Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
DAL DNA DI LO PORTO AI TEMPI CHE NON TORNANO
Qualche dettaglio tecnico non collima. Qualche dato temporale è ancora da sistemare.
Ma più le ore passano, più la ricostruzione dell’Huffington Post sulla morte di Giovanni Lo Porto a un soffio dalla sua liberazione e l’identificazione del suo cadavere nel compound bombardato dagli americani trovano conferme.
Però aumentano anche i dubbi sulla versione ufficiale accreditata dal presidente Barack Obama, che si è assunto personalmente la responsabilità dell’attacco.
Il New York Times rivela che la Cia avrebbe messo al corrente il presidente degli Stati Uniti dell’uccisione dei due ostaggi la scorsa settimana.
Cioè, qualche giorno prima che il premier Matteo Renzi arrivasse a Washington (16/17 aprile).
E che Obama, ripreso dalle televisioni durante la conferenza stampa mentre sorrideva e scherzava sulla qualità del vino ricevuto in dono da Renzi, gli avrebbe taciuto la tragica notizia per non turbare la visita ufficiale.
Renzi ha smentito il Nyt: “Lo abbiamo appreso mercoledì, e credo anche gli americani”. Ma i dubbi restano.
Peraltro la rivelazione del Nyt (confermata in Italia da molte fonti nella giornata di giovedì) era arrivata poco dopo che il ministro degli Esteri Gentiloni aveva ribadito in Parlamento che Renzi era stato informato con una telefonata da Obama solo mercoledì 22.
Ma il punto è un altro.
Come avrebbe fatto la Cia ad avere la certezza che il Dna dei reperti organici recuperati da un agente sotto copertura in mezzo ai resti del compound al confine tra Pakistan e Afghanistan appartenevano a Lo Porto, senza avere in mano qualcosa con cui compararli?
E se, come ha aggiunto il ministro Gentiloni, non c’era certezza sull’identità dei due ostaggi uccisi nel compound — Lo Porto e il cooperante americano Warren Weinstein — tanto che sono stati necessari “tre mesi di verifiche” (due, secondo quanto risulta dalle fonti interpellate dall’Huffington Post, che daterebbero a fine marzo l’identificazione con “il più alto livello di certezza” delle due vittime), chi e quando avrebbe fornito alla Cia gli elementi per effettuare queste verifiche sul Dna?
E perchè la Cia non ha tempestivamente informato le autorità italiane?
Non solo.
Il bombardamento compiuto dal Drone americano e autorizzato dallo stesso Obama, sarebbe avvenuto il 15 gennaio scorso.
A 24 ore dalla liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, sequestrate in Siria. Cioè nei giorni, anzi nelle ore in cui la nostra intelligence era ragionevolmente certa di avere aperto un canale affidabile di comunicazione con i rapitori di Giovanni Lo Porto (un gruppo jihadista che stava transitando dalle file di Al Qaida a quelle dell’Isis, e aveva bisogno di fare cassa), con buone chances di riportarlo sano e salvo a casa.
Come l’Huffington Post ha scritto e Gentiloni ha confermato in Parlamento, la nostra intelligence era riuscita ad ottenere la prova che Lo Porto fosse in vita.
Un’”evidenza” che Gentiloni ha datato allo “scorso autunno”, ma che altre fonti collocano a cavallo tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio di quest’anno.
Cioè, a ridosso del via di Obama al bombardamento del compound in cui i due cooperanti erano tenuti in ostaggio.
Come aveva fatto la Cia a puntare quella installazione? Come ci era arrivata? Attraverso quali informazioni o strumenti?
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
ECCO CHI SI MUOVE CON LUI CONTRO IL PREMIER
Anche oggi non è mancato all’appello.
Ormai Enrico Letta non se ne tiene una. Da quando è uscito il suo libro ‘Andare insieme, andare lontano’ (Mondadori), l’ex premier è un vulcano scatenato contro il governo del rivale, Matteo Renzi.
Oggi interviene di nuovo sulle riforme, in una tenzone – pacata ed elegante, com’è nel suo stile — con i costituzionalisti Stefano Ceccanti, Augusto Barbera e Francesco Clementi, di area renziana.
Tenzone sulla quale oggi il ministro Boschi dice la sua: “Noi stiamo sbloccando lo stallo del governo Letta sulle riforme”.
Fino a ieri Letta ha tuonato sull’emergenza migranti, insieme alla Cei, i gesuiti, gran parte del mondo cattolico e Romano Prodi, anche lui con un libro fresco di stampa, ‘Missione incompiuta’ (Laterza).
Il verbo ‘tuonare’ non fa rima con la tempra posata di Letta.
Dunque, cosa succede?
Renzi, ospite da Lilli Gruber a ‘Otto e mezzo’ la sbriga così: “Letta e Prodi hanno due libri in uscita, lasciamo loro il diritto delle promozioni”.
Ma di fatto è iniziata una ricerca dell’orgoglio perduto. Contro il rischio di ‘mutazione genetica’ del Pd, certo. Ma lanciata per portare la politica altrove, fuori dal recinto del partito, lì dove la vuole anche Renzi con il suo Partito della Nazione, stesso campo ma idee diverse, per dare inizio a una vera e propria contesa culturale oltre che politica, tutta interna ad un mondo solo: quello cattolico.
Come accade sempre nella storia, un po’ è stato il caso a metterci sale e pepe. E dunque certo l’uscita dei libri di Letta e Prodi viene spinta quasi naturalmente dagli accidenti che stanno investendo il Pd, con lo scontro sull’Italicum e la sostituzione dei dieci di minoranza in commissione, e poi — tristemente — dal naufragio del Canale dei Sicilia, che ha spostato i riflettori europei sulla tragedia dell’immigrazione.
Facile a questo punto entrare a gamba tesa nel dibattito: contro l’Italicum e l’idea di approvarlo con una “maggioranza risicata”, scrive Letta; “contro il Partito della Nazione”, sentenzia Prodi.
Entrambi uniti a lodare l’operato del governo Letta sui migranti, Mare Nostrum contro il Triton dell’era Renzi.
Ed è un coro quasi unanime: Letta, Prodi e un gran pezzo di mondo cattolico.
Non a caso su questi temi l’ex premier ieri ha parlato attraverso un contributo scritto per il rapporto sull’immigrazione del Centro Astalli, il centro studi dei gesuiti.
E non sfugge che l’anno scorso, le prime parole che pronunciò dopo la ‘cacciata’ da Palazzo Chigi furono su Civiltà Cattolica, pubblicazione che non esce dal Vaticano senza l’approvazione della segreteria di Stato. Per dire della portata della cosa.
Che succede?
Gli esperti la spiegano come la volontà di rientrare in campo di un pezzo del mondo cattolico. C’è da dire, come ammettono gli stessi renziani in Parlamento, che tra il premier attuale e il Papa, il gesuita Francesco, non è mai scoccata la scintilla.
Non c’è grande feeling. E si vede.
Il Papa invece chiamò Letta, quando fu ‘deposto’ dal governo l’anno scorso. E in effetti, a guardarsi bene intorno, i renziani di stretta osservanza ammettono allargando le braccia che gli unici contatti più o meno diretti di Renzi con il Vaticano dell’era Bergoglio sono l’ex Popolare Giuseppe Fioroni e il ministro Maria Elena Boschi, di famiglia aretina storicamente Dc.
Poi c’è Graziano Delrio, che però è un caso a sè e non a caso era l’unico renziano nel governo Letta. La cosa non preoccupa il giro del premier, che anzi ancora si vanta per non essere stato coccolato dalla Curia vescovile di Firenze, quando era sindaco.
Per Renzi lo scontro con le gerarchie paga sempre. Però c’è anche che il giro cattolico di Letta arriva comunque fino al Quirinale: a Sergio Mattarella, il presidente voluto da Renzi al Colle, l’uomo al quale Letta ha comunicato la propria intenzione di dimettersi dal Parlamento, prima di annunciarlo in tv.
Qui c’è di più del semplice bonton istituzionale.
Ci sono i fili di un rapporto interno allo stesso mondo. Non che la rivincita di Letta su Renzi passi per Mattarella, il quale in questi giorni non fa che chiedere a Renzi se abbia i numeri per approvare l’Italicum, preoccupatissimo. Presto per dirlo.
Ma di certo il lavoro messo in piedi dall’ex premier non è solo marketing per vendere il libro, come ogni casa editrice impone agli autore e come racconta l’autore stesso agli amici (oltre che come dice Renzi). Invece, c’è di più.
Perchè nel caso di Letta il marketing si fa Anche a colpi di “metadone”, il bollino che Letta ha piazzato sulla retorica renziana, trovata comunicativa che gli è valsa anche un comunicato di protesta da parte di Federserd, la federazione che rappresenta i Servizi pubblici per le dipendenze (Sert): “Il metadone è utile ad aiutare i malati di eroina…”. Tiè. Ma c’è di più, al di là delle battute.
C’è la rivincita o meglio la ricerca della rivincita, il tentativo di non buttare a mare una storia nata dentro il mondo cattolico.
E’ quel mondo cattolico un po’ scettico su Renzi, convinto che non stia facendo abbastanza per la famiglia, vecchio cruccio dei cattolici, ma anche per la povertà e i migranti, che è un cruccio di Papa Francesco.
E’ quel mondo che aspetta il premier al varco sul Partito della Nazione, vuole capire che sarà .
Ed è un mondo che parla bene con la minoranza Pd spaventata dai nuovi arrivi al partito: dopo Bondi e Repetti, ora si parla di Denis Verdini, le sue truppe e i suoi guai giudiziari. Il renzismo è calamita di casi da ‘questione morale’?
E’ l’interrogativo più frequente intorno all’allarme ormai alle stelle nella minoranza su quella che chiamano ‘mutazione genetica’ del Pd all’ombra dell’Italicum.
Ci sta che i pochi parlamentari di fede ancora lettiana sperino in Enrico per una rivincita anche di partito.
Per dirla in termini spiccioli: una sua candidatura al congresso 2017, “se il Pd sarà ancora il Pd”, aggiunge qualcuno.
Mentre Renzi, in vista della settimana rovente sull’Italicum, tenta un aggancio con Bersani: “Ha ragione sul mancato invito alla festa dell’Unità . Giustissimo chiamarlo: hanno chiamato i ministri e non gli ex segretari. Noi lo andiamo a prendere in macchina, così non va a piedi”.
Ma Letta, che sa di non avere il consenso elettorale di Renzi (si candidò alle primarie 2007, 392mila voti, cioè l’11,8 per cento, e come capolista alle europee 2004, 174mila voti), gioca su un altro piano, per ora.
E chissà : se il Partito della Nazione diventasse territorio di gente chiacchierata alla Verdini, “potrebbe nascere qualcos’altro”, ragiona uno dei suoi.
Svuotando dall’interno la creatura di Renzi.
Chissà .
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
CONTESTATI RIMBORSI BENZINA PER 78.000 EURO
Nuovi in guai per il sottosegretario ai Beni Culturali Francesca Barracciu.
Il pubblico ministero Marco Cocco ha chiesto il suo rinvio a giudizio per peculato aggravato.
L’accusa è mossa nell’inchiesta sul presunto uso illecito dei fondi destinati alle attività istituzionali dei gruppi politici nel consiglio regionale della Sardegna.
Si riferisce a una contestazione di spese ritenute dalla Procura non giustificate per un totale di 78mila euro.
E riguarda la fase nella quale — alcuni anni fa — l’attuale esponente del governo Renzi faceva parte, sempre nelle file del Pd, dell’assemblea isolana.
L’udienza davanti al gup, Lucia Perra, è fissata per il prossimo 24 giugno
Nessun commento da parte del sottosegretario, che nel primo interrogatorio aveva parlato di rimborsi per il carburante, poi nei successivi faccia a faccia aveva fornito spiegazioni e presentato documenti.
«Abbiamo protestato per la scelta di separare la posizione dell’onorevole dagli altri 24 indagati per il medesimo fatto: l’unico elemento che la differenzia è che lei fa parte del governo», ha commentato il suo difensore, l’avvocato sassarese Franco Luigi Satta. «Questa decisione – ha proseguito il legale – era legata alla richiesta della misura interdittiva di sospensione dalla carica chiesta dal pm ma respinta dal gip. Ora dunque non ci spieghiamo perchè la sua posizione figuri separata addirittura da quella del tesoriere e del capogruppo che le avevano dato i soldi»
Nel novembre scorso era stato comunicato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Terminati gli accertamenti giudiziari, che si sono protratti per parecchi mesi e hanno interessato 70 altri consiglieri regionali di tutti i partiti, l’altra sera il pm ha formulato il capo d’imputazione.
La Procura contesta le spese fatte da Francesca Barracciu durante la XIII legislatura. L’esponente dem si era presentata a metà dicembre 2013 dal pm Cocco. E aveva risposto a una prima serie di accuse, per un importo di costi pari a 33 mila euro.
«Abbiamo chiarito ogni cosa con una memoria di 70 pagine – avevano sottolineato gli allora difensori Carlo Federico Grosso e Giuseppe Macciotta, poi sostituiti da Satta – e fornendo i documenti relativi sui rimborsi chilometrici per manifestazioni a cui la nostra assistita ha partecipato in quanto componente di varie commissioni: circa 24mila km all’anno».
Pochi mesi più tardi, nel marzo 2014, Barracciu era stata nuovamente sentita in Procura. Alcuni giorni dopo il pm le aveva contestato spese per altri 40-45 mila euro.
Piergiorgio Pinna
(da “La Repubblica”)
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Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
COSI APPARE IL FIORE ALL’OCCHIELLO DI EXPO
A pochi giorni dall’inaugurazione di Expo il Primo maggio, si vedono calcinacci ovunque, tra gru e operai al lavoro.
Varcando la soglia di Palazzo Italia, fiore all’occhiello del paese ospitante, ad accoglierci c’è solo la gigantesca struttura, il resto è ancora ‘work in progress’.
Gli enormi pannelli sono stati sistemati, e cinque uomini si apprestano a rendere agibile il piano superiore, mentre i servizi igienici sono ancora in fase di realizzazione.
“Qua faranno una grande figura di merda. Ti sembra normale che a una settimana dall’inizio sia tutto ancora così?”.
Non ha mezze misure, Luca (nome di fantasia), addetto che ci accompagna all’interno del mega cantiere di Expo a Rho.
E a guardare l’avanzamento dei lavori le perplessità sono molte.
All’esterno dell’enorme stand tricolore, il manto stradale è ancora tutto da asfaltare: “Ci vorrà almeno una settimana”, sentenzia Luca senza incertezze.
Passeggiando tra i tanti padiglioni, ci si imbatte in grandi buche rotonde: “Devono ancora piantate gli alberi”, osserva Luca.
E mentre passiamo tra le ruspe, amaramente dichiara: “Non ce la faranno mai. Una volta finito, devono portare via tutta la merda che rimane”, dice riferendosi ai troppi materiali di scarto, rifiuti e calcinacci disseminati ovunque.
Altra nota dolente, poi, la sicurezza.
E’ noto che i collaudi saranno sostituiti da autocertificazioni. “Bisogna solo essere ottimisti e sperare che non crolli nulla”.
Perchè se il mondo è stato creato in sette giorni, per l’Expo sembrano davvero troppo pochi
Valerio Lo Muzio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
LA CLAMOROSA PROTESTA DI DOCENTI E STUDENTI CON PENTOLE E POSATE IMPEDISCE AL MINISTRO DI PARLARE
Dopo 20 minuti di contestazioni è stato annullato il dibattito in programma alla festa dell’Unità di Bologna con il ministro dell’istruzione Stefania Giannini.
Nonostante i ripetuti appelli al dialogo i manifestanti non hanno interrotto la loro rumorosa protesta con pentole e posate ed il ministro se ne è andato .
Quando, poco dopo le 18.30, è cominciato il dibattito, gli organizzatori si sono resi conto che la platea dello spazio dibattiti della festa nazionale dell’unità di Bologna, era in larga parte composta da studenti e precari della scuola.
Quando il ministro ha preso la parola sono cominciate le proteste con pentole e posate che hanno di fatto reso impossibili gli interventi del dibattito.
Oltre al ministro Giannini ha lanciato appelli al dialogo anche la responsabile scuola del Pd Francesca Puglisi, ma ad ogni affermazione la protesta, alla quale nel frattempo si erano aggiunte altre persone, non faceva che aumentare di intensità , accompagnata anche da grida di contestazione all’indirizzo della Giannini.
Questa situazione è andata avanti per circa 20 minuti fino a che il ministro Giannini ha lasciato la festa, visibilmente indispettita.
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Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
SONO 40.000 LE COMBATTENTI, IL 40% DELLE FORZE CURDE: SONO PIU’ TEMUTE DALL’ISIS CHE GLI UOMINI… TRA LORO ANCHE VOLONTARIE EUROPEE, TURCHE, ARABE, SIRIANE E IRACHENE… HANNO TRA I 19 E I 28 ANNI
Gli scontri vanno avanti incessantemente, le armi sono contingentate. Trasmettere coraggio, è dura.
La metà sono ragazze, giovanissime, tra i 19 e i 28 anni per la maggior parte. Divise improvvisate, scarpe da corsa, niente anfibi. Eppure il morale è sempre alto. “Nell’ultimo villaggio liberato – inizio marzo, nord-est della Siria – abbiamo sottratto all’Is: 3 veicoli armati, 5 veicoli corazzati tipo Hammer, 7 pick-up, 3 camion militari, 1 carro armato, 2 minibus, 1 ambulanza, 2 motociclette, due veicoli carichi di esplosivi TNT per gli attentati esplosivi”.
È una guerra di posizione, gomito a gomito, corpo a corpo.
“Il mio nome è Xabur Efrin, ho 22 anni, il mio battaglione ha riconquistato la città di Til Hemà®s strappandola all’Is”.
La città di Til Hemà®s nel cantone di Cizà®rઠnel Rojava, Kurdistan occidentale, è stata completamente liberata.
Una rivoluzione nella rivoluzione: qui le donne sono alla testa della guerriglia, la cultura curda è frutto di una rivoluzione femminista che dura da 40 anni. È un avamposto del socialismo internazionale, si dice da queste parti, tanto da attrarre altre donne da tutto il mondo che qui, tra le lande della Mesopotamia, coltivano la culla della civiltà per edificare un futuro che nutra la figura della donna come protagonista e non vittima.
Ci sono donne europee, arabe, siriane, turche, curde, irachene e non solo.
Tra loro, purtroppo, ci sono anche delle martiri: l’ultima a Tell Tamr, 50 chilometri dalla frontiera turca, è stata Ivana Hoffmann, tedesca, 19 anni; in questo fazzoletto di terra, tra polvere e sangue, è morta difendendo un corridoio cruciale verso la roccaforte dell’Isis in Iraq, Mosul.
Queste le parole che lascia in eredità , a tutte le guerrigliere.
Parole crude scritte in una lettera che aveva indirizzato alle combattenti, poco prima di morire. “Scoprirò cosa si prova a tenere un’arma in mano e lottare per la rivoluzione. Forse scoprirò i miei limiti e cadrò all’indietro, ma non rinuncerò mai al mio spirito per combattere e andare avanti”.
Giovanissime.
Nelle prime linee ci sono donne giovanissime. “Sono Zilan, ho 20 anni, non ho avuto tempo per avere figli nè un marito, da tre anni la mia vita è nella resistenza del Kurdistan occidentale”.
Si vive tra notti insonni, sacrifici e continue mancanze, ma il morale è alto, nonostante le vite frammentate e sempre in lotta.
Queste donne si fanno carico di secoli d’ombra di regimi che si sono succeduti nelle regioni di confine. L’Isis è solo l’ultimo dei nemici in senso cronologico.
Le combattenti curde stanno avanzando e riprendono avamposti che erano nella mani dello Stato Islamico:16 villaggi sono stati liberati a nord, in Siria il 24 febbraio; altri il 23, 25 e 26 marzo, portando il centro della città di Til Hemà®s e tutti i punti strategici della zona sotto il loro controllo: un’area di 2940 chilometri quadrati, che comprende 390 villaggi e centinaia di borghi, è stata ripulita dagli jihadisti e liberata come risultato dell’operazione terminata il 10 aprile.
Mentre il numero delle vittime dell’operazione non può essere ancora verificato, L’ufficio d’informazione del Kurdistan dirama questi numeri: 211 jihadisti sono caduti dall’inizio dell’operazione, inclusi i comandanti sul campo ai quali spetta il nome di “amir”, comandanti, appunto.
L’operazione è stata sostenuta anche dagli attacchi di artiglieria delle forze peshmerga dal confine del Kurdistan del sud e dagli attacchi aerei della coalizione internazionale anti-Is.
La morte e la vita.
“Vivo tra gli scontri, gli spari; ogni giorno, nei nostri occhi, esiste solo la morte e la convinzione che un giorno torni la vita”, racconta la miliziana curda con la voce rotta da un groppo in gola.
Ora l’avanzata dell’esercito curdo si dispiega sul fronte Bdoulih, il nuovo campo di battaglia.
“Ogni volta che liberiamo un’area, un villaggio dai terroristi Dash, troviamo bombe Vega, cinture esplosive e veicoli minati per far saltare gli estremisti. Ho visto dove erano stati decapitati i corpi, corpi bruciati ovunque”.
Per i sikcs curdi si tratta di legittima difesa: così la definiscono. Combattono contro gli estremisti islamici ma anche contro il regime di Assad.
“Per quanto riguarda il numero delle nostre unità sono 100mila. Le donne svolgono un ruolo importante e attivo all’interno delle Popular protection Units: costituiscono il 40% degli effettivi e hanno un ruolo significativo nei campi di battaglia”, ci spiega ancora Zillan.
Che aggiunge: “I terroristi hanno paura della morte per mano di una donna perchè dicono che la scomunica per chi è ucciso per mano femminile è tale da non farti entrare in Paradiso”.
Quello che i curdi invocano oggi è l’intervento delle Nazioni Unite.
Chiedono un contributo per la ricostruzione di Kobane. In quattro mesi di battaglie e di assedi è stata distrutta per il 60 per cento.
Ottenere il supporto logistico e militare della Nato e chiedere il riconoscimento ufficiale dell’Unione europea come entità autogestita sarebbe per i curdi una soluzione buona. Per il momento, almeno.
Un piccolo passo verso una soluzione più ampia della grande crisi del Medio Oriente. Il Kurdistan, del resto, è uno Stato che esiste solo nella realtà . Ma non nella carta geografica. La sua orografia identitaria si snoda lungo il confine di cinque paesi: Siria, Turchia, Iran, Iraq, Armenia.
Una storia secolare. Scandita da continue battaglie. Per resistere ed esistere.
Contro Saddam, contro la Turchia, contro Assad. Adesso anche contro il Califfato nero.
Peter D’Angelo
(da “La Repubblica”)
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Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
QUANDO LICENZIARE E’ VANTAGGIOSO, COME DIMOSTRANO QUESTI CASI
Quando sono entrati nel locale che sulla carta ospitava la nuova azienda tessile, i carabinieri dell’Ispettorato del lavoro sono rimasti di sasso: non solo non c’erano i 49 dipendenti da poco ingaggiati (tutti a tempo indeterminato) ma nemmeno i macchinari. Nulla di nulla.
Per l’impresa di Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, solo le agevolazioni concesse dallo Stato sarebbero state vere.
Centinaia di migliaia di euro da mettere in tasca grazie alle misure pensate per rilanciare l’occupazione.
Il governo festeggia con solennità le rilevazioni sul primo mese di vita del Jobs act. D’altronde i numeri, per quanto ancora parziali e suscettibili di variazioni, sembrano incoraggianti: 92 mila nuovi contratti attivati a marzo, un quarto dei quali a tempo indeterminato .
«Merito della riforma del lavoro» esulta Palazzo Chigi.
Ma non ci sono solo le luci. Perchè per il modo in cui sono congegnati, gli incentivi a disposizione delle aziende rischiano di stimolare appetiti di tutti i tipi.
Compresi quelli di chi sembra voler approfittare unicamente della possibilità di risparmiare su tasse e contributi previdenziali.
A Cinisello Balsamo, ad esempio, l’azienda Call&Call è intenzionata a chiudere lo stabilimento e dare il benservito a 186 operatori a tempo indeterminato del call center. Ma al tempo stesso, denunciano i sindacati , assumendo personale nelle altre sedi di Roma e Locri, che fanno capo ad altre srl del gruppo.
Tutti dipendenti ingaggiati col contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs act, meno oneroso, e con gli annessi sgravi previsti per le nuove assunzioni: da 6 mila a 8 mila euro l’anno ciascuno.
Una circostanza – la sostituzione dei vecchi contratti col nuovo – che l’Espresso aveva già paventato fra le possibili conseguenze della riforma del lavoro nel settore.
Andando a scavare si scopre tuttavia che, per quanto al momento isolati e numericamente poco rilevanti, i casi non mancano.
Nemmeno nel Veneto ricco e produttivo.
A Rubano, in provincia di Padova, a fine marzo la Industria confezioni – di proprietà del gruppo Ermenegildo Zegna – ha annunciato l’intenzione di chiudere lo stabilimento, che produce capispalla maschili di alta sartoria.
Di conseguenza i 230 dipendenti (per lo più donne e con stipendi attorno ai 1.100 euro) avrebbero dovuto accettare di essere riassorbiti in uno degli altri impianti di Parma, Novara o Biella. Ovvero spostarsi a centinaia di chilometri da casa.
Soluzione che ai sindacati è persa come un grimaldello per accedere alle agevolazioni: «Se un lavoratore rifiuta lo spostamento scatta il licenziamento per giusta causa e a quel punto l’azienda è libera di assumere col nuovo contratto e di usufruire della decontribuzione» afferma Angelo Levorato della Femca-Cisl. Adesso, dopo un duro confronto iniziale, sul tavolo c’è la possibilità di ricorrere ai contratti di solidarietà e di lavorare 4 ore al giorno, ipotesi che non porterebbe alla società alcun beneficio dalle nuove norme.
Ma se la trattativa fallisse, lo spettro del trasferimento tornerebbe di nuovo in campo.
In qualche caso anche le stabilizzazioni possono riservare sorprese.
A Lodi le Industrie cosmetiche riunite (Icr) a partire dal prossimo autunno internalizzeranno 180 lavoratori che lavorano da anni per la società ma che finora erano alle dipendenze di alcune cooperative.
Prima dell’agognata meta, però, per tutti quanti sono previsti sei mesi con un contratto a somministrazione di un’agenzia interinale.
Esattamente il periodo di tempo senza posto fisso richiesto a un neo-assunto perchè un’azienda possa beneficiare di una decontribuzione triennale.
In questo modo, calcolano i sindacati, l’Icr risparmierà 1 milione di euro l’anno mentre i lavoratori, che prima erano inquadrati a tempo indeterminato col contratto collettivo del settore chimico, perderanno le garanzie di cui godevano.
«E potranno essere licenziati più facilmente» spiega il segretario generale della Uil di Brescia, Mario Bailo: «La legge Fornero prevedeva da 12 a 24 mensilità per i licenziamenti individuali. In tal caso invece, azzerando l’anzianità di servizio, dopo un anno potrebbero essere mandati via con la corresponsione di appena 4 mesi di stipendio».
Si verificherebbe, cioè, proprio ciò che uno studio del Servizio politiche territoriali della Uil aveva messo in luce: il rischio che licenziare sia vantaggioso .
Del resto il timore di peggiorare la propria situazione contrattuale a causa di una nuova assunzione agita in queste settimane anche i 50 lavoratori in esubero del Maggio fiorentino.
Per i dipendenti del teatro è previsto l’assorbimento in Ales, la società per azioni di proprietà del ministero dei Beni culturali.
Solo che così tutti quanti perderebbero i diritti acquisiti con gli anni di servizio e così le organizzazioni sindacali hanno chiesto un’apposita deroga al Jobs act.
Tutto questo è però nulla rispetto a quanto si è iniziato a vedere in alcuni cantieri edili e nel settore delle costruzioni, zone di frontiera per eccellenza sul terreno dei diritti dei lavoratori: qui nemmeno le tutele crescenti sembrano essere abbastanza convenienti.
«Dopo l’offerta di contratti di lavoro romeno che abbiamo scoperto a Modena , in alcune realtà della Lombardia stiamo assistendo a un’esplosione dei voucher» dichiara Marinella Meschieri, della segreteria Fillea-Cgil.
E la differenza non è di poco conto: 7 euro e 50 centesimi netti l’ora, grosso modo la metà di quanto previsto dal minimo tabellare. Ma soprattutto niente tfr, tredicesima, ferie maturate nè scatti di anzianità .
E il modo in cui la legge è scritta ci ha messo del suo, sostiene Meschieri: «Prima i buoni potevano essere utilizzati solo per i lavori “occasionali”.
Ma il Jobs act ha tolto questo termine e adesso temiamo che possano diventare una consuetudine».
Così il sindacato, che ha avviato un monitoraggio sulla questione, ha diramato alle sedi sul territorio la disposizione di segnalare tutte le anomalie riscontrate nei cantieri o segnalate dai lavoratori.
Una casistica varia, quella pensata per approfittare delle agevolazioni introdotte dal Jobs act, che non meraviglia il segretario confederale Uil Guglielmo Loy, che aveva già denunciato i rischi insiti nella modalità con cui gli incentivi sono stati concepiti per le imprese : «Il risparmio sui contributi previdenziali per le società è sproporzionato rispetto al costo di un licenziamento illegittimo.
E gli incentivi, anzichè essere selettivi, premiano tutti».
Il risultato è che diventa impossibile distinguere fra chi vuole davvero creare occupazione, chi si limita a fare ristrutturazioni aziendali che avrebbe messo in atto comunque e chi punta solo a una tattica “mordi e fuggi” per pagare meno tasse. Proprio come nella notte di Hegel, in cui “tutte le vacche sono nere”.
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso“)
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Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
DIECIMILA INSEGNANTI IN CORTEO A ROMA CONTRO I VANEGGIAMENTI RENZIANI
Abito nero e cerino acceso in 70 piazze d’Italia per celebrare il funerale della scuola pubblica e chiedere al governo Renzi di ritirare il disegno di legge sulla buona scuola. Ieri sera, giovedì 24 aprile, migliaia insegnanti hanno tenuto un flashmob con un lumino da cimitero in mano, in protesta contro la riforma della scuola
Il coordinamento è partito sui social network, ma la manifestazione ha invaso il Paese da Nord a Sud, da Bari a Roma, da Reggio Calabria a Foggia, da Rieti a Modena.
Gli insegnanti hanno inscenato una veglia funebre, restando immobili per cinque minuti.
Poi un applauso finale al grido “sciopero, sciopero” ha anticipato la prima manifestazione contro il ddl sulla scuola, iniziata questa mattina a Roma, indetta da alcuni sindacati, tra cui Usb, Unicobas e Anie
Il corteo – diecimila persone secondo gli organizzatori – sfila tra le strade del centro storico della capitale e arriverà a Piazza Santi Apostoli.
Tra gli striscioni esposti, “Vendesi libertà di insegnamento” e ‘Disegno di legge la buona scuola bocciato!”.
“Bisogna stracciare e buttare nel cestino il ddl “Buona Scuola” – dice Stefano D’Errico, segretario di Unicobas – La scuola voluta da Renzi è medievale, incentrata sulla figura autoritaria e padronale del dirigente scolastico”.
Uno spiraglio in tal senso sarebbe stato aperto nei giorni scorsi proprio dal premier, preoccupato di perdere il consenso della classe docente, da sempre zoccolo duro dell’elettorato Pd.
Per questo le prossime modifiche al ddl potrebbero riguardare il ridimensionamento dei poteri del preside-capo azienda e maglie più larghe per l’assunzione dei precari.
Ad essere contestata dagli insegnanti è la trasformazione della scuola in senso verticistico, con un preside che potrà scegliere direttamente la propria “squadra” di professori scelti, sulla base dei curricula, direttamente dagli albi territoriali.
Requisito per l’iscrizione nei registri gestiti dagli uffici scolastici regionali, a partire dal 2016, sarà il superamento di un concorso.
Ed è questo il secondo motivo di protesta: in questo modo, chi da anni insegna nelle scuole da supplente senza aver mai conseguito un titolo di abilitazione (frequentando la ex Siss o tfa) – ovvero fa parte della cosiddetta “terza fascia” – sarà inevitabilmente tagliato fuori e non potrà più lavorare.
Su twitter intanto, con l’hashtag #lascuolalacambiano noi, gli insegnanti chiedono che i soldi risparmiati dallo Stato in questa giornata di sciopero vengano utilizzati per l’edilizia pubblica e risanare le scuole fatiscenti.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 24th, 2015 Riccardo Fucile
“QUANDO VERDINI AVEVA GUAI FINANZIARI SI E’ RIVOLTO A ME, ORA CHE HA PROBLEMI CON LA GIUSTIZIA SI AFFIDA A RENZI”…VERSO ANTONIO TAJANI COORDINATORE
Lo strappo si consumato nel corso dell’ultimo incontro.
Quando Denis Verdini gli ha urlato in faccia: “Silvio, hai capito che ormai sei irrilevante e non contiamo più nulla? Non puoi vivere nella nostalgia di essere il numero 1. Ora il numero 1 è Renzi, tu puoi essere al massimo il numero 2”.
È stato a quel punto che Berlusconi, più che concavo, si è fatto convesso: “Forse non ci siamo capiti. Io con quel dittatorello non faccio patti. Diciamoci le cose in faccia. Quando te ne vai e fai i gruppi? Tanto è lì che vuoi arrivare”.
Ed evidentemente Berlusconi ha colto bene il punto, considerata la frase con cui Verdini, in versione sibilla fiorentina, si è congedato: “Resterai solo. Su questa posizione ti lasceranno tutti”.
È da quel momento che il granitico sodalizio tra i due si è rotto.
E i due complici di tante battaglie hanno iniziato a muoversi come capi di eserciti che si preparano alla battaglia finale. Tra loro.
Battaglia che per Verdini consiste nello svuotare Forza Italia portando le truppe nel Partito della Nazione di Renzi.
E per Berlusconi è una Forza Italia dove “Denis” non conti più nulla. E che torni competitiva col “dittatorello che sta a palazzo Chigi”.
Ormai Berlusconi è convinto che la politica non c’entra più nulla nella scelta di Verdini. Il suo ex plenipotenziario ha puntato su Renzi perchè lo considera la sua scialuppa di salvataggio.
A più di un amico l’ex premier ha consegnato questo ragionamento: “Così come quando aveva difficoltà economiche Denis stava con me, ora pensa che Renzi lo possa aiutare sulla giustizia”.
Già perchè il pluri-indagato ha diversi processi a carico, tra cui uno a Firenze, dove è rinviato a giudizio per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta.
Proprio in merito al processo fiorentino i giornali, tempo fa, avevano pure raccolto voci di arresto.
Ecco, la paura della procura di Firenze sarebbe una delle molle alla base della manovra “fiorentina” di Verdini a livello Nazionale, anticipata da Sandro Bondi e Manuela Repetti.
Manovra che porterà , dopo le regionali, un drappello di verdiniani al misto, tappa intermedia (nelle intenzioni di Verdini) verso l’approdo definitivo del partito della Nazione.
Ed è proprio un partito senza Verdini e verdiniani il dossier che Berlusconi ha squadernato sul suo tavolo in queste settimane.
Agli enti locali, dove stava Matteoli che è amico di Verdini, ci ha messo Fiori, uomo di Bertolaso.
Alla comunicazione è arrivato pure Ruggieri, il nipote di Bruno Vespa con il compito di gestire le ospitate in tv. E con un’unica regola di ingaggio: cancellare dallo schermo Verdini e verdiniani.
Ora, il vero colpo a sorpresa è il nuovo coordinatore nazionale.
Berlusconi ha detto un mezzo sì all’ex commissario europeo Antonio Tajani, sponsorizzato da Gianni Letta. E non è un caso che proprio Tajani sia stato il regista del grande ritorno di Silvio a una cena del Ppe.
È una scelta però attorno a cui non si avverte un grande entusiasmo. Perchè in parecchi, dentro Forza Italia, e lo stesso Berlusconi, ricordano ancora quando Tajani, assieme all’allora capogruppo del Pdl a Strasburgo Mario Mauro, non lo difese più di tanto in Europa ai tempi del “complotto” del 2011 che lo portò alle dimissioni.
La verità è che, nell’ambito dell’operazione rinnovamento, l’ex premier vorrebbe puntare su Mara Carfagna.
Anche il suo nome è circolato come coordinatore: “Chi l’ha sovraesposta in queste settimane — sussurrano i ben informati — lo ha fatto per bruciarla”.
È comunque un dato di fatto che Berlusconi pensa che Mara sia cresciuta, funziona, buca il video.
Sia come sia, è evidente che il nuovo quartier generale chiamato alla rifondazione di Forza Italia, modello Repubblicani americani, non ha più le tracce nazareniche di Verdini.
Ed è solo in attesa di un leader, visto che il vecchio leone ha confidato a più di un amico che ormai ha intenzione di fare il “padre nobile”.
Proprio nei giorni in cui la “figlia nobile”, Marina con la sua uscita “maoista” (“la politica non è un pranzo di gala, ma le portate di Renzi sono avvelenate”) ha fatto sognare in molti dentro Forza Italia.
E, per l’ennesima volta, riparte il tormentone sulla discesa in campo di Marina.
(da “Huffingtonpost”)
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