Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
NON SI CONOSCE NE’ LA SPESA NE’ IL NUMERO DI AEREI DA PRENDERE… SICURI SOLO I 700 MILIONI BUTTATI PER LA FABBRICA A CAMERI
Volano ancora tra volute di fumo gli F-35. Tra annunci, smentite, ballon d’essai e mezze verità non
si ferma la giostra sul numero di cacciabombardieri che alla fine l’Italia deciderà di acquistare dalla statunitense Lockheed Martin: forse 90, forse la metà oppure 75, chissà chi lo sa.
Finora i velivoli comprati con un contratto definitivo sono 8. Altri 2 o 3 dovrebbero essere ordinati entro il 2015.
Il numero totale dovrebbe infine essere tarato sulla base delle indicazioni del famoso Libro bianco della Difesa che però resta un mezzo mistero.
Alcuni mesi fa sembrava che il numero giusto fosse 45 esemplari. Di recente, in concomitanza dell’avanzata dell’Isis in Libia, dal ministero hanno fatto trapelare la notizia di voler tornare a 90.
Rimangiandosi, così, le precedenti promesse ndi riduzione.
La ministra Roberta Pinotti ha consegnato una bozza al nuovo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il presidente della Repubblica se la sta studiando essendo anche il capo delle Forze armate in qualità di presidente del Consiglio supremo di difesa.
Una volta esaminato e presumibilmente emendato, il testo passerà dal Quirinale al vaglio del Parlamento che almeno in teoria ha la parola finale su tutta la faccenda.
Nel frattempo dovrebbero essere appostate nel Documento programmatico le somme destinate al finanziamento dei 72 grandi sistemi d’arma nei prossimi 3 anni, dai sommergibili agli elicotteri, dai carri armati alle fregate. F-35 compresi
Nell’ambito delle incertezze c’è anche che a distanza di un quindicennio dall’avvio dell’operazione nessuno è ancora in grado di dire con precisione quanto costerà ogni singolo esemplare.
Forse neppure gli Stati maggiori della Difesa, compresi quello dell’Aeronautica e della Marina che sono direttamente coinvolti nell’affare.
Gli F-35 che l’Italia acquisterà non sono tutti dello stesso tipo. La maggioranza sarà di tipo A destinato all’Aeronautica e una parte di tipo B per la Marina, cioè a decollo corto per la portaerei Cavour.
Il tipo A dovrebbe costare 150 milioni di euro circa, il B una ventina di più.
Ma sono cifre indicative perchè fino ad ora gli Stati maggiori hanno comunicato i fly away cost, cioè i costi di produzione che ovviamente sono ben diversi e inferiori rispetto al costo reale di acquisto.
La mezza verità è servita a ingenerare l’equivoco che gli F-35 costino quanto gli Eurofighter, i cacciabombardieri di impianto europeo a cui anche l’Italia partecipa.
Altra incertezza totale è la caratteristica stealth, cioè l’invisibilità ai radar.
Pare che questo grande e avveniristico vantaggio operativo, sbandierato come il punto davvero vincente dell’F-35, tanto da marcarne la superiorità verso tutti gli altri cacciabombardieri in circolazione, stia rapidamente passando di moda.
Per il semplice motivo che i radar di nuova generazione, a cominciare da quelli russi, sono in grado di vederlo così come scritto da Aviation Week and Space Technology.
Così come nessuno sa quantificare il ritardo accumulato nei piani di produzione a causa dei problemi di progettazione che insorgono a ritmo continuo
Di davvero sicuro c’è un flop, quello dello stabilimento Alenia-Aermacchi (Finmeccanica) di Cameri, costato ai contribuenti italiani la bellezza di circa 700 milioni di euro.
Scintillante, ultramoderno, adagiato sui prati del vecchio aeroporto di Novara su 550 mila metri quadrati, grande quanto un quartiere di città , lo stabilimento degli F-35 sta diventando una cattedrale nel deserto nell’operoso profondo nord.
A Cameri si costruiscono le ali e si assemblano gli aerei destinati all’Italia e ad altre nazioni europee.
Ma quanti? Dio solo lo sa. Per ora pochini: gli 8 italiani per cui sono stati siglati i contratti più forse altri 8 per l’Olanda, prima tranche di uno stock di 37.
Alla fine di marzo doveva essere firmato un contratto con gli olandesi, ma l’incontro pare sia stato rimandato.
Mentre la promessa di fare di Cameri il punto di manutenzione delle flotte europee dicono sia solo uno spot.
Il fatto è che il Faco è stato costruito praticamente al buio.
Senza certezze nè sull’acquisto definitivo degli F-35 nè tanto meno sul numero di esemplari che sarebbero stati ordinati (allora si parlava di 131 come cifra ottimale e inderogabile).
Si sono comportati come chi compra la frusta prima del cavallo.
L’impressione è che la costruzione del costosissimo impianto sia stata voluta per forzare la mano, per mettere tutti di fronte al fatto compiuto dal quale sarebbe stato impossibile tornare indietro.
Tutto ciò è avvenuto a spese dell’Eurofighter, l’aereo europeo alla cui costruzione l’Italia partecipa sempre con Alenia realizzando parti ad alto contenuto tecnologico della delicatissima avionica.
Daniele MartiniCon gli F-35 i tecnici Alenia sono invece relegati al semplice ruolo di assemblatori.
Daniele Martini
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
UN BENE RIFUGIO DIVENTATO LA ROVINA DEGLI ITALIANI
Il più grande tesoro d’Italia non è nascosto in qualche bunker sotterraneo, protetto in un caveau super sorvegliato in una località segreta.
La maggiore ricchezza del nostro Paese vale una cifra stratosferica: 6579 miliardi di euro.
Quaranta volte il valore dell’oro custodito a Fort Knox, oltre tre volte l’intero prodotto interno lordo italiano, dieci volte l’intera capitalizzazione di tutte le imprese italiane quotate alla Borsa di Milano.
Il bene più prezioso del Paese è anche quello più visibile in qualsiasi angolo della penisola, diffuso lungo tutto il territorio: sono le abitazioni degli italiani.
Tanto valgono, secondo l’Agenzia delle Entrate e il Dipartimento delle Finanze, tutti gli immobili residenziali dei nostri cittadini.
Eppure questo tesoro negli ultimi anni è stretto da una doppia morsa letale che rischia di ridimensionarne il proprio valore.
Da un lato il calo dei prezzi, dall’altro l’aumento delle tasse. E il conto lo pagano le famiglie.
L’ultima brutta notizia è arrivata venerdì mattina dall’Istat.
L’indice medio dei prezzi nel quarto trimestre del 2014 ha registrato una flessione del 2,9% rispetto al trimestre precedente.
Ma è guardando un intervallo più lungo che si capisce meglio la portata della crisi che sta colpendo il settore immobiliare.
Un grafico pubblicato nell’ultimo bollettino pubblicato dall’Istat è la raffigurazione più chiara di cosa è accaduto negli ultimi anni.
Una curva grigia indica la caduta verticale dei prezzi delle case.
Preso come dato 100 nell’anno base 2010, a fine 2014 l’indice medio per le abitazioni esistenti ha toccato quota 82,9.
Significa, per fare un esempio, che chi cinque anni fa ha investito i propri risparmi magari comprando un piccolo appartamento a 200 mila euro, se oggi lo volesse rivendere si dovrebbe aspettare di cederlo a poco più di 160 mila.
Difficile dire se il trend sia destinato ad arrestarsi, ma i segnali arrivati nei mesi scorsi ancora non consentono di essere ottimisti.
Secondo uno studio di Nomisma i prezzi continueranno a calare ancora fino al 2016 e cominceranno a riprendersi soltanto nel 2017 sulla scia dell’attuale contesto deflazionistico che le iniziative di politica monetaria della Bce sperano di potere spazzare via.
Gli italiani che saranno costretti a vedere in questo biennio saranno perciò quelli maggiormente penalizzati dalla crisi nel mattone.
L’altro lato della medaglia è ovviamente rappresentato dalla buona “finestra” per gli acquisti data dai prezzi molto bassi e dalle prospettive migliorate per quanto riguarda l’erogazione del credito, anch’esse figlie delle ultime iniziative dell’Eurotower. Chiusa la parentesi buia del treinnio 2011-2013, gli ultimi dati Istat mostrano come il mercato dei finanziamenti per l’acquisto di case abbia cominicato a rianimarsi già lo scorso anno, tornando ai livelli pre-crisi.
Sempre Nomisma stima un aumento del 30% del numero di erogazioni di mutui nel 2015.
Anche per questo l’istituto bolognese vede la ripresa in atto delle compravendite che nel 2015 aumenteranno di 50.000 unità abitative in Italia, per un totale di 468.000 transazioni.
Per il biennio 2016-2017 le compravendite dovrebbero superare la soglia delle 500.000, un numero comunque ben distante da quelli del periodo 2004-2007 quando le transazioni annue si attestavano oltre le 800.000 unità .
Ma se le buone notizie sul fronte dei prezzi dovranno attendere, nella migliore delle ipotesi, almeno un anno, sugli italiani si sta abbattendo da tempo una vera e propria batosta sul fronte delle tasse.
La telenovola Imu-sì, Imu-no, Tasi, Iuc e via di nuovi acronomi, alla fine del 2014 — malgrado le ripetute smentite preventive del governo — ha riconsegnato agli italiani un conto salato tanto quanto l’annus horribilis delle tasse sulla casa, quando l’allora premier Monti aveva reintrodotto l’imposta sulla prima casa che Silvio Berlusconi aveva voluto abolire.
A nulla è servita la girandola di sigle.
Gli ultimi dati del ministero dell’Economia parlano chiaro.
Gettito totale Imu+ Tasi del 2014: 23,9 miliardi.
Gettito della sola Imu del 2012: 23,8 miliardi.
C’è di peggio, secondo un’indagine condotta dal centro studi Impresa Lavoro il peso complessivo delle tasse sul mattone, includendo tutte le imposte dirette e indirette, nel 2014 avrebbe sfiorato la cifra record dei 50 miliardi di euro, un balzo di quasi il 30% rispetto ai 38,5 miliardi del 2010.
E come se non bastasse all’orizzonte c’è una vera e propria rivoluzione per il settore immobiliare, con la riforma del catasto incaricata di aggiornare i valori (in alcuni casi datati e quasi irrealistici) delle rendite catastali che costituiscono la base imponibile per il prelievo fiscale.
La legge delega prevede che tutto ciò avvenga a gettito invariato, e quindi senza ulteriori rincari per i cittadini, ma Confedilizia da tempo mette in guardia sul rischio di nuovi aumenti.
L’Agefis, l’associazione dei geometrio fiscalisti, ha fatto già una prima stima dei possibili rialzi delle nuove rendite in alcune città .
Ecco alcuni esempi: Salerno (+ 178%), Bolzano (+176%), Parma (169%) e Napoli (+150%).
C’è un motivo se il tema della casa scalda il cuore degli italiani e dei suoi politici. Il 76,6% delle famiglie — mostra l’ultimo rapporto “Gli immobili in Italia” redatto da Dipartimento delle Finanze e Agenzia delle Entrate — risiede in una casa di proprietà . Il nostro Paese registra uno dei tassi più alti d’Europa confrontato ad esempio con Francia (64,3%) e Germania (52,6%). Semplificando: molti proprietari, molte tasse.
A prima vista la condizione del nostro Paese non sembra delle più favorevoli ma è sempre questione di prospettive.
A confronto con gli stessi Paesi di cui sopra, il peso delle tasse sulla casa si riequilibria e in alcuni casi persino si capovolge.
In Italia- mostrano i dati dell’Agenzia delle Entrate – il peso del prelievo sulla proprietà immobiliare nel 2012 valeva l’1,5% del Pil.
In Francia, con meno proprietari di casa, il 2,6%, nel regno Unito persino il 3,4%. Ancora più interessante il dato se si considera non in funzione del prodotto interno lordo ma rispetto al totale delle imposte.
In altre parole: quanto pesano le tasse sulla casa sull’insieme di quelle da pagare.
Per noi, un “misero” 3,4% contro un ben più sostanzioso 11,8% che grava sui cittadini.
Alle prese però, va detto, con una pressione fiscale più bassa della nostra.
Al netto di tutte le valutazioni, almeno una buona notizia c’è.
I più tartassati d’Europa sul fronte delle imposte sulla casa non siamo noi.
(da “Huffingtonpost”)
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