Ottobre 10th, 2014 Riccardo Fucile
BANKITALIA ORDINA A FININVEST DI CEDERE IL 20% DELLA BANCA… SCIOLTO IL PATTO CON LO STORICO AMICO DORIS
Il provvedimento, preso da Bankitalia, che impone a Fininvest di cedere la quota sopra il 9,9% di Mediolanum riguarda oltre il 20% del capitale della banca.
La holding della famiglia Berlusconi ha infatti il 31,1%.
Sulla partecipazione che dovrà essere dismessa vengono sospesi i diritti di voto e di conseguenza è sciolto il patto che lega Fininvest a Ennio Doris.
“Nel contesto del procedimento relativo all’iscrizione di Mediolanum nell’albo dei gruppi bancari e a seguito della sopravvenuta perdita dei requisiti di onorabilità ” di Silvio Berlusconi, Bankitalia, d’intesa con Ivass ha emesso il 7 ottobre un provvedimento arrivato a Fininvest con “le misure previste dalle norme applicabili (art. 24 e 25 TUB), ivi inclusa la dismissione della partecipazione in Mediolanum Spa eccedente il 9,9%”.
La dimissione, che riguarda oltre il 20% del capitale, dal momento che la finanziaria di Berlusconi detiene il 30,1% di Mediolanum, “potrà anche avvenire mediante il conferimento in un trust ai fini della successiva alienazione a terzi entro 30 mesi dalla data della sua istituzione”, spiega Fininvest in una nota, emessa su richiesta della Consob.
Il Cda della finanziaria della famiglia Berlusconi si riunirà per valutare il provvedimento e per adottare le misure necessarie “anche tenuto conto delle caratteristiche e dell’entità della partecipazione in oggetto e della rilevanza di Mediolanum Spa per il mercato, per i suoi clienti e per i suoi azionisti”
Nel frattempo, come conseguenza della sospensione dei diritti di voto per la quota di partecipazione eccedente il 9,9% vien meno l’efficacia del patto di sindacato Mediolanum e Fininvest segnala che, d’intesa con l’altro socio, FinProg Sapa della famiglia di Ennio Doris, darà corso alle azioni conseguenti.
Mediolanum soffre in borsa (-3%) in vista della vendita del 20% imposta a Fininvest e il mercato guarda a Ennio Doris come acquirente di una parte delle azioni.
Per Intermonte la quota “potrebbe essere riassorbita da membri della famiglia Berlusconi o, in parte, dallo stesso Doris che detiene il 40% del capitale”.
Anche Equita crede che “la famiglia Doris possa acquistare una quota ma non superiore al 5%” per non concentrare tutto il patrimonio in un singolo asset.
Mediolanum “mantiene e persegue la sua stabile e consolidata presenza nel mercato” “forte della garanzia e della continuativa partecipazione della famiglia Doris, che detiene oltre il 40% delle azioni”.
Lo si evidenzia in una nota del gruppo il quale “proseguirà la sua attività nel rispetto delle strategie e dei principi” che lo hanno finora contraddistinto.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 10th, 2014 Riccardo Fucile
RICCHIUTI, CASSON E MINEO NON HANNO VOTATO E “SONO UN PROBLEMA”
“Sono un problema”. Così Matteo Renzi ieri mattina, dopo la segreteria, commentava le gesta dei tre dissidenti (civatiani o giù di lì), che mercoledì notte sono usciti dall’Aula del Senato e non hanno votato la fiducia.
Ovvero Corradino Mineo, Felice Casson e Lucrezia Ricchiuti.
Parole d’elogio, invece, per Walter Tocci, che ha detto sì, annunciando però l’intenzione di dimettersi da Palazzo Madama. Ecco Renzi: “Farò di tutto perchè continui a fare il senatore. Ha espresso le sue posizioni ma poi ha accettato la linea del partito. La sua intelligenza, la sua competenza e la sua passione sono necessarie al Pd. Proverò a convincerlo e dirò che le dimissioni sarebbero un errore”.
Già così la dichiarazione d’intenti del segretario-premier è chiara: ci sono i dissidenti duri e puri che vanno elogiati. Ma soprattutto messi a confronto con quegli altri, quelli che in fondo se se ne vanno è meglio.
E se no? Il partito prende provvedimenti? E quali? Una dichiarazione del vice segretario, Lorenzo Guerini scatena il panico e le pronte ribellioni: “Sono fuori dal Pd? No ma non partecipare a un voto di fiducia che politicamente è molto significativo mette in discussione i vincoli di relazione con la comunità politica di appartenenza. Ne discuteremo pacatamente e serenamente”.
E allora, che fanno, li cacciano? Nessuna intenzione. Perchè cacciarli vorrebbe dire fare dei martiri, dei miti. Non solo.
In arrivo c’è un calendario tutt’altro che facile: il Jobs act, che il premier vuole approvare alla Camera entro metà novembre. E poi, lo Sblocca Italia atteso la prossima settimana nell’aula di Montecitorio. Con Pippo Civati sul piede di guerra: “Ci sono dentro delle cose terribili”.
Poi c’è l’Italicum è impantanato, senza nessuna calendarizzazione in Senato.
Senza contare che adesso si apre tutta la questione manovra. Ma allora, si può tollerare in un partito che ognuno faccia come gli pare?
Ovvero, che si possa non votare la fiducia a un governo del Pd? Ovviamente no.
“Dobbiamo stabilire delle regole e farle rispettare. In maniera che ognuno sappia cosa si può fare e cosa no”, spiega il Presidente dem, Matteo Orfini. Niente sgarri, insomma.
Ed ecco che allora i dissidenti diventano un’occasione per il premier per blindarsi ulteriormente. E per stabilire per regolamento che nessuno può disobbedirgli.
Se per caso ce ne fosse bisogno, visto che a uno a uno piega tutti quelli che si mettono sulla sua strada. Il 20 ci sarà una direzione sulla forma partito. Lì l’argomento dissidenza sarà affrontato. Ma le regole saranno decise anche dai gruppi.
Per ora nessuna espulsione, dunque, ma molta insofferenza. Se Tocci viene considerato “uno che sa come si sta in un partito” (parola di David Ermini, renzianissimo responsabile Giustizia), nei confronti di Mineo i commenti sono malevoli: “Non ha votato la riforma costituzionale, non ha votato il jobs act. Dice di non voler votare la legge elettorale. Forse dovrebbe riflettere lui perchè sta nel Pd”. Lui, poi, ammette: “Ha vinto Renzi, il Parlamento non conta più”.
E Casson? Vuole fare il sindaco di Venezia, chissà se il premier lo ostacolerà .
Poi c’è l’altra minoranza, quella di ascendenza bersaniana e dalemiana, che di fronte alla fiducia aveva annunciato un sì inevitabile in anticipo.
Se loro votano e gli altri no, che figura ci fanno? Adesso, Fassina in testa, hanno cominciato a prefigurare un no alla Camera sul jobs act, fiducia o meno. “Se non cambia, dico no”.
Il premier ha già fatto sapere che non ha intenzione di rimetterci mano. Peraltro, trattandosi di una delega talmente ampia da essere in bianco, più che a Montecitorio sarà a Palazzo Chigi che si faranno le modifiche sostanziali.
E allora, per la minoranza il fronte diventa anche la manifestazione di San Giovanni. In molti andranno in piazza il 25 ottobre.
Ospiti graditi? Il segretario della Fiom Emilia-Romagna avverte: “Chi ha votato la fiducia sul Jobs Act non è il benvenuto”. Ora che ha vinto il premier vuole stravincere: nel week end si lavora alla Leopolda, la kermesse che dovrà serrare i ranghi e cercare di recuperare anche i renziani delusi. E poi, soprattutto, c’è l’Europa: con quel 3% apparentemente non sfondabile. Apparentemente. Perchè le critiche nei confronti di questo vincolo sono sempre più pressanti. Perchè poi se politicamente schiaccia gli avversari, ora è atteso alla prova dei fatti. Economici prima di tutto.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 10th, 2014 Riccardo Fucile
“E’ LA LEGGE CHE STABILISCE CHE RIINA E BAGARELLA HANNO DIRITTO AD ASSISTERE AL LORO PROCESSO”
Fiumi di reazioni politiche contro Sabina Guzzanti per la sua “solidarietà ” su Twitter ai boss Totò Riina e Leoluca Bagarella, imputati al processo Stato-mafia, non ammessi dai giudici all’udienza quirinalizia.
“Solidarietà a Riina e Bagarella privati di un loro diritto. I traditori nelle istituzioni ci fanno più schifo dei mafiosi”, ha scritto l’attrice .
Con un secondo tweet ha parlato del suo film #Latrattativa e ha lanciato un appello al capo dello Stato: “Andate a vedere la trattativa e capirete perchè i traditori nelle istituzioni fanno più schifo dei mafiosi o perlomeno stanno alla pari. Le stragi sono state progettate all’interno delle istituzioni. I mandanti sono colpevoli quanto gli esecutori. Napolitano testimonia”.
Era il caso di esprimere proprio “solidarietà ” nei confronti dei due capimafia ?
Io ho detto una cosa molto precisa, che Riina e Bagarella hanno il diritto di assistere al loro processo perchè è la legge che lo dice, ma è ovvio che la parola solidarietà accanto ai loro nomi è una provocazione.
Da destra a sinistra dicono che il suo è “un gesto inqualificabile” e “offende le vittime”.
Le reazioni dimostrano il conformismo e l’ipocrisia di tanti italiani perchè di fronte a una provocazione di questo tipo tutti sentono di potersi indignare. Ma nessuno si indigna di fronte alle prove che una bella fetta delle nostre istituzioni sta dalla parte della criminalità e lavora contro la nostra democrazia. Matteo Orfini (presidente del Pd, ndr) si è indignato ma non è andato a vedere il mio film che dimostra che stanno facendo le riforme con Silvio Berlusconi, in mano ai mafiosi. Lo sappiamo bene che i mafiosi sono cattivi ma i traditori delle istituzioni sono altrettanto cattivi.
Non ha pensato che potesse ferire i familiari delle vittime?
I familiari sono consapevoli che le stragi sono state compiute con la complicità delle istituzioni.
Pentita o no di aver usato la parola “solidarietà ”?
Sono pentita perchè ogni tanto mi dimentico di essere in un Paese di ipocriti e collusi mentre scrivo come se fossi in un Paese libero. Devo ricordarmelo più spesso.
Antonella Mascali
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 10th, 2014 Riccardo Fucile
IL SINDACO ACCUSA ARPAL PER IL MANCATO ALLARME… DALL’ULTIMA ALLUVIONE DEL 2011 NESSUN INTERVENTO
Nessuna allerta. Nessun avviso. Il Comune non sapeva nulla, la Protezione civile nemmeno.
“Il primo messaggio dalla Protezione civile di una possibile esondazione – ha dichiarato una cittadina ai microfoni di sky tg24 – ci è arrivato alle 23.19. Quasi due ore dopo l’inizio dell’alluvione”.
E l’Arpal? L’Agenzia regionale per la protezione ambientale si è giustificata dicendo che era impossibile prevedere un nubifragio improvviso come quello che ha colpito la città di Genova intorno alle 21,30 dell’9 ottobre e che ha provocato un morto.
La ‘giustificazione’ arriva dopo la dichiarazione rilasciata dal sindaco Marco Doria che ha chiamato in causa proprio Arpal per la mancata allerta meteo: “Noi ci muoviamo sulla base delle previsioni Arpal che non ci davano nessun picco di allerta. E in assenza di allerta la nostra attenzione si è concentrata sulle scuole che ieri hanno potuto svolgere normalmente il loro orario scolastico. C’era stata anche una attenuazione della criticità . Poi, senza alcuna previsione che ce lo dicesse, abbiamo dovuto registrare un aumento repentino della perturbazione. Alle 21 e 25 abbiamo ricevuto la prima segnalazione per allagamento in via Adamoli. Dopo le 22 le segnalazioni erano insistenti e abbiamo capito che dovevamo intervenire. Alle 23.02 sui social media della protezione civile abbiamo mandato i primi messaggi per massima attenzione nella valle del Bisagno. Abbiamo deciso dopo mezzanotte di chiudere scuole e mercati per il giorno dopo”.
Il sindaco, intervistato da Sky Tg24 ha fatto sapere che “L’allerta resta alta”.
Doria ha poi voluto puntualizzare che i lavori di messa in sicurezza dopo l’alluvione del 2011, non sono mai partiti non per una mancanza di volontà della sua amministrazione, ma “Per i continui ricorsi amministrativi al Tar che li tengono bloccati da anni”.
Mentre l’assessore regionale alla protezione civile Raffaella Paita ha chiamato in causa Arpal: “L’allerta meteo per l’alluvione di Genova non è stata data perchè le valutazioni dell’Arpal basate su modelli matematici non hanno segnalato l’allarme”.
Il nubifragio ha, infatti, colto tutti di sorpresa.
Una situazione che, dicono molti, sarebbe stata facilmente evitabile se gli organi competenti avessero lanciato l’allarma, anche di grado 1. In questo modo si sarebbero almeno spostate le automobili dalle zone a rischio esondazione e i cittadini avrebbero limitato i propri spostamenti.
Polemiche anche per i presunti ritardi o, come accusa alcuni cittadini, “La totale assenza di interventi”.
Le prime critiche sono partite sui social network. Ai microfoni del canale tv locale ‘Primo Canale’ alcuni cittadini della zona di Borgo Incrociati hanno dichiarato: “Dove sono finiti i soldi della ricostruzione dopo la scorsa alluvione? Perchè nessuno ci ha avvertito”. Tutte domande a cui, per il momento, nessuno ha risposto.
Accuse pesanti per la mancata allerta meteo arrivano anche da Limet, l’associazione ligure di meteorologia e previsore del centro meteo di Portosole – Sanremo.
Achille Pennellatore, previsore dell’associazione, ha infatti rivelato che “L’alluvione era prevista da giorni. Non solo si poteva prevedere, ma noi di Limet l’abbiamo prevista. Attorno a Genova era stata individuata una linea di convergenza, tra i venti di scirocco dal Tirreno e di grecale dalla Pianura Padana, con la formazione di temporali autorigeneranti. La situazione che si andava delineando era assolutamente paragonabile all’alluvione del novembre 2011. Il fenomeno però è ancora in atto e la situazione è critica”.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 10th, 2014 Riccardo Fucile
ESONDANO BISAGNO E FEREGGIANO, TARDIVI I SOCCORSI… RIVOLTA DEGLI ABITANTI CHE URLANO “BASTARDI, ANDATE VIA”
A Genova torna l’incubo alluvione.
Una persona morta, strade allagate, auto trascinate dall’ acqua, parte della città in black out: è tornata la paura a Genova in seguito all’esondazione a causa delle forti piogge del torrente Bisagno, che attraversa la città , e del Rio Feregiano, che causò l’ alluvione del 2011.
Allora i morti furono sei.
Al momento il bilancio provvisorio è di una vittima: il corpo è stato recuperato a Borgo Incrociati, vicino ad una palina dell’autobus ed è stato probabilmente travolto dalla piena del torrente Bisagno.
L’acqua ha invaso le strade circostanti trascinando via le auto parcheggiate.
Parte della città è in black out. L’area di San Fruttuoso, fino a piazza Martinez, piazza Verdi, corso Sardegna e corso Torino, piazza delle Americhe sono alluvionate.
Anche il Rio Feregiano ha rotto gli argini, travolgendo altre auto in sosta, cartelli stradali e allagando la zona dietro lo stadio Ferraris.
In piena notte è esondato anche lo Sturla, torrente del quartiere levante di Genova.
La Protezione Civile regionale sta facendo appello ai cittadini che vivono nella parte di Genova attraversata dal torrente Bisagno a non uscire di casa e rifugiarsi ai piani alti.
In alcune zone l’acqua del torrente è arrivata ad un’altezza di un metro e ottanta, come nella zona di Sant’Agata, in corso Sardegna.
La popolazione è indignata: nessun allerta era stato diramato, in molte zone i soccorsi non sono ancora arrivati a distanza di due ore.
E’ nuovamente esondato il Fereggiano: gli abitanti della zona hanno chiesto aiuto per oltre un’ora e mezza prima di vedere la Protezione civile. Altro che monitoraggio.
Quando sono arrivati è scoppiata la rivolta: i soccorritori sono stati cacciati al grido di “Bastardi, andate via”.
Nulla è cambiato dall’ultima alluvione, le stesse zone hanno subito la medesima onda
Per le tre è prevista una nuova piena del Bisagno.
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Ottobre 10th, 2014 Riccardo Fucile
LA POLITICA NON E’ OPPORTUNISMO, MA DIGNITA’ E COERENZA … E ANCHE LA MINORANZA PD NON NE E’ CERTO UN ESEMPIO
La cosiddetta “minoranza del Pd” quantificata per giorni in circa 30 senatori (e fino alla vigilia non inferiori a 14) alla fine si è ridotta a tre (che non hanno votato contro, ma sono solo usciti dall’Aula).
Un dato che è sfuggito a molti : hanno votato si in 165, contrari 111, astenuti 2 per un totale di 278.
Ma i senatori sono 315 più i senatori a vita e la soglia dei maggioranza è di 161.
Non a caso Renzi sperava di arrivare a questa asticella.
Il fatto che sia stata superata dimostra che la maggioranza ha votato compatta, ma mancano 40 voti, caso strano della cosiddetta opposizione.
Vogliamo chiamarlo “aiutino” verdiniano?
Se la “minoranza Pd” avesse votato contro? Se fossero stati in 30, il governo sarebbe sceso a 135 e i contrari sarebbero saliti a 141 (salvo ulteriori defezioni ordinati da Verdini).
E Renzi sarebbe andato a casa.
Ma se anche i dissidenti fossero stati in 14 il governo si sarebbe fermato a quota 151 e sarebbe comunque mancata la maggioranza prevista, con probabili dimissioni dell’esecutivo.
Bersani sostiene che per “senso di responsabilità ” non si poteva far cadere il governo: troppo comodo.
Nel programma del Pd non c’era scritto che voleva abolire l’art.18, quindi chi è stato eletto doveva rispettare il mandato ricevuto, non reggere la coda al prestanome (mai eletto) delle lobby.
Bastava essere coerenti.
Hanno scelto di mantenere la poltrona invece di rappresentare gli elettori: Renzi li aveva minacciati di non ripresentarli più e loro hanno abbassato la testa per interesse, questa è la verità .
Ma che ora vogliano pure partecipare allo sciopero dei sindacati è pura faccia tosta, abbiano il buon gusto di restare a casa in attesa dello stipendio.
Quello che molti lavoratori nei prossimi mesi non riceveranno più, grazie a loro.
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Ottobre 10th, 2014 Riccardo Fucile
E CIVATI DICE: “SE ANDIAMO AVANTI COSI CI SERVE LA SCORTA”
Piazza e coerenza. Anzi, piazza è coerenza:
“Chi vota la fiducia al governo non deve venire alle manifestazioni promosse dalla Cgil; non deve, non sarebbe gradito”.
Su Facebook la Fiom, dura e pura dell’Emilia Romagna, risponde così all’adesione, annunciata nel day after della fiducia al Senato, della minoranza Pd alla manifestazione del 25 ottobre a piazza San Giovanni. Adesione convinta e totale.
Sentite Alfredo D’Attorre, ormai astro nascente del nuovo bersanismo: “Leggeremo la piattaforma della manifestazione. Se sarà condivisibile, immagino che avrà una larga adesione nell’area di minoranza del Pd. Io do per scontato che la delega sarà modificata alla Camera sui punti irrisolti e spero che il 25 non saremo in una situazione di scontro frontale”.
Pure Gianni Cuperlo dice: “Certo che ci sarò in piazza, con convinzione”.
Notizia che non suscita grandi entusiasmi dalle parti del sindacato.
Pippo Civati deve aver annusato l’aria meglio dei suoi colleghi di partito: “Io — dice mentre attraversa il Transatlantico — in piazza ci vado. Ma se andiamo avanti così noi del Pd dobbiamo procurarci la scorta”.
Già , la scorta. Perchè piazza per il sindacato è, innanzitutto, opposizione al governo. Quella che a parole Fassina continua ad annunciare, anche dopo la fiducia (o la resa) al Senato: “Io sarò in piazza con la Cgil. E se non ci saranno significative modifiche del jobs act alla Camera, per me il provvedimento non è sostenibile”.
Per gli ex diessini, non c’è un problema di “coerenza”: “La manifestazione — prosegue Fassina – è contro il provvedimento, non contro il governo”.
Per i sindacati, e non solo per la Fiom, è “contro”.
Per carità , Susanna Camusso va ripetendo che di veti sui partecipanti non se ne mettono: “Chi condivide, viene, non si esclude nessuno”.
Ma i malumori (e le preoccupazioni), nel cuore dell’organizzazione Cgil, sono tangibili. San Giovanni è una battaglia di quelle complicate. Non una passerella per chi si è arreso nel Palazzo.
Piazza è anche numero. Trapela da Corso Italia che l’obiettivo è riempire San Giovanni con 300mila persone.
Un decimo rispetto alla battaglia epocale del Circo Massimo, di dodici anni fa. Sarebbe già un successo. Perchè è cambiato il mondo. È cambiata la sinistra.
Ed è cambiato pure l’articolo 18.
Ecco, di numeri la minoranza del Pd ne porta assai pochi. Tesserati, iscritti, pullman, sono lontani i tempi del collateralismo, ma anche quelli dei buoni rapporti quando la Cgil organizzava pullman per portare la gente alle manifestazioni dove sul palco c’erano i leader della sinistra, e quando la sinistra organizzava pullman per il Circo Massimo di Sergio Cofferati
Ora c’è Renzi, il grande rottamatore dell’articolo 18. E la sinistra Pd ha votato con lui. Pure l’area (o la corrente) chi vuole andare in piazza.
Carla Cantone, segretaria dello Spi-Cgil, il potente sindacato dei pensionati che, come al solito, si sobbarcherà lo sforzo maggiore dice con franchezza: “Beh, certo, noi dobbiamo lavorare per una grande azione unitaria contro i nemici del sindacato, sennò ci asfaltano tutti. Certo è che chi vota la fiducia a Renzi ha un’esigenza: mettersi d’accordo con se stesso, prima ancora che con la piazza”.
In fondo una riconciliazione tra “pensiero” e “azione” è la stessa richiesta che rivolge agli ex diessini il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini.
Perchè l’equivoco non può durare a lungo: di lotta e di governo, di fiducia e di sfiducia, con Renzi e con la Camusso.
Per ora il premier non ha alcuna intenzione di prendere provvedimenti disciplinari sui dissidenti Tocci, Mineo, Casson che non hanno votato la fiducia.
Anche se il problema c’è. E la frase del vicesegretario Guerini al termine della segreteria suona come rivolta anche al prossimo voto di fiducia e non solo riferita all’episodio di ieri: “Non partecipare al voto di fiducia — dice Guerini – mette in discussione i vincoli di relazione con il proprio partito politico”.
Del caso “dissidenti” se ne parlerà alla direzione del 20 ottobre. E se ne parlerà al gruppo, in Senato, nei prossimi giorni.
Racconta più di un membro della segreteria del Pd che un profondo conoscitore della comunicazione come il premier sa bene che un’espulsione rappresenterebbe una macchia.
E, proprio nel momento in cui ha mietuto un successo, non commetterebbe mai l’errore di andare sui giornali nelle vesti dell’epuratore.
Vuoi mettere il gusto di vedere i suoi oppositori fischiati pure tra le bandiere rosse, dopo averli piegati in Senato.
(da “Huffingtonpost”)
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