Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
L’ACCORDO TRA LE PARTI IN GUERRA E’ SOLO UN AUSPICIO: TRA MILIZIANI INFILTRATI DELL’ISIS E DUE ESERCITI, DUE PARLAMENTI E DUE CONSIGLI DEI MINISTRI
Un governo di unità nazionale in grado di porre fine alla guerra civile e avallare un intervento dell’Ue o dell’Onu.
E’ la soluzione al conflitto libico cui lavora da mesi l’inviato delle Nazioni Unite Bernardino Leon e su cui i Paesi occidentali fanno affidamento per arginare il flusso di migranti verso le coste italiane.
Tutti ne parlano, i politici italiani immaginano interventi basati su un accordo con un ipotetico esecutivo, ma l’accordo tra le due parti in guerra è ancora solo un auspicio.
Il Paese è nel caos, infiltrato dai miliziani dello Stato Islamico e diviso tra due parlamenti e due esecutivi che hanno difficoltà a governare i loro stessi esponenti.
Le recenti dimissioni di Omar Al Hassi, il premier sfiduciato dal parlamento di Tripoli, hanno causato uno scon tro tra mode rati e mili zie di Misu rata per tro vare una nuova figura che guidi l’esecutivo.
Sull’altro fronte, Abdullah Al Thani, capo del governo di Tobruk, il 13 marzo veniva bloccato in aeroporto dai suoi stessi soldati che gli impedivano di partire per la Tunisia.
Due governi e due eserciti: Tobruk contro Tripoli
La Libia resta spaccata in due.
A est il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, guidato da Abdullah Al Thani; e insediato in Cirenaica dopo essere stato eletto il 25 giugno 2014 perchè la capitale Tripoli era dilaniata dalla guerra.
È sostenuto dalle forze regolari libiche, nelle cui file è stato reintegrato l’ex generale Khalifa Haftar, che da mesi guida l’operazione militare Dignità , contro Ansar al Sharia a Bengasi e Isis a Derna, e quella contro le milizie filo-islamiche della coalizione Fajr Libya a Tripoli.
A fianco delle istituzioni di Tobruk si sono schierati Egitto ed Emirati Arabi Uniti, entrambi indicati come responsabili di raid aerei sulle milizie di Tripoli sin dall’estate del 2014.
A Tripoli ha sede, invece, il governo parallelo di Omar al Hassi e Fair Lybia (Alba della Libia).
Dopo la battaglia di agosto contro i rivali di Zintan (oggi fedeli a Tobruk) per il controllo dell’aeroporto internazionale di Tripoli, Fajr Libya (principalmente composta dagli ex ribelli di Misurata) ha imposto nella capitale un governo parallelo, denominato “di salvezza nazionale” e guidato da al Hassi, esponente dei Fratelli musulmani, appoggiato dalla Turchia.
Le milizie hanno riportato in vita anche il Congresso nazionale libico, l’ex parlamento il cui mandato è scaduto con il voto del 25 giugno 2014.
A complicare la situazione, il 6 novembre scorso, una sentenza della Corte Suprema ha definito illegittimo il parlamento di Tobruk e il suo governo, che hanno lanciato la propria offensiva per riconquistare la capitale.
E’ caos: Hassi non si dimette e Al Thani viene fermato dai suoi uomini
Una situazione di estrema instabilità che si riflette anche all’interno di ciascuno schieramento.
All’inizio di aprile Omar Hassi, il premier sfiduciato dal parlamento di Tripoli, si rifiutava di rassegnare le dimissioni, sostenendo di avere l’appoggio della milizia thuwar, i “combattenti rivoluzionari”.
Due settimane prima, il premier riconosciuto Al Thani veniva bloccato all’aeroporto di Labraq dai suoi stessi agenti di polizia, facendo saltare la visita programmata a Tunisi.
Si era trattato di una protesta contro la nomina a ministro dell’Interno di Mounir Ali Asr, originario dell’ovest della Libia, cui avrebbero preferito una personalità proveniente dal sud del paese.
Roma, è guerra anche per l’ambasciat
Le spaccature interne si ripercuotono anche nelle ambasciate di vari paesi, dove il governo di Tobruk ha voluto insediare i propri diplomatici e allontanare gli ambasciatori sospettati di rispondere al governo parallelo.
A Roma, ad esempio, il 9 marzo si è giunti al paradosso di due ambasciatori che si contendevano la sede diplomatica di via Nomentana, a suon di note verbali, ma anche di “calci, pugni e minacce”.
Quel giorno Azzedin al Awami, ex vicepresidente del Congresso nazionale libico, designato lo scorso novembre dal governo legittimo di Al Thani, si è presentato nella sede diplomatica per prendere funzione, forte della lettera del suo governo che nomina lui e rimuove Ahmed Safar, insediatosi a Villa Anziani nell’aprile del 2014, prima delle elezioni.
Ma gli uomini della sicurezza non hanno fatto passare il diplomatico. Ne è nato persino un parapiglia con intervento dei carabinieri.
“È stato come un tentato colpo di Stato — dichiarava Safar. Sarà il sospirato governo di unità nazionale a decidere. Intanto da tre mesi il governo di Tobruk non manda soldi a Roma, lasciando diplomatici e funzionari — anche italiani — senza stipendio.
Il terzo incomodo: lo Stato Islamico
A complicare la situazione a presenza, sempre più diffusa, di gruppi fondamentalisti. Il Paese è infiltrato dagli uomini dell’Isis e il suo territorio infestato da una nebulosa di gruppi armati e milizie.
Derna, ex provincia dell’Italia coloniale sulla costa orientale, è stata la prima città in cui un gruppo di fondamentalisti ha giurato fedeltà al califfo Abu Bakr al Baghdadi, lo scorso autunno.
Inizialmente si trattava di una presenza circoscritta, con poche centinaia di uomini spesso non libici e campi di addestramento sulle Montagne verdi della Cirenaica, poi la bandiera del’Isis è stata adottata anche da alcune milizie locali.
Le azioni degli jihadisti si sono estese a Tripoli, dove il 27 gennaio un commando armato ha compiuto il sanguinoso attacco all’hotel Corinthia, e a febbraio i miliziani sono entrati a Sirte e in altre località dell’ovest, attaccando diversi campi petroliferi. L’altro importante gruppo jihadista è Ansar al Sharia, gruppo di ispirazione qaedista, oggi alleato dell’Isis, che controlla le città di Bengasi e Sirte.
Sono ritenuti responsabili dell’attacco al consolato Usa dell’11 settembre 2012 in cui morirono l’ambasciatore statunitense Chris Stevens e altri tre connazionali.
Camera Italo-Libica: “Affidare la trattativa a Prodi e El Senussi”
“Con Bernardino Leon i risultati non arrivano — spiega Gian Franco Damiano, presidente della Camera di Commercio italo-libica — noi sappiano che c’è una forte disponibilità da parte dei libici a trovare un tavolo di lavoro in Italia.
E da componenti credibili delle due fazioni libiche i nomi caldeggiati sono due: chiedono come mediatori Romano Prodi e Mohammed el Senussi.
Prodi è una persona di cui si fidano, che conosce bene la Libia e il suo contesto. Senussi è l’unico libico che potrebbe essere accettato da tutte le parti: è il discendente della famiglia reale rovesciata dal golpe di Gheddafi, non ha alcuna intenzione di rivendicare il trono, il suo percorso personale ne fa un personaggio di spicco e gli dà un’autorevolezza che altri non hanno. Sappiamo che questa ipotesi di mediazione è sgradita e trova resistenze da parte di alcune componenti politiche italiane, ma la situazione è ormai troppo grave per non superare le divisioni. Per il bene della Libia e nostro. E di tutte le persone che continuano a morire nel Mediterraneo”.
Giusy Baioni
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
E SI SCATENA LA FECCIA RAZZISTA ANCORA A PIEDE LIBERO… LUI REPLICA: “QUANTO EGOISMO”
Nel tempo dei “post” e dei “tweet”, qualsiasi personaggio pubblico sa quanto sia rischioso schierarsi sui temi più sdrucciolevoli.
Quando il mondo si divide, qualsiasi posizione si assuma riceverà inevitabilmente tanti “like” ma anche tanto sarcasmo, tanta ironia, anche tanta volgarità .
Si può diventare persino un “caso”. Che può essere un rischio calcolato, se si è in cerca di visibilità sapendo di generare tanto rumore.
Più spesso è esperienza frustrante, persino deprimente, leggere in tanta acredine il sottile piacere che il “pubblico” può provare nel rivolgersi direttamente a te per umiliarti, ridicolizzarti, distruggerti.
Ecco perchè è giusto sottolineare il coraggio di Gianni Morandi, che il 21 aprile si è rivolto agli italiani attraverso il suo profilo Facebook per ricordare loro che se oggi il Paese è il più coinvolto dall’emergenza immigrazione, quello stesso Paese ha tessuto le trame della sua storia anche con la sofferenza dell’emigrazione.
Scriveva Morandi: “A proposito di migranti ed emigranti, non dobbiamo mai dimenticare che migliaia e migliaia di italiani, nel secolo scorso, sono partiti dalla loro Patria verso l’America, la Germania, l’Australia, il Canada… con la speranza di trovare lavoro, un futuro migliore per i propri figli, visto che nel loro Paese non riuscivano ad ottenerlo, con le umiliazioni, le angherie, i soprusi e le violenze, che hanno dovuto sopportare! Non è passato poi così tanto tempo…”.
In poche righe, una piccola lezione di storia e di memoria, rivolta a chi quella storia e quella memoria non conosce o disconosce.
Una piccola lezione che, forse, ci si sarebbe aspettati dai cantautori, proprio il tipo di artisti, impegnati nella politica e nel sociale, che negli anni Settanta portarono alla progressiva emarginazione dell’idolo pop che Morandi fu.
E invece no, a distanza di oltre tre decenni dagli anni del piombo e dell’eskimo, a incassare oltre 60mila “like”, a viaggiare per oltre 16mila condivisioni e a incolonnare un fiume di commenti è proprio il post dell’educato, gentile, inoffensivo Gianni Morandi. Morandi, che negli anni bui se ne andò a studiare in conservatorio e poi accettò una mano dall’amico Lucio Dalla, allungandola a sua volta per offrire una nuova possibilità a Pupo. Perchè nella vita si prende e si dà .
Eppure, dai tempi del giovane protagonista dei “musicarellli” e di Canzonissima fino alle recenti conduzioni di Sanremo, Morandi è personaggio che il comune sentire ha sempre accostato alle urla delle fan adoranti e al consenso totalitario del pop, di certo non al confronto, anche duro, con un pubblico non allineato.
Perchè alle parole di Morandi su Facebook non scatta l’applauso, virtuale, in automatico, ma un lungo e tenace dibattito in cui sono in tanti a non accettare il paragone tra “noi e loro”, tra le esperienze oltre oceano dei nostri nonni e gli incubi oltre Mediterraneo dei nostri dirimpettai.
Ma, diversamente da altre celebrities che al mattino rilasciano la loro goccia di presenza quotidiana nel mare di Internet, sia essa un buongiorno o una foto su Instagram, per poi passare ad altro, Morandi resta lì, a leggere e a rispondere, ponendosi esattamente al livello dei suoi interlocutori.
Anche questa una lezione di umanità , più che di stile.
C’è chi dà a Morandi dello “scafista”, chi lo liquida imitando un motivetto per poi chiosare “questo è la massima espressione della tua intelligenza”, chi va diritto al sodo, “hai detto solo una gran ca..ata”, chi si finge italo-canadese e in un italiano sgrammaticato rivendica la dignità della propria esperienza all’estero per negare quella altrui. Per loro, Gianni non ha parole. Ne ha, invece, per chi entra nel merito.
Il giorno dopo, Gianni scrolla il suo profilo Facebook.
E scrive ancora: “22 aprile. Sono sorpreso dalla quantità di messaggi al mio post di ieri. Sto continuando a leggere ma penso sia impossibile arrivare in fondo… 14mila messaggi! Ho anche risposto ieri sera per un paio d’ore. Forse non mi aspettavo che più della metà di questi messaggi facesse emergere il nostro egoismo, la nostra paura del diverso e anche il nostro razzismo. A parte gli insulti, che sono ormai un’abitudine sulla rete, frasi come ‘andrei io a bombardare i barconi’ o ‘sono tutti delinquenti e stupratori’ oppure ‘vengono qui solo per farsi mantenere’, mi hanno lasciato senza parole… Magari qualcuno di questi messaggeri ha famiglia, figli e la domenica va anche a messa. Certamente non ascolta però, le parole di Papa Francesco”.
Punto e a capo, per un saluto che è molto di più: “Ciao, sto andando vicino a Lecco a visitare la Cascina Don Guanella, insieme a Don Agostino Frasson”.
Più di qualcuno accusa il colpo, ma questa volta non ha paura di ammetterlo.
Per tutti, Dario Aggioli: “Ti dico: io leggo la tua pagina per prenderti in giro. Perchè sei distante da me… Perchè sei un’altra generazione. Perchè sei fattimandaredallamamma. Perchè sei un sorriso spensierato. Ma stavolta sono con te e ti commento anche. Potevi non metterci la faccia, la tua faccia così pulita. E invece (forse non sapendolo nemmeno) hai rischiato. Bravo! Grazie da me che la penso come te”.
Paolo Gallori
(da “La Repubblica”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
SUL FINANCIAL TIMES E SU LES ECHOS L’EX PREMIER CRITICA LA RETORICA RENZIANA: “E’ METADONE”
L’ex premier Enrico Letta non fa sconti al suo successore a Palazzo Chigi.
In un colloquio con il Financial Times, Letta sollecita il ripristino dell’operazione Mare Nostrum, adottata dal suo governo nell’ottobre del 2013, all’indomani della strage di migranti a Lampedusa.
Anche in quell’occasione i leader dei paesi europei si incontrarono sul tema della crisi migratoria, ma quella volta – dice Letta – “furono solo parole”.
“Spero che questa volta non si tratti soltanto di chiacchiere”, afferma l’ex premier.
Letta ricorda che al disastro il suo governo rispose con l’operazione Mare Nostrum, grazie alla quale sono stati recuperati e sbarcati in Italia circa 170mila migranti.
Ora – si legge sul Financial Times – l’ex premier vorrebbe vedere quello sforzo ripristinato, alla luce dell’ultimo disastro, con un contributo molto più forte dal punto di vista logistico e finanziario dei paesi europei.
Lo stesso discorso Letta lo fa anche in un’intervista al quotidiano francese Les Echos: “bisogna far partire un dispositivo di tipo Mare Nostrum a livello europeo”.
Una richiesta che se da un lato incontra gli appelli di pressochè tutte le organizzazioni umanitarie, indirettamente rappresenta un affondo al premier Renzi.
Che all’Europa non chiede un Mare Nostrum europeo, ma un rafforzamento di Triton e, soprattutto, un intervento militare per colpire i barconi degli scafisti.
Se quella affidata al quotidiano britannico è una critica “velata” al governo Renzi – che difatti non chiederà a Bruxelles un Mare Nostrum europeo, bensì un rafforzamento dell’operazione Triton – ai microfoni di Radio 24 gli affondi di Letta al suo successore sono molto più diretti. E trasversali.
Lunga infatti è la lista dei temi che, secondo Letta, il governo non sta affrontando nel modo giusto: dall’occupazione alla riforma della legge elettorale, dalla retorica renziana – come il “metadone”, dice Letta – alla gestione della crisi libica.
“Renzi racconta un Paese che non c’è? È una fase in cui la percezione delle cose vale più del reale, aiuta a star meglio? Io cerco di dare un contributo perchè non sia un tempo in cui la percezione conta più della realtà “, dice l’esponente Pd da Mix24 di Giovanni Minoli su Radio 24, per poi piazzare l’affondo: quella ‘narrazione’ “non aiuta a stare meglio: è metadone”.
Secondo l’ex premier, la riforma del lavoro firmata Renzi è tutt’altro che sufficiente.
“Il Jobs Act è stato un passo avanti, però non sufficiente: c’è bisogno sul lavoro di fare molte altre cose perchè oggi il vero problema è la disoccupazione e c’è bisogno di tutelare i lavoratori che hanno perso il lavoro”, afferma Letta.
“Le tutele crescenti non ci sono ancora a sufficienza. Bisogna aggiungere tutele”, sottolinea.
Quanto all’Italicum, approvarlo a maggioranza sarebbe “un disastro”.
“Se sarò in Parlamento voterò l’Italicum oppure no? Bisogna vedere come sarà l’Italicum. Lo vedremo. Penso che una legge elettorale approvata a maggioranza stretta in Italia ce n’è stata solo una, è stata il Porcellum, è stato un disastro. Le altre, il Mattarellum e quelle della Prima Repubblica, sono state approvate a maggioranze larghe perchè, come ha detto Renzi stesso, le regole del gioco si fanno tutte insieme. C’è bisogno di una maggioranza larga”.
Anche sulla Libia Letta ha molto da ridire.
“Per la questione Libia sarebbe stato non male, per esempio, se l’Unione europea avesse nominato uno come Romano Prodi a occuparsi di questo.”
“Spero che domani – prosegue l’ex premier – il Consiglio europeo approvi qualche cosa di importante, e io penso che la cosa principale, lo dice oggi in un bellissimo editoriale su ‘il Messaggero’ Romano Prodi, credo che bisogna che si faccia una specie di Mare Nostrum europea” .
Al contrario, per Letta, la soluzione militare non ha senso. “No – commenta – mi sembra molto complicata la soluzione militare sulla Libia, altra cosa è dire che la Libia va sistemata. Spero che il consiglio di domani, e soprattutto la Libia è affare da Nazioni Unite, riescano a trovare una soluzione ma operativa”.
Ma le tirate d’orecchie all’attuale premier non finiscono qui.
Paragonandosi a lui in quanto “presidente non eletto”, Enrico Letta ammette che era una condizione che lo metteva “a disagio”, un sentimento difficilmente attribuibile a Matteo Renzi. “Come presidente non eletto mi sono sentito a disagio. Il mio governo è nato perchè non c’erano alternative alle larghe intese in cui bisognava trovare una persona che riuscisse a tenere insieme tutti, se no la legislatura non partiva. Bisogna ricordarsi le condizioni”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
ALLA CAMERA IL RAS AZZURRO CONTA SU 15 FEDELISSIMI CHE POSSONO SALVARE IL PREMIER SULL’ITALICUM
Un ritorno di fiamma, ammesso che si fosse mai sopita.
Perchè sull’Italicum, viste le tensioni interne al Pd tra maggioranza e minoranza, per il presidente del Consiglio Matteo Renzi il soccorso dell’amico Denis Verdini sarebbe non solo utile ma addirittura decisivo.
Rispolverando, in vista della conta per il via libera definitivo alla nuova legge elettorale, almeno un pezzo di Patto del Nazareno.
Quel tanto che basta all’ex sindaco di Firenze per disinnescare la minaccia dei dissidenti interni e l’incognita dell’eventuale scrutinio segreto.
Siamo al Verdini e l’aiuto arriverà . Grazie alla pattuglia di circa 15 deputati che proprio a Verdini fa riferimento.
Un drappello che, sotto la regia del ras toscano di Forza Italia, ha fatto da ponte di collegamento con i renziani del Pd durante i mesi del Nazareno, nel pieno delle trattative sulle riforme costituzionali e la stessa legge elettorale.
Tra loro l’ex tesoriere del Pdl Ignazio Abrignani, verdiniano d’assalto, come pure Massimo Parisi, coordinatore regionale azzurro della Toscana, e Luca D’Alessandro, già capo ufficio stampa (nel 2003) di Forza Italia.
Tra i big spicca il nome dell’ex sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Laura Ravetto.
Mentre, direttamente da Mediaset, arriva l’ex giornalista del Tg5 Giorgio Lainati.
Poi ci sono il questore della Camera Gregorio Fontana e l’ex An Marco Martinelli.
In buona compagnia con Luigi Cesaro, già presidente della Provincia di Napoli, meglio noto come Giggino a’ purpetta.
Da Brescia arriva un altro ex presidente di Provincia: Giuseppe Romele.
Nell’elenco degli ex amministratori locali c’è anche Monica Faenzi, per dieci anni sindaco di Castiglione della Pescaia in Toscana.
Completano la lista il campano Carlo Sarro, il milanese Carlo Mottola e il re delle cliniche private, recordman di assenteismo parlamentare, Antonio Angelucci.
RINASCE IL NAZARENO
Certo, dipenderà anche dalla piega che il dibattito parlamentare finirà per prendere. “Noi la fiducia sull’Italicum non la votiamo” assicura a ilfattoquotidiano.it un autorevole esponente della corrente forzista che fa capo a Verdini.
Basta però che Renzi decida di non blindare il testo e affrontare il confronto dell’Aula e il supporto della quindicina di deputati guidati dal ras azzurro della Toscana è praticamente assicurato.
“E’ ovvio che una parte di Forza Italia potrebbe votare la nuova legge elettorale che, d’altra parte, abbiamo anche noi contribuito a scrivere”, prosegue il verdiniano di ferro.
Infatti non manca neppure chi, dentro Forza Italia, dice chiaro e tondo, mettendoci anche la faccia, che alla fine il soccorso di Verdini all’amico Renzi arriverà .
“La rottura del Patto del Nazareno è stata una messinscena per le alleanze alle Regionali — spiega il deputato fittiano, Maurizio Bianconi — Ora, di fronte alla necessità dei voti sulle riforme, prevarrà il pragmatismo”.
VITTORIA VITTORIA
E le cifre parlano chiaro. I deputati del Pd sono in tutto 310. Area Popolare (Udc-Ncd) ne porta in dote altri 33. Poi ci sono i 25 di Scelta civica.
Sommando anche una decina di parlamentari del gruppo misto e minutaglie varie, l’Italicum dovrebbe ottenere sulla carta circa 390 voti.
Cifra dalla quale vanno però decurtati quelli della minoranza Pd.
Teoricamente, un centinaio ma più realisticamente al massimo un’ottantina, che abbasserebbero l’asticella dei favorevoli a 310, pericolosamente al di sotto dei 316 necessari per strappare la maggioranza.
Ma qui entrerebbe in gioco il soccorso dell’amico Denis che, con la sua pattuglia di 15 deputati, sarebbe decisivo per garantire il via libera alla nuova legge elettorale e la vittoria di Renzi.
Stefano Iannaccone e Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
I DISSIDENTI NON HANNO PARTECIPATO ALLA RIUNIONE DEL GRUPPO IN CUI BERLUSCONI E’ TORNATO A FARE L’OPPOSITORE
“Questo governo ha fallito, tutti gli indicatori economici sono peggiorati. Hanno fallito sulla politica estera, sulla disoccupazione, sull’immigrazione. Avevamo ragione noi su tutto, sulla Libia, sull’immigrazione e sulla Russia”. Lo ha detto Silvio Berlusconi alla riunione del gruppo di Forza Italia.
Berlusconi ha poi bocciato l’Italicum: “Non possiamo – aggiunge – consentire a Renzi di prendere il potere totale con 30% dei voti attraverso una legge che di fatto con lo sbarramento al 3% polverizza l’opposizione. Noi avevamo proposto l’elezione diretta almeno chi vince è legittimato dal popolo e ci sarebbero solo due partiti”.
Secondo un tweet scritto da Renato Farina, Berlusconi avrebbe detto anche che “Renzi è malato di bulimia di potere”.
L’ex premier Berlusconi ha anche garantito che farà campagna elettorale per le Regionali, ma – viene riferito da presenti alla riunione – si spenderà solo in televisione e in comizi e iniziative al chiuso, non in luoghi aperti perchè – ha confessato – temo che qualcuno possa attentare alla mia incolumità , alla mia vita.
Intanto i parlamentari vicini a Raffaele Fitto, a quanto si apprende, non partecipano alla riunione del gruppo in corso alla Camera.
“Leggo – prosegue Fitto – di riunioni oggi dei Gruppi di Forza Italia. E per discutere di cosa? Visto che, da settimane, ci sono commissariamenti a tutto spiano, nomine decise dalla sera alla mattina, e una gestione totalmente fuori dalle regole. Riunioni così non servono neanche a salvare la forma, figurarsi la sostanza. Il partito è sempre più nel caos, sia politico-strategico sia organizzativo. Il che conferma la nostra valutazione sulla necessità di rifondare un centrodestra credibile e competitivo, dopo i 9 milioni di voti persi in questi anni”.
“Sul piano politico – sottolinea ancora – è sempre più evidente (la cosa sarà solo mascherata da qualche stentorea dichiarazione da campagna elettorale) una deriva neo-Nazarena per dopo le elezioni regionali. E ciò è inaccettabile. Sul piano interno e organizzativo, vedo che Forza Italia pronuncia parole di fuoco per la sostituzione di dieci membri del Pd della Commissione Affari Costituzionali della Camera.
“Mi domando – aggiunge ancora – se sia la stessa Fi nella quale, per “crimine di opinione”, cioè solo per aver espresso un’opinione o per aver partecipato a un’assemblea, dirigenti e parlamentari di diverse parti d’Italia sono stati commissariati o sostituiti o rimossi dai loro incarichi di partito. E, con la stessa “logica”, sempre senza regole, si sta procedendo all’esclusione di candidati dalle liste regionali. E’ uno spirito liberale a intermittenza: liberali nei giorni pari (a casa d’altri), imbavagliatori nei giorni dispari (a casa propria)”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
HA USUFRUITO DELLA PRESCRIZIONE PER I REATI CONTESTATI … MA LA SANATORIA VARATA DAL COMUNE DI FONDI, GUIDATA DA UN SUO FEDELISSIMO, NON GLI E’ BASTATA
E’ forse il segno della fine di un’epoca, l’inizio della caduta — politica — di quello che per anni è stato considerato il vero ras politico del sudpontino.
Il senatore di Forza Italia Claudio Fazzone da oggi è senza casa.
Almeno senza la villa intestata alla moglie che domina la piana della sua città nativa Fondi.
La villa è stata confiscata dal Tribunale di Latina, che ieri ha chiuso il processo per lottizzazione abusiva.
I reati contestati dalla Procura — Fazzone non era tra gli imputati, non essendo mai stato intestatario dell’immobile — sono finiti in prescrizione, ma il giudice ha deciso in ogni caso di procedere con la confisca, prevista dalla legge in questi casi.
Decisione che dovrà essere confermata dai successivi gradi di giudizio.
Quando l’inchiesta prese il via — era il 2005 — Claudio Fazzone era all’apice della sua carriera politica.
Forza Italia a Fondi raggiungeva percentuali bulgare, con il 75% dei consensi. La provincia di Latina era considerata il vero laboratorio del centrodestra laziale, grazie anche al fortissimo potere acquisito da Fazzone.
Già nel 2000 il senatore fondano aveva battuto il record delle preferenze nelle elezioni regionali, che lo portarono a ottenere la carica di presidente del consiglio regionale del Lazio.
Finita quell’esperienza, con un altro pieno di voti, entrò in Senato, dove mantiene ancora oggi un seggio (e un posto in Commissione antimafia).
Quell’inchiesta del pubblico ministero di Latina Giuseppe Miliano sulla sua dimora lui non l’ha mai digerita.
A cercare di archiviare il primo sequestro ci pensò la giunta della sua roccaforte: il comune di Fondi guidato dal suo fedelissimo — e socio — Luigi Parisella firmò una opportuna sanatoria.
La Procura di Latina però non si fermò. Nel 2007 — alla vigilia dell’arrivo della commissione di accesso che chiederà poi lo scioglimento per mafia del comune di Fondi — il provvedimento venne dichiarato illegittimo, facendo scattare un secondo sequestro. Ieri la conclusione della vicenda.
Ora rimane in piedi una seconda grana giudiziaria per il senatore pontino.
E’ un processo per abuso d’ufficio, nato dopo la divulgazione delle lettere di raccomandazione che Fazzone firmava su carta intestata dal suo ufficio di presidente del Consiglio regionale del Lazio. Centinaia di missive, tutte con l’incipit vergato a mano: “Caro Benito”, per poi proseguire con segnalazioni di persone da assumere nel sistema sanitario regionale.
L’ultima uscita pubblica di Claudio Fazzone risale a qualche giorno fa.
Nessuna convention in grande stile — come quella, memorabile, del 2010, quando presentò a Fondi l’allora candidato a governatore del Lazio Renata Polverini — ma una semplice inaugurazione di una ferramenta in quel di Formia.
Forse il segno della caduta di un impero politico, per un Ras rimasto senza casa.
Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
PER “MARE NOSTRUM” L’ITALIA SPENDEVA 9,6 MILIONI AL MESE, TRITON NE COSTA MENO DI TRE…. QUEST’ANNO, PERà’, AL POSTO DELLE 56 VITTIME NEI PRIMI 4 MESI DEL 2014, SE NE CONTANO 1.750
Centoquindici milioni di euro all’anno. A tanto ammonta il risparmio ricavato dal governo grazie alla chiusura dell’operazione Mare Nostrum.
Il governo Letta nell’ottobre 2013, dopo la strage di Lampedusa causata da un altro barcone proveniente da Misurata che portò alla morte 360 persone, decise di stanziare 9,6 milioni di euro al mese per evitare che simili tragedie si ripetessero.
Poi è arrivato Matteo Renzi e il governo ha sostituito Mare Nostrum con
un’operazione europea coordinata dall’agenzia Frontex di mero controllo delle coste italiane, denominata Triton.
Tutte le scelte devono essere valutate sulla base del rapporto tra costi e benefici.
In questo caso i benefici annuali sono pari a meno della metà del costo annuo dei vitalizi dei parlamentari, ma il costo in termini di vite umane è stato pesante.
Il portavoce dell’Organizzazione Internazionale della Migrazione, Oim, alla quale aderiscono 156 paesi, ieri ha scandito: “Ci sono stati 1.750 decessi dall’inizio dell’anno, il bilancio di migranti morti mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo risulta oltre 30 volte superiore a quello registrato per lo stesso periodo dell’anno scorso quando i decessi fino al 21 aprile erano stati solo 56”.
Nessuno si sbilancia sulla dinamica dell’incidente della scorsa notte ma è probabile che il naufragio del barcone con 850 vittime sarebbe stato evitato ed è certo che le sue conseguenze sarebbero state drasticamente ridotte se il Governo non avesse chiuso Mare Nostrum.
Dal 18 ottobre del 2013 al primo ottobre 2014 l’Italia ha salvato più di 100 mila persone con un’operazione che ha fatto onore al nostro paese.
Cinque navi della marina, due elicotteri e tre aerei sono stati impegnati in una missione di save and rescue con ben 558 interventi.
Dopo una martellante campagna di Fratelli d’Italia e Lega Nord però il Governo Renzi, sotto la spinta più timida di Forza Italia e Ncd, ha deciso di cambiare registro. Il primo novembre 2014 è così partita l’operazione europea Triton sotto l’egida di Frontex, l’Agenzia europea delle frontiere.
La spesa europea è scesa a 2,9 milioni al mese perchè lo scopo di Triton non è il salvataggio delle vite ma il controllo delle frontiere.
Le navi di Frontex si tengono alla larga dalle coste libiche e intervengono solo entro 30 miglia dalle coste italiane, mentre il naufragio dell’altro giorno si è svolto a 110 miglia a sud est di Lampedusa.
Oggi può essere interessante andare a rivedere quel che dichiaravano i leader che cavalcano l’onda della paura per raccogliere voti.
Il 7 aprile 2014 Matteo Salvini su Facebook: “Operazione Mare Nostrum, con le navi che recuperano i clandestini in mezzo al mare e li portano in Italia. Costo, più di 300.000 euro al giorno, vale a dire oltre 10 milioni di euro al mese, per farci invadere. Ma vi pare una cosa normale???”.
Il 10 settembre 2014 sempre su Facebook arriva Giorgia Meloni: “Aboliamo quella idiozia di Mare Nostrum e destiniamo i soldi risparmiati a militari e Forze dell’ordine”.
Maurizio Gasparri di Forza Italia rincorreva la Lega il 21 aprile 2014: “Bisogna bloccare subito l’operazione Mare Nostrum diventata ormai taxi loro. Mi fa piacere che il ministro dell’Interno abbia copiato le mie frasi alla lettera dicendo che la Marina non può diventare un traghetto per clandestini”.
Infatti il 16 agosto 2014 Angelino Alfano, per paura di pe rperdere voti si accoda: “Mare Nostrum non deve fare il secondo compleanno”.
Anche molti migranti non hanno fatto il compleanno dopo quella scelta.
Quel giorno il ministro dell’interno dichiarava trionfante: “Da 114 milioni a zero”.
Se l’Italia non ha i soldi per provare a salvare uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra e dalla povertà , la colpa è anche dei governi del passato, tra i quali quelli sostenuti da Salvini, Meloni, Gasparri e Alfano hanno brillato per capacità di sperperare risorse pubbliche.
Proviamo a fare qualche esempio: il governo guidato da Silvio Berlusconi è stato protagonista principale dello sperpero, stimato in 470 milioni di euro , per la costruzione inutile delle strutture che avrebbero dovuto ospitare i grandi della terra per il G8 del 2009 alla Maddalena.
Se il governo Berlusconi non avesse sprecato circa cento milioni per gli appalti assegnati alle associazioni di imprese dove c’era il gruppo Anemone forse oggi si potrebbe finanziare Mare Nostrum per il 2015.
Sempre in quel periodo di Grandi Eventi e grandi sperperi, le strutture della presidenza del consiglio varavano i mondiali di nuoto del 2009.
I 20 milioni gettati nella piscina di Valco San Paolo a Roma, costruita (e mai inaugurata per via del suo tetto pericolante) da quel Francesco Piscicelli, famoso per la risata della notte del sisma dell’Aquila, oggi potrebbero tornare utili per finanziare altri due mesi di Mare Nostrum.
Con i 200 milioni sperperati per la città dello sport di Tor Vergata a Roma si potrebbero finanziare altri due anni di salvataggi.
Per tornare sul mare, un altro esempio di spreco di denaro pubblico è quello della penale per la mancata costruzione del ponte sullo stretto di Messina.
Il contratto capestro tra la società pubblica Stretto di Messina e il consorzio Eurolink fu stipulato ai tempi del secondo governo Berlusconi nel 2005.
La modifica ancora più sfavorevole per le casse pubbliche invece è stata firmata dall’allora presidente della società pubblica, Pietro Ciucci, nel settembre del 2009.
A quei tempi la Lega era al governo e Matteo Salvini si era appena dimesso da deputato mantenendo la seconda poltrona di europarlamentare, mentre Giorgia Meloni e Angelino Alfano erano ministri.
Nessuno fiatò nè allora nè quando i giornali hanno svelato gli accordi riservati tra Stretto di Messina e Eurolink.
La penale sarà oggetto di un contenzioso ma la spesa per le casse pubbliche dovrebbe arrivare a 700 milioni di euro, pari ad altri sei anni di Mare Nostrum.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
L’ATTO DI ACCUSA DELLA FONDAZIONE MIGRANTES
“Parole come affondare, distruggere, respingere, senza che siano accompagnate da parole come tutelare, salvare, accogliere, non hanno prospettiva”.
Monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes — organismo pastorale collegato alla Cei -, dai microfoni di Radio InBlu commenta così la richiesta del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, di un mandato internazionale per affondare le barche degli scafisti.
Sottolinea che “l’aspetto importante è contrastare i trafficanti, come già faceva Mare Nostrum, ma al tempo stesso non dimenticare che ci sono vite da salvare. Se è vero che occorre un piano internazionale di intervento nel Nord Africa, deve essere di pace, di messa in sicurezza delle persone e di una collaborazione con tutte le realtà e le forze locali per combattere i trafficanti”.
Secondo Perego, il piano in 10 punti approvato dall’Ue è “assolutamente debole e per certi versi vergognoso” perchè “ancora una volta si pensa di contrastare i trafficanti e non tutelare le persone attraverso i canali umanitari, un piano sociale europeo nei paesi di arrivo dei profughi e migranti, la cooperazione locale”.
“E’ uno scandalo — prosegue — che la politica europea dell’immigrazione non valuti immediatamente operazioni e azioni di rafforzamento della ricerca e del salvataggio in mare e continui a favorire operazioni di controllo delle frontiere. Il contrasto ai trafficanti degli esseri umani, ormai legati alle mafie europee e al terrorismo internazionale, passa attraverso l’attivazione di un’azione che unisca il salvataggio delle persone al contrasto della tratta”
Per questo, dice il direttore di Migrantes, occorre creare “un’operazione di controllo del Mediterraneo fino alle coste libiche, con il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali, per salvaguardare anzitutto la vita delle persone in mare, valutando anche l’opportunità di accogliere, anche con benefici di protezione, testimoni e testimonianze contro i trafficanti”.
Al tempo stesso, sempre con gli organismi internazionali, valutare un “piano di pace e di ristabilimento della sicurezza delle persone sulle sponde africane, libiche ed egiziane del Mediterraneo, attivando anche progetti di cooperazione internazionale per il rientro di persone; la ripresa di alcune attività lavorative, il ristabilimento di presidi sanitari, la riapertura delle attività scolastiche. Senza pace e senza la ripresa delle attività economiche e sociali e solo distruggendo — ha concluso — non faremmo che alimentare ancora disperazione e partenze”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 22nd, 2015 Riccardo Fucile
OTTO SU DIECI GIOVANI UNDER 29, DOPO AVER ACCETTATO, SI SONO TIRATI INDIETRO: IL CONTRATTO ERA REGOLARE PER SEI MESI, MA PREVEDEVA POSSIBILITA’ DI LAVORARE ANCHE SABATO E DOMENICA
Ci hanno ripensato: 645 degli under 29 a cui era stato offerto un contratto d’apprendistato per lavorare a Expo 2015 allo stipendio di oltre 1300 euro netti al mese hanno deciso di non accettare.
Come riporta il Corriere della Sera, la società Manpower incaricata della selezione ha dovuto fare ricorso al secondo e al terzo gruppo selezionato (in totale 27mila le domande arrivate).
A influenzare la decisione di fare un passo indietro all’ultimo minuto potrebbero essere stati vari fattori, tra cui la precarietà del contratto legato solo alla durata della manifestazione (6 mesi) e i turni che prevedono anche i sabati e le domeniche di lavoro.
In pratica l’80 per cento di chi aveva accettato il lavoro in un primo momento, ha deciso di abbandonarlo e si è tirato indietro.
Difficile quindi trovare giovani disposti a far parte del gruppo che si occuperà delle 84 aree in cui è stata divisa l’area dell’esposizione.
Ma non solo.
Come segnalato già negli scorsi mesi dall’agenzia interinale E-Work che ha avuto grosse difficoltà ad assumere facchini, cuochi e camerieri e che, come scrive il Corriere, per 2500 contratti ne hanno dovuti valutare centinaia di più.
Intanto il commissario Giuseppe Sala ha detto che a poco meno 10 giorni dall’inaugurazione sono stati finiti 30 padiglioni su 54: “Il padiglione Italia”, ha detto al GR3 di Radio Rai, “non solo non è finito, ma anzi, è tra quelli più indietro: finora sono stati finiti 30 padiglioni su 54. Ma alla fine sono convinto che sarà tutto pronto. Ci confrontiamo con una difficoltà nel gestire i lavori pubblici in Italia che deriva veramente da un eccesso di regole di burocrazia. Non è che l’eccesso di regole poi vieta che succedano fatti illeciti. Per cui io penso che vada molto ripensato il sistema con cui si gestiscono i lavori pubblici in Italia”.
Sala ha anche precisato che prima della apertura sarà raggiunta la quota di 10 milioni di biglietti venduti. “Puntiamo a venderne 24 milioni, cioè 20 milioni di visitatori e 24 milioni di biglietti perchè ci saranno visite ripetute. Conto di annunciare di averne venduti 10 milioni prima dell’apertura. Stiamo preparando un Expo sicuro e che sia veramente a misura di famiglia”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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