Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
NON SOLO PROBLEMI CON NCD, MA ANCHE ALL’INTERNO DEL GIGLIO MAGICO
Di primo mattino, Graziano Delrio fa le sue ultime riunioni da sottosegretario alla presidenza del Consiglio a Palazzo Chigi.
La sua nomina al ministero delle Infrastrutture è cosa ormai fatta. Ma certo deve quadrare con tutto il resto, che ancora sembra in alto mare.
E’ questo il lavoro sul quale oggi si esercita il premier Matteo Renzi, determinato a chiudere la partita del dopo-Lupi entro oggi o al massimo domani.
Comunque prima di Pasqua.
Da riempire ci sono le caselle delle deleghe che Delrio lascia a Palazzo Chigi e il nuovo ministero per Ncd.
Questione tutt’altro che semplice, anche perchè oltre agli equilibri con gli alfaniani, il premier deve fare quadrare anche quelli tra le diverse componenti del renzismo, il suo giglio magico Lotti-Boschi e la componente di Matteo Richetti, battezzata alla Camera a fine febbraio alla presenza di Delrio.
E’ per questo che in queste ore lo scenario è in continuo movimento. Tanto che già in mattinata tramontano ipotesi pur accarezzate ieri.
Come il passaggio delle deleghe di Delrio (fondi Ue e sport) nelle mani di Maria Elena Boschi, che in questo caso avrebbe lasciato il ministero delle Riforme a Gaetano Quagliariello di Ncd. Era una richiesta di Alfano, che ieri ne ha parlato con Renzi a Palazzo Chigi.
Richiesta che il capo del governo ha lasciato decantare per una notte, per poi respingerla.
Oltre che quella sulle Riforme, Boschi infatti ha anche la delega ai Rapporti con il Parlamento, che resterebbe scoperta perchè comunque non andrebbe a Ncd, questo è scontato.
E quindi? Al momento, in pista per il dopo-Delrio a Palazzo Chigi c’è Luca Lotti, segretario del Cipe e sottosegretario con delega all’editoria, oltre che braccio destro di Renzi, fidatissimo del premier tanto da curargli qualsiasi dossier lo interessi direttamente.
Il che è tanto lavoro. Motivo per cui Renzi sta ancora studiando la soluzione.
L’unica delega di Delrio che quasi automaticamente potrebbe passare a Lotti è quella allo Sport, che già inizialmente era destinata per Lotti, l’anno scorso alla nascita del governo Renzi.
Per ora il vero braccio di ferro è con Ncd.
Il capo del governo continua a spingere su Alfano affinchè indichi una donna per il ministero degli Affari regionali (vacante dalle dimissioni di Maria Carmela Lanzetta a fine gennaio).
E sarebbe anche disponibile a corredarlo delle deleghe ai fondi europei, ma non a trasformarlo in un ministero del sud, idea che Renzi stesso aveva lanciato due mesi fa e che adesso avrebbe accantonato per evitare di ‘regionalizzare’ le dinamiche di governo.
Nei circoli renziani gira il nome della trentenne Rosanna Scopelliti, deputata di Ncd alla prima legislatura, soprattutto figlia di Antonino Scopelliti, il giudice ucciso dalla mafia nel 1991. Insomma, un simbolo della lotta alla criminalità organizzata che a Renzi piacerebbe inglobare nel suo governo. Quanto alle deleghe sui fondi europei, in questa maniera di fatto resterebbero alle dipendenze di Palazzo Chigi perchè il ministero degli Affari Regionali è di fatto un dicastero senza portafoglio che dipende dalla presidenza del Consiglio.
Ma la casella Ncd nel governo lasciata da Lupi stenta a prendere una forma: Alfano resiste.
Preoccupatissimo sul futuro delle deleghe ai fondi europei è naturalmente Delrio.
In questo anno di governo, il sottosegretario ha di fatto costituito un’agenzia ad hoc per i fondi Ue, che prima erano in capo al Mise, ora dipendono dalla presidenza del Consiglio.
Un peccato disperdere il lavoro fatto. Tanto più che, almeno in prima battuta, Renzi non sembra intenzionato ad affidarle a Matteo Richetti.
L’idea iniziale era di tenerle lì a Palazzo Chigi, affidate ad un suo fedelissimo.
Ed è qui che si incrociano e scontrano i desiderata del giglio magico con quelli della componente di Richetti.
Ai ‘richettiani’ sarebbe piaciuto una soluzione più ‘soft’: la conferma di Delrio a Palazzo Chigi e un nuovo ministro delle Infrastrutture, magari anche lo stesso Lorenzo Guerini, che certo avrebbe liberato così la casella della vice segreteria del Pd .libera per Richetti?
Irrealistico, dal punto di vista del premier. Sul tappeto resta un confronto velatissimo tra le due variabili del renzismo, confronto con mugugni sotto traccia che comunque non mette in conto rotture di sorta.
Escluso, almeno per ora. Ma il risultato del rimescolamento in corso dirà molto degli equilibri interni: sia nel governo e che nel renzismo.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: governo | Commenta »
Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
SU FB GLI STUDENTI SI ORGANIZZANO PER PROTESTARE MANGIANDO TUTTI INSIEME IL PANINO ARABO
Il kebab delle 20.01 non è un pesce d’aprile.
Alle 19.45 gli studenti padovani hanno fissato la “chiamata alle armi” per rispondere goliardicamente al nuovo dicktat del sindaco di Padova, Massimo Bitonci, che dopo la minacce delle multe durante il Ramadan, ha deciso di emettere un’ordinanza per costringere i locali pubblici etnici (i kebabbari) della zona stazione a chiudere alle ore 20.
Il provvedimento interesserà anche distributori automatici di cibi e bevande, le attività artigianali e i market etnici.
Il tutto nell’ottica di “bonificare” l’area della stazione ferroviaria.
E gli studenti rispondono, con l’evento Facebook che invita a ritrovarsi in zona stazione per mangiare un kebab tutti insieme alle 20.01, come risposta provocatoria alla decisione dell’amministrazione.
Un momento per salutare il “kebabbone salvatore aspettando l’ultimo maledetto treno che arriverà venti minuti dopo”, come scrivono sulla pagina i ragazzi.
“L’ormai fasullo re Giovanni è tornato alla carica col suo collega lo sceriffo di Nottingham — si apre l’appello nel post — per riportare ordine e pace nella nostra foresta. Ma non ha capito che la foresta non è la sua. Dopo un anno a suon di ordinanze ridicole, misure restrittive e chiusure anticipate, la nostra amata Padova si avvia a un quinquennio di tristezza, malinconia, gente ordinata e produttiva e macchinone in centro storico”.
Era da settembre che la presunta lotta al degrado del sindaco Bitonci e dell’assessore alla sicurezza Maurizio Saia era entrata in fase di latenza, dopo l’episodio delle ordinanze che avevano regalato a Padova l’appellativo di “città dei divieti” introducendo sanzioni economiche per chi lega le bici fuori dalle rastrelliere, si siede per terra, si distende sulle panchine o stende i panni in centro storico, consuma alcolici in luoghi pubblici o si bagna nelle fontane, indossa abiti succinti, assume sostanze stupefacenti in pubblico, sporca durante le feste di laurea o fa pipì in luogo pubblico, disegna sui muri o pesca in pieno centro.
Anche in quell’occasione gli studenti avevano reagito con ironia con la creazione della pagina Facebook “No al degrado” per raccogliere dei video con le richieste di ordinanze più disparate da presentare al sindaco Bitonci: dal no ai sandali con i calzini, al no a chi lecca con gelati per strada, o a guida auto dai colori imbarazzanti. Ognuno aveva potuto così esprimere il suo dissenso.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
PARTITI E CORRENTI
Che una cooperativa finanzi una fondazione politica, come sembrava essere nei progetti della Cpl Concordia finita nell’inchiesta sulle mazzette al sindaco pd di Ischia, non è affatto uno scandalo.
Nelle democrazie occidentali è questa la forma con cui i privati contribuiscono anche alla formazione della classe dirigente dei partiti. Ma in piena trasparenza.
Proprio quella che invece in Italia manca: alimentando il sospetto che la funzione principale di queste fondazioni, moltiplicatesi in modo esponenziale negli ultimi anni proprio mentre l’opinione pubblica premeva per imporre ai partiti regole più stringenti, sia decisamente più prosaica.
Ai magistrati che indagano su Mafia capitale Franco Panzironi, ex segretario generale della Nuova Italia di Gianni Alemanno e insieme collaboratore della Alcide De Gasperi di Franco Frattini, ha raccontato che le fondazioni politiche sono un comodo salvadanaio dove gli imprenditori mettono soldi in cambio dell’accesso a un sistema di relazioni.
Lungi da chi scrive il voler fare di tutta l’erba un fascio. Ma il problema esiste, e lo sanno bene i partiti. Che però di metterci mano seriamente non ne hanno alcuna intenzione.
Nel 2012, mentre si discuteva alla Camera il taglio dei rimborsi elettorali, un emendamento pensato da Linda Lanzillotta e Salvatore Vassallo che mirava a imporre le stesse regole di trasparenza previste per i partiti anche alle fondazioni, fu impallinato da destra e da sinistra.
Due anni più tardi, nella legge sulla presunta abolizione del finanziamento pubblico, ecco spuntare finalmente quell’obbligo.
Peccato che sia inapplicabile. La norma di cui parliamo dice che sono soggette agli obblighi di trasparenza validi per i partiti le fondazioni i cui «organi direttivi» siano nominati «in tutto o in parte» dai partiti medesimi.
Neppure una di quelle esistenti ricade in questa fattispecie. E siccome chi l’ha scritta non ha l’anello al naso, la norma aggiunge che le regole di trasparenza, (per esempio la pubblicazione online di tutti i contributi di entità superiore a 5.000 euro) si applicano anche a quelle fondazioni che destinano più del 10 per cento dei proventi al finanziamento di attività politiche.
Si tratta soltanto di stabilire come e chi controlla che quel limite non venga superato.
Ma di questo non si fa cenno. Fatta la legge, non si deve neppure fare la fatica di trovare l’inganno.
Quante fondazioni resterebbero in vita se le regole della trasparenza venissero correttamente applicate e fatte rispettare, non possiamo dirlo.
Ma sul fatto che sia ormai necessario intervenire senza furbizie ci sono pochi dubbi.
Lo sostiene con fermezza anche il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone. Che per questo si è beccato una punzecchiatura dalemiana dalla Velina rossa con l’invito a far pubblicare tutti i contributi alle fondazioni,«anche a quelle di Firenze».
Bersaglio: Matteo Renzi. Ma forse Pasquale Laurito, autore della Velina, non aveva consultato il sito della renziana Fondazione Open.
Avrebbe trovato una lunga lista di finanziatori.
Dai 175 mila euro del patron del fondo Algebris Davide Serra ai 50 mila dell’ex presidente Fiat Paolo Fresco e della sua consorte Marie Edmèe Jacqueline, ai 60 mila della Isvafim di Alfredo Romeo, ai 62 mila del finanziere molisano Vincenzo Manes…
Va però detto che non compaiano i nomi di chi non ha dato l’assenso alla pubblicazione.
Come se la privacy possa valere per i finanziamenti a una fondazione che fa riferimento al premier e con un consiglio direttivo nel quale accanto al suo amico del cuore Marco Carrai ci sono il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, il sottosegretario alla presidenza Luca Lotti e l’avvocato Alberto Bianchi, nominato dal governo nel consiglio di amministrazione dell’Enel.
Nessuna lista abbiamo trovato invece nel sito della Italianieuropei presieduta da Massimo D’Alema, di cui Claudio Gatti e Ferruccio Sansa ricordano nel loro libro «Il sottobosco» alcuni finanziatori: gli imprenditori Alfio Marchini e Claudio Cavazza, i gruppi Pirelli e Asea Brown Boveri, nonchè le immancabili Coop, queste ultime per 103.291 euro.
Per la sinistra Italianieuropei è stata un formidabile rompighiaccio. Da allora è stato un fiorire di fondazioni, associazioni, centri studi, think tank.
Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco hanno messo su Nuova economia nuova società . Anna Finocchiaro la Fondazione Cloe. Walter Veltroni la scuola di politica Democratica, che ha cambiato nome in Idemlab.
Impossibile poi non citare Astrid di Franco Bassanini e Glocus di Linda Lanzillotta. Come pure le associazioni Riformismo e solidarietà dell’attuale sottosegretario (all’Economia) Pier Paolo Baretta e Libertà Eguale del viceministro (stesso ministero) Enrico Morando. E il network trasversale di Enrico Letta e Angelino Alfano, Vedrò.
La destra non è stata certo da meno.
Ecco allora la Free Foundation di Renato Brunetta. Poi la già citata Nuova Italia di Alemanno, adesso orfana di quel Panzironi finito nella bufera giudiziaria romana: al suo posto Claudio Ferrazza, avvocato dell’ex sindaco di Roma.
Orfana del medesimo soggetto pure la Alcide De Gasperi di Frattini, dove Panzironi, ha raccontato l’ex ministro degli Esteri, era arrivato dietro consiglio di Alessandro Falez, imprenditore della sanità con solidissimi rapporti vaticani.
Quindi la Cristoforo Colombo per le Libertà di Claudio Scajola, con un comitato politico presieduto dall’ex ministro Mario Baccini: il quale a sua volta ha una propria fondazione, la Foedus.
Ecco poi la Fondazione della Libertà per il Bene Comune: presidente l’ex ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, al suo fianco il costruttore suo braccio destro Erasmo Cinque insieme a Roberto Serrentino e Giovan Battista Papello, entrambi già piazzati all’Anas dalla destra.
Ecco ancora Italia Protagonista di Maurizio Gasparri. E Riformismo e Libertà di Fabrizio Cicchitto. Mentre si chiama Europa e civiltà la fondazione di cui è presidente onorario Roberto Formigoni.
Per non parlare di Magna Carta di Gaetano Quagliariello, che ha il merito di esporre gli stemmi (ma non i contributi) dei soci fondatori, fra cui Erg e Mediaset: mentre non troviamo più l’elenco dei soci aderenti, dove tre anni fa figurava anche la holding pubblica Finmeccanica.
Esiste ancora il Movimento delle Libertà dell’ex parlamentare di Forza Italia Massimo Romagnoli.
Come Città Nuove, embrione di quello che poteva essere il partito della ex presidente della Regione Lazio Renata Polverini.
E sopravvive pure Costruiamo il futuro, forse un tantino abbacchiata dopo quello che è successo al suo presidente (autosospeso) Maurizio Lupi.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
argomento: denuncia | Commenta »
Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
SECONDO I GIUDICI, GLI IMPUTATI “NON PENSAVANO DI COMMETTERE UN REATO”…IN NOTA SPESE MAZZANCOLLE, GIOIELLI, BIGLIETTI AEREI E PERSINO IN MOTORINO
Evviva l’ignoranza. Lo dicevamo da piccoli, quando la mamma ci costringeva a fare i compiti a casa, ma ora grazie all’innovativa sentenza dei giudici di Aosta sappiamo di essere sempre stati nel giusto.
Certo, occorre essere anche consiglieri regionali.
Ma dopo, sommando incompetenza e carica istituzionale, potremo anche noi comportarci come bimbi in un negozio di giocattoli il giorno del loro compleanno.
Con i soldi degli altri, quei fessi di cittadini, potremo pagare cene di lusso a base di mazzancolle fresche fatte arrivare per l’occasione; potremo acquistare carne di capra, un motorino, ingaggiare 24 attori per una fantomatica festa della Calabria spendendo la modica cifra di 40.000 euro.
Potremo pagare il volo per Roma alla nostra consorte, potremo acquistare targhe in alluminio per il citofono di casa, potremo mettere a ferro e fuoco De Marchi e Giannotti, la gioielleria di lusso in piazza Chanoux, potremo usare i soldi del nostro gruppo politico per pagare i muratori che ci fanno i lavori in casa, insomma potremo vivere alla grande.
L’unica condizione, tutto sommato un sacrificio accettabile, è quella di non essere consapevole. Come i bambini.
Basta non sapere che stai violando la legge.
D’accordo, il qualunquismo mai, troppo facile dare addosso ai politici che spendono come Gastone mettendo tutto in nota spesa, chi è senza peccato scagli il primo scontrino, e poi così si incentivano i temuti populismi.
Ma insomma, il verdetto del tribunale di Aosta che ha assolto 24 consiglieri regionali in rappresentanza dell’intero arco costituzionale, salvandoli anche dalla restituzione di un maltolto pari a 607.000 euro, sembra fondata su un sillogismo che merita il giusto tributo.
Le spese allegre sono infatti passate in cavalleria sulla base del fatto che manca l’elemento soggettivo del reato.
Quel che ha sostenuto la pubblica accusa è vero, ma cosa volete farci, gli imputati non sapevano che comprare con soldi pubblici un motorino da mettere come premio nella tombola di Natale del partito è una cosa che non si fa.
Nel confermare l’onestà dei suoi politici, la sentenza getta comunque un’ombra sul futuro della Regione, che per proprietà transitiva appare gestita da gente incapace di intendere e volere.
Questi amministratori sono anche legislatori, che però non conoscono la legge, non sanno distinguere il lecito dall’illecito.
Come da prescrizione evangelica, sono stati perdonati, perchè non sapevano quel che stavano facendo.
Ma non importa, fare il consigliere in Val d’Aosta è un sogno, come dice il filosofo Flavio Briatore.
Non svegliateli.
Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
LE IMPRESE PREFERISCONO LAVORATORI GIA’ ESPERTI E MOLTI RAGAZZI SVELGONO LA PARTITA IVA
I messaggi sono contrastanti, da elettrocardiogramma impazzito.
Oggi i punti fermi Istat sono: il 12,7% di disoccupazione generale, il 42,6% di disoccupazione giovanile.
Dovremo rassegnarci: leggere ogni mese i dati ci rende prigionieri delle montagne russe, costringendoci a emozioni e colpi di scena a ritmo serrato.
Solo lunedì il governo celebrava 79mila assunzioni a gennaio e febbraio 2015, ma ieri l’Istat ha precisato che sono dati non confrontabili perchè «sono di diversa natura e non necessariamente significano nuovi occupati; possono anche essere transizioni dal tempo determinato e altri tipi di contratti».
La lotteria dei numeri crea sconcerto e offusca le tendenze.
A febbraio sono calati di 44 mila unità gli occupati, quasi tutte donne, rispetto a gennaio, ma a preoccupare è la disoccupazione giovanile salita di 1,3 punti su gennaio, proprio nel bimestre in cui trionfano gli incentivi della legge di Stabilità (sconto di 8060 euro l’anno per assunto, 24 mila euro nel triennio).
Evidentemente il doping da solo non basta, dobbiamo attendere il boom dei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti partito il 7 marzo.
La spia delle difficoltà
È la questione giovanile la spia e la metafora delle difficoltà , anche perchè il mitico e miracoloso contratto per neo-assunti non è detto che darà lavoro soprattutto ai più giovani. Intanto a febbraio i giovani occupati sono sempre pochi (868 mila tra 15-24 anni), 40 mila in meno rispetto all’anno precedente e 34 mila in meno su gennaio.
Il tasso di disoccupazione è al 43%, mentre l’occupazione scende al 14,6% (solo un giovane su sette lavora).
E nel contempo salgono gli inattivi a 4,4 milioni, aumentando di 35 mila unità in un anno e di 20 mila in un mese (dentro ci sono 2 milioni di Neet).
Ma le fotografie non servono, ci vuole la macchina da presa che colga il movimento e la nascita di un nuovo dualismo tra tutelati e non.
Ora le attese sono sul contratto a tutele crescenti e senza l’articolo 18, che metterà il turbo anche grazie agli sconti contributivi.
Un anno fa aveva fatto terra bruciata il contratto a tempo determinato, reso più facile e passepartout di tutte le assunzioni: tre anni di flessibilità senza causale.
Non a caso il contratto a termine ha cannibalizzato gli altri contratti (sette su dieci). Ora il nuovo contratto lo sostituirà ? Diventerà la formula regina?
Forse, ma i giovani potrebbero venire emarginati. L’ipotesi viene ventilata dal mondo delle imprese che, cercando di trarre il massimo vantaggio dalle novità , faranno sì assunzioni con il nuovo contratto superscontato, ma sceglieranno bene le persone da assumere con grande selettività .
Problema di competitività
Il problema delle aziende è oggi la concorrenza e la competitività : otterranno più produttività facendo rientrare in parte i cassintegrati e assumendo risorse esterne più esperte che giovani, più competenti che da formare.
La fretta giocherà il resto, nella rincorsa al massimo di produttività .
La selezione segmenterà e riposizionerà il mercato: a farne le spese potrebbero essere i giovani, per i quali si profila un futuro di precarietà , viste le troppe formule che non sono state disboscate.
Si ripropone così, nonostante il nuovo contratto, quel dualismo del mercato del lavoro che è fonte di ambiguità .
Le evidenze sono la spinosa stabilizzazione dei cocopro, ma anche la ripresa dei contratti in somministrazione (ex interinali, crescono al 9% e registrano 300mila occupati al mese, in gran parte giovani), la stabilità dell’apprendistato (fortemente incentivato), l’aumento di stage e tirocini (spesso fuorilegge), job on call e voucher. Ma anche l’aumento delle partite Iva giovanili dovuta a ragioni fiscali (regime dei minimi), che fa sì che a oggi 700mila under 35enni abbiano scelto la via dell’auto-impresa.
Tra le strategie giovanili alternative c’è così il passaggio dal lavoro dipendente al lavoro autonomo.
Insieme al trasferimento all’estero (l’anno scorso ha coinvolto 100mila italiani di cui la metà sotto i 40 anni): scelta più matura e consapevole, sempre meno fuga da emarginati.
Mentre grida vendetta il flop della Garanzia giovani (1,5 miliardi di finanziamento), icona d’impotenza e dagherrotipo dell’immobilismo dell’Italia che fu.
Walter Passerini
(da “La Stampa”)
argomento: Lavoro | Commenta »
Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
QUESTA E’ L’IPOTESI ACCUSATORIA SU CUI LAVORA LA PROCURA DI ROMA DOPO L’ESPOSTO DEL SOCIALISTA BUEMI
“Dobbiamo forse aspettare che arrivi il generale Tejero in aula?”.
Al grido giù le mani dalla democrazia, il senatore Enrico Buemi (Ps-Psi) scomoda il generale della Guardia civil che nel febbraio 1981 tentò di occupare il Congresso dei deputati a Madrid per giustificare l’esposto denuncia che ha presentato alla procura di Roma contro i senatori Cinque stelle che a novembre scorso, quando palazzo Madama doveva dare il via libera al decreto Sblocca Italia, impedirono nei fatti la votazione.
L’esposto che paragona i Cinque stelle al generale Tejero, ha fatto, come prassi, la sua strada.
Il procuratore Pignatone ha ritenuto fondato l’allarme del senatore Buemi e i pm di piazzale Clodio sono al lavoro per capire se in quelle risse in aula, certamente poco gratificanti per la democrazia, si possono ravvisare gli estremi di un’ipotesi di reato. Attentato agli organi costituzionali, per esempio.
Solo che nessuno, al Senato, compreso il presidente Piero Grasso che pure di Pignatone è stato collega e con cui esistono ottimi rapporti, nessuno sapeva niente.
La notizia è esplosa – è il caso di dire – in aula durante le ultime votazioni sul ddl anticorruzione.
Con Forza Italia che teme “invasioni di campo inappropriate”, richiama il presidente Grasso “alla tutela dell’autonomia dell’aula”. E accende un incendio “doloso” nel giorno in cui, dopo oltre due anni, l’aula del Senato dovrebbe dare il via libera in prima lettura a un pacchetto di norme contro la corruzione che non sono eccezionali ma sono sempre qualcosa.
“Alcuni nostri colleghi senatori – ha detto il senatore Giacomo Caliendo (Fi) rivolto a M5S – sono convocati in procura per colpa vostra. Io ritengo illegittimi quegli avvisi come persone informate sui fatti inviate ai senatori. Chiedo l’intervento del Presidente e del consiglio di presidenza in segno di rispetto verso questo ramo del Parlamento”. Dopo Caliendo ha preso la parola Francesco Nitto Palma (Fi), presidente della commissione del Senato che ha evocato “scenari sotto certi profili inquietanti”.
“Ma vi pare – ha detto – che dobbiamo sapere una cosa del genere dall’avviso con cui veniamo convocati in procura? Il Presidente Grasso accerti cosa sta succedendo e assumi le iniziative del caso con una certa responsabilità e premura”.
Il problema è capire se “viene rispettata l’autonomia del Senato” e se “la valutazione di atteggiamenti esasperati ma connotati esclusivamente dalla politica è sufficiente da far avviare un’indagine”.
In procura a piazzale Clodio cascano dalle nuvole per tanto chiasso.
“La denuncia è stata fatta da un senatore (Buemi, ndr) e ne fu data a suo tempo massima pubblicità . Finì pure sulle agenzie di stampa. È nostro dovere procedere”. Alle 15 il presidente Grasso ha dovuto convocare una capigruppo per aggiornare le informazioni su questa faccenda.
Ma potrà solo fotografare la situazione visto che la procura è legittimata a dare corso ad un esposto per quanto firmato da un senatore della Repubblica e relativo a fatti accaduti all’interno dell’aula.
Tante volte l’aula del Senato è stata un ring con lancio di cose e anche persone.
La denuncia di Buemi si riferisce al voto di fiducia sullo Sblocca Italia, nel novembre dell’anno scorso quando i Cinque stelle impedirono nei fatti di votare.
Tanto che il presidente di turno, Roberto Calderoli, scelse poi di far votare dai banchi anzichè sfilare sotto il banco della Presidenza.
In procura sono stati già convocati i senatori Malan, Messina e Mandelli.
Un fuori-programma destinato a rendere sempre più tesi i rapporti tra politica e magistratura mentre le inchieste sulla corruzione coinvolgono politici di una parte e dell’altra e colpiscono un territorio rimasto finora vergine: quello delle Fondazioni.
E che potrebbe complicare oggi il voto finale sul disegno di legge contro la corruzione.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
SPENDING REVIEW, LO SPRECO DEGLI AFFITTI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Un miliardo e duecento milioni di euro: è il costo annuale degli immobili presi in affitto dallo Stato.
Per l’esattezza 1.215 milioni di euro di locazione annua per uffici, scuole, sedi: la stima è contenuta nel dossier sulla razionalizzazione dell’utilizzo degli immobili statali, compilato dal gruppo di lavoro di Carlo Cottarelli e pubblicato online nelle scorse ore.
Dodici pagine di dati, analisi e proposte per tagliare il costo di affitti e gestione degli immobili utilizzati dallo Stato.
Ad oggi le amministrazioni pubbliche utilizzano immobili che si estendono per quasi 80 milioni di metri quadrati (quasi tutti dislocati nelle cinque principali città italiane e cioè Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino): di questi l’80 per cento sono di proprietà dello Stato, mentre il resto appartiene ai privati.
Una percentuale che raddoppia se si escludono dal conto gli immobili del Ministero della Difesa, che da solo occupa quasi i due terzi degli edifici di proprietà dello Stato.
Eliminati i dati relativi al ministero di via XX Settembre, ecco che si scopre come le varie amministrazioni dello Stato utilizzano soltanto il 60 per cento di immobili di proprietà , mentre nel 40 per cento dei casi pagano un canone di locazione ai privati, per un costo che supera il miliardo e duecento milioni di euro all’anno.
Diversi i casi di “spreco” di denaro pubblico registrati dal gruppo di Cottarelli, dovuti soprattutto alla mancanza di coordinamento tra i vari rami della pubblica amministrazione.
Il caso limite è rappresentato dal comune di Prato, dove su 34 sedi amministrative, ben 28 sono in immobili presi in affitto, per un costo di 8 milioni e 770 mila euro: 15 sono gli spazi presi in affitto soltanto nel centro della città , nel raggio di appena 4 chilometri.
Per razionalizzare la spesa l’equipe di Cottarelli propone alle pubbliche amministrazioni di rivedere la distribuzione territoriale limitandosi ad occupare, se possibile, soltanto immobili di proprietà statale.
Secondo la proposta contenuta nel dossier, bisognerà dimostrare l’inesistenza di uno stabile di proprietà pubblica o l’impossibilità di ottenere tale immobile da parte di altre amministrazioni, prima di procedere all’affitto di un’ulteriore sede.
Solo in quel caso partirà una ricerca di mercato, per trovare la locazione più conveniente.
Il progetto prevede la creazione di un unico capitolo di spesa destinato a pagare gli affitti delle sedi, affidato all’Agenzia del Demanio, dal quale “tagliare” 200 milioni nel 2015, e 100 milioni a partire dal 2016, per arrivare quindi a quota 800 milioni entro il 2017.
Per incentivare il coordinamento tra i vari settori della pubblica amministrazione, Cottarelli prevede l’utilizzo di un sistema informativo unico (si chiama Paloma, acronimo di Public Administration Location Management), dove far convergere i dati di tutti gli immobili pubblici disponibili.
E siccome nel dossier si specifica come “diverse amministrazioni non hanno adempiuto alle comunicazioni previste (es. quella del Mef per il censimento degli immobili)”, il progetto di Cottarelli prevede anche l’inserimento di “sanzioni per la mancata comunicazione dei dati” in relazione agli immobili utilizzati dai vari compartimenti della pubblica amministrazione.
Alla fine, secondo le previsioni del gruppo di lavoro, gli immobili utilizzati dallo Stato si dovrebbero ridurre del 20 per cento, mentre i costi sarebbero abbattuti del 30 per cento, grazie anche all’accorpamento di alcuni servizi che sarebbero dunque gestiti in comune tra i diversi rami della pubblica amministrazione.
Il dossier propone inoltre di destinare i fondi risparmiati negli affitti degli enti locali alla ristrutturazione delle scuole.
Tutte proposte che per il momento rimangono lettera morta.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: sprechi | Commenta »
Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
“LA FIDUCIA E’ STATA POSTA SU QUESTI ARGOMENTI SOLO SULLA LEGGE TRUFFA NEL 1953”
La risposta di Bersani a Renzi è una sfida.
«Non sono così convinto che abbia i numeri per approvare l’Italicum. A partire dalla commissione Affari costituzionali. Ne dovrà sostituire tanti di noi per arrivare al traguardo. E se continuerà a fare delle forzature, io stesso chiederò di essere sostituito ».
Sarebbe il primo vero strappo dell’ex segretario nella storia del conflitto con Matteo Renzi.
La prima plastica trasgressione alla filosofia della Ditta, che va difesa a prescindere.
Dopo la direzione di lunedì, Pier Luigi Bersani non ha cambiato idea: se la legge rimane così com’è, non la vota.
Lo ripete a un gruppo di deputati che lo accompagna verso il suo ufficio al quinto piano di Montecitorio.
Due stanzette prese in prestito dal gruppo di Sinistra e libertà , in un labirinto di scale e ascensori, strategicamente piazzate molto lontano dal Pd e questo è un altro brutto segno.
Bersani non parla di scissione.
Quando il fantasma si affaccia, nel corso della conversazione, divaga, non risponde, guarda da un’altra parte.
«Vediamo se si fa carico del problema – spiega riferendosi al segretario –. Noi abbiamo detto: concordiamo alcune modifiche e poi votiamo l’Italicum tutti insieme sia alla Camera sia al Senato. E lui che dice? Non mi fido. Ho trovato questa risposta offensiva, molto più di tante battutine personali che riserva a chi dissente. Non mi fido di Berlusconi, lo puoi dire. Ma se non ti fidi del tuo partito, è la fine».
Nell’appassionato ragionamento di Bersani, la battaglia è molto più profonda di un bilanciamento tra preferenze e nominati.
«Le preferenze sono un falso problema. Fanno schifo anche a me, io sono per i collegi. Ma tra nominati e preferenze, scelgo le seconde. Se non piacciono a Renzi mi chiedo perchè non aboliscono le primarie dove le preferenze raggiungono l’apice. Dicono: ma diventano uno strumento del malaffare. Allora io dovrei pensare che tanti parlamentari del Pd li ha portati qui la mafia?».
Non sta in piedi neanche la ricostruzione di Roberto Giachetti.
Bersani sorride: «Il Mattarellum è un sistema imperfetto, ma se me lo danno lo firmo subito. Giachetti purtroppo ha la memoria corta. Non avevamo i numeri per far passare la sua mozione, forse non si ricorda com’era diviso il Parlamento in quella fase. Io comunque andai dai grillini e chiesi: voi lo votate il Mattarellum? Mi risposero: sosteniamo la mozione Giachetti. Insistetti: ma la votate sì o no? Facevano i vaghi, dovevano sentire Grillo e Casaleggio. Ci avrebbero mandato sotto, ecco cosa sarebbe successo».
Il punto però non sono le polemiche interne.
«I giornali – dice Bersani – sono pieni di veline. Le facevo anch’io quando ero segretario, ma un po’ mi vergognavo e dicevo ai miei: andiamoci piano. L’Italia adesso si prende questa legge elettorale e nessun commentatore sottolinea il pericolo cui andiamo incontro. Vedo un’ignavia diffusa. L’establishment italiano è una vergogna. Sono 4-5 poteri che dicono: andiamo avanti, corriamo. E non si chiedono se andiamo avanti per la strada giusta o verso il precipizio. Potrei fare nomi e cognomi di questi poteri e scrivere accanto le rispettive convenienze che hanno nel tacere, nel sostenere questa deriva».
Ecco il cuore del ragionamento bersaniano: la descrizione di questa deriva.
«Renzi vuole l’abolizione della rappresentanza. Punta a una sistema che non esiste da nessun’altra parte al mondo e che non ci copierà proprio nessuno perchè l’Europa ma anche gli Stati uniti non sono governati da baluba. Lì si rispetta il voto popolare e si cerca di comporre le forze e i programmi per rappresentare società complesse in un momento molto difficile. Qui da noi no».
Il ballottaggio, che nella narrazione di Renzi è una grande vittoria della sinistra, per Bersani è «un vero pericolo. Non ha niente a che vedere con il doppio turno francese dove ci sono i collegi. Qui lo facciamo su base nazionale e serve solo a incoronare un leader, a creare un presidenzialismo di fatto, una democrazia plebiscitaria.
Può capitare che un partito del 27 per cento prenda tutto il potere in un Parlamento di nominati al servizio del capo. E l’altra metà del Paese la consegniamo ai populisti con un esito simile a quello francese. In quel sistema presidenziale, che pure è molto bilanciato, non dai sfogo alla rappresentanza e carichi una molla che alla fine scatta, esplode. Così ti ritrovi Marine Le Pen. In Italia può succedere la stessa cosa. Si ammucchiano i populisti, Grillo e Salvini, e non sai come finisce».
La risposta a questa obiezione manda ai matti Bersani.
«Dicono: tanto Renzi dura 20 anni. Ne siamo proprio sicuri? Secondo me no. La situazione è ancora fluida, la crisi non è finita. Avete visto i dati sulla disoccupazione? Ci siamo ancora dentro e non è detto che gli elettori vorranno uscirne con Renzi e con il Pd. Non dimentichiamo l’esempio di Parma. Disaffezione per la politica, crisi economica e al ballottaggio vincono i 5 stelle. E’ il modello che vogliamo per l’Italia? Se l’onda è questa, io non la seguirò».
L’alternativa andrebbe trovata insieme.
«Una correzione che permetta l’apparentamento al ballottaggio sarebbe già un passo avanti». Se Renzi mette la fiducia? «E’ stata messa una sola volta sulla legge elettorale e dopo un ostruzionismo feroce. Era il ’53, la legge truffa. Sono cambiati i regolamenti, non so se Renzi si spingerà fino a quel punto».
Ma se lo fa, che succede alla Ditta?
«Stavolta prima viene il Paese, poi la Ditta».
Goffredo De Marchis
(da “la Repubblica”)
argomento: Bersani | Commenta »
Aprile 1st, 2015 Riccardo Fucile
E’ ACCUSATO DI DIFFAMAZIONE AGGRAVATA: IN UN’INTERVISTA DISSE CHE “QUELLO NELLA FOTO NON ERA SANGUE MA UN CUSCINO”
Sarà il Senato a decidere se Carlo Giovanardi deve andare di fronte a un giudice a rispondere di
diffamazione aggravata contro Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi.
La giunta per le immunità parlamentari di Palazzo Madama ha accolto a maggioranza la richiesta del gip di Ferrara Monica Bighetti, giudicando che le opinioni espresse nel corso dell’intervista “incriminata” non rientrano nell’ambito della prerogativa dell’insindacabilità ex articolo 68 della Costituzione.
Mancherebbe, come sottolineato dalla relatrice della giunta, Nadia Ginetti (Pd), un nesso funzionale tra la dichiarazione resa extra moenia, ossia fuori dai luoghi deputati all’attività parlamentare in senso stretto, dal senatore e atti o interventi ufficiali compiuti dallo stesso.
Il senatore Ncd, tra l’altro anch’egli membro della giunta per le immunità , è accusato di diffamazione aggravata per le frasi rilasciate il 29 marzo 2013 durante un’intervista al programma radiofonico “La Zanzara” di Radio 24.
Giovanardi venne sentito dall’emittente radiofonica in merito al sit-in del sindacato di polizia Coisp avvenuto due giorni prima a Ferrara, organizzato contro la carcerazione dei poliziotti condannati per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi.
Al conduttore Giuseppe Cruciani, il senatore affermò candidamente che “quella foto che ha fatto vedere la madre è una foto terribile, ma quella macchia rossa dietro è un cuscino. Gli avevano appoggiato la testa su un cuscino. Non è sangue”.
Purtroppo per Giovanardi quella foto, scattata dai consulenti medico legali della famiglia in sede di autopsia, era verissima ed era entrata nel fascicolo del dibattimento tra gli atti processuali.
Da qui la denuncia della Moretti. La giunta per le immunità aveva anche sentito Giovanardi, il quale aveva depositato una memoria nella quale spiegava le sue ragioni già addotte davanti al gip.
All’epoca del processo di primo grado, secondo la sua ricostruzione, vi fu un dibattito sul fatto che quello di rosso nella foto fosse sangue.
Nelle fotografie immediatamente successive al decesso non c’era sangue per terra (in realtà c’erano macchie di diametro fino a 20 cm, ndr).
Sempre al giudice Giovanardi assicurò che “se si accertasse che è sangue non avrei problema a credervi”.
Marco Zavagli
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia | Commenta »