Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
AVREBBE LIBERATO IL POSTO PER GRATTERI… E DE LUCA NON MOLLA
Nella complessa partita a scacchi tra regionali, rimpasto di governo, alleanze nel centro destra e agenda di governo, la pausa pasquale ha portato qualche schiarita.
La prima mossa si chiama Andrea Orlando, il ministro guardasigilli buttato nell’arena campana con un doppio obiettivo: da una parte rompere l’asse tra il governatore in carica, l’azzurro Stefano Caldoro, e Ncd di Alfano che rischia la scissione in tre parti; dall’altra togliere dall’agone un’altra fonte di imbarazzo nel Pd che si chiama Vincenzo De Luca, l’ex sindaco di Salerno stravotato alle primarie e però condannato in primo grado e quindi destinato, in caso di vittoria, a dimettersi dopo un minuto.
Il ministro Orlando ha letto nei giorni scorsi vari retroscena che lo riguardavano e lo mettevano in una casella piuttosto che in un’altra.
In questi giorni di pausa, parlando con i suoi collaboratori, ha provveduto a chiarire alcuni punti.
Il primo: “Io non mi candido a governatore da nessuna parte, meno che mai in Campania. Se proprio avessi dovuto fare una scelta del genere, avrei certo preso in considerazione la Liguria dove, tra l’altro, partivo da un consenso della base piuttosto forte”.
Un consenso, sia detto per inciso, molto più alto di quello della candidata attuale Raffaella Paita, pupilla dell’ex governatore Burlando che, secondo i sondaggi, non sembra far impazzire il popolo del Pd mentre strizzerebbe l’occhio a Ncd e Fi orfani di Scajola.
Paita, tra l’altro, se la dovrà vedere con Giovanni Toti.
Detto questo, Orlando ha chiarito con i suoi collaboratori che il suo compito è “portare fino in fondo la riforma della giustizia”.
Percorso faticoso, pieno di insidie ma che comincia a dare qualche frutto. Si pensi all’anticorruzione e alla riforma della prescrizione che hanno avuto il primo via libera del Parlamento (Senato la prima, Camera la seconda) e dovrebbero avviarsi verso letture definitive nel prossimo mese.
L’idea di piazzare Orlando in Campania è balenata in testa al premier Renzi che, una decina di giorni fa (come aveva scritto L’Huffington Post), aveva anche convocato De Luca a palazzo Chigi nel tentativo di dissuaderlo dalla candidatura folle, causa legge Severino, in Campania.
Lo stesso De Luca però avrebbe fatto saltare i piani di Renzi.
“Voglio proprio vedere – avrebbe detto con tono di sfida il candidato governatore – come fai a farmi ritirare con tutti i voti che ho preso”.
Lo schema di Renzi prevede Orlando al posto di De Luca nel tentativo, anche, di costringere Ncd a non allearsi con Caldoro e FI e quindi spezzare anche in Campania, come già in Veneto, il vincolo del centrodestra.
Quella di Orlando, secondo palazzo Chigi, non sarebbe una candidatura dall’alto ma “una conseguenza logica” del fatto che Orlando seppe portare in fondo benissimo il mandato di commissario del Pd quando nel 2011 Bersani lo inviò a riparare i guasti dell’ennesimo pasticciaccio primarie.
Il punto è, come il Guardasigilli ha ribadito in questi giorni di riposo, che lui resta “a fare il ministro”.
Una sottolineatura destinata, oltre a Renzi, anche alle orecchie del vice procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri che, come molti ricorderanno, nel febbraio 2014 non divenne ministro solo perchè l’allora presidente Giorgio Napolitano invitò il premier a riflettere un attimo sopra quella scelta. Gratteri, convinto di fare il ministro, restò a fare il procuratore antimafia (che sa fare benissimo) e ottenne da palazzo Chigi l’incarico di redigere un nuovo codice antimafia.
Il testo ha preso forma, contiene riorganizzazioni e tagli importanti quello quello della Dia.
Di recente ha allargato il contributo anche alle intercettazioni contro la cui pubblicazione Gratteri prevede il nuovo reato di pubblicazione arbitraria.
Non c’è dubbio che l’attivismo normativo di Gratteri sommato ai presunti piani del premier, abbiano indotto più di un Giovane Turco (la corrente di Orlando che sta in maggioranza ma ricorda sempre di avere un peso) a mettere le mani avanti rispetto al fatto che possa prendere corpo davvero l’idea di un clamoroso coinvolgimento di Orlando nella partita delle regionali.
A scanso di equivoci il Guardasigilli pianta bandierine sulla giustizia. Incassa il via libera alle riforme, seppure perfettibile, e ribadisce che “le intercettazioni saranno materia da discutere insieme con il disegno di legge sulla riforma del processo penale”.
Anzi, di più, “saranno proprio le intercettazioni a fare da volano alla riforma del penale necessaria per dare tempi certi al processo”.
Nessuno stralcio, quindi. Nessuna fuga in avanti come invece chiede Ncd.
Il partito di Angelino Alfano spinge anche per modificare la riforma della prescrizione già approvata dalla Camera ed ora all’esame del Senato e chiede un intervento sulla disciplina delle intercettazioni.
Da verificare tempi e modalità di approvazione delle norme anticorruzione, in arrivo a Montecitorio dopo essere state licenziate da palazzo Madama.
La partita a scacchi resta complessa. Ma un punto fermo c’è: “Orlando resta al suo posto”.
Senza se. E senza ma.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
SE LO ESPELLE TRENTA DEPUTATI SE NA VANNO CON LUI, FORZA ITALIA SI SFASCIA E FITTO LO PORTA IN TRIBUNALE PERCHE’ LO STATUTO NON LO CONSENTE
Forza Italia è ormai pronta a una nuova scissione, l’ennesima se si torna con la memoria ai tempi
del Pdl e delle clamorose rotture di Fini e Alfano.
Il terreno dello scontro questa volta è la Puglia dove il candidato del partito, Francesco Schittulli, è passato con il ribelle Raffaele Fitto. Che in pubblico spara a pallettoni contro Berlusconi, ma in privato frena i suoi: «Per ora non usciamo, semmai saranno loro che dovranno buttarci fuori».
L’ennesimo, e forse ultimo, capitolo della guerriglia con l’ex proconsole pugliese rovina a Berlusconi l’atteso ritorno dopo la condanna nel buen retiro di Villa Certosa, costringendolo per tutta la giornata a lavorare sulle prossime mosse, senza escludere l’espulsione di Fitto.
Decisione che provocherebbe un vero terremoto nel partito. Lo sa Giovanni Toti, che auspica: «Medieremo fino all’ultimo».
Con la cacciata di Fitto, infatti, i gruppi parlamentari azzurri franerebbero, si parla di una trentina tra deputati e senatori pronti a uscire.
Senza contare che ci sono altre di dissenso, a partire da quella di Verdini, che a quel punto potrebbero a loro volta abbandonare Forza Italia.
Eppure la scissione sembra inevitabile.
A cinquanta giorni dalle amministrative Berlusconi non ha un candidato in Puglia.
Se è vero che punta tutto su Veneto, Liguria, Umbria e Campania, non può permettersi di sparire dal tacco d’Italia.
Già , perchè Fitto vuole che Schittulli, sostenuto anche da Ncd e Fdi, corra sotto le insegne azzurre.
E quando l’ombra di Berlusconi, Mariarosaria Rossi, sbarcherà a Bari per formare nuove liste forziste a sostegno di un nuovo candidato (si ragiona sul commissario di Fi Luigi Vitali, sull’ex fittiano tornato all’ovile Paolo Francesco Sisto o su Adriana Poli Bortone), Fitto aprirà «la battaglia legale» sostenendo che la tesoriera di Fi non ha il diritto di forzare la mano.
Una strategia con la quale l’ex governatore pugliese mira a mantenere il simbolo azzurro sulle sue liste emarginando Berlusconi nella regione.
Un’onta per l’ex Cavaliere, che finirebbe mezzo detronizzato
Non a caso Fitto ha dichiarato in pubblico che «il partito è senza regole, senza una seria e credibile linea politica, con dirigenti privi di qualunque legittimazione democratica.
Ma davvero pensiamo che le liste possano essere fatte e disfatte dalla senatrice Rossi?».
Berlusconi a Porto Rotondo schiuma rabbia. Giusto venerdì aveva fatto appello di unità , ma Fitto lo ha clamorosamente ignorato.
«Non può fare una lista contro di me da dentro Forza Italia », era lo sfogo dell’ex premier, «di fatto è già fuori dal partito”
Dunque la resa dei conti appare ormai inevitabile, dopodichè Berlusconi, se resisterà al richiamo della villa di Antigua (a breve riavrà il passaporto), si butterà in campagna elettorale e nel rinnovamento di un partito che vuole più fresco e giovane.
E ovviamente più berlusconiano.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
SIMONE AI MAGISTRATI: “L’EPOCA DELLA MAZZETTA È FINITA, ADESSO SI FA COSàŒ”…. AVVISO DI GARANZIA ANCHE PER L’EX PARLAMENTARE AN LUIGI MURO
Francesco Simone lo ha detto chiaro ai magistrati di Napoli che lo interrogavano venerdì in carcere alla presenza del suo avvocato Maria Teresa Napolitano: “L’epoca delle mazzette è finita. Oggi per addolcire i pubblici amministratori le società , come ha fatto la Cpl Concordia a Ischia, usano le consulenze”.
Alla Cpl i pm Henry John Woodcock, Celestina Carrano e Giuseppina Loreto contestano una convenzione da 165 mila euro all’anno con l’hotel del padre del sindaco Ferrandino e le consulenze legali al fratello avvocato, Massimo Ferrandino.
Ha parlato a lungo, Simone, con i magistrati nell’interrogatorio di garanzia.
Provato dall’esperienza del carcere di Poggioreale e deluso per essere stato scaricato dalla Cpl Concordia nel 2014, dopo le perquisizioni e l’uscita delle prime notizie, Simone aveva voglia di togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
L’interrogatorio è segreto ma i contenuti filtrano per sommi capi.
“Va bene, Simone, lei dice che oggi si usano le consulenze, le società di servizi e i subappalti ai familiari e amici degli amministratori locali — hanno cercato di stringere i pm — ma ci può fare un esempio?”.
E Simone: “Portatemi l’elenco degli appalti vinti da Cpl Concordia e l’elenco delle consulenze, dei subappalti e delle società create nei Comuni interessati e potrò essere d’aiuto”.
Ai pm Simone ha decritto il protocollo usato nella pratica da Cpl Concordia, per addolcire le amministrazioni.
Ai magistrati non interessava la teoria ma il caso concreto. Simone ha fatto un nome: Procida.
Secondo l’ex responsabile relazioni istituzionali di Cpl Concordia, l’ex sindaco ed ex deputato di An Luigi Muro sarebbe stato utilizzato anche per i suoi legami con l’attuale sindaco, allo scopo di ottenere le autorizzazioni necessarie dal Comune per fare la metanizzazione dell’isola.
A Muro sarebbe stata riservata una piccola quota tra il 10 e il 20 per cento di una società costituita ad hoc dalla Cpl Concordia.
Una tecnica già sperimentata: la coop crea una società di scopo con gli amici o familiari dei pubblici decisori e le quote aumentano vertiginosamente quando l’appalto viene assegnato o si sbloccano i finanziamenti pubblici.
Simone avrebbe sentito parlare Luigi Muro con il presidente della Cpl Roberto Casari e ha riferito quello che avrebbe sentito dire. Risultato: Ischia non è più un’isola ma almeno un arcipelago.
L’ex sindaco di Procida Luigi Muro ieri si è visto consegnare dai carabinieri della compagnia locale guidata dal capitano Andrea Centrella un bell’avviso di garanzia. Muro, è un ex socialista che vive a Procida dove è entrato in Consiglio comunale nel 1984 senza mai uscirne.
Dopo l’adesione ad An diventa un fedelissimo di Pinuccio Tatarella e si fa eleggere con 10 mila preferenze alla Regione nel 2005.
Nel 2011 subentra come deputato e aderisce a Fli di Fini e Bocchino.
Ora è solo presidente del Consiglio comunale di Procida. Muro è indagato per corruzione e sempre per le parole di Simone sono indagati anche l’ex presidente della coop Roberto Cesari e Nicola Verrini, ex responsabile di area per Lazio, Campania e Sardegna
In realtà dall’arcipelago napoletano l’indagine potrebbe allargarsi ben presto alla penisola.
Ovviamente i magistrati sono consapevoli del rischio di estendere troppo il raggio della loro azione:seicontrattiaiparentidel sindaco Tizio e se tutte le società partecipate da un amico o familiare dell’assessore Caio, realizzate da Cpl Concordia nella miriade di paesi in cui la coop rossa ha operato devono essere considerati corruzione, il rischio è che poi al processo nulla sia considerata corruzione dai giudici, nemmeno gli episodi contestati a Ischia della convenzione e della consulenzaaiparentidelsindaco Ferrandino.
Nell’interrogatorio di garanzia, il responsabile delle relazioni istituzionali della Cpl, arrestato lunedì, ha parlato anche della fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema e di quella creata nel 2009 dal sottosegretario alla presidenza Marco Minniti e poi abbandonata nel 2013 alla nomina a Palazzo Chigi: la fondazione Icsa.
Mentre su quest’ultima ha sostanzialmente ammesso che ci potesse essere un interesse da parte di Cpl a ottenere qualche favore in cambio della quota associativa pagata ogni anno di 20 mila euro, Simone su D’Alema è sembrato ai pm molto più cauto nell’interrogatorio che nelle telefonate intercettate: ha glissato sulla conversazione intercettata nella quale dice che Italianieuropei va finanziata anche perchè D’Alema è uno “che mette le mani nella merda” e potrebbe diventare un commissario europeo. “La fondazione di D’Alema è una delle poche che svolge una vera attività di ricerca e non la finanziavamo per avere qualcosa in cambio”, si è giustificato Simone.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
“TENERLA APERTA COSTA PIU’ DI TENERLA CHIUSA: NON SOLO NON PAGA IL DEBITO CON LE BANCHE, MA NEANCHE I COSTI DI GESTIONE”
A certificare il flop mancavano solo i numeri ufficiali. E quelli di Brebemi non lasciano dubbi. 
La direttissima Milano-Brescia ha registrato nel 2014 un rosso di 35,4 milioni di euro. Mentre il numero medio di veicoli transitati ha superato di poco i 14mila al giorno, molti meno dei 60mila previsti a regime in fase di progetto.
Le difficoltà dell’autostrada che corre parallela all’A4 erano note, ma dal bilancio approvato a inizio marzo dal cda salta fuori che i costi operativi, più di 14,2 milioni di euro, hanno superato i ricavi da pedaggio (11,7 milioni).
Un dato “drammatico”, secondo il responsabile Trasporti di Legambiente Lombardia Dario Balotta: “Significa che Brebemi non solo non paga il debito mostruoso con le banche, ma nemmeno il costo di gestione. Significa che tenerla aperta costa più che tenerla chiusa”.
La perdita di 35,4 milioni — si legge nella relazione di bilancio — è “più elevata di circa 8,1 milioni rispetto alle stime della società ”.
I conti in rosso sono “conseguenza della fase di avvio. Tale fase ha infatti rilevato una contrazione dei flussi di traffico rispetto alle previsioni iniziali in considerazione sia del mutato quadro macroeconomico che del diverso scenario infrastrutturale di riferimento”. Sui costi non legati alla gestione operativa pesano soprattutto gli interessi sui prestiti necessari alla costruzione dell’autostrada, per un indebitamento finanziario netto che supera 1,5 milioni.
I numeri di bilancio, che non sono stati diffusi dalla Brebemi ma sono trapelati sulle pagine bresciane del Corriere della Sera, confermano dunque i problemi della società , tra i cui soci ci sono Intesa Sanpaolo e gruppo Gavio.
Per riequilibrare il piano finanziario Regione Lombardia ha già previsto uno stanziamento di 60 milioni di euro, mentre altri 300 dovrebbero arrivare dal governo, sempre che il Cipe dia l’ok.
Tali provvedimenti, per i quali Balotta parla di “accanimento terapeutico”, sono motivati dalla necessità di coprire i buchi di un’opera fatta passare dal presidente della società Francesco Bettoni come “realizzata senza un euro pubblico”, nonostante fin dall’inizio gran parte dei finanziamenti fossero arrivati da Cassa depositi e prestiti e da Banca europea degli investimenti, entrambe pubbliche.
A incidere sui ricavi deludenti è stato il passaggio di auto e tir sotto le aspettative. Dall’inaugurazione del 23 luglio fino a fine anno sono entrati in autostrada 2,3 milioni di veicoli, il 78% dei quali mezzi leggeri.
La media è di poco superiore ai 14mila veicoli al giorno, mentre sono 8mila i ‘veicoli teorici’, ovvero il numero di veicoli che teoricamente percorrono l’intera tratta, pagando l’intero pedaggio.
Il picco di chilometri percorsi è stato toccato ad ottobre (17,6 milioni), un dato che è andato addirittura a diminuire a novembre (16,9 milioni di chilometri) e a dicembre (16,6).
Secondo i vertici della società le cose miglioreranno quando verranno completate la tangenziale est esterna di Milano e la corda molle, che consentiranno un maggiore afflusso di vetture sulla Brebemi.
Nulla secondo Balotta sarà però in grado di risollevare le sorti di un’autostrada che è “in coma irreversibile. In una situazione normale, i revisori dei conti non dovrebbero certificare il bilancio e dovrebbero accompagnare la società al default. Ma le banche non vogliono che muoia perchè non ci sarebbero eredi a pagare il debito. Quindi la
tengono in vita a spese pubbliche sperando in un miracolo, sempre a spese pubbliche”.
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
LE CRITICHE: MOLTE PERSONE SPENDERANNO TUTTO E RESTERANNO POVERE DA VECCHIE
Prendi i soldi e scappa.
È quello che da oggi nel Regno Unito possono fare migliaia di lavoratori grazie all’entrata in vigore di una controversa riforma delle pensioni.
Ciascun lavoratore con 55 anni di età potrà ritirare tutto il montante dei contributi previdenziali annui da lui versati nella propria carriera.
Un quarto del montante sarà esentasse mentre i restanti tre quarti saranno sottoposti alla tassazione ordinaria.
In Gran Bretagna consensi e critiche. Perchè chi ritira tutti i propri contributi non avrà più diritto a una pensione pubblica.
Il governo confida nella misura come uno strumento per attivare la spesa delle famiglie, con l’auspicio che sia indirizzata soprattutto agli investimenti e dia un ulteriore impulso alla crescita economica.
Invece i critici della riforma sostengono che i lavoratori che incasseranno tutto e subito correranno il rischio di trovarsi completamente spiantati in età avanzata.
Non tutti spenderanno i loro contributi pensionistici per investimenti con cui mantenersi durante la vecchiaia, ma in tanti li useranno semplicemente per pagarsi una fuoriserie o una vacanza di lusso; comunque, non per trovarsi meglio da vecchi. Perchè i britannici sono un po’ spendaccioni, e tantissimi sono molto indebitati: se usano il «fieno per la cascina» per pagare i debiti contratti da giovani, domandano i dubbiosi, come si manterranno quando non avranno più uno stipendio una volta lasciato o perso il lavoro, e nessuna pensione da vecchi?
Il primo a chiedere indietro i suoi contributi al Tesoro di Sua Maestà britannica è stato, proprio stamattina, un ragioniere di 57 anni del Devon.
Michael Dunn ha deciso di utilizzare quei soldi, di cui evidentemente non ritiene di aver bisogno quando sarà vecchio, per pagare il restauro del tetto della chiesa del suo paesino.
Ma in tanti pensano di ritirare i propri contributi per finanziarsi una nuova vita all’estero, preferibilmente in Paesi con un clima più mite o dove l’economia sta registrando un boom, come l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sud Est asiatico.
Il governo invita i lavoratori a «riflettere bene e a non agire d’istinto»: anche perchè se tutti decidessero di ritirare il «malloppo» la tenuta il sistema previdenziale britannico potrebbe essere messa a rischio.
Luigi Grassia
(da “La Stampa”)
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
LA RICOSTRUZIONE NON SI E’ VISTA, TRA FONDI BLOCCATI E INCHIESTE
Sei anni fa. Dalle 3:32 del 6 aprile la vita a l’Aquila è rimasta sospesa tra il dolore del lutto (309
morti e 1500 feriti) e l’incertezza del futuro, senza più il calore dei luoghi conosciuti, delle mura della propria casa, dei percorsi quotidiani.
60mila sfollati e 10 miliardi di danni. Il cuore della città ferito a morte, solo una cinquantina di persone che sono tornate ad abitarlo.
Una manciata di fortunati che hanno visto le loro abitazioni in palazzi rinascimentali e medievali risorgere dalle macerie grazie alla Sovrintendenza.
Una ricostruzione partita in ritardo di anni – fondi bloccati, burocrazia lumaca – che ha privilegiato le periferie, poche strade del centro, quelle intorno a corso Vittorio Emanuele II, la via dello «struscio», creando così un confine di diseguaglianza e di scontento.
I bambini senza città
Bambini cresciuti senza conoscere la loro città , e la vita di prima, quella normale, quando si andava a piedi in centro e ci si vedeva in piazza o alla villa.
Mentre adesso ci si sposta in auto e il luogo di aggregazione sono diventati i centri commerciali. Tranne che per i ragazzi che hanno fatto delle strade diroccate un luogo di movida.
Ed è strano vedere una città fantasma tranne qualche bar, locali per aperitivi, birrerie, concentrate vicino a piazza Regina Margherita.
Qui due tra i pochissimi palazzi restaurati, palazzo Cappa e palazzo Paone dove abitano solo 3 persone.
Ha riaperto la pasticceria Manieri, la pasta all’uovo di via Garibaldi e poco distante la macelleria. Nulla più.
«Ci sono le persone anziane che sono volute rimanere qui che non possono fare la spesa d’inverno se non facendo una scarpinata ai supermercati nella città bassa», dice Tullio Manieri.
«E l’amministrazione non fa niente per far tornare in centro almeno i servizi essenziali alla sopravvivenza come una bottega di alimentari».
Non è una città per anziani. Ma neanche per i bambini convinti che «casa» siano le New Town, in cui sono costretti a vivere dalla nascita.
19 quartieri dormitorio voluti da Berlusconi e Bertolaso, annunciati dal salotto di Porta a Porta la sera stessa di quel maledetto 6 aprile, che cadono a pezzi.
I complessi antisismici
E che, ammette il sindaco, potrebbero anche dover essere abbattute se la manutenzione risultasse antieconomica.
Le hanno chiamate “Case” (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili) ma non hanno nulla che ricordi il calore e la sicurezza di quella parola.
Sedicimila aquilani sfollati devono fare i conti tutti i giorni con balconi inagibili (nel settembre 2014 è crollato un balcone a Cese di Preturo, e da allora sono sotto sequestro 800 balconi in cinque insediamenti dell’Aquilano).
Ma anche con infiltrazioni negli appartamenti e nei garage, allagamenti, pavimenti che si scollano, fogne che si intasano.
Sono costate quasi un miliardo di euro. Per il crollo di Cese adesso c’è un’inchiesta aperta, per difetti di costruzione e fornitura di materiali scadenti, con 39 indagati.
Ma c’è anche l’inchiesta sugli isolatori sismici delle Case, installati sotto le piastre delle New Town e che durante alcune prove di laboratorio in California si sono spezzate durante un terremoto simulato.
Poi ci sono i “Map” (Moduli abitativi provvisori), altra sigla sinistra, le casette di legno delle frazioni e dei Comuni. Ma anche li non se la passano bene.
Oggi ancora 6 mila bambini sono nei “Musp”, i Moduli ad uso scolastico provvisorio nati nel settembre del 2009 per il ritorno sui banchi.
Le scuole provvisorie
Nessun istituto è stato ancora ricostruito, nonostante i soldi per farlo, 44 milioni, sono nelle casse comunali da metà del 2013.
L’Aquila piange. Lacrime che si specchiano nelle risate di imprenditori sciacalli che contavano i soldi possibili prima che fossero contati i morti.
Nelle risate della mafia che ha gettato sul territori una rete insidiosa su cui adesso vigila un gruppo di lavoro della Procura ispirato al modello della direzione nazionale antimafia.
Maria Corbi
(da “La Stampa”)
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
SLALOM DI STAMPA: NASCONDONO IL FINANZIAMENTO DI 5.000 EURO ALLA CENA DI RENZI E PARLANO SOLO DEL VINO DI D’ALEMA
Una volta Massimo D’Alema faceva paura ai giornalisti in carriera.
Perciò va capito se, quando la mattina apre i quotidiani che non ha lasciato in edicola, gli viene lo stranguglione.
I giornali degli Agnelli, dei Benedetti e dei Tronchetti Provera, che lui ricorda nostalgico come finanziatori di Italianieuropei, hanno sparato in prima pagina le sue duemila bottiglie di vino e hanno nascosto le cene di Renzi con i 5 mila euro della Cpl Concordia.
Se l’occultamento della notizia diventasse specialità olimpica, l’Italia mieterebbe medaglie.
E non possono nemmeno dire che la notizia gli sia sfuggita, visto che già venerdì scorso era l’apertura del Fatto.
Certo, diranno che questo giornale esagera, ma stavolta vince per eccesso la prudenza del Corriere della Sera, che affoga due righe sulla “contribuzione” al premier, senza neppure la cifra, in un articolo a pagina 20   intitolato “Gli affari tra sindaco Pd e senatore forzista”.
Stesso trattamento su Repubblica e Messaggero, come se lavorassero a redazioni unificate.
La Stampa, più audace, dedica una riga di sommario del pezzo nascosto nella parte bassa della pagina 8  : “E il cda decise di contribuire alla cena voluta da Renzi”.
I grandi slalomisti sanno quando passare distanti dai pali per non rischiare.
Stessa cosa i cronisti, che danzano lontani dalle notizie sgradite al capo, per non rischiare di sbatterci contro e doverle scrivere.
Sono mali di stagione. Sono in ballo nomine Rai e direzione del Corriere, la timidezza dunque li paralizza, e fanno a gara a conquistarsi l’sms più benevolo di Matteo.
Con buona pace del povero D’Alema, che chiede minaccioso le generalità al cronista impertinente e resta folgorato quando quello gli risponde a brutto muso “sono della Rai”.
Ai bei tempi avrebbe detto: “Ne parlerò con il suo direttore”, che magari aveva appena lottizzato.
Adesso gli è rimasto solo “ne parlerò con il mio avvocato”.
La libera stampa ormai striscia solo davanti a Matteo.
Pronta a scavare la buchetta per seppellire cacche e notizie.
Giorgio Meletti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
SOCIAL TRA SFOGATOIO ED EGOCENTRISMO DI MASSA… E’ DIVENTATA LA PATRIA DELLA DESTRA DEI PIAGNONI
Mi chiedo sempre più spesso se i “social”, se “le piazze virtuali”, siano davvero un possibile punto
di ritrovo e di comunicazione, anche di qualità , o non siano, piuttosto, un mero “sfogatorio” o una sorta di “ribalta” per un diffuso egocentrismo di massa.
Nella società della moderna comunicazione, certi strumenti dovrebbero essere fondamentali per “arrivare in ogni dove”.
Anzi, una “massa critica”, una collettiva “coscienza pulsante”, dovrebbero trovare un canale preferenziale anche in “siti del genere”, perchè puoi raggiungere tutti “fisicamente parlando”.
Ma questo nel mondo dei sogni, evidentemente, perchè se l’iper-attivismo diventa motivo di “noia” o, per meglio dire, una “rottura di scatole”, fino al punto da disattivare “le notifiche” ovvero togliere “i like” alle pagine che cercando di “fare”, allora davvero siamo ben oltre il mondo dei disillusi e di quelli che se ne fregano. Siamo molto più semplicemente – ma non per questo non meno devastantemente – nel “regno degli indifferenti”, di quelli che si lagnano e basta, di quelli che si lasciano vivere, senza darsi un senso e senza darlo nemmeno a ciò che li circonda.
Chi ci crede va ovviamente avanti. Ci mette passione e investe pure.
Già perchè se vuoi fare, devi far fronte anche ai costi promozionali essendo di palmare evidenza che “se aspetti la solidarietà “, il sostegno o l’appoggio – a mezzo dei “mi piace” o della “condivisione” dei post – da parte dei fantomatici, pseudo-compagni d’area, “stai fresco”.
Il potenziale successo di un’idea costa “lacrime e sangue”, ivi compresi quei maglioni che non ti comprerai mai e quelle scarpe che comprerai forse un giorno, perchè quando ci si batte, fosse anche “nel piccolo”, certe rinunce sono necessarie.
E quando lo fai, lo fai per amore delle cose nelle quali credi, per conservarti ribelle e per dimostrare coi fatti che ci credi e che non smetterai mai di farlo.
La nostra area – e parlo chiaramente dell’area di destra – è un vero “letamaio”: indifferenza e menefreghismo a frotte.
Ma questo solo se pongo la mente agli “speudo-tecnici”, perchè se rivolgo l’attenzione alla “gente comune”, quella gente che è esattamente come me, il desiderio di testimonianza e di “battaglia autentica”, lo ritrovi tutto.
Ed è per quella gente che si va avanti.
Un solo uomo non potrà mai cambiare il mondo.
La speranza crescente, si…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Aprile 6th, 2015 Riccardo Fucile
ERA IL PRIMO, PER RIPULIRE L’AREA: VINSE LA “ROSSA” CMC DI RAVENNA COL MASSIMO RIBASSO (-42,8%)… POI I COSTI SONO AUMENTATI (+117,9%). E I LAVORI NON SONO FINITI
È l’appalto più pazzo di Expo: il primo assegnato, l’ultimo a essere finito; e a costi raddoppiati.
Sotto gli sguardi severi e preoccupati della Procura di Milano, dell’Autorità anticorruzione e dell’Avvocatura dello Stato.
Si chiama “rimozione delle interferenze” e riguarda il lavoro preliminare, la “pulizia” dell’area, per poi poterci costruire sopra l’Expo con tutte le sue strutture e i suoi padiglioni.
È come pulire per bene la tavola, per poi stenderci sopra una bella tovaglia e infine apparecchiare con piatti, posate e bicchieri.
Come fai ad apparecchiare se non hai ancora finito di pulire sotto la tovaglia?
Eppure è quello che sta succedendo, nella storia più incredibile di Expo.
Una vicenda esemplare, che permette di capire com’è andata la preparazione dell’esposizione universale e merita di essere raccontata.
L’appalto zero dell’esposizione universale viene bandito il 3 agosto 2011. Tre anni, quattro mesi e tre giorni dalla vittoria di Milano contro Smirne: tempo tutto impiegato dalla politica a litigare su chi doveva avere il controllo dell’evento.
Finalmente, il 20 ottobre 2011 l’appalto viene assegnato alla Cmc, la Cooperativa muratori & cementisti di Ravenna che vince la gara al massimo ribasso.
La base d’asta era di 96,8 milioni di euro, ma la coop romagnola trionfa offrendo soltanto 58,5 milioni, con un ribasso da brivido del 42,83 per cento.
“Con margini così tirati”, si chiede subito il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, “come fa un’impresa a rientrare anche solo dei costi?”.
La Cmc s’impegna a terminare i lavori in 725 giorni, entro il 5 novembre 2013. Invece i lavori sono ancora in corso.
E l’azienda voleva finirli soltanto il 28 settembre 2015: quasi due anni dopo il termine previsto e a Expo quasi finito, visto che i cancelli della manifestazione si chiuderanno il 31 ottobre.
Scende subito in campo la Procura di Milano, che nel maggio 2012 sequestra i documenti sulla gara, ipotizzando che possa esserci stata una turbativa d’asta.
Di certo, i costi sono lievitati, fino a mangiarsi del tutto il ribasso con cui la gara è stata vinta.
Da 58,5 milioni sono arrivati a 127 5 con 28 “proroghe per forza maggiore”, 302 “proroghe per varianti riconosciute” e tre passaggi cruciali, come le cadute di Cristo sul Golgota. Eccoli.
Le richieste di soldi e l’atto di sottomissione
Non è passato neppure un annetto da quando ha vinto l’appalto e la Cmc chiede il primo rabbocco: vuole altri 28 milioni. Li giustifica con la necessità di smaltire i terreni in discarica. Sì, perchè l’area risulta contaminata anche da idrocarburi e metalli pesanti.
E pensare che uno dei motivi per cui era stata scelta per farci l’Expo, nel 2008, dall’allora sindaco Letizia Moratti, era “che i terreni non hanno bisogno di bonifica”. Le richieste della Cmc trovano qualche resistenza.
Il direttore lavori del cantiere firma una relazione in cui afferma di ritenere giustificati extracosti per soli 4,3 milioni.
L’ufficio legale di Expo nota che “non può non osservarsi che non ricorrono i presupposti della imprevedibilità e della inevitabilità ”.
Eppure il 19 dicembre 2012 Expo spa firma un “Atto aggiuntivo n.1” che riconosce alla Cmc i 28,1 milioni richiesti, facendo salire a 86,6 milioni la cifra dell’appalto, vinto offrendone 58,5. Se ne va gran parte del ribasso d’asta.
E il termine di fine lavori è spostato al 6 giugno 2014.
Expo ammette, in un documento, che “l’andamento dell’appalto è stato caratterizzato da importanti variazioni nelle quantità di terre e/o rifiuti rinvenuti nei terreni”.
Sapete perchè? Per “l’indisponibilità delle aree da parte della stazione appaltante al momento dell’indizione della gara”: insomma Expo “non ha avuto a disposizione le aree al momento della gara” e ha fatto il bando prima di poter vedere che cosa c’era davvero da fare.
Un anno dopo, siamo da capo. Cmc chiede altri 10 milioni.
Il 25 ottobre 2013 sottoscrive un “Atto di sottomissione n.1” (sublime, il linguaggio burocratico degli appalti) con il quale fa salire a 96,5 i soldi pretesi: così azzera del tutto il ribasso d’asta iniziale.
Fa anche salire i giorni di lavoro, che diventano 1.027, con consegna dunque al 3 settembre 2014. Per “ulteriori variazioni progettuali in corso d’opera”, anche perchè nel frattempo l’area era diventata un sovrapporsi di cantieri e la tavola doveva essere pulita mentre già cominciavano ad arrivare i piatti e anche qualche antipastino.
Consegna oltre i termini, premio di accelerazione
Ma non è finita qui. A luglio 2014, terza svolta: iniziano i procedimenti per formalizzare una “Perizia di variante n.3”, corredata dall’“Atto aggiuntivo n.2”. Sembra complicato, ma in fondo è semplice: sono nuovi soldi chiesti da Cmc.
Altri 31 milioni di euro, che fanno lievitare la cifra totale a ben 127,5 milioni: più del doppio di quanto offerto per vincere la gara.
Con una chicca: la “Perizia prevede anche il riconoscimento di un premio di accelerazione”. Avete letto bene: “premio di accelerazione”.
In effetti se lo sono meritato, visto che i lavori, che dovevano essere finiti nel 2013, ora avrebbero come nuovo termine quello del 26 giugno 2015: un po’ troppo in là , visto che Expo apre i cancelli il 1 maggio.
Ecco allora che Cmc s’impegna, bontà sua, a finire 86 giorni prima, il 31 marzo 2015, e per questo si guadagna il “premio di accelerazione”.
Nel frattempo è entrato in partita Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac): a lui vengono mandati, per controllo, tutti gli atti di Expo. Gli arrivano così, nell’estate 2014, anche la “Variante n.3” e l’“Atto aggiuntivo n.2”.
Cantone annusa che qualcosa non va: non sono soltanto piccole variazioni all’appalto, ma contengono “elementi di natura transattiva”.
Chiede dunque che intervenga l’Avvocatura dello Stato, in quel momento retta da Giuseppe Fiengo, il quale affida il caso all’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma. Il suo parere arriva il 7 gennaio 2015.
È una solenne bocciatura: ritiene di “non potersi esprimere parere positivo in ordine all’ipotesi di variante e di secondo atto aggiuntivo” (probabilmente anche il primo atto aggiuntivo sarebbe stato bocciato, ma Cantone non era ancora arrivato all’Anac e nessuno aveva chiesto il parere dell’Avvocatura dello Stato).
Come sbloccare la situazione? Il 13 gennaio 2015 il consiglio d’amministrazione di Expo chiede all’amministratore delegato Giuseppe Sala di avviare, come segnalato da Anac e Avvocatura dello Stato, un vero e proprio atto transattivo.
E qui Sala spicca il volo: decide “di avvalersi espressamente della facoltà di deroga”, a “superamento delle osservazioni rese dall’Avvocatura generale dello Stato”. Avanti tutta. I termini restano più o meno quelli dell’Atto aggiuntivo n.2 e della Variante n.3, ma scritti in un documento che ora si chiama “Atto transattivo”, per non far arrabbiare troppo Cantone.
Nascondi l’amianto sotto il tappeto
Intanto la Cmc formalizza le sue richieste. In una e-mail del 17 gennaio chiede che entro dieci giorni le siano pagati i lavori che ritiene fatti in più e le siano dati più giorni per finire i lavori. In seguito chiede che siano pagati a parte lo “smaltimento dei rifiuti e delle terre da scavo” e le “bonifiche di amianto e di altre sostanze inquinanti”. Bisogna infatti rimuovere “manufatti contenenti amianto o fibre minerali artificiali”, con “nuovi e non previsti comparti di bonifica” e con “amianto occulto ritrovato in aree non contrattuali”.
Amianto? Sì, il terreno che non aveva bisogno di bonifiche contiene anche amianto. Ma niente paura, Sala aveva già disposto, con il provvedimento numero 5 dell’8 agosto 2013, il passaggio dei terreni Expo dalla “Tabella A” alla “Tabella B” del Testo unico ambientale: significa che sono abbassate le soglie di rigore nei controlli ambientali, in forza del fatto che sono terreni da utilizzare per un “evento temporaneo”.
Le bonifiche sono rimandate, lo sporco nascosto sotto il tappeto.
Il termine lavori chiesto da Cmc è il 28 settembre 2015, a Expo quasi finito. Troppo. Così “il termine di ultimazione naturale dei lavori” viene aggiustato al 26 giugno 2015, comunque a Expo già iniziato. Alla fine, la transazione viene chiusa alla cifra di 127,5 milioni, ben 69 milioni in più dell’offerta iniziale.
E la data di consegna? “In considerazione dell’improrogabile necessità di garantire la completa fruibilità delle infrastrutture al 1 maggio 2015”, data d’apertura, “si concorda tra le parti il nuovo termine di ultimazione delle opere al 10 aprile 2015”, 76 giorni prima di quanto stabilito in precedenza.
Con minaccia finale: “l’appaltatore riceverà l’importo transattivo solo se a quella data” avrà “ultimato tutti i lavori”.
Altrimenti, “allo spirare della mezzanotte del 10 aprile correranno le penali”.
Tutti in cantiere, dunque, a mezzanotte di venerdì 10: per vedere come finisce la storia dell’appalto più pazzo di Expo.
Gianni Barbacetto e Marco Maroni
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »