Destra di Popolo.net

MOSE, GIUNTA AUTORIZZAZIONI DICE SI’ ALL’ ARRESTO DI GALAN

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

L’EX GOVERNATORE DEL VENETO E’ ACCUSATO DI CORRUZIONE, MARTEDI DECIDERA’ L’AULA DI MONTECITORIO…. A FAVORE PD, LEGA, SCELTA CIVICA, SEL E M5S… CONTRARI FI, NCD E PSI

La Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati ha votato a favore della richiesta di custodia cautelare avanzata dai giudici, nell’ambito dell’inchiesta Mose, nei confronti dell’ex ministro Giancarlo Galan.
I voti a favore sono stati 16, mentre i contrari 3.
Il presidente della Giunta, Ignazio La Russa, non ha votato.
A favore dell’arresto si sono espressi Lega, Pd, Scelta Civica, Sel e Cinquestelle. Contrari, Forza Italia, Ncd e Psi.
Il relatore Mariano Rabino, di Scelta Civica, aveva dato parere favorevole escludendo la presenza di fumus persecutionis da parte dei magistrati nei confronti di Galan. L’ultima parola spetta all’Aula di Montecitorio che si esprimerà  martedì 15 luglio.
Non è escluso che qualche forza politica possa chiedere il voto segreto.
La richiesta di arresto di Galan è arrivata lo scorso 4 giugno, nell’ambito di un’operazione che ha portato all’arresto di 35 persone, tra cui l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni e l’ex assessore alle Infrastrutture del Veneto, Renato Chisso.
L’ex ministro è accusato di aver ricevuto fondi illeciti per milioni di euro dal Consorzio Venezia Nuova (Cvn) nell’ambito della realizzazione delle opere del Mose, progetto di dighe mobili ideato per difendere Venezia dall’acqua alta.
Pochi giorni fa l’ultimo arresto eccellente, quello di Marco Milanese, ex deputato Pdl ed ex braccio destro del ministro Giulio Tremonti, accusato anche lui di corruzione nell’ambito della stessa inchiesta.
L’ex governatore del Veneto ha sempre proclamato la sua innocenza, negando di aver mai ricevuto soldi dal Consorzio Venezia Nuova e smentendo di avere “18 conti correnti” e “affari in Indonesia sul gas”.

(da “La Repubblica“)

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NEI GRILLINI PROCESSO A DI MAIO: “AL VERTICE COI DEM VADA UN ALTRO”

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

GRILLO ATTACCA: “IL PATTO DEL NAZARENO? SALVACONDOTTO PER BERLUSCONI”

Sono le undici di sera, i deputati grillini sono riuniti ormai da un paio d’ore, hanno avuto tempo di discutere di vari provvedimenti in discussione.
Ma il vero cuore dell’incontro, la notte di martedì alla Camera, è la discussione su quello che scuote il Movimento e che, per la prima volta, vede accomunati nel malessere dissidenti e ortodossi.
Prendono la parola in tanti, ed è un coro di richieste di chiarimenti: toni pacati, ma contenuti sferzanti.
Perchè tutta la trattativa con il Pd la sta conducendo Di Maio?
Chi ha deciso di aprire ai dieci punti? «Non ne posso più di questi giochetti», interviene il dissidente Walter Rizzetto.
A difendere Di Maio si alza una sola voce, l’altro enfant prodige del Movimento, Alessandro Di Battista, che invita a fidarsi l’uno dell’altro.
Lui, il vicepresidente della Camera al centro delle polemiche, lascia sfogare tutti e ascolta.
Poi prende la parola, rassicura, spiega che la linea è stata decisa di concerto con Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio consultati al telefono.
E reagisce anche alle accuse di chi lo considera un po’ il «cocco» dei due fondatori: c’è chi li sente tutti i giorni, molto più di me, si difende.
Chi? Mistero.
Una difesa che ha convinto i colleghi infastiditi da tanto solitario protagonismo? «Mica tanto», sospira un dissidente.
Qualcuno, fra loro che per primi chiesero un confronto col Pd ma senza successo, sono oggi perplessi davanti a tanta inquietudine dei «lealisti» da sempre.
«Quando eravamo in due o tre a dire che il metodo non andava bene, eravamo noi a sbagliare…», ricorda Rizzetto. «Ma gli ortodossi lo capiscono ora che viene deciso tutto dall’alto?», sospira un’altra da sempre dialogante, Paola Pinna.
«Certo una cosa è la leadership di Casaleggio, che entrando nel Movimento uno può anche accettare, altra cosa quella di Di Maio: noi lo abbiamo votato vicepresidente della Camera, non segretario del partito», aggiunge.
Nel tardo pomeriggio, c’è un lungo colloquio, nel cortile di Montecitorio, tra Di Maio e Rizzetto.
Poi il vicepresidente sale al primo piano a incontrare i membri delle Commissioni affari costituzionali, e la voce che si diffonde è che, chissà , magari si potrebbe pure cambiare squadra in occasione del prossimo incontro col Pd, visto che uno vale uno.
Un incontro che comunque la settimana prossima dovrebbe tenersi, benchè, ha sottolineato il dem Guerini, dentro al perimetro del patto del Nazareno tra Pd e Forza Italia.
«Il problema è che nessuno conosce questo perimetro», attacca dal blog Beppe Grillo, che avanza «congetture» su cosa possa contenere, senza usare eufemismi: «Il patto è un salvacondotto per il c… di Berlusconi che in cambio garantisce il suo appoggio al governo e al disegno controriformista di Napolitano».
Tuttavia, l’apertura dei Cinque Stelle resta in piedi: scherza Di Maio, «aspettiamo il piccione viaggiatore del Pd…».

Francesca Schianchi

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RIFORMA SENATO, SALTA L’ACCORDO, SPUNTA LA GRANA DELLE LISTE, SI OPPONGONO LEGA E NCD

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

PROBABILE LO SLITTAMENTO A LUNEDI DELL’ESAME IN AULA

Problemi per le riforme.
All’ultima curva del pecorso del ddl Boschi, il provvedimento sbanda: resta ancora in carreggiata, ma è costretto a rallentare rispetto ai tempi previsti.
La Commissione Affari Costituzionali del Senato è tornata al lavoro questa mattina per concludere l’esame del disegno di legge.
Pare però impossibile che arrivi in aula nel pomerigigio, come sperava il governo. Più probabile un rinvio a lunedì.
«Così non va, non c’è accordo. A questo punto andiamo in Aula lunedì e lì scioglieremo i nodi».
Sempre più in salita la riforma del bicameralismo. Il correlatore alla riforma, Roberto Calderoli – a margine dei lavori della Commissione Affari costituzionali del Senato – ha annunciato un nuovo stop nella discussione del cosiddetto «Ddl Boschi».
Già  mercoledì sera si erano avuti segnali di un cammino ancora tutto in salita quando il ministro Maria Elena Boschi, i relatori Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli hanno deciso di far passare la nottata prima di licenziare il provvedimento per l’Aula.
Ora il nuovo stop.
Parlando con i cronisti, Calderoli ha spiegato che sia lui che diversi senatori della maggioranza contestano la formulazione dell’emendamento sull’elezione dei senatori da parte dei consigli regionali.
L’emendamento era stato scritto dopo un incontro tra il governo e il capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani.
«L’emendamento – ha spiegato Calderoli – da una parte prevede l’elezione su base proporzionale dei senatori da parte dei consigli regionali, ma dall’altro aggiunge che questa deve avvenire “tenuto conto della consistenza dei gruppi consiliari”.
Questo significa che si sa già  in partenza quanti senatori spettano a ciascun gruppo, e che quindi il voto dei consiglieri regionali perde di peso».
«Se aggiungiamo – ha detto ancora l’esponente del Carroccio – che la norma transitoria stabilisce che i senatori verranno eletti dai consigli regionali sulla base di listini bloccati, capiamo che i futuri senatori li sceglieranno i capigruppo e non verranno eletti dai consiglieri regionali».
Calderoli ha affermato che l’obiezione non viene sollevata solo da lui: «questo testo in Commissione non ha la maggioranza e non passa. Per questo dico che si andrà  in Aula e lì si scioglieranno i nodi».
La Lega non apprezza che la legge elettorale per Palazzo Madama venga inserita direttamente in Costituzione, come prevede la modifica depositata martedì sera dalla relatrice Anna Finocchiaro.
Modalità  che non piace nemmeno agli alfaniani di Ncd e non stanno seguendo le indicazioni della maggioranza.
“E’ un pasticcio costituzionale, se il testo rimane così è difficile votarlo”, ha avvisato il senatore centrista Andrea Augello, precisando che nell’emendamento Finocchiaro, sul Senato di secondo grado, “si rischia di creare un vincolo ai consiglieri regionali che saranno prederminati” nella scelta dei futuri senatori “in base alle percentuali” di proporzionalità  che, nella pratica, favoriranno i partiti maggiori e renderanno quasi impossibile l’elezione dei ‘piccoli’ nel nuovo Senato.
Per la serie “gli apprendisti stregoni”… o imbroglioni.

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BERLUSCONI CI RIPROVA: “DOPO IL SÌ ALLE RIFORME GIUSTO DARMI LA GRAZIA”

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

I DISSIDENTI ALL’ATTACCO: ” IL SENATO SCOMPARIRA’ NEL 2015 E RENZI CI PORTERA’ AL VOTO”

La grande paura corre di bocca in bocca. «Renzi ci vuole mandare tutti a casa».
Al di là  dei tecnicismi della riforma, oltre le bandiere della «difesa della democrazia» e del «Senato ridotto a essere come l’Anci», la vera mina che i ribelli forzisti e democratici sono riusciti a piazzare sotto le rotaie del treno costituzionale è proprio questa: convincere molti, moltissimi senatori che la loro carriera parlamentare sta per arrivare al capolinea.
Per colpa del premier.
È l’ultima carta, magari disperata, che i frondisti giocheranno in vista della battaglia finale in aula contro il disegno di legge che abolisce il Senato elettivo.
E se nel Pd alla fine, conti alla mano, non prevedono più di 7-8 senatori che lasceranno l’aula pur di non votare il testo, nessuno davvero riesce a prevedere cosa accadrà  dentro Forza Italia e quanto peserà  la paura di andare a casa.
Il partito del Cavaliere è scosso in queste ore da una tensione altissima.
Lo si è capito ieri quando l’annuncio di un’assemblea convocata per i soli senatori, alla presenza di Berlusconi, ha portato i deputati a una plateale rivolta, con il capogruppo Brunetta in prima linea.
Augusto Minzolini ha capito che il punto debole del fronte governativo è proprio quello e attacca senza risparmio.
Ieri pomeriggio l’ex direttore del Tg1, in commissione, ha guardato negli occhi Maria Elena Boschi e le ha rivolto «un appello» affinchè tutti prendessero coscienza del pericolo: «Ministro, non si possono fare le riforme costituzionali solo per andare a votare in primavera! La Costituzione è una cosa seria».
Nello stesso momento, di fronte al bar dei dipendenti di palazzo Madama, il capogruppo Paolo Romani stava provando a rassicurare il senatore azzurro Luigi D’Ambrosio Lettieri.
Romani: «Ho appena parlato con Berlusconi, verrà  lui stesso a darvi spiegazioni sulla questione che legittimamente sollevate. Ma ti assicuro che il vostro timore non ha fondamento. Non è vero che il Senato verrà  sciolto e la Camera invece resterà  in piedi. E non è vero che si andrà  a votare in primavera».
Anche perchè la norma transitoria non prevede questa ipotesi. L’interlocutore non sembra molto convinto: «Va bene Paolo. Purchè Berlusconi sappia che l’anima gliela diamo volentieri, ma il resto no».
Quella che tuttavia i senatori forzisti sottovalutano è la convinzione ormai irremovibile dell’ex Cavaliere.
A spingerlo verso il sì non è soltanto il senso di ineluttabilità  per una riforma a cui non può sottrarsi. È che Berlusconi vede anche la sua personale convenienza a stare in partita come padre costituente.
È stato proprio Romani, parlando ieri sera a In Onda, ad alzare il velo sulle speranze che si coltivano ad Arcore: «In un processo di pacificazione nazionale, a mio avviso, ci sta pure la grazia. Bisogna che venga attivato un percorso di pacificazione nazionale e mi auguro, se proprio devo rispondere, che ci sia questo processo e quella conclusione ».
Il fondo il leader di Forza Italia ci conta e la recente assoluzione di Confalonieri e del figlio Pier Silvio l’hanno convinto che la linea di collaborazione e “pacificazione” paga.
Se l’immunità  personale di Berlusconi gioca un ruolo a favore della riforma (come sospettano i cinque stelle), l’immunità  estesa anche ai nuovi senatori-consiglieri regionali potrebbe creare un insidioso inciampo nel passaggio in aula.
Come reagiranno i democratici quando i grillini presenteranno l’emendamento per ridurre l’immunità  parlamentare alla sola sfera delle opinioni?
I collaboratori del ministro Boschi, a denti stretti, ammettono l’esistenza del problema: «Non è possibile differenziare Camera e Senato sull’immunità , ma nemmeno possiamo per questo toglierla anche ai deputati. Il problema è che in questo periodo le notizie sui casi di corruzione regionale si moltiplicano».
E proprio il caso vuole che mercoledì, quando l’aula di palazzo Madama inizierà  a votare la riforma, la Camera si pronuncerà  sull’arresto di Giancarlo Galan per un caso gigantesco di corruzione regionale.
Mentre a palazzo Madama si discuteva del Senato che verrà , a palazzo Giustiniani un futuro, prestigioso inquilino, prendeva le misure del suo prossimo ruolo. Giorgio Napolitano, nella massima discrezione, è stato ricevuto ieri pomeriggio da Pietro Grasso.
E ha voluto vedere gli uffici che occuperà  da senatore a vita una volta lasciato il Quirinale.

Francesco Bei
(da “La Repubblica“)

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FORZA ITALIA SPACCATA FA VACILLARE IL PATTO

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

RENZI IN EUROPA VISTO CON DIFFIDENZA, SLITTA IL JOBS ACT, TARDANO I DECRETI ATTUATIVI, SILVIO PENSA AI SUOI PROCESSI

Il bilancio dei primi giorni di presidenza italiana dell’Europa non è dei più entusiasmanti.
Matteo Renzi si è dovuto rendere conto che le divisioni tra rigore e flessibilità  rispondono a criteri non tanto di partito ma geografici.
La diffidenza verso il nostro Paese e in generale il Sud del continente non è stata scalfita dalla vittoria del Pd alle elezioni del 25 maggio: dobbiamo ancora conquistarci la piena credibilità  sul piano finanziario.
Per paradosso, quel successo elettorale, giustamente rivendicato dal premier, fa apparire più controversi i risultati ottenuti finora a Bruxelles.
La pressione di Palazzo Chigi sul Parlamento perchè voti in fretta le riforme istituzionali viene spiegata, almeno formalmente, con l’esigenza di ottenere maggior credito.
Per presentarsi con un risultato tangibile al cospetto dell’Ue, il governo ha messo in calendario per la settimana prossima la discussione dei provvedimenti che devono ridisegnare il Senato.
Ma, quasi di rimbalzo, è slittato il famoso «Jobs Act»: quello che dovrebbe ridare fiato al mercato del lavoro, e che pure l’Europa aspetta.
Si tratta di un’inversione delle priorità  che i settori di FI schierati all’opposizione sottolineano in polemica con Renzi e indirettamente con lo stesso Silvio Berlusconi. Ma l’affanno è più generalizzato.
La questione dei decreti attuativi che rallentano l’applicazione delle leggi conferma la difficoltà  di tenere il passo alla velocità  promessa.
Evidentemente l’esecutivo ha calcolato con una eccessiva dose di ottimismo non solo le resistenze politiche ma i tempi parlamentari. Le prime rimangono, e le minacce di voto anticipato che Renzi e alcuni ministri ribadiscono con una certa frequenza magari possono piegarle; d’altronde, i numeri parlano a favore dell’esecutivo.
E regge il patto con Berlusconi: il ritorno rapido di Beppe Grillo agli insulti sottolinea la tenuta dell’intesa tra Pd e FI.
Un M5S lacerato dai sospetti accusa i due partiti di avere votato insieme contro l’ipotesi di dimezzare il numero dei deputati.
E semina sospetti sul suo Luigi Di Maio, il vicepresidente della Camera che ha abbracciato il dialogo con Palazzo Chigi.
Il problema, tuttavia, potrebbe diventare Forza Italia.
Il monolite berlusconiano rischia di polverizzarsi. Le liti tra le donne del «cerchio magico» di Palazzo Grazioli, la residenza romana dell’ex premier, e il partito, sono un sintomo superficiale ma significativo.
Colpisce soprattutto, però, il fatto che Berlusconi abbia rinviato più volte la riunione congiunta con tutti i parlamentari, dopo che la prima si era conclusa senza accordi. L’impressione è che volesse evitare una spaccatura interna sull’atteggiamento verso Renzi.
Ma pare che alla fine la situazione si stia sbloccando: Berlusconi vuole fissare l’incontro con tutti i suoi eletti martedì prossimo, alla vigilia del voto in Aula.
«È un momento di grande responsabilità  per tutti», avverte il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, rivolta al manipolo dei dissidenti che parlano di forzature e comportamenti incostituzionali del governo.
Palazzo Chigi vorrebbe l’approvazione della riforma prima della sentenza d’appello del processo contro Berlusconi sulla minorenne marocchina Ruby, prevista per il 18 luglio: una scadenza che angoscia il capo di FI, e che si teme possa ripercuotersi sulle riforme.
Ma in questo caso non sarà  facile rispettare l’imperativo della velocità .

Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera“)

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IL RETROSCENA: IL PATTO PER NOMINARE ALLA CONSULTA VIOLANTE E GHEDINI

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

VIOLANTE O BRUTTI PER IL PD, GHEDINI O BRUNO PER FORZA ITALIA: SI RAFFORZA IL PATTO DEL NAZARENO… MA SU GHEDINI PESA L’INCHIESTA CHE LO VEDE ACCUSATO DI CORRUZIONE DI TESTIMONE PER IL RUBY TER

Violante alla Consulta insieme all’avvocato Ghedini? Uno per il Pd, con il beneplacito di Renzi, e l’altro per Forza Italia con il benestare di Berlusconi?
Quando sono le nove di sera, l’indiscrezione che circola insistente per tutta la giornata, e che da giorni si affaccia nelle trattative congiunte per Consulta e Csm, prende improvvisamente forte consistenza.
Determinante è la non smentita di Paolo Romani, da sempre prudente politico berlusconiano, adesso con il delicato incarico di capogruppo al Senato.
Alla trasmissione In onda su La7 ecco che a Romani viene chiesto se sia vera la voce di un Ghedini in procinto di diventare giudice costituzionale.
Un leggero imbarazzo, poi Romani riconquista il suo gelido aplomb e risponde: «È una voce».
Non smentisce quindi, come avrebbe potuto fare se l’ipotesi non avesse realmente alcun fondamento. Smentita che invece arriva, e pure con una certa durezza, dal diretto interessato, Niccolò Ghedini, il ben noto avvocato di Berlusconi.
«L’ho già  detto alle agenzie una settimana fa, non sono candidato alla Corte. Ho appena vinto un processo importante per me e per Berlusconi come Mediatrade, e quindi resto dove sono» risponde un adirato Ghedini al telefono.
Eppure i boatos del palazzo sono altri.
Descrivono un altro pezzo del patto del Nazareno: sulla giustizia, e quindi sulla Consulta e sul Csm.
Da una parte il Pd propone per la Corte Luciano Violante, dall’altra Berlusconi gli contrapporrebbe Ghedini.
L’entourage politico dell’ex premier racconta proprio questo ragionamento fatto dall’ex Cavaliere: «Se loro vogliono mandare alla Corte Violante, noi allora ci mandiamo Ghedini ».
Un proposito politico comprensibile visto che i democratici, per la Corte e per il Csm, puntano su due uomini forti, da una parte Violante, dall’altra l’ex senatore Massimo Brutti, noto per le sue battaglia sulla giustizia e la sicurezza, e soprattutto per il suo rapporto solido con la magistratura.
Due nomi così necessitano di un contraltare forte, che vedrebbe in Ghedini il candidato migliore.
Altri nomi, come quello di Donato Bruno, capogruppo forzista alla commissione Affari costituzionali del Senato, o dell’ex sottosegretario alla presidenza di Monti ed ex presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà , certo non reggono il confronto con quello di Ghedini.
Che, qualora Berlusconi dovesse insistere nell’ipotesi, potrebbe trovare un ostacolo nel fatto di ritrovarsi nell’inchiesta Ruby ter con un’ipotesi addosso di corruzione di testimone attualmente in mano ai pm milanesi.
La partita della Corte e del Csm non si chiuderanno oggi in Parlamento dove pure, dalle 13 in poi, si svolgerà  l’ennesima votazione per i due giudici e per gli otto membri laici del Csm.
Ma anche questa, come le precedenti tre, è destinata a saltare perchè l’accordo politico ancora non è chiuso e soprattutto perchè il palazzo della politica preferisce aspettare che il parterre dei togati sia definito.
Si è votato tra domenica e lunedì, e i primi risultati non definitivi già  danno una sorpresa.
Il candidato più votato tra i pubblici ministeri, con ben 1.254 consensi su 9mila magistrati votanti, è Luca Forteleoni, pm a Nuoro, segretario di Magistratura indipendente, uno dei due protagonisti dell’sms che il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri ha mandato prima del voto sollevando una forte protesta, tra le toghe e a palazzo Chigi.
Ieri sera, quando mancavano ancora 1.550 schede, lui era il primo, seguito dall’ex presidente dell’Anm Luca Palamara di Unicost con 998 preferenze.
A seguire i candidati di Area Fabio Napoleone (939) e Antonello Ardituro (907).
Poi Sergio Amato, un Mi anti-Ferri, con 638 voti.
Oggi toccherà  allo scrutinio dei giudici, ma la politica è ferma in attesa del risultato definitivo.
Si voterà  di nuovo la prossima settimana e a quel punto dovrà  essere chiusa, oppure superata, l’intesa se mandare Violante, ma anche Ghedini a palazzo della Consulta.

Liana Milella
(da “La Repubblica”)

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IL RETROSCENA: LA SVOLTA GARANTISTA IN SALSA PD E IL CASO ERRANI

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

ORA LA PRASSI DA SEGUIRE DIVENTA QUELLA DI “VALUTARE CASO PER CASO”

In fondo , per Matteo Renzi, la questione è molto semplice: bisogna spezzare gli “automatismi” degli ultimi vent’anni, chiudere la stagione in cui si collegavano direttamente atti della magistratura, can can mediatico, richiesta di dimissioni dell’indagato.
E la difesa delle garanzie, storico caposaldo culturale della sinistra, finiva nel cassetto.
«Se la politica ha le carte in regola, deve rispettare la Costituzione anche lì dove parla delle garanzie degli imputati, della presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva », dice il premier.
Significa che un partito può e deve fare le sue scelte in piena autonomia, rivendicare la sua indipendenza al pari dei giudici.
In una parola, essere garantista e «valutare caso per caso. Abbiamo fatto così con Francantonio Genovese e Orsoni, lo facciamo anche con Vasco Errani».
In realtà , la questione tanto semplice non è.
Perchè proprio a sinistra il “pilota automatico” ha prosperato, ha deciso linee politiche ed alleanze, ha stabilito destini di governi e carriere politiche.
Colpa del berlusconismo?
«Un po’ — spiega il presidente del Pd Matteo Orfini -. Eravamo purtroppo dentro quel meccanismo perchè se una parte politica si accanisce contro la magistratura, la reazione è un fatto naturale».
Ma qualche cedimento rispetto al garantismo, «uno dei valori storici della sinistra» lo definisce Orfini, ha avuto anche altre ragioni.
È stata una resa per cavalcare l’onda popolare. «In questi vent’anni — ricorda la responsabile giustizia del Pd Alessia Morani, avvocato — alcune battaglie le abbiamo dimenticate non solo in nome dell’opposizione a Berlusconi. Siamo andati oltre e abbiamo lasciato terreno al dipietrismo. Oggi è difficile rammentare le concessioni che abbiamo fatto a Di Pietro perchè l’ex pm è fuori dalla politica, ma hanno molto condizionato la nostra parte politica».
Dicono che Renzi (che ieri ha incontrato proprio Vasco Errani) sia oggi più garantista grazie al 40,8 per cento delle Europee.
Ma a vedere la cronologia di questa svolta, non è così. Al momento di formare il suo governo, cinque mesi fa, il premier affrontò il caso di quattro sottosegretari indagati e li lasciò al loro posto.
«Un avviso di garanzia non è una condanna », disse alla Camera il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, con il pieno sostegno di Renzi.
Anche un ministro, Maria Carmela Lanzetta (Affari regionali) aveva un procedimento in corso quando giurò solennemente al Quirinale.
A dimostrazione che i casi vanno pesati singolarmente, oggi quel procedimento è stato archiviato.
«Non mi spaventano le accuse dei 5stelle e non penso che possano fare breccia nell’opinione pubblica — dice Renzi -. Noi le carte in regola le abbiamo. C’è anche la legge Severino che sancisce nel dettaglio i casi in cui un amministratore pubblico è costretto o meno lasciare il suo posto. Il Pd ha persino uno statuto più rigido del codice penale. Se la politica non ha la coda di paglia ha il dovere di rimanere nel solco delle garanzie costituzionali ».
Una posizione lineare la definisce il vicesegretario Lorenzo Guerini. «Orsoni aveva patteggiato in pratica ammettendo le sue responsabilità , su Genovese il Parlamento doveva valutare il fumus persecutionis e quello hanno fatto i deputati. Nel caso di Errani nessuno di noi ha commentato la sentenza. Il Pd ha ribadito la sua stima per un amministratore di grande capacità  che non aveva nessun obbligo a dimettersi perchè il reato per cui è stato condannato non rientra nelle fattispecie della Severino. Questo è il punto. Se hai la coscienza a posto, puoi dire quello pensi».
Niente sarà  come prima sembra il messaggio del Partito democratico in queste ore. Del resto, che il “prima” non fosse l’Eden lo spiega anche Felice Casson, oggi senatore Pd ma famoso soprattutto per la sua attività  di pubblico ministero a Venezia. Uno dei tanti magistrati reclutati in questi anni dal centrosinistra.
«Era una deformazione il legame tra avviso di garanzia e le dimissioni e lo penso da sempre dice -. Bisogna essere garantisti sempre e con tutti. Ma i piani sono diversi: c’è la vicenda giudiziaria, poi ci sono gli aspetti politici e sociali e infine c’è l’etica». Casson spiega che la vera svolta non è il garantismo bensì le «valutazioni diversificate, caso per caso. È giusto che la politica segua sempre questa regola»

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)

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RENZI, COME SI DICE SUPERCAZZOLA IN INGLESE?

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

INIZIA IL TRAGICO SEMESTRE LINGUISTICO DI RENZI

Parlando dell’agenda digitale europea, l’8 luglio scorso al Digital Venice, Renzi ha sconfitto in un colpo solo sia Rutelli (“Plizzzz visit de uebsait”) che il maestro Berlusconi con Bush (“e iuniversal messagg ov fridom end dimocrasi”).
Qualcuno non ha gradito, per esempio il sito Mentecritica.net  : “Quello che veramente sconvolge è l’assoluta insipienza tecnica dello speech (il discorso, ndr), la totale vacuità  dei contenuti, l’approssimazione terrificante dei concetti (…) La supercazzola in inglese, chiunque la faccia, non fa ridere perchè, stranamente, gli stranieri la capiscono per quella che è: una stronzata”
Sono da ritenersi critiche ingiuste, frutto di gufi e rosiconi: Renzi è stato efficacissimo. Riprendiamone alcuni passaggi, trascrivendoli fedelmente e partendo da ciò che chiameremo “Apologo della madre piangente”: “Mai mader u craii insss innnn i-i-in de tivì uen eeeeehhh… (pausa angosciata)… uh uh… sssssci sssssciii (pausa drammatica e sguardo persissimo)… sciii fiiling uiddd de-de-de-de…scii felt de-de-de-de-de berlis uozzz (???)…distroid bai de pipol…”.
Nessuno ha capito cosa volesse dire, quindi è stato un discorso perfettamente renziano.
C’è poi il momento che passerà  alla storia come “Cauntri-rap di Matteo”, quasi come   Prisencolinensinainciusol di Celentano: “Becos de aidia uidaut marketing (boh) in e commerscial fiiilll ummghmm destrakcior (mah) de-de-de-de-de-de-de (ad libitum) resalt ar not gud. Bat for cauntri (dito nell’occhio, forse per accecarsi con allegrezza) dis is olzo a rappresentescion ov possibiliti”.
È   però con la “Parabola di Antonio Meucci” che Renzi sciaborda e deflagra: “Meucci is e veri gud italian (Meucci, per Renzi, è ancora vivo), but is olzo a terribol istori, bicos Meucci is the rial inventor of mo..telefon, ai’m sorri uidd american pipoll present here (la Madia ride) but olzo de congress of iunited steizz in tu tausand tu, in tu tausend uei (???) ai diden’t rimember, recognaizezed (aiuto) de faunder the inventor of telefon is Antonio Meucci. Antonio Meucci is incredibol man (Renzi ci ha giocato la sera prima a Risiko) forentaim, who uorked in de tiater, de most ansient tiater in iurop, Teatro della Pergola (questa non l’ha sbagliata), and ii uas a uolker and invented dd-d-de-de telefon to spiking about in the teater. (Pausa teatrale). E ginius. So, for fiù rison, ih left eataly (quella di Farinetti?) and iii uaasn’t ebol to ius the copirait, lessons, come si dice brevetto?… (guarda la Madia, la Madia fa finta di nulla) laisens (no, si dice “patent”), in eiti seventy uan seventy trai (guarda il cielo), ai dident remember esaclti de dei, so Bell arraived and in the istory ii uos de faunder and de inventor of the telefon”.
Gran finale: “Adesso come spesso accade in questi momenti tocca al polit… (qui si ricorda che deve parlare in inglese, o qualcosa del genere)… Nau is de taim tu-tu-tu it, tu de lancc… (Gozi ride) an-de-for…and italian politiccian is absoluteli crucial to de nau is de taim of lancc!”.
Parole forti. E soprattutto: de-de-de-de-de.

Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL GREMBIULE NELLA TESTA

Luglio 10th, 2014 Riccardo Fucile

IL GREMBIULISMO A SCUOLA SCONFITTO DAL NUOVO CHE AVANZA

Al fine di stimolare la creatività  dei bambini, un pool sicuramente formidabile di pedagogisti ha stabilito che da settembre nelle scuole materne comunali di Torino vengano aboliti i grembiuli.
Il loro ragionamento, sicuramente formidabile, non fa una piega (a differenza di molti grembiuli) e suona grosso modo così.
Le aule sono frequentate da creature di etnie diversissime, perciò sarebbe sbagliato soffocare tanta varietà  sotto la cappa del conformismo che ha nel grembiule il suo simbolo.
Una bimba vuole presentarsi in classe con l’abito tradizionale afghano oppure vestita da Peppa Pig?
E che lo faccia. Libertà , diversità , creatività , ta-ta-tà .
Resta da capire cosa avessero in testa i fautori del Grembiulismo che la nuova pedagogia, sicuramente formidabile, si accinge a mettere in naftalina.
Pare ritenessero che dare lo stesso vestito a tutti i bambini fosse un modo per tutelare i più disagiati, annullando le differenze economiche e sociali almeno al loro primo manifestarsi: nell’abito.
Pare addirittura che i grembiulisti pensassero che la creatività , per potersi manifestare, avesse bisogno di un limite da infrangere, essendo la trasgressione la condizione naturale in cui il talento individuale si esprime.
Insomma, secondo quei retrogradi impenitenti, la creatività  consisterebbe nel tentativo di togliersi lo stesso grembiule degli altri.
Al contrario, se quel grembiule non c’è, si passerà  la vita alla ricerca di omologazioni rassicuranti.
Cioè di altri grembiuli, opinioni e pregiudizi collettivi da mettersi addosso.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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