Vuole aprire un conto qui e acquistare immobili. Valore complessivo: 2 milioni».
Come ha guadagnato Ruby quei soldi? Sono bastate le ospitate in discoteca e i servizi fotografici post bunga-bunga?
Prima di tornare negli uffici della NBAD, vediamo chi è il “gancio” arabo di Karima. Trentaquattro anni, iraniano, trapiantato a Imperia – il padre è medico – Tufan Moussavi vive negli Emirati da dieci anni.
La buona gioventù discotecara che spende e spande nei privè di St Tropez e Miami lo conosce come The Prince.
Moussavi lavora sodo, ma ama divertirsi e non fa niente per nasconderlo. Frequenta un giro di sceicchi, play boy e starlette.
«Anche se vado a letto all’alba, alle 8 sono già attaccato al Blackberry a lavorare».
Nel 2006 finisce nelle cronache per una lite in strada con la fidanzata: arrestato dai carabinieri, viene condannato per lesioni.
Poi la vita risale sull’ottovolante. Un tipo vulcanico, Tufan. Mestiere «manager pr». Fa guadagnare i ricchi e i ricchi fanno guadagnare lui.
Piazza auto di lusso (Carrozzeria Viotti) ai bilionari. Il cliente più facoltoso di Moussavi è un amico: Mohammed Habtoor, rampollo degli Habtoor di Dubai nonchè ad e vicepresidente di Habtoor Group: mega holding che opera in vari rami, il solo ramo mattone fattura 30 miliardi di dollari l’anno. Habtoor jr, dunque. L’erede colleziona flirt (Naomi Campbell, Valeria Marini, Manuela Arcuri) ed è un buon ospite. Generoso con tutti.
Tufan gli presenta Ruby. «Non sapevo nulla di lei e della sua vicenda. Da noi passano tante persone e cerchiamo di fare starle bene, leader e capi di Stato compresi», ricorda Habtoor.
Torniamo in banca. Per Karima El Mahroug l’emirato è il posto ideale dove investire. Tufan la collega al meglio su piazza. Loro, i potentissimi Habtoor.
L’istituto di credito con cui lavora da sempre il gruppo che fa capo a Khalaf Al Habtoor, è proprio la NBAD.
Per Ruby si apre l’ufficio del direttore. E un conto: «Saving no resident». Conto per non residenti. «For investment». Chiosa un funzionario che vuole restare anonimo: «A Dubai puoi portare fino a 10 milioni e a nessuno interessa sapere chi sei. Oltre quella cifra, devi dichiarare i tuoi piani». Eccoli.
«Ruby vuole comprare case per un valore complessivo di 10 milioni di dirham, 2 milioni di euro – spiega Moussavi – . Il piano prevede l’acquisto di tre appartamenti. Uno alla Marina di Dubai e due downtown. Tre “salvadanai”, come tutti gli immobili qui».
Da dove arrivano i soldi da “spostare”? Moussavi dice che quello che può dire si ferma a una soglia: inutile insistere per fargliela superare.
«Dalle informazioni che ho, il trasferimento doveva essere effettuato da una banca di un paese extraeuropeo». Punto.
Chi garantisce per Ruby? Qual è l’istituto di credito «non europeo»? «Abbiamo visionato molti immobili», continua l’italo-iraniano. Alcuni le sono stati offerti da Habtoor Properties, come conferma il responsabile, Athanasios Belitsas.
«La signora ci ha comunicato il suo budget e abbiamo cercato soluzioni adeguate». Altri da Damac e Emaar, altri due colossi delle costruzioni. Sopralluoghi, stime. Rubacuori guarda e annota. Apre il conto.
Ma le operazioni, alla fine, non si perfezionano. «Forse qualcuno le ha detto di fermarsi. O forse era più interessata ai negozi», ricorda Moussavi. Già .
In due settimane Ruby si distingue per la fame di acquisti. Passa i pomeriggi nelle boutique delle griffe. Poi i pranzi all’Armani Hotel, cene e feste fino all’alba nella “Villa Romana” all’interno dell’Habtoor Grand Hotel.
Tra after party, Rolls Royce, fuochi di artificio, statue di ghiaccio, la ragazza del “bunga-bunga” si fa fotografare con corona e scettro da regina. Si lancia tra i grattacieli col paracadute. Balla, intrattiene. E compra, sempre. Moussavi si aspetta «almeno un contegno». E invece? «Ha avuto atteggiamenti sopra le righe. Fino al giorno della partenza. Per il Messico».
Qui si apre la fase due di Ruby «lontana dalla povertà ».
Dalle torri di Dubai a Playa del Carmen. La perla messicana dove Karima vuole trasferirsi e dove, pochi giorni fa, è protagonista di una furibonda lite con il marito Luca Risso.
Interviene la polizia, per calmarla gli agenti devono ammanettarla. Ma partiamo dall’inizio. Il primo assaggio con Playa del Carmen risale a dicembre 2012.
Tutti cercano Ruby, anche i giudici. Sparita? Macchè.
«Sono in vacanza con mio marito e mia figlia», annuncia a un settimanale. Perchè proprio Playa del Carmen? A spianare il terreno, fuor di metafora, è Risso.
Sembra un secolo fa da quando l’ex finanziere amico di Lele Mora viene folgorato dall’esuberanza di quella giovane marocchina che mima orgasmi sul palco del “Fellini”, uno dei locali di Risso.
Scoppia lo scandalo dei festini chez Berlusconi. «È una brava ragazza, solo un po’ viziata», fu la dichiarazione d’amore di Luca.
Nel 2011 si sposano a Miami e nasce Sofia Aida. I giorni post Rubygate spunta l’idea di «andare a vivere lontano». Lontano da Arcore, dai giudici, da chi, carte giudiziarie in primis, dipinge Ruby come una prostituta.
Inizio 2014. Va in scena la Karima messicana. Foto al mare, in spiaggia, in sella a un quad. Sul cantiere della villa affacciata sulla baia. Una casetta da 1,5 milioni. È solo una parte di un investimento. Perchè Ruby fa business.
Si chiama «Casa Sofia» ed è il ristorante-resort che la coppia Marough-Risso sta realizzando. Nell’avventura imprenditoriale c’è anche un socio, Matteo Molinaro.
È un 37enne napoletano, amico di Risso. Uno degli imprenditori che nell’ultimo anno sono entrati nell’orbita-Ruby. Pronti a fare affari con la ragazza marocchina.
Il posto di consigliera spetta a una delle persone più vicine. Si chiama Fausta Viglialoro, 50 anni, calabrese di Laureana di Borrello. Vive tra Milano e Genova e disegna «gioielli d’arte con pietre preziose», marchio Myosotis.
Ma Fausta si da’ da fare anche nel settore del mattone. «È la persona che Ruby ascolta di più», dice un amico. Il feeling scoppia a Dubai. Da allora, inseparabili.
È Fausta a convincere Ruby a investire nelle case. Lontano dall’Italia.
Nel Paese che l’ha resa celebre e allontanata dall’indigenza, Karima cerca di stare il meno possibile. A Milano ha solo una «base». Un appartamento in affitto, 4 mila euro al mese. È quel che basta e quel che serve, perchè, dice lei, «in questa città ho avuto tanti casini, ma ho ancora tanti amici».
Paolo Berizzi
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Marzo 28th, 2014 Riccardo Fucile
L’AMMINISTRATORE ERA IL BRACCIO DESTRO DI RENZI: “SOLDI ELARGITI SENZA CRITERI OGGETTI A INIZIATIVE DEL COMUNE”
Un danno erariale da 520 mila euro: è quanto la Corte dei Conti contesta alla società Firenze Parcheggi, controllata dal Comune, per l’anno 2011 quando amministratore era Marco Carrai, nominato direttamente dall’amico sindaco Matteo Renzi.
Anno in cui Carrai paga l’affitto dell’appartamento in via degli Alfani 8 dove l’attuale premier ha vissuto per tre anni, prendendo la residenza, fino allo scorso gennaio.
I giudici della Corte dei Conti contestano 520 mila euro (oltre il 5 % del fatturato totale dell’azienda nel 2011) elargiti “senza criteri oggettivi ” a fondazioni e iniziative del Comune.
Con Carrai potrebbero essere chiamati a risarcire la cifra anche il presidente Carlo Bevilacqua e altri 6 componenti del Cda.
L’inchiesta è partita a seguito di un esposto presentato da Giovanni Galli, oggi consigliere comunale e nel 2009 candidato sindaco contro Renzi.
Tra le elargizioni contestate in particolare quelle alla Fondazione Maggio Musicale e alla Fondazione Palazzo Strozzi presieduta da Lorenzo Bini Smaghi.
Firenze Parcheggi chiuse il 2011 con una perdita di quasi 1,5 milioni di euro.
(da “il Fatto Quotidano”)
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Marzo 28th, 2014 Riccardo Fucile
GRANDE SUCCESSO NELLA VENDITA ALL’ASTA DELLE PRIME AUTO BLU DA PARTE DEL GOVERNO
Grande successo per l’iniziativa del governo Renzi di mettere all’incanto su eBay un primo stock di 151 auto blu.
I fortunati vincitori dell’asta già sfrecciano al volante delle loro fiammanti ammiraglie e si dicono soddisfatti per l’acquisto appena fatto.
I prezzi modici (base d’asta 5 mila euro) compensano ampiamente alcuni piccoli inconvenienti: le auto pesano pressappoco quanto un carrarmato Lince, bevono più carburante di un Concorde, attirano l’attenzione dei passanti che, credendole ancora popolate di politici, lanciano ortaggi e sputano a vista. Ma non solo.
La Bmw 525 appartenuta prima a Cesare Previti e poi a Lorenzo Cesa presentava una fastidiosa gobba sul sedile di guida.
Da un controllo effettuato in carrozzeria, si è poi appurato trattarsi di una mazzetta nascosta sotto il rivestimento in similpelle e ivi dimenticata da almeno 15 anni (le 700 banconote erano in lire).
L’Alfa 166 in dotazione per alcune settimane all’ex sottosegretario Gianfranco Miccichè aveva i portacenere pieni di polvere. L’ingenuo acquirente, credendola cenere di sigaretta, l’ha fatta ripulire all’autolavaggio. Solo diverse ore dopo, quando i due cani lupo che l’accompagnavano nel bagagliaio sono stati ricoverati per overdose, ha scoperto con rammarico l’occasione perduta.
La Lancia Thesis che fu di Vittorio Sgarbi presenta un disguido all’impianto stereo: sintonizzandosi su un canale di musica da camera, la nuova proprietaria e la figlioletta reduce dall’asilo sono state investite da un concerto polifonico di “vaffanculo, testa di cazzo, faccia di merda, troia, rottinculo, capra”.
Stesso problema all’autoradio per la LanciaThema di Napolitano: il neoproprietario, un noto playboy, tenta di metter su un po’ di discomusic da acchiappo, ma è regolarmente sommerso da moniti sull’Unità d’Italia e le riforme istituzionali che addormentano le sue prede o le mettono in fuga.
La Maserati V8 usata da Bruno Vespa ha richiesto la sostituzione dell’acqua del tergicristalli: azionando lo spruzzo sul parabrezza impolverato, ne usciva un liquido viscido, tipo bava di lumaca.
La Lancia K della neosottosegretaria Francesca Barracciu è in perfetto stato di conservazione, salvo un guasto al conta-chilometri che aggiunge sempre due zeri in fondo alla cifra reale.
L’Audi 8 di Berlusconi, superaccessoriata con tutti i comfort, presenta però due bizzarrie: i sedili posteriori e anteriore destro sono fissi in posizione reclinata e non c’è verso di raddrizzarli, e il cambio presenta una strana conformazione fallica. Il cardinale che se l’è aggiudicata ha deciso però di lasciare tutto com’era.
La Jaguar Luxury già in uso a Cosimo Mele era fra le più richieste: se l’è accaparrata un monastero di clausura. Imbarazzo fra le monache quando, rimuovendo i tappetini per lavarli e stenderli in giardino, sono affiorati alcuni preservativi usati.
La Volvo S80 di Marcello Dell’Utri presentava gravi disfunzioni ai pedali di frizione, freno e acceleratore. Si è poi scoperto che erano bloccati dalla presenza di una lupara incastrata lì sotto.
La Fiat Croma di Nichi Vendola ha richiesto robusti interventi al tubo di scappamento: ne uscivano fumi pestilenziali riscontrati soltanto nel circondario dell’Ilva di Taranto.
La Volkswagen Phaeton di Roberto Formigoni, a parte i rivestimenti interni leopardati su sfondo bicolore celeste e fucsia, ha suscitato vivaci dibattiti anche per la cromatura della carrozzeria: è l’unica auto blu inspiegabilmente di color marrone.
Nessun acquirente, al momento, per le vetture di papa Francesco (una Ford Focus del 1998, disertata anche dai ladri d’auto), di Claudio Scajola (una Subaru Colosseum che si mette in moto e parte da sola, all’insaputa del proprietario), di Massimo D’Alema e Matteo Renzi (il pilota automatico è programmato su tre sole destinazioni obbligate: Palazzo Grazioli, Villa Certosa e Arcore).
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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