Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
PREZZI DOPPIO DELLA NORMA E COSI’ GLI ALBERGHI NON SI RIEMPONO… I DATI DEL PORTALE TRIVAGO SONO TRAGICI
Turista dove sei? Dove sono le valigie? Ancora chiuse, a quanto pare.
Niente viaggi per l’Esposizione Universale. Dei 20 milioni di visitatori prospettati dalla società dell’Expo, ancora non si vedono segnali all’orizzonte.
A confermarlo è l’ osservatorio di Trivago , il portale web per le prenotazioni di alberghi e di hotel che vanta 75 milioni di visitatori al mese.
E che ha confrontato ricerche, prezzi e prenotazioni per il maggio 2015, inaugurazione del grande evento, con quelli dello stesso mese, un anno fa
I risultati non sono molto positivi, per ora. Anzi.
Ad oggi Milano registra il 60 per cento di stanze disponibili online nella prima settimana di Expo. Vuote.
E i letti liberi stanno aumentando di corsa: a febbraio erano solo il 45.
Succede perchè gli albergatori, che tentavano di vendere direttamente le camere, in modo da guadagnare di più, non hanno trovato clienti. E allora accettano di cercarli online.
Il confronto con la settimana del salone del mobile, attualmente in corso, può sembrare sconfortante: per mettere un piede nel design il 70 per cento delle stanze è andato in sold out.
Percentuali ribaltate rispetto al grande evento.
Che succede? È solo disinteresse o poca fiducia in ciò che offrirà la città nei giorni hot dell’apertura dei padiglioni?
No: succede anche che i prezzi sono alti.
Troppo alti, per un turista italiano o straniero: il costo medio di una camera doppia a Milano, per il maggio del 2015, è di 225 euro, in questo momento.
Ovvero il 68 per cento in più rispetto al maggio del 2014.
Di più, quasi il doppio, considerando solo la settimana d’apertura. Ed è una spesa non indifferente, se si aggiungono poi i ticket per l’Esposizione, i pranzi, le cene, e tutti gli extra …
Che il caro-prezzi-per-l’Expo stia soffocando le prenotazioni devono averlo capito però gli stessi padroni di hotel.
Perchè ora le tariffe stanno scendendo velocemente. «Siamo passati dai 266 euro rilevati a febbraio ai 238 attuali: sono circa 10 euro in meno al mese», spiega Giulia Eremita, marketing manager di trivago.it: «A pochi giorni dall’apertura, i prezzi si stanno abbassando di un euro al giorno».
Questi alti e bassi riguardano solo la grande città : dormire in provincia resta molto più economico. Come a Bergamo, dove una doppia a maggio costerà mediamente 91 euro, meno della metà che al Duomo.
Un po’ di ottimismo, però, è necessario. E si può fondare sui buoni risultati che sta ottenendo Milano come meta turistica, guardando sempre dalla lente di Trivago.
Le ricerche infatti sono aumentate, globalmente, del 19 per cento, rispetto all’anno scorso. Ci sono più curiosi, insomma.
L’entusiasmo riguarda soprattutto il resto d’Italia, da cui i click sono stati il 78 per cento in più.
E grande appassionata sembra anche la Francia, da cui domande sono addirittura raddoppiate.
I parigini sembrano convinti di partire non solo per la Milano dell’Expo, ma anche per un possibile piccolo gran tour fra Piemonte, Lombardia e Liguria: Alassio e le Cinque Terre raccimolano i maggiori consensi.
L’ottimismo però finisce qui.
Complessivamente infatti le richieste degli stranieri su Milano, per il maggio del grande evento Expo, stanno andando maluccio. Se non malissimo, in alcuni casi.
La Germania, ad esempio, principale mercato per il turismo italiano, è molto fredda sull’Esposizione: le ricerche sul portale per una stanza d’hotel sono stabili, se non in leggera diminuzione.
Scoraggiati dai prezzi alti o dalle polemiche sui cantieri, i tedeschi non sembrano aver intenzione di venire in Lombardia, per ora.
Tra i più pessimisti ci sono però gli olandesi (-21 per cento di ricerche), gli spagnoli (-19) e anche i vicinissimi austriaci: le richieste su Milano, per questo maggio, sono diminuite dell’undici per cento rispetto al maggio scorso.
Ora la sfida non è solo di Giuseppe Sala e della città però.
Ma anche degli albergatori: che dovranno decidere se preferire tariffe d’oro o stanze piene.
Francesca Sironi
(da “L’Espresso”)
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
DATI EUROSTAT: BATTIAMO TUTTI PER NUMERO DI GIOVANI DISOCCUPATI CHE NON VANNO A SCUOLA NE’ IMPARANO UN MESTIERE… DAL 2008 SONO AUMENTATI DI SETTE PUNTI PERCENTUALI
Finalmente c’è una classifica in cui l’Italia batte tutti, nell’Unione europea. Purtroppo, però, è una di quelle gare in cui vince il peggiore.
Ieri il nostro Paese si è visto infatti aggiudicare da Eurostat il primo posto dell’Unione Europea per giovani Neets, acronimo che sta per “Neither in employment nor in education or training”: persone che non lavorano, non studiano e non imparano alcun lavoro, neppure in modo informale.
La percentuale di Neets italiani tra i 15 e i 24 anni supera infatti il 22 per cento: oltre un ragazzo su 5 si trova in questa condizione.
Battiamo, in questa classifica, perfino la Bulgaria, la Grecia e Cipro; ultimi arrivati — cioè quelli che stanno meglio — Germania, Danimarca, Olanda e Lussemburgo.
La media europea è del 13.
La Repubblica federale tedesca e il Granducato sono anche gli unici due paesi in cui dal 2008 al 2013 il numero di Neets under 25 è in discesa; spaventoso invece l’aumento che si è verificato nello stesso periodo in Italia (più sette punti).
Non meglio vanno le cose nella fascia di età successiva, quella tra i 25 e i 29 anni: qui il Paese maglia nera è la Grecia, ma noi veniamo subito dopo con una percentuale di Neets pari al 33 per cento: un terzo esatto.
Un quadro in cui a pagare di più sono le donne, che in questa classifica raggiungono addirittura il 39 per cento (i maschi invece sono al 28).
Secondo Eurostat, la percentuale di Neets «rappresenta un indice dello scollegamento tra le persone e il mondo del lavoro» ed è «strettamente collegata con il rischio di esclusione sociale».
Il fenomeno dei Neets infatti, spiega la letteratura sociologica che negli ultimi anni si è sviluppata sul tema, non indica soltanto un problema di disoccupazione e di abbandono scolastico, ma anche una condizione psicologica di “distacco sfiduciato”: il Neet, non formandosi in vista di alcun lavoro, ha rinunciato di fatto anche alla speranza di un inserimento sociale.
In termini assoluti, questa condizione riguarda in Italia oltre due milioni di persone. Ciò nonostante la questione non è al centro del dibattito politico, mentre in altri Paesi europei che pure soffrono di meno il fenomeno, il confronto pubblico in merito è ampio: in Gran Bretagna, ad esempio, è uno dei temi su cui si confrontano il leader dell’opposizione laburista Ed Milliband e il primo ministro uscente conservatore David Cameron, che ha appena lanciato un progetto per affrontare la questione.
A livello Ue, la Commissione ha dato il via da tempo a diversi programmi per coinvolgere aziende, scuole e parti sociali per favorire il ritorno dei Neet a scuola e creare contatti con il mercato del lavoro: finora con scarsi risultati, peraltro, visto che i Neets sono in aumento in quasi tutta l’Unione.
Alessandro Gilioli
(da “L’Espresso“)
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
DA UN INDAGATO A UN ALTRO: IERI A POMPEI CON DE LUCA, OGGI A SANREMO A SOSTENERE LA CANDIDATA GOVERNATRICE PD IN LIGURIA
Mateo Renzi lancia la campagna elettorale per le elezioni regionali e lo fa nella maniera più nazionalpopolare possibile.
Il premier domenica sarà a Sanremo per sostenere Raffaella Paita, la candidata (indagata) alla presidenza della Regione Liguria, e lo farà dal Teatro Ariston, palcoscenico del Festival della canzone italiana.
Il primo ministro sarà anche a Venezia per la campagna elettorale di Felice Casson candidato sindaco del Pd e Alessandra Moretti, candidata alla presidenza della regione Veneto.
Intanto sabato Renzi ha fatto pace con Vincenzo De Luca.
Una stretta di mano, poi l’abbraccio davanti alla “Villa dei Misteri” di Pompei.
De Luca, il candidato del Pd alla presidenza della Campania, e il premier sembrano un tandem perfetto. Obbligato, ma all’apparenza perfetto.
Hanno parlato e passeggiato insieme in mezzo alle rovine, forse per scongiurare il pericolo delle rovine dem.
Alla fine, il segretario del Pd – nonostante i dubbi iniziali per il rischio che De Luca una volta eletto possa decadere per effetto della legge Severino – in Campania ci sarà .
Probabilmente per quello che potrebbe essere lo sprint finale, per quel comizio che sarà intorno al 16 maggio, o subito dopo, e che servirà a convincere gli indecisi.
De Luca vede la vittoria a portata di mano, vede i sondaggi andare sempre meglio e anche Renzi inizia a crederci.
Questa è l’aria che tira oggi, secondo quanto raccontano in ambienti Pd.
Mentre prima la Regione guidata da Stefano Caldoro sembrava dovesse essere riconsegnata al centrodestra, adesso il vento sembra essere cambiato.
Anche di questo Renzi e De Luca hanno parlato nel corso di un colloquio che il candidato alla presidenza della Regione definisce “molto cordiale”, anzi “cordialissimo” con tanto di foto su Twitter.
L’incontro era stato chiesto da De Luca, che si era detto pronto “a prendere un caffè” con il premier, e poi, ieri sera, dallo staff di Palazzo Chigi è arrivata la conferma.
Così, davanti alla Villa dei Misteri, i due mettono in scena l’abbraccio plateale che elimina una volta per tutte i dubbi sulla candidatura di De Luca. Parlano da soli, fitto fitto.
È il riconoscimento ufficiale e adesso il candidato dem può contare sull’appoggio di Renzi. Tuttavia il segretario sta alla larga, per il momento, dai fatti del Pd campano.
Nessuna visita a Ercolano o a Giugliano, nei due circoli Pd recentemente commissariati dalle segreterie metropolitane, regionali e da quella nazionali. Nessun incontro con lo stato maggiore dem locale.
La visita è stata istituzionale e legata al tema dell’Expo.
Agli Scavi di Pompei, il premier ha visto anche i due poliziotti che hanno salvato la vita alla piccola Emanuela, la neonata abbandonata lo scorso 13 aprile, e poi ha incontrato una rappresentanza dei dipendenti dello stabilimento Whirlpool-Indesit di Carinaro (Caserta) in protesta per la decisione della multinazionale di chiudere uno dei due siti produttivi campani, dichiarando un esubero di oltre 800 persone.
Di questa emergenza occupazionale Renzi ha discusso con Caldoro, sul quale invece, in campagna elettorale, pesano i dissidi interni a Forza Italia e pur partendo da favorito vede la sua percentuale assottigliarsi nei sondaggi.
Fino al rischio di essere lo sconfitto ed è così che Renzi è portato a credere nel “cappotto” delle regionali, quindi nel 7 a 0.
Crede anche nella vittoria in Veneto, dove lo sfidante del Pd è il leghista Luca Zaia.
Domenica infatti il segretario dem sarà a Mestre a sostegno anche del candidato sindaco Casson. Sempre in questo week end parte la campagna elettorale in Liguria.
Il premier dunque ha deciso di metterci le faccia, anche se per avere una data certa del comizio in Campania bisogna aspettare.
Aspettare, tra l’altro, i sondaggi più freschi.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
“OGNI GIORNO UNA BARZELLETTA, CON VITALI SEMBRA DI ESSERE SU “SCHERZI A PARTE””… “LA POLI BORTONE LA VEDO MEGLIO A “CHI L’HA VISTO”, IN CERCA DI IDENTITA'”
Ogni volta che leggo o sento le dichiarazioni del commissario di Forza Italia in Puglia, on. Luigi Vitali, mi chiedo se sono su Scherzi a parte o se, invece, Vitali sta vivendo un momento di grande confusione che gli fa dire cose che non direbbe mai.
Oggi dal ticket siamo passati al trio: rispolvera la candidatura dell’on. Raffaele Fitto e propone la vice presidenza a me e alla senatrice Adriana Poli Bortone.
Domani mi attendo che faccia anche il nome degli assessori della giunta regionale.
L’on. Vitali non ha capito che così facendo rende questa brutta pagina della politica pugliese una barzelletta che però fa ridere solo il centrosinistra.
Una barzelletta che, però, mi viene il timore sia stata confezionata da tempo e in altre sedi e fatta ripetere all’on. Vitali che si presta a compiere il delitto perfetto del centrodestra pugliese.
Ormai il sospetto che Forza Italia abbia offerto la Regione Puglia su un piatto d’argento a Matteo Renzi diventa sempre più una certezza a scapito del cambiamento della Puglia e del bene dei pugliesi.
Ma se Vitali mi fa sentire su Scherzi a parte, la Poli Bortone mi far venir voglia di chiedere aiuto a Federica Sciarelli perchè aiuti la signora a ritrovare la sua vera identità politica nel programma Chi l’ha visto”.
Francesco Schittulli
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
PER LA SERIE “FACCIAMOCI CONOSCERE ANCHE ALL’ESTERO”
Che l’inglese per Matteo Renzi non sia proprio una lingua con cui abbia dimestichezza è cosa nota.
Confermata peraltro dal suo addetto stampa che ogni volta che Matteo esce dal copione e vuole parlare in inglese si mette letteralmente le mani nei capelli, consapevole dei rischi mediatici cui va incontro.
E anche durante la sua visita negli States Renzi ha lasciato il segno, anzi in questo caso sarebbe il caso di dire la dedica
Come tutti gli ospiti d’onore della Casa Bianca, anche Matteo ha lasciato firma e dedica sul guest book.
Peccato che la frase che resterà per sempre sul libro contenga un errore.
Il premier italiano ha scritto «goverment» anzichè «government», come sarebbe stato corretto.
E sui social quella «n» che manca è stata notata con alcuni ironici post, come in passato era peraltro accaduto ad alcuni suoi grossolani errori di pronuncia.
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
A DESTRA POTREBBE SEMBRARE UNA VITTORIA DI TESI ANTICHE, MA NON E’ COSI’: MANCA, COME IN GERMANIA, LA PRESENZA GESTIONALE DEI LAVORATORI NEI CDA E LA DIVISIONE DI UNA QUOTA ACCERTATA DEGLI UTILI TRA I DIPENDENTI… QUESTA E’ UNA ELEMOSINA PER AUMENTARE I PROFITTI AZIENDALI CON UNA MAGGIORE PRODUTTIVITA’
L’annuncio a senso unico di Marchionne, fatto veicolare sui media come esempio di “partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda”, rappresenta una mera finzione e rivela tre componenti della rappresentazione: un’azienda che decide unilateralmente, alcuni sindacati compiacenti che prendono atto della elargizione per poter dimostrare ai propri iscritti che contano ancora qualcosa e un altro sindacato conflittuale che viene emarginato dalla “informativa”.
Poichè a destra qualcuno sarà andato in sollucchero ricordando le battaglie teoriche della destra missina sulla partecipazione agli utili e sulla cogestione, sarà opportuno meglio precisare i termini della questione prima di ritrovarci pure Marchionne come padre della patria dopo tante altre patacche.
Primo elemento: la partecipazione reale dei lavoratori alla gestione dell’azienda o quanto meno il loro coinvolgimento nella stessa, necessita della loro effettiva presenza negli organismi direzionali, vedi Germania, dove vi sono rappresentanti sindacali nei Consigli di Amministrazione aziendali.
In questo caso Marchionne, di sua iniziativa, ha solo informato della necessità della Fiat di incrementare la produzione e ha fissato un semplice premio di produzione agganciadolo a un traguardo peraltro indefinito.
Non c’è stato alcun coinvolgimento dei sindacati, solo una presa d’atto di decisione aziendale.
Secondo elemento: per chi non lo sapesse, i lavoratori Fca e Cnh hanno una paga base inferiore ai lavoratori cui si applica il contratto Federmeccanica.
Un operaio di terzo livello Fca-Cnh guadagna mediamente 750 euro lordi annui di meno di un suo pari livello di un’altra fabbrica metalmeccanica.
Lo stipendio base fermo dal 2011 del contratto specifico Fiat ha determinato una perdita salariale già realizzata di 90 euro mensili rispetto al contratto Federmeccanica, quindi l’eventuale bonus non farebbe altro che compensare quanto è stato sottratto a questa categoria di lavoratori del settore auto.
Terzo elemento: secondo quanto annunciato, sono previsti due addizionali al salario base, un bonus annuale e un elemento variabile in caso di performance aziendali .
Si parla di un premio del 5% di aumento rispetto alla paga base, in caso di aumento della produttività e degli utili, ma con un piccolo dettaglio.
Il bonus ai lavoratori non viene calcolato in una percentuale definita sui maggiori utili (e poi ripartita tra i dipendenti), ma con una percentuale del 5% sul salario, quindi diventa una quota fissa e un mero premio di produzione, non una partecipazione agli utili.
E chi decide se gli affari vanno bene? L’azienda ovvio, a sua descrizione.
E chi conosce quanto “utile aggiuntivo” può dare luogo alla elargizione ai lavoratori? Solo l’azienda ovvio, a sua valutazione.
Ecco perchè di tutto si può parlare salvo che di “svolta epocale”: l’unica svolta di questo genere sarebbe quella che Fiat, quando le cose non andassero bene, non socializzasse le perdite sui contribuenti italiani, come ha fatto per decenni.
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
“E’ IL COMPIMENTO DI QUANTO AVVIATO A POMIGLIANO NEL 2010: LA FINE DEL CONTRATTO NAZIONALE”
La replica di Maurizio Landini alla nuova politica retributiva inaugurata dalla Fca di Sergio Marchionne, e sancita ieri con un verbale di intesa siglato con Fim, Uilm, Fismic e Ugl, è nettta: “Il rischio è il ritorno agli anni 50, con l’aggravante di favorire il contratto aziendale e, di conseguenza, il sindacato aziendale”.
Ieri, i sindacati che sono d’accordo con Fca hanno commentato aspramente le posizioni del segretario Fiom, sostenendo che non è vero che gli aumenti legati ai risultati siano sostitutivi del salario di base. Perchè l’accordo che propone Marchionne è per lei così negativo?
Perchè è la conferma che è definitivamente cancellato il contratto nazionale e i due livelli di contrattazione. Si completa il disegno cominciato nel 2010 e si sancisce che il salario è totalmente variabile e non incide, come avviene negli aumenti contrattati nazionalmente, sulla paga base, su Tfr, ferie, scatti. È un bene che finalmente si parli di possibili aumenti salariali anche in Fca, dove si guadagnano 750 euro l’anno in meno rispetto al contratto dei metalmeccanici, ma i sindacati che aderiscono alla proposta di Marchionne devono essere consapevoli che stanno accompagnando il processo di cancellazione del contratto nazionale.
Perchè dice che ci sarà un congelamento del salario di base?
Da quello che abbiamo letto, visto che siamo stati esclusi dal confronto, la novità assoluta è che il salario è variabile e le cifre sono ipotetiche. In tutti i contratti ci sono degli aumenti contrattati che vanno a incidere sui vari istituti della retribuzione, come ferie, indennità , Tfr. Questa proposta, unilaterale, introduce una logica che prima non c’era: il salario si contratta da una sola parte, in azienda.
I lavoratori non potrebbero guadagnarci?
La prestazione di chi lavora è fissa, ed è stata aumentata con l’abolizione della pausa di dieci minuti e la saturazione dei tempi di lavoro. In Fca si lavora di più e per più tempo ma alla fine, quell’operaio che va a lavorare tutti i giorni, non sa se avrà un aumento o no, perchè gli aumenti fissi non ci saranno più. Deve sperare che le cose vadano bene. Se le cose andranno male si dovrà accontentare di 330 euro lordi l’anno, che sono 25 euro al mese.
Che c’entra Pomigliano?
Per Marchionne si tratta di realizzare oggi quello che voleva fare nel 2010. Già allora c’era una strategia precisa: uscire da Confindustria, avere un unico contratto con una politica retributiva coerente. Ha ragione la Fismic quando dice che finalmente è prevalso il modello Fismic-Fiat contro quello di Confindustria e Cgil, Cisl e Uil firmatari di un accordo in cui si diceva che i livelli contrattuali dovevano restare due: uno nazionale e uno aziendale.
Cambiano quindi le relazioni sindacali?
Si conferma un dato vero da cento anni a questa parte: quando si muove qualcosa in Fiat questa ha influenza nel Paese. Vedo che ci sono sindacati confederali che applaudono alla cancellazione del contratto nazionale. Allora chiedo: se altre aziende vogliono fare come Fca, cosa gli didiranno? Alla fine degli anni 50, quando alla Fiat nacque il Sida, poi divenuto Fismic, fu l’allora segretario della Cisl, Giulio Pastore, che disse che la Cisl non avrebbe mai firmato un contratto aziendale sostitutivo del contratto nazionale perchè altrimenti il principio su cui si era costruito il sindacato confederale non sarebbe più esistito. Ci vorrebbe quella coerenza.
Sia Confindustria che Federmeccanica plaudono alla proposta Fca.
La Confindustria, nello stesso documento che ha ispirato il Jobs Act di Renzi, chiedeva che un’azienda possa scegliere se applicare il contratto nazionale o aziendale. Come si vede, si erano portati avanti.
Cosa devono fare Cgil, Cisl e Uil?
La Cgil ha dichiarato in modo preciso che c’è un elemento di contraddizione nella proposta della Fca. Dovrebbero chiarire cosa pensano davvero quelli che hanno firmato l’intesa, cioè Cisl e Uil e che hanno anche firmato l’accordo con Confindustria. Hanno deciso che non c’è più il contratto nazionale?
In un’intervista al Foglio, Susanna Camusso l’ha criticata per non aver firmato il contratto Fiat dopo il referendum di Pomigliano. Cosa risponde?
Quella è una discussione che abbiamo fatto allora e allora dicemmo che in quei referendum erano stati messi in discussione dei diritti indisponibili. Trovo singolare che si tirino fuori problemi già discussi con posizioni comuni tra Cgil e Fiom. Quello che è successo in Fiat ha portato tutta la Confindustria a mettere in discussione il contratto nazionale. Mi sembra si stia avverando quanto la Fiom diceva allora.
Cosa proponete?
Che in Fca ci sia un problema salariale è evidente. Chiederemo quindi che ci siano gli aumenti certi in paga base a partire dai 750 euro di scarto con il contratto metalmeccanici. In secondo luogo, bisogna riunificare i contratti: 280 contratti diversi sono una follia. Servono alcuni grandi contratti, come l’industria e fare in modo che i lavoratori possano liberamente votare. E poi, bisogna chiedere al governo di defiscalizzare non gli aumenti legati agli utili o alla produttività ma gli aumenti dati a tutti i lavoratori nei contratti nazionali.
Chiederà un incontro a Marchionne?
L’ho sempre fatto e lo confermo.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
ESPONENTI DEL PD CON FORZA ITALIA E MS5 PUNTANO A POCHI EMENDAMENTI CHIAVE
Qui si fa l’Italicum o si muore, perciò Renzi ha deciso che sulla legge elettorale porrà la fiducia, siccome non si fida dei grillini e di Verdini, che gli aveva promesso l’appoggio anche di Fitto a scrutinio segreto.
La battaglia alla Camera si avvicina.
E nell’attesa si assiste a un gioco di alleanze contro natura, a una sequenza di dichiarazioni zeppe di sgrammaticature costituzionali e procedurali dietro le quali il premier si nasconde per scaricare al momento opportuno sui nemici delle riforme, e dunque della Patria, la responsabilità del gesto a cui ha preparato da tempo il Parlamento e l’opinione pubblica.
Sarà fiducia, infatti, perchè Renzi non può nè vuole esporsi al rischio degli scrutini segreti: basterebbe l’approvazione anche di un solo emendamento per consegnare se stesso e l’Italicum nelle grinfie del Senato.
Sarà fiducia, perchè la coalizione dei volenterosi – organizzata in gran segreto da Palazzo Chigi e composta da alcuni pentastellati ed (ex) forzisti – non è abbastanza solida nei numeri per garantire al premier la certezza di prevalere sulla coalizione degli oppositori, l’altra alleanza trasversale organizzata da esponenti della «ditta», autorevoli dirigenti cinquestelle, fedelissimi berlusconiani e gladiatori che militano nella maggioranza.
Tutto è pronto, e il gioco tattico rivela qual è il disegno dei due schieramenti.
Gli avversari di Renzi, per la loro parte, si sono ripromessi di presentare poche e mirate modifiche alla riforma, così da non fornire al premier l’alibi di esser stato «costretto» alla fiducia contro manovre ostruzionistiche.
Ecco a cosa sono serviti i contatti riservati tra esponenti del Pd, di Forza Italia e di M5S: a organizzarsi per puntare al bersaglio grosso, magari con l’emendamento che consentirebbe ai partiti di apparentarsi al secondo turno.
Dall’altro lato Renzi, per evitare queste trappole, deve muovere d’anticipo per blindare la sua creatura.
Certo non regge la minaccia di salire al Colle se l’Italicum venisse cambiato dalla Camera: «Salirebbe e scenderebbe», per dirla con Bersani, visto che la legge elettorale non sarebbe stata bocciata ma solo modificata dal ramo del Parlamento.
Il punto però è che la sfida non si consumerà nell’emiciclo di Montecitorio.
Perchè è vero che – per «asfaltare» i suoi oppositori e i loro emendamenti – il premier dispone della fiducia, ma il governo potrebbe chiederla in Aula sul testo che verrà votato dalla Commissione.
Perciò Renzi – parlando con Repubblica – ha fatto mostra di aprire al dialogo con la minoranza del Pd sulla riforma costituzionale, nel tentativo per metà di ammansirla e per l’altra metà di spaccarla più di quanto già non lo sia.
Ma ha compiuto un doppio passo falso: ha offerto ciò che tecnicamente non può offrire, a meno di non ricominciare da capo tutto il percorso delle riforme, e soprattutto ha dato un segnale di debolezza politica, cedendo su un tema – l’elettività del Senato – contro cui aveva issato le barricate.
Con il premier sull’altra sponda dell’Atlantico, è toccato al ministro Boschi metterci una toppa, spiegare urbi et orbi che Renzi voleva offrire una «disponibilità a inserire delle garanzie»: «Non siamo chiusi nel castello. Siamo pronti a trovare un modo per equilibrare il sistema» con alcune modifiche costituzionali.
Ma davvero verrà così scongiurato lo scontro sull’Italicum, visto che lunedì scadono i termini per presentare gli emendamenti?
E quanti margini può avere la proposta avanzata dal centrista Quagliariello di riporre l’arma della fiducia a patto che tutte le votazioni sulla legge elettorale avvengano a scrutinio palese?
Gli eserciti sono ormai in armi e non da ieri.
Renzi per vincere la guerra in Aula deve prima vincere la battaglia in Commissione. Solo allora potrà mettere in pratica la sua strategia, dando alla fiducia una motivazione «politica».
Dovrà arrivarci per gradi – così ha spiegato – e limitando al massimo gli strappi, per un verso assicurando deputati e senatori che «la legislatura terminerà a scadenza naturale» e per l’altro drammatizzando sempre di più la situazione, in modo da dare una valenza chiara alla sua scelta.
Tutto ciò gli servirà per attutire la campagna mediatica dei suoi avversari – che equipareranno la decisione del governo a un «golpe» – ma soprattutto per prepararsi all’ultimo passaggio: perchè la fiducia anticiperà il voto finale sull’Italicum a scrutinio segreto.
Ecco la differenza. Un conto sarebbe venir battuto su un emendamento, altra cosa veder sconfessata la riforma.
«In quel caso – dice il premier – se si andrà sotto si andrà a casa».
E la minaccia secondo Renzi smantellerà d’incanto la coalizione degli oppositori.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
IL MINISTRO NEL 2012 RACCOGLIEVA LE FIRME PER GRAZIARLO: LO VOLEVA LIBERO A TUTTI I COSTI, ORA PAGA GLI AVVOCATI PER FARLO CONDANNARE
Lo voleva libero a tutti i costi, ora paga gli avvocati per farlo condannare.
“Sedici mesi di odio belluino”, poi la resa dei conti.
Alfano non ce la fa più e per frenare gli attacchi de Il Giornale ha deciso di denunciare per diffamazione il suo direttore, Alessandro Sallusti.
Sarebbe tutto normale, se non si trattasse dello Sallusti per il quale due anni fa proprio Alfano si era speso anima e corpo, pur di fargli ottenere la grazia ed evitargli il carcere dopo una condanna per diffamazione.
Alfano, da alfiere della grazia a istigatore della condanna. Nel giro di due anni.
Fu proprio Angelino Alfano, allora parlamentare Pdl, a firmare per primo l’appello al Capo dello Stato che si materializzo sul tavolo di Napolitano con 328 firme tra deputati e senatori. Così, a dicembre del 2012, il Presidente della Repubblica decise di graziare il giornalista.
Chi non ci trovasse alcuna coerenza deve andare a cercarla nell’oggetto della presunta diffamazione.
Allora la vittima era un giudice, Giuseppe Cocilovo, che sporse querela per un corsivo diffamatorio a firma Dreifus, comparso nel 2007 su Libero.
Oggi la vittima è invece Alfano stesso, che si ritiene colpito da una serie di articoli diffamatori da parte del Giornale. Articoli che prendono le mosse da un’inchiesta dell’Espresso (“Gli affari della lobby di Alfano”) e vengono ulteriormente ripresi e calcati dal quotidiano di casa Berlusconi.
In modo, a detta del ministro Ncd, diffamatorio.
In realtà gli articoli hanno ad oggetto le numerose consulenze che la moglie del ministro dell’Interno, Tiziana Miceli, ha ottenuto dalla Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata dal ministero dell’Economia che fornisce servizi al ministero dell’Interno e a quello dello Sviluppo Economico.
Alfano passa in ogni caso al contrattacco, dalla difesa di Sallusti all’attacco di Sallusti. Perchè, spiega in una nota, “avrei dovuto farlo tante altre volte in questi sedici mesi di odio a tratti belluino, ma non l’ho mai fatto nonostante il confine della diffamazione fosse stato superato in innumerevoli circostanze. Questa volta il confine è stato superato da un lato ancora più inaccettabile poichè non riguarda solo me, ma mia moglie in quanto tale e come professionista”.
“Sono ahimè costretto — prosegue il ministro — a procedere non solo in sede civile, ma anche penale, per il particolare carattere soggettivo del direttore de Il Giornale, già condannato definitivamente alla reclusione e graziato dal precedente Capo dello Stato e ancora una volta tendente alla recidiva diffamatoria”.
Dettaglio: la condanna che viene citata oggi da Alfano come prova di una reiterata propensione diffamatoria stride come un’unghia sul vetro rispetto alla difesa sperticata di qualche tempo fa.
Al tempo, Alfano giudicava la condanna di Sallusti “un fatto abnorme e incredibile”, tanto da auspicare una profonda revisione delle norme sulla diffamazione a mezzo stampa “ per far si’ che non si verifichino più episodi che riportano indietro a epoche oscurantiste”.
Sallusti, nelle dichiarazioni di Alfano, assurgeva a eroe nazionale: “Il direttore Sallusti ha messo le istituzioni e l’intero Paese di fronte alla sconcertante incoerenza rispetto al normale spiegarsi di una democrazia moderna e matura”.
E ora il salvatore Alfano ci ha ripensato.
E chiede di punire il suo eroe, con buona pace dei timori oscurantisti.
Thomas Mackinson
(da il Fatto “Quotidiano”)
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