Aprile 5th, 2015 Riccardo Fucile
NARDELLA, MARINO E DE MAGISTRIS GUIDANO LA RIVOLTA DEI COMUNI PER I TAGLI… IL SOLITO RENZI CHE SI FA BELLO CON I SOLDI DEGLI ALTRI
Rivolta dei Comuni italiani contro i tagli.
A guidare la protesta, ironia della sorte, è proprio il successore di Matteo Renzi alla guida del Comune di Firenze, Dario Nardella, che per primo ha fatto sentire la sua voce per i maxi tagli da parte dello Stato alle città metropolitane.
Con lui anche Ignazio Marino, sindaco di Roma, e Luigi De Magistris, primo cittadino di Napoli.
Loro tre, insieme al presidente dell’Anci, Piero Fassino, terranno un vertice a Roma giovedì prossimo, alla vigilia del varo del Def che prevede ulteriori tagli e razionalizzazioni nel trasporto e nelle aziende per i rifiuti.
Se dovranno ulteriormente tirare la cinghia, saranno inevitabili nuove tasse locali, proprio mentre il Governo sbandiera l’intenzione di non aumentare la pressione fiscale e, anzi, di ridurla.
I sindaci chiedono un riparto più equilibrato dei tagli.
Sul tavolo del Governo ci sono i criteri di ripartizione della sforbiciata da 2,2 miliardi di euro prevista dalla manovra, che deve essere distribuita fra 8 mila municipi italiani. Secondo i sindaci di Firenze, Roma e Napoli, le loro amministrazioni si trovano a dover sostenere oltre la metà del peso dei tagli destinati alle città metropolitane – ben 178 milioni (di cui 26 milioni Firenze, 87,2 Roma, 65,8 Napoli) su un totale di 256 milioni.
Protestano tuttavia anche i sindaci dei piccolissimi Comuni, perchè penalizzati dai criteri demografici che in 2000 amministrazioni porterebbe a tagli incrementati dal 20 al 100 per cento.
“Rischiano il default centinaia di enti” spiega Massimo Castelli, responsabile dei piccoli Comuni presso l’Anci.
Già giovedì scorso il sindaco di Firenze, Dario Nardella, aveva ammesso che il taglio da 26 milioni di euro alla città metropolitana di Firenze “ci porterà a mettere le mani sulla pressione fiscale a livello metropolitano e territoriale”.
“Francamente- spiega il sindaco che è anche coordinatore delle città metropolitane dell’Anci- non so come riusciremo a sopportare un taglio del 23%. Qualunque azienda con un taglio al budget di un quarto non sarebbe in grado di sopravvivere”.
“Misure insopportabili” dice Ignazio Marino alla Repubblica, proponendo al Governo di “concordare insieme strade alternative per effettuare i tagli alla spesa pubblica”.
Per Roma i tagli, pari a 87 milioni nel 2015, aumenterebbero fino a 175 milioni nel 2016 e a 262 milioni nel 2017, “5 volte superiori a quelli imposti a Milano, 4 volte quelli imposti a Torino. Non voglio scatenare assurde guerre fra poveri, ma mi limito a segnalare un paradosso”.
Finora “siamo riusciti a risparmiare senza tagliare i servizi, ma in queste condizioni non è più possibile farlo. E se tagliamo servizi e mettiamo nuove tasse – aggiunge – siamo poi noi sindaci che dobbiamo andare a metterci la faccia di fronte ai cittadini”. Marino propone misure alternative, come “una tassa di 1 o 2 euro sui transiti aeroportuali”.
Più duri i toni di Luigi De Magistris, che parla di “Governo irresponsabile” e di manovre “irragionevoli”.
“Hanno messo in bilancio un risparmio di un miliardo e ora per le incongruenze delle loro manovre finanziarie fanno pagare ai cittadini un prezzo troppo alto. Questi tagli andranno a toccare un terzo del Paese”. Per il sindaco di Napoli, intervistato dalla Repubblica, “sembra di stare davanti a due-tre sarti della finanza che fanno tagli irresponsabili, ma io credo che dietro questa deriva sartoriale ci siano delle manine politiche che vogliono colpire aree strategiche del Paese. C’è una riforma appena nata, quella delle città metropolitane, e invece di mettere in campo ogni iniziativa per sostenere queste macro aree urbane – sottolinea -, gli si spezzano le gambe sul nascere, per giunta con un criterio di distribuzione dei tagli assolutamente illogico”.
(da Huffingtonpost”)
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Aprile 5th, 2015 Riccardo Fucile
L’ITALIA DELLA SOLIDARIETA’ DOVE I SENTIMENTI TROVANO ANCORA CITTADINANZA
Se non ci fosse stato il terremoto del 6 aprile 2009 Susanna e Massimiliano non si sarebbero conosciuti, amati, fidanzati e promessi sposi per il 18 luglio prossimo all’Aquila.
Soprattutto, oggi non sarebbero i genitori di due bellissimi bimbi: Samuele, due anni, e Martina, un mese e mezzo.
“Prima che arrivi un terzo figlio, abbiamo deciso di sposarci a luglio” spiega Massimiliano.
“Questa sera saremo alla fiaccolata per ricordare le vittime e la tragedia che è accaduta a tutti noi – prosegue -. La prospettiva la vediamo molto difficile, viviamo nella speranza che la città possa rinascere. Per noi e per i nostri figli”.
Lei, studentessa milanese da anni a Padova per diventare psicologa; lui, aquilano, consulente del lavoro.
Si sono incontrati nel capoluogo proprio per la drammatica situazione causata dal sisma di sei anni fa: Susanna arriva nella città devastata come volontaria dell’associazione “Psicologi per i popoli”, per prestare soccorso agli aquilani scioccati dal sisma.
Nella tendopoli della frazione aquilana di Bagno in località “Lilletta” Massimiliano ha trovato ricovero nelle ore immediatamente successive alla tragedia.
La scintilla scatta in una festa per l’ultimo giorno in tendopoli “quando – racconta la psicologa – Massimiliano mi ha presa in braccio, un ragazzo per scherzare ci ha spinti e siamo finiti nella piscinetta piena d’acqua che era stata allestita vicino alle tende”. “Da quel momento sono cominciati i nostri incontri in giro per l’Italia. Ci siamo visti ad Ancona, Pescara, Firenze, Lucca, ovviamente Padova, dove – dice Massimiliano – la raggiungevo quasi ogni fine settimana. Viaggi e date che, per il nostro primo anniversario, ho fatto incidere su una torta gigante a forma di libro dal peso di cinque chili”.
Susanna si stabilisce all’Aquila nel 2011 quando la coppia comincia a progettare di sposarsi, ma arrivano prima Samuele, due anni e un mese e poi Martina, un mese e mezzo.
“Quando l’ho conosciuto ho pensato: ma che bel papà ! Lo vedevo sempre circondato dai bambini del campo, pensavo che ci fossero i suoi figli tra loro, solo dopo ho capito che li faceva divertire talmente tanto che gli stavano tutti attorno”.
“Io mi sono detto (è il turno di Massimiliano): ma che bella psicologa che mi è venuta a salvare!”.
“Organizzare un matrimonio a distanza e con due bimbi piccoli è una follia. Abbiamo già sperimentato il battesimo di Samuele, organizzato da qui e fatto a Milano, ed è stato difficilissimo”.
Poi Susanna parla della sua scelta di stabilirsi all’Aquila, dopo essere vissuta a Milano e Padova.
“In Veneto ero abituata a vivere in centro, non prendevo mai la macchina e mi spostavo facilmente. Qui è diverso, viviamo in periferia e muoversi è difficile”. “Appena si potrà – conclude Massimiliano – vorremmo comprare una casa in centro, all’Aquila, così da poterci muovere più liberamente e in modo che Susanna possa ritrovare la stessa dimensione di Padova”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 5th, 2015 Riccardo Fucile
SEI ANNI DOPO LA CITTA’ RICORDA LE 309 VITTIME IN UN CENTRO ANCORA SPENTO E DEVASTATO
Sei anni, 2.190 giorni.
Un tempo infinito che, però, nel cuore degli aquilani, che la notte del 6 aprile 2009 hanno visto le loro vite stravolte dal sisma, non pare essere mai passato.
E oggi, quando tutta la cittadinanza si riunisce per ricordare le 309 persone morte sotto le macerie, quel dolore si sente più forte: si vede sui volti di quanti, sfidando la temperatura non ancora primaverile, hanno deciso di unirsi ai Comitati Familiari Vittime, per partecipare, come ogni anno da quella notte, alla fiaccolata del ricordo.
Si parte alle 22 da via XX Settembre, al bivio per la stazione, per arrivare in Piazza Duomo intorno a mezzanotte.
Il cuore della città , piena di cantieri, ma ancora priva di vita, si riempie di aquilani.
Ma non solo: tante persone arrivano anche da paesi vicini e da altre zone per unirsi alla commozione.
Dopo la lettura dei 309 nomi, la messa celebrata dall’arcivescovo metropolita Giuseppe Petrocchi precederà la veglia di preghiera.
Poi, alle 3.32, ora del terremoto, la campana della chiesa di Santa Maria del Suffragio batterà 309 rintocchi.
Per chi, come noi, seguì la vicenda con decine di articoli di denuncia dei ritardi e delle inadempienze politiche, quasi unici a destra, una ulteriore occasione per ricordare con affetto il popolo aquilano, la sua sofferenza e la sua voglia di giustizia e di riscatto.
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Aprile 5th, 2015 Riccardo Fucile
LE RIVELAZIONI DEL GIORNALE MEDIAPART E I MESSAGGI PUBBLICATI DA ANONYMOUS INTERNATIONAL
C’è imbarazzo nel Front National per presunti sms segreti del Cremlino ai fedelissimi di Marine Le Pen.
Secondo le rivelazioni di Mediapart.fr, la leader dell’estrema destra francese è stata citata a più riprese nei messaggini di un responsabile del Cremlino, rivelati nei giorni scorsi dagli hacker russi di ‘Anonymous International’.
Datati marzo 2014, gli sms evocano contatti tra Mosca e il Front National per ottenere una presa di posizione ufficiale del partito a favore dell’annessione della Crimea alla Russia.
Ci sarebbe inoltre anche un preciso riferimento a discussioni finanziarie, in particolare, sul modo in cui Le Pen deve essere “ringraziata” per il suo sostegno al potere russo di Vladimir Putin.
“Nei mesi successivi – prosegue il giornale Mediapart – la presidente del Fn e il padre hanno ottenuto prestiti russi per 11 milioni di euro per la loro attività politica”.
I messaggi.
Il sito di informazione online basa la sua tesi su tre sms scambiati da ignoti responsabili russi.
In uno di questi, datato 11 marzo 2014, uno dei presunti uomini del Cremlino, un certo Kostia, assicura che “il Front National prenderà ufficialmente posizione sulla Crimea”.
“Qualcuno ti ha contattato sui finanziamenti?”, risponde il suo interlocutore.
“Si, il vice ministro degli esteri risponderà “, replica l’altro.
Un nuovo scambio di sms, il 17 marzo, parla poi di “aspettative” rispetto alla leader lepenista. “Marine Le Pen ha ufficialmente riconosciuto i risultati del referendum in Crimea”.
E ancora: “Non ha tradito le nostre attese”. “In un modo o nell’altro bisognerà ringraziare i francesi, è importante”. “Si, fantastico!”.
In effetti il 17 marzo la Le Pen si espresse a favore della regolarità di quella controversa consultazione popolare in Crimea.
Le Pen è una strenua sostenitrice di Putin. Ha fatto diversi viaggi di ‘amicizia’ a Mosca e da quando è iniziato il conflitto in Ucraina si è sempre opposta alle sanzioni europee contro la Russia.
Secondo Mediapart, l’associazione Cotelec, presieduta dal presidente onorario del Fronte, Jean-Marie Le Pen, ha ricevuto il 18 aprile un prestito da due milioni di euro da parte di una società cipriota alimentata con soldi russi.
A fine settembre, il partito anti-euro ha ottenuto un altro prestito da 9 milioni di euro dalla First Cezch Russian Bank (FCRB) .
E Le Pen ha sempre giustificato quel prestito internazionale dicendo che le banche francesi si erano rifiutate di finanziarie il Fn.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 5th, 2015 Riccardo Fucile
L’ESPULSIONE DELL’EX PARLAMENTARE CHIESTA DALLA LEGA EMILIANA E ACCOLTA ALL’UNANIMITA’… E’ NOTO PER I SUOI IMBARAZZANTI INTERVENTI SUGLI OMOSESSUALI
Massimo Polledri ha sette vite come i gatti.
L’ex deputato e senatore, due volte candidato sindaco a Piacenza per la Lega Nord, è scampato ancora una volta dall’espulsione del partito.
La richiesta, inviata dalla segreteria provinciale circa un anno e mezzo fa, era stata accolta all’unanimità dal comitato dei garanti.
Ma all’ultimo, l’intervento di Umberto Bossi in persona, che presiede l’organismo, ha ribaltato tutto. Ricorso accolto e reintegro immediato nel Carroccio.
Un colpo di scena, in quella che ormai è diventata una saga tra Poleldri e la Lega, che ha fatto imbestialire, non solo i vertici locali del movimento ma anche quelli dell’Emilia.
Una storia curiosa, comunque, quella di Massimo Polledri, lunga 22 anni nella Lega e costellata da qualche tonfo politico (le elezioni a sindaco) e ben più di uno scivolone, in particolare su temi sicuramente delicati, che lo avevano fatto conoscere a livello nazionale.
Il più clamoroso, durante una concitata seduta alla Camera nel marzo 2011, quando all’esponente del Carroccio emiliano uscirono frasi poco eleganti verso la collega del Pd, Ileana Argentin.
Secondo le ricostruzioni, sempre smentite dall’interessato, la democratica stava spiegando che era il suo assistente a battere le mani al suo posto per esprimere apprezzamento verso gli interventi, visto che lei non poteva, impossibilitata su una sedia a rotelle.
Ma è in quel momento che dai banchi della maggioranza si erano levati insulti, attribuiti a Polledri, che avevano gelato l’intera assemblea. Arrivarono le scuse ufficiali e il caso fu chiuso.
Ma di lì a breve ci cascò di nuovo.
Siamo nel giugno dello stesso anno e, su RaiTre, è presente alla trasmissione Agorà . A un certo punto avviene il fattaccio: “La Lega a Pontida lancia segnali di celodurismo e poi arriva a Roma e si cala le braghe”, sostiene Pina Picierno, deputata Pd.
In quel momento viene inquadrato Polledri che, con sguardo piacione, ribatte a fil di voce: “Se ci caliamo le braghe noi, può esserci una bella sorpresa per te…”.
Il 2011 è stato forse l’anno in cui ha regalato le maggiori perle del suo repertorio.
E’ ottobre e questa volta a far imbufalire il leghista, portandolo alla gaffe, era stata un tweet del collega del Pd, Pierangelo Ferrari, che durante una seduta alla Camera aveva scritto: “L’onorevole Polledri, Lega, ultracattolico e omofobo, interviene attaccando la Bce. Nel nome di CrediNord, la banca leghista fallita”.
Al termine del suo intervento, Polledri legge il tweet di Ferrari con tag #opencamera e scoppia la bagarre in diretta. “Mi ha dato del malato” urla il leghista correndo verso i banchi delle opposizioni, probabilmente male interpretando omofobo con omosessuale.
“Gli ho dato dell’omofobo, ma che abbia capito… Non è possibile!!”, scrive ancora una volta Ferrari.
Poi, dopo un anno sabbatico, lo ritroviamo nel 2012 a La Zanzara, irriverente programma di Radio24, durante il quale si lancia in una improbabile diagnosi sulla omosessualità , dall’alto della sua laurea in psichiatria infantile: “Può essere uno stato di infelicità ”. Giuseppe Cruciani non perde l’occasione per stuzzicarlo e così nasce l’ennesima vicenda che lo costringerà alle smentite: “Non è una malattia, però può essere una condizione di infelicità . Anche reversibile — aveva spiegato -, c’è una situazione di identità sessuale distonica. Qualcuno si è rivolto a degli psicologi e tre su dieci poi sono stati meglio, ne hanno tratto beneficio”.
Una serie di episodi che, però, non gli avevano precluso la strada per correre ancora una volta a sindaco nel 2012.
Il risultato fu deludente, con la Lega che arrivò a malapena al 5%, anche a causa degli scandali che investirono il Carroccio.
E così la segreteria emiliana colse l’occasione per provare a disfarsi di una figura così ingombrante, raccogliendo tutto il materiale necessario, pare in oltre 200 pagine, allegandolo alla richiesta di espulsione inviata in via Bellerio.
Primo risultato: gli viene azzerata la militanza. Non potrà più essere candidato, nè fare politica attiva e per lui rimangono ammessi solo il volontariato e la manovalanza.
Ma non era abbastanza, perchè era ormai inviso anche a buona parte del partito locale.
Che infatti, in seguito, invierà una nuova richiesta di espulsione al Comitato dei garanti.
Lo scorso 9 marzo la votazione: richiesta accolta, Polledri è stato espulso.
Ma in extremis, dopo due settimane, gli arriva l’ennesima ancòra di salvezza.
Dal palco di una festa a Bergamo, Umberto Bossi afferma: “Non mi macchierò mai dell’ignominia di mettere fuori una persona che ha creduto per 20-30 anni nella Lega. Non metterò fuori nessuno”. Tempo qualche giorno e nella cassetta della posta di Polledri arriva una lettera, firmata dal Senatùr, che lo riabilita nel movimento.
La Lega Nord piacentina accusa il colpo e si chiude nel silenzio. Rotto solo dal segretario dell’Emilia, Fabio Rainieri: “Finchè sarò segretario Polledri non sarà mai più considerato un militante. Ci ha lasciato cause legali, che noi dobbiamo pagare. Il nuovo corso può partire solo senza di lui”.
Polledri, dal canto suo, canta vittoria ancora una volta verso i suoi detrattori: “Mi dispiace che a livello locale si sia perso tempo ed energie per niente. Ritengo che le sedi del nostro movimento debbano continuare ad essere posti dove si ascoltano e si tentano di risolvere i problemi della gente e non luoghi dove si compiono atti di bullismo politico verso i militanti”.
E non ha mancato, a suo modo, di rispondere ai nuovi attacchi che gli sono arrivati dai suoi compagni di partito: “Ranieri chi? Quello che secondo il tribunale dovrà risarcire la Kyenge con 150mila euro, o quello che è indagato dalla procura di Reggio Emilia per appropriazione indebita? Ho sempre agito all’insegna della trasparenza e non sono mai stato raggiunto da avvisi di garanzia o da condanne. Ranieri può dire lo stesso?”.
Gianmarco Aimi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 5th, 2015 Riccardo Fucile
MA OGGI L’EX PREMIER NON SI FIDA PIU’: “UN FURBASTRO, HA PRESO ANCHE I DIFETTI DEI COMUNISTI”
In fondo Berlusconi ci aveva visto giusto, non a caso invitò Renzi ad Arcore promettendogli che «un giorno tutto questo sarà tuo».
Non è chiaro se vedesse in quel «simpatico ragazzo» un talento da cavalcare o una minaccia da scongiurare, è certo che a distanza di qualche anno Renzi si sta prendendo ciò che gli era stato offerto, senza nemmeno chiedere permesso.
La migrazione da Forza Italia verso il Pd è iniziata: «Bondi l’ha fatto e anche Verdini ormai aspetta solo una scusa per andarsene».
Berlusconi è consapevole che la ferrea legge della natura, cioè della politica, non fa concessioni nemmeno a chi per venti anni è stato il re della foresta nel Palazzo.
E infatti ieri il ruggito con cui voleva richiamare all’ordine quanto resta del suo branco, non ha sortito effetti.
Anzi, persino il candidato del centrodestra in Puglia, Schittulli, gli ha voltato le spalle, costringendo il vecchio leader a inseguirlo per non restare fuori da quel laboratorio dove pezzi dell’ex Pdl – da Fitto ad Alfano – tentano una ricostruzione che verrà provata anche in Veneto con l’appoggio a Tosi.
Sono esperimenti, e in quanto tali possono essere fallaci. Ma testimoniano un’idea di progetto, guardano al futuro.
Berlusconi sembra invece vincolato a un presente che è denso di recriminazioni e di angosce. Vive con ansia l’attesa di una libertà che non è stata pienamente ritrovata, «ancora non mi hanno restituito il passaporto», ed è mosso da un forte disappunto verso quel «simpatico ragazzo» che si è trasformato in un «furbastro di cui non ci si può fidare», perchè si è «rivelato uno di quelli». Cioè un «comunista».
O meglio, ai suoi occhi il segretario del Pd ha acquisito i loro stessi difetti: «I comunisti, per esempio, sono sempre stati abili nel truccare le elezioni.
E Renzi, in una delle occasioni in cui ci siamo incontrati, mi ha raccontato che alle primarie contro Bersani venne fregato.
“La volta dopo – mi disse – siccome avevo capito come facevano, li ho fregati io”. Capite il personaggio?».
Si capisce anche la sofferenza di Berlusconi, un visionario che un tempo fece di un acquitrino una città , che sfidò la Rai con una tv del sottoscala, che trasformò un club in fallimento nella squadra di calcio più titolata al mondo, che scese in campo per entrare subito a palazzo Chigi, ma che oggi non riesce a calarsi nei panni del padre nobile, siccome il padrun sa solo comandare e vincere. E per una parvenza di vittoria ha quietato l’impulso di andare da solo alle Regionali, acconciandosi all’alleanza con la Lega, «perchè non possiamo dare anche il Veneto a Renzi».
Pur di prendersi la rivincita sul «furbastro», ha subìto senza replicare le battutacce di Salvini.
L’ultima dev’esser stata una coltellata al cuore e ai suoi ricordi, perchè quando si è ventilata l’ipotesi che l’ex premier potesse candidarsi a sindaco di Milano, il capo del Carroccio ha commentato: «Dopo Pisapia, chiunque può farlo».
È vero che Berlusconi aveva accarezzato quella idea, ma per presentarsi in politica non per accomiatarsene.
È una storia che risale al ’93 e che riaffiora nella testimonianza di un ex parlamentare del Ppi, Duilio, catapultato a fare il vice commissario della Dc milanese, a fianco di Bodrato, nei mesi tremendi di Tangentopoli, quando «sui vetri della sede del partito si sentiva il rumore metallico delle cento lire».
Per anni Duilio era stato il responsabile dell’Agenzia di formazione per l’impegno sociale e politico nella diocesi lombarda, a diretto contatto con il cardinal Martini, che lo assecondò nella nuova intrapresa quando a chiamare fu Martinazzoli.
Duilio seppe delle intenzioni di Berlusconi durante una riunione dei dirigenti democristiani dell’epoca in via Mirone: «Era giugno, c’erano appena state le elezioni per il comune di Milano, e noi – che avevamo candidato Bassetti – eravamo stati sconfitti dalla Lega con Formentini. Ricordo che, mentre si discuteva sul da farsi, il professor Moioli, docente alla Statale, pronunciò quel nome».
«Quel nome» allora evocava solo un tycoon delle tv legato a Craxi, e vissuto con ostilità dalla sinistra dc.
«Perciò – rammenta Duilio – non capii subito cosa c’entrasse. Tranne quando ci fu detto che proprio lui, prima del voto, aveva fatto sapere che sarebbe stato seriamente intenzionato a candidarsi per palazzo Marino, che era disponibile se noi avessimo accettato. Forse Bodrato ne parlò con Martinazzoli o forse no, ma con il senno di poi si può dire che sarebbe stato un evento che avrebbe forse cambiato il corso delle cose».
Chissà se Berlusconi ne ha fatto cenno a Salvini dopo la sua dichiarazione, più probabilmente si sarà tenuto stretto il ricordo.
Perchè i ricordi si confidano agli amici, non ai «furbastri».
Siano avversari o alleati.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 5th, 2015 Riccardo Fucile
L’SNP RISCHIA DI DIVENTARE TERZO PARTITO E AGO DELLA BILANCIA
Va male tutto, anche un’intramontabile gloria come il whisky.
Le esportazioni sono calate del 7,4% ai minimi dell’ultimo ventennio sotto i colpi del Bourbon americano che ha sullo Scotch lo stesso effetto dello shale oil sul prezzo del barile.
La caduta del liquore nazionale mima, infatti, quella della ricchezza nazionale, il petrolio del mare del Nord che avrebbe dovuto finanziare la secessione dal Regno Unito.
Edimburgo l’ha scampata per un pugno di voti nel settembre scorso. Scampata proprio, alla luce di come sarebbero andate le finanze di uno Stato indipendente, fiaccate dalla congiuntura che deprime i costi dell’energia oltre ogni ragionevole previsione.
La propaganda nazionalista nei giorni precedenti la consultazione popolare insisteva sulla ”convenienza della solitudine” grazie alla generosità dei pozzi off shore, unica vera garanzia di gettito per le casse dei territori oltre il Vallo.
Oggi la Scozia si ritroverebbe con il cappello in mano. Ne deriva, per associazione logica, che i sostenitori della secessione dovrebbero essere in umiliante ritirata.
I sondaggi dicono il contrario: perduta la battaglia per l’addio da Londra, uomini e donne di highlands e lowlands si preparano a invadere Westminster.
È l’unico dato certo di elezioni nel segno della più assoluta incertezza.
Tutti gli istituti di statistica assegnano allo Scottish national party un successo senza precedenti alle elezioni britanniche del 7 maggio, in marcia verso il terzo posto alla Camera dei Comuni, alla spalle di Tory e Labour.
A pagare il prezzo più alto sono i laburisti e LibDem — i conservatori eleggono un solo parlamentare nei collegi oltre il Vallo — destinati ad essere decimati da una spinta nazionalista che porterebbe, per taluni, l’Snp sulle soglie dell’en plein, conquistando 56 dei 59 deputati che si assegnano in Scozia.
London school of economics è meno radicale nel suo studio sulla dinamica elettorale, ipotizzando 40 deputati per Snp, un multiplo rispetto ai 6 eletti del 2010.
Il consenso per i nazionalisti è al 4% su base nazionale quindi, in termini percentuali, è molto più contenuto rispetto al moltiplicatore garantito dal sistema elettorale britannico, il first past the post.
Ovvero quel maggioritario secco che, invece, penalizza Nigel Farage e l’Ukip.
Il sostegno popolare per il partito eurofobo, dicono i sondaggi, sta calando dal 20% che mediamente si registrava nei mesi scorsi al 12-15 % di oggi, ma a sconfiggerli — sulla carta — è il meccanismo di calcolo del voto che agisce in modo speculare al “favore” che, il meccanismo stesso, garantisce a Snp.
A fare la differenza è la concentrazione territoriale del consenso nel caso scozzese, a fronte della diffusione sul territorio nazionale dell’Ukip che così cade nella tagliola del maggioritario British style e rischia di eleggere solo un paio di Members of Parliament
La slavina tartan è su Westminster, ben rappresentata dal contrappasso storico che si va delineando a Glasgow dove cinque dei sette seggi Labour dovrebbero passare ai nazionalisti con uno swing di cui pochi hanno memoria, visto che i laburisti non perdono un deputato nella città da più di trent’anni.
La slavina farà più danni al partito di Ed Miliband in Scozia di quelli che potrà fare l’Ukip ai Tory in tutto il Regno, ma le conseguenze non finiscono qui.
La crescita dell’Snp di fatto renderà ingovernabile il Paese se è vero che l’impalpabile maggioranza che Lse assegna ai Tory sul Labour (4 deputati) non basterà per mantenere David Cameron a Downing street, rendendo come ipotesi più probabile un governo di minoranza abbarbicato ai voti nazionalisti.
In altre parole, un esecutivo con un premier Labour e con il sostegno esterno di LibDem e Snp.
Per la City è lo scenario peggiore. E non solo perchè la Gran Bretagna marcia verso un lessico politico da Italia della Prima Repubblica, inoltrandosi nei meandri dell’instabilità di governo, fatta di multiple coalizioni e patti di non belligeranza. L’impronta socialista tradizionale (rispetto alla Terza Via di Tony Blair) del Labour di Ed Miliband, infatti, coniugata con il moltiplicatore radicale dell’Snp, porterà a spinte ancor più estreme su welfare e spesa pubblica, ma anche su temi come il nucleare con i Trident al centro di un delicato dibattito che coinvolge sicurezza e difesa del Regno. I rischi sono soprattutto altri, gli stessi paventati dal dibattito secessione.
«Se Snp farà un accordo con il Labour — spiega Tony Travis scienziato della politica, esperto di dinamica del consenso alla London School of Economics – avrà influenza importante sulle scelte nazionali. Tratterà per spuntare benefici a favore di Edimburgo, innescando così la reazione degli elettori inglesi o delle altre nazioni».
È il timore ultimo della dissoluzione del Regno, quello stesso che si era materializzato con il referendum scozzese e che riemerge per l’effetto perverso di un sistema elettorale inadeguato al mutare dei tempi.
La debole rappresentatività del first past the post britannico funzionava, in uno scambio tacito con la stabilità politica, nel mondo bipolare di Tory e Labour.
Oggi le forze in campo sono sette e il bacino dei due grandi partiti che un tempo si spartivano il 90% dei voti è al 65-68 per cento.
La frammentazione avanza oltre la Manica riscrivendo la storia.
Con la erre arrotata in gran voga da Edimburgo in su.
Leonardo Maisano
(da “il Sole24ore“)
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Aprile 5th, 2015 Riccardo Fucile
SULLO STESSO LIVELLO LEGA E FORZA ITALIA
Le intenzioni di voto degli elettori italiani pur facendo registrare qualche variazione nell’ultimo trimestre non modificano lo scenario politico complessivo.
Il Partito democratico si conferma al primo posto con il 35,7%, seguito dal Movimento 5 Stelle (21,3%).
Rispetto a febbraio il Pd risulta in flessione (-0,9%) e il M5S in crescita (+1,5%).
Al terzo posto la Lega di Salvini (13,7%) appena sopra Forza Italia (13,5%), sia pure di poco e in misura statisticamente non significativa, e questa è l’unica novità degli ultimi due mesi.
A seguire Fratelli d’Italia-An (4%) che precede Sel (3,6%), poi Udc (2,5%) e Ncd (2,2%) e infine Prc (1,5%). Tutti gli altri partiti si collocano al di sotto dell’1%.
Sulla base di questi dati, qualora l’Italicum venisse approvato i centristi supererebbero la soglia di sbarramento fissata al 3% solamente se confluissero in un unico soggetto politico.
Rispetto ai mesi precedenti, dal sondaggio odierno si possono trarre le seguenti indicazioni:
1) Nonostante la flessione (-5,1% rispetto al risultato ottenuto alle elezioni europee), dovuta alla fine della luna di miele degli elettori con il governo, alle difficoltà economiche patite da alcune categorie sociali che gli hanno voltato le spalle e alle tensioni interne che danno l’immagine di una scarsa coesione, il Partito democratico non ha avversari in grado di insidiare il suo primato. Si conferma un partito «pigliatutti» primeggiando tra tutte le componenti sociali, con l’eccezione degli elettori di 35-44 anni e dei disoccupati tra i quali prevale il movimento di Beppe Grillo.
2) Il centrodestra appare molto frammentato e in forte difficoltà : Forza Italia subisce un’ulteriore flessione e, dopo l’abbandono del patto del Nazareno, appare priva di una strategia politica e in balia di conflitti interni culminati nell’ultima settimana con la decisione di lasciare il partito da parte di uno dei simboli della ortodossia berlusconiana, Sandro Bondi.
La Lega, dopo la manifestazione di Roma, ha fatto segnare una flessione e allontanato una parte degli elettori più moderati. E, come abbiamo visto nel sondaggio della scorsa settimana, l’ipotesi di un’alleanza politica tra i due principali partiti del centrodestra divide nettamente entrambi gli elettorati.
3) Il Movimento 5 Stelle mantiene saldamente il proprio elettorato a dispetto delle defezioni di alcuni parlamentari e delle critiche alla propria azione politica, da molti giudicata sterile per l’indisponibilità a trovare punti di convergenza su riforme o provvedimenti importanti.
E anche nonostante la competizione con la Lega sul fronte della protesta e dell’opposizione dura ed intransigente al governo.
Tuttavia le indagini giudiziarie che si susseguono, dalle grandi opere a quella sulla metanizzazione di Ischia di questa settimana, rafforzano il posizionamento del movimento di Grillo, considerato il vero paladino della lotta alla corruzione della politica, nonchè l’alfiere della battaglia contro i suoi privilegi e i suoi costi, rispetto ai quali non accenna a diminuire l’insofferenza dei cittadini.
4) I partiti di centro non riescono a decollare, approfittando delle gravi difficoltà in cui versa Forza Italia. Il partito di Alfano risulta in flessione (dopo le dimissioni di Lupi) e l’Udc in lieve crescita ma nell’insieme si collocano su valori in linea con i risultati delle Europee.
Appaiono a metà del guado: il sostegno al governo e la titolarità di dicasteri importanti non sembrano favorirli più di tanto perchè i riflettori sono puntati più sul premier che sui ministri.
E, d’altra parte, andare all’opposizione sarebbe anche peggio in termini di consenso, sia perchè rinuncerebbero a un forte tratto distintivo sia perchè farebbero fatica ad emergere all’interno di un’opposizione variegata e più incline di loro ai toni forti.
In questo scenario potrebbe esserci spazio per nuovi soggetti politici, esempio Italia unica di Corrado Passera o Coalizione sociale di Maurizio Landini?
È difficile rispondere: la frammentazione del centrodestra e lo scarso presidio dello spazio politico a sinistra del Pd sembrerebbero rappresentare un viatico, a condizione di saper aggregare alcuni dei soggetti politici esistenti ed attrarre gli elettori delusi, parcheggiati nell’area grigia dell’astensione che si mantiene elevata (35,2%).
Ma, in questa fase, la fluidità del rapporto tra cittadini e politica non aiuta i partiti esistenti e quelli nuovi: le appartenenze si sono indebolite, il voto di scambio sembra in declino per la penuria di risorse «da scambiare», il voto di opinione è minacciato dalla volatilità delle opinioni e l’erosione della fiducia nei leader attenua la portata del voto personale.
Insomma, vita grama per i partiti e per i loro spin doctor.
buchetta per seppellire cacche e notizie.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
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