Maggio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
IN UN VIDEO GIANNI FILOMENO, IN UNA LISTA PER L’EX SINDACO DEL PD, SPIEGA: “VI DIAMO UN RIMBORSO SPESE”
La donna che recluta ragazzi “per sostenere il nostro candidato” lo dice al telefono: “Portati la
tessera elettorale, abbiamo bisogno del riscontro del tuo voto”.
Lui, Gianni (o Giovanni) Filomeno, candidato a Bari per la lista civica “La Puglia con Emiliano”, parla davanti alla telecamera (nascosta): “Sono 30 euro. Ma non è voto di scambio, è un rimborso spese”. Parole e scene da un video in possesso dei Cinque Stelle pugliesi, che settimane fa hanno lanciato il sito http://www.votolibero.it   proprio per raccogliere denunce su tentativi di compravendite elettorali.
Il prodotto è un filmato di quasi 6 minuti, visionato dal Fatto Quotidiano, in cui compare Filomeno, in corsa per una civica collegata al candidato del Pd Michele Emiliano.
Un video simile a quello mostrato due giorni fa da TgNorba, in cui un presunto collaboratore del comitato elettorale di Anna Maurodinoia, in lista per il Pd, recita il tariffario per un rappresentante di lista: “Trenta, quaranta, cinquanta euro”.
Ma un rappresentante non può essere pagato: neppure con un rimborso spese.
Maurodinoia, eletta in Consiglio comunale a Bari per il centrodestra, ora con l’ex pm, ha annunciato querela contro il presunto collaboratore, smentendo tutto.
Mentre la Digos di Bari ha aperto un’inchiesta.
Ora c’è anche il filmato su Filomeno: 43 anni, residente a Castellana Grotte (Bari), titolare di uno studio di consulenza aziendale specializzato in “finanza agevolata”.
Nel settembre scorso ha presentato a Castellana, come “consulente dell’associazione Logos”, il Piano garanzia giovani: “Un programma dell’Unione europea finalizzato a favorire l’occupazione e l’avvicinamento dei giovani al mercato del lavoro”.
Tra i relatori, anche il segretario regionale del Pd Emiliano.
Da qui si arriva al video, che inizia con l’audio di una telefonata. Un ragazzo chiede informazioni a tale signora Tina: “Ho saputo che cercate personale per volantinaggio”.
E lei parte: “Stiamo cercando ragazzi che possano sostenere il nostro candidato alle Regione. Cerchiamo giovani che possano fare volantinaggio, rappresentanti di lista e attacchini: ovviamente, tutto retribuito”.
La donna lo invita quindi a un incontro per “domani pomeriggio” in un locale di Corato (Bari), aperto “a tutti coloro che vogliono far parte dello staff”.
E aggiunge: “Porti documento di identità e tessera elettorale”. Il ragazzo chiede: “Perchè anche la tessera?”.
E la signora spiega: “Per dare riscontro del tuo voto. Abbiamo bisogno dei vostri voti e dei vostri parenti, è ovvio”.
La donna non cita mai Filomeno. Ma il video mostra subito dopo l’invito a un incontro dell’associazione Logos per il pomeriggio del 12 maggio, presso lo stesso locale della stessa città citata dalla signora.
Il testo è in un italiano stentato: “Il responsabile dell’associazione Logos, Giovanni Filomeno, e il suo staff sono lieti di invitare i giovani under 29 e le imprese per conoscere le opportunità date dal programma garanzia giovani”.
Proprio quello illustrato da Filomeno assieme a Emiliano.
Si riprende con le immagini, e si sente di nuovo la voce della signora Tina, che si rivolge a dei ragazzi: “Ascoltatemi, io sono Tina, questo è il mio recapito, sono reperibile anche di notte”. Segue numero di cellulare (coperto dal bip).
“Andate oltre i familiari, allargate… allargate”, esorta. Una ragazza obietta: “Non ci abbiamo capito molto, siamo venuti per altro”. Compare Filomeno. Giacca e camicia azzurra, spiega: “Quello che ci serve è organizzare, uno per famiglia. Quello da dire ai ragazzi è: ‘Tu sei libero di votare, di fare campagna elettorale? La tua famiglia è libera?”. Qualcuno chiede: “Trenta euro?”. E Filomeno replica: “Sì, sì, certo, è normale: un rimborso spese”. Una ragazza: “Ma è voto di scambio”. Lui nega: “No, è rimborso spese”. Lei non molla: “Sono venuta per fare la rappresentante di lista, perchè la signora Tina mi ha detto che cercava un rappresentante in cambio di 30 euro”. Filomeno si irrigidisce: “Ti hanno dato un’informazione sbagliata, tu lodevi fare perchè ci credi”. Tina irrompe: “Gianni, qualche problema?”. Lui: “Sì”. La donna allora precisa: “Non c’è nessun tipo di scambio”. La ragazza insiste: “Perchè mi avete chiesto di portare la tessera elettorale?”. Risposta: “Perchè voglio mettere una persona in ogni seggio”. Segue Filomeno che spiega propositi e idee. Fine.
Antonella Laricchia, candidata governatore del M5S: “Domani (oggi, ndr) presenterò un esposto su questa vicenda alla Procura di Bari, assieme ai parlamentari pugliesi. Mentre in Senato e alla Camera presenteremo delle interrogazioni sul caso della Maurodinoia e su una vicenda simile: in una chat offrivano denaro per fare il rappresentante di lista per una candidata in una civica, collegata con Emiliano”.
Cosa vi aspettate? “Mi attendo spiegazioni da Emiliano. E rilancio la nostra proposta sul reddito di cittadinanza: è essenziale, anche per evitare fatti così gravi. Approfittano del bisogno della gente”.
Ieri il Fatto ha cercato più volte Filomeno per ascoltare la sua versione, ma il cellulare squillava a vuoto.
Nessuna risposta al messaggio lasciato alla segreteria.
Luca De Carolis
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
NEL LIBRO “IL GALLO SIAMO NOI” LA STORIA AUTOBIOGRAFICA DI VIVIANA CORREDDU, EX TOSSICODIPENDENTE TIRATA FUORI DALLA DROGA GRAZIE ALLA COMUNITA’ DI SAN BENEDETTO
Pubblichiamo il reportage di Ferruccio Sansa dalla Comunità di San Benedetto al Porto realizzato in occasione dell’uscita di Il Gallo Siamo Noi, scritto da Viviana Correddu, ex tossicodipendente tirata fuori dalla droga grazie al lavoro del prete genovese e dei suoi operatori (Chiarelettere 2015).
Il libro racconta il suo persorso di liberazione e il ritorno a una vita “normale”. La prefazione è di Vasco Rossi.
La Liturgia delle Ore, con la copertina di pelle consumata che ti pare di vederci il segno delle dita è lì, sulla scrivania. Pronta per essere aperta. Insieme con una bandiera della pace appesa alla lampada. Accanto un crocifisso di metallo e un altro, di stuzzicadenti, fatto da Maurizio Minghella. Proprio il serial killer di donne e prostitute ancora in carcere.
Poi alla parete la lavagnetta bianca con un messaggio a pennarello rosso che pare scritto ieri sera: “Pregare e fare le cose giuste tra gli uomini”.
Davvero sembra che Andrea Gallo possa rientrare nel suo studio da un momento all’altro. Che possa sedersi sulla sedia tutta consumata, rimediata chissà dove, e riprendere la sua missione.
Lo senti quasi fisicamente, forse per quel portacenere dove don Andrea posava i suoi sigari e dove trovi ancora un po’ di cenere.
Oppure guardando la brandina tutta sbilenca con la coperta di iuta pronta per essere usata, come faceva lui quando dopo una notte a leggere, scrivere lettere su lettere, pregare si lasciava andare per qualche ora di sonno.
Ma è soprattutto il tepore, la luce della primavera di Genova che preme sui vetri che ti fa sentire ancora la vita in questa minuscola stanza.
Così disadorna che sembra fatta apposta per mettere in risalto la grandezza di altre cose e dell’uomo che ci è passato.
Il Gallo non rientrerà più in questa stanza, sono già passati due anni, te lo ricorda l’orologio di plastica rosso appeso sopra la porta. Tic tac, tic tac, il tempo non si è fermato mai dal 22 maggio 2013 quando proprio su quel lettino Andrea si spense.
In poche ore, come per non dare troppo disturbo e pena. Erano appena le otto del mattino che lui, mentre tirava il respiro con i denti, spalancò gli occhi.
Sapeva che la fine era vicina, vicinissima, eppure accolse gli amici, il cronista, con uno sguardo che insieme sembrava comprendere questo mondo e qualcosa oltre. Stringeva la mano prendendo chissà dove le forze quasi fosse lui a doverti consolare della propria morte.
Sì, qualcosa è rimasto nella stanza affacciata sul porto, il calore che senti non è soltanto quello della stagione.
Erano in tanti, quel giorno a temere. Per Andrea, certamente, ma anche per la sua Comunità , per quei ragazzi — centinaia — che nella Comunità di San Benedetto al Porto trovano un approdo in ogni tempesta.
Bastava bussare e il pesante portone di legno si apriva, sapevi di essere accolto e non giudicato. Sempre. Comunque.
Il Gallo non c’è più, non fisicamente per lo meno, ma il suo gruppo ha resistito. È vivo.
È da poco passata l’alba e già senti che al piano di sopra qualcuno si è alzato. Sono don Federico Rebora, l’altra metà del Gallo, che ha condiviso in silenzio decenni di impegno e oggi a 87 anni non intende abbandonare la casa di San Benedetto.
Oppure Domenico Mirabile, che gira per il mondo, va e viene dalla Repubblica Domenicana, ma poi sempre qui.
E alle nove, potete starne certi, arriverà la Lilli.
Nella Comunità , ma in mezza Genova, basta dire il suo nome. A Gallo e ai suoi ragazzi ha dedicato ogni giorno della vita, fino, sembrerebbe, a dimenticarsi della propria.
Non è cambiato nulla nella casa, entri e trovi il pavimento di ardesia e marmo consumati, dove ti sembra ti vedere i passi di migliaia di persone. Anche il tuo.
Tutti entrati con i loro dolori e usciti quasi sempre consolati. Almeno dalla certezza di non essere soli. Di aver qualcuno che aveva cura di loro. Li pensava.
Tutta Genova è passata di qui, e non solo.
Volti noti, da Fabrizio De Andrè a Vasco Rossi e Fiorella Mannoia, fino a mille e mille giovani sconosciuti.
Tutti uguali, tutti subito amici. Bastava uno sguardo per riconoscersi uomini e donne.
Chi temeva che senza il Gallo si perdessero non aveva capito.
San Benedetto al Porto c’è ancora, nonostante tutto. Resiste questa casa con le altre due comunità , quella di Mignanego alle spalle di Genova e l’altra di Frascaro, nell’alessandrino, dove i ragazzi lavorano e piano piano si ritrovano.
Poi i quattro alloggi protetti con i loro ospiti. In tutto sono quasi cento persone. Più trenta dipendenti che mandano avanti la macchina.
La distribuzione degli indumenti, il lavoro in carcere, i gruppi per i genitori, l’accoglienza e l’assistenza, funziona tutto come prima, con la stessa anarchica precisione del Gallo.
“Per il secondo anniversario della scomparsa del Gallo — ricorda Megu Chionetti — abbiamo organizzato due giorni di iniziative”. Il primo giorno, giovedì, si sono trovati a Palazzo Ducale alle 21 per un incontro titolato: “L’Italia ripudia la guerra?”.
Poi, oggi, 22 maggio, dalle 17 in poi tutti in piazza don Andrea Gallo.
Chissà che faccia avrebbe fatto lui, il Gallo, a sapere che gli avrebbero dedicato una piazza. Ma sarebbe stato contento sapendo che era nel centro storico, proprio accanto alla via del Campo di De Andrè.
Saranno in tanti, ci sarà anche Moni Ovadia. E speriamo che vengano i genovesi che dopo la morte di Andrea, uno degli ultimi padri della città , si sentono più soli.
Intanto un’altra giornata è cominciata, la città si è risvegliata, senti le auto che corrono sulla sopraelevata che passa davanti alla finestra del Gallo, i rumori del porto; vedi le navi che arrivano e partono senza sosta.
C’è il mondo fuori, ma Andrea era riuscito a farlo entrare anche qui. In queste stanze così spoglie, con quell’odore inconfondibile di corpi, cibo, vita.
Si va avanti, allora come oggi. Fino a sera, fino alla riunione dei ragazzi che mandano avanti la Comunità .
Si rivedono nello studio di don Andrea, tra i suoi libri, in mezzo ai suoi oggetti.
Nella stanza sempre uguale che però non è stata trasformata in un mausoleo. Lui non avrebbe voluto. Andrea che il 22 maggio, quando la morte è arrivata, si è fatto trovare ancora vivo, con gli occhi aperti e la stretta forte della mano.
I suoi amici oggi parlano del futuro, dei nuovi progetti, delle difficoltà da superare. Ma ce la faranno, non hanno dubbi.
Dalla finestra si vede la Lanterna che illumina la notte sempre con lo stesso ritmo: un lampo, cinque secondi, un lampo, quindici secondi.
Il simbolo di Genova. Ma anche certi uomini, pur così fragili, sanno portare una luce, indicare la strada verso un porto.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
ESCLUDE LE PRIMARIE E SI RITAGLIA IL RUOLO DI REGISTA A TUTELA DELLE AZIENDE
Finalmente Silvio Berlusconi lo ammette: «Non sarò io a guidare il movimento che abbraccerà
tutti i moderati italiani, ma un mio erede».
Nonostante le smentite degli ultimi giorni, l’ex Cavaliere conferma l’exit strategy in atto. Non un addio, per adesso. Soltanto un passo di lato per ammortizzare la probabile batosta alle amministrative.
Prova a ritagliarsi un ruolo di regista, già sperimentato prima della politica attiva. Come ai tempi di Craxi.
«Chi sarà questo erede? Ci sono due o tre persone che potrebbero prendere il mio posto di leader – aggiunge – ma di sicuro non ci saranno primarie all’interno di FI. La storia insegna che i grandi leader come De Gasperi, Craxi e Berlusconi non sono mai passati per le primarie».
Con buona pace dei satelliti di centrodestra che ancora ci sperano.
Se Berlusconi vestirà i panni del padre nobile, dovrà indicare un erede (almeno pro tempore). Un meccanismo già collaudato con Angelino Alfano.
I nomi, allora. Ciclicamente riaffiora l’ipotesi Marina, nonostante le perplessità suscitate dai test poco incoraggianti eseguiti informalmente sulla primogenita.
Per ragioni di equilibri familiari è più difficile immaginare l’impegno diretto dell’altra figlia, Barbara.
Guardando a Forza Italia il campo si restringe ulteriormente. Oltre a Mara Carfagna, i riflettori sono puntati soprattutto su Giovanni Toti, consigliere politico attualmente impegnato nella campagna elettorale in Liguria.
Infine Antonio Tajani, altro membro del cerchio magico, che si è più volte autocandidato con l’ex premier.
Comunque vada, Berlusconi trasformerà il partito in una piccola lobby parlamentare, pur indebolita dalle scissioni in atto.
Lo teorizza il leader in persona, a ben guardare: «Anche da bordo campo ho il dovere di mettere a disposizione del Paese le mie esperienze di uomo di Stato e di imprenditore». Parallelamente, l’ex premier si occuperà di completare la riorganizzazione degli asset aziendali, dal Milan a Mediaset.
Comunque vada, se le imminenti elezioni non sorrideranno a Fi non è escluso un restyling del contenitore.
«Ma il movimento dei moderati – mostra cautela il capo – non si chiamerà Partito dei Repubblicani ».
Per esorcizzare lo spettro del “6-1” alle regionali, intanto, il numero uno azzurro pianifica anche il rush finale.
Domenica sera sarà ospite da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”.
Una prima assoluta che fa storcere il naso a Michele Anzaldi (Pd): «Sarebbe una violazione della par condicio».
Venerdì e sabato tappe elettorali in Campania, poi tutto d’un fiato in Umbria, Marche, Toscana, Liguria e Veneto.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Maggio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
LA SENTENZA DEL TAR ERA PREVEDIBILE IN QUANTO LA NOMINA ERA “PALESEMENTE ILLEGITTIMA”
Da ieri, di fatto, la Procura di Palermo è di nuovo senza capo.
Com’era facile prevedere e come avevamo scritto in beata solitudine sul Fatto, il Tar del Lazio ha annullato la nomina di Franco Lo Voi da parte del Csm in quanto palesemente “illegittima”,accogliendo i ricorsi dei due concorrenti esclusi: i capi delle Procure di Messina e Caltanissetta,Guido Lo Forte e Sergio Lari.
Per escluderli dalla corsa e isolare quel pugno di magistrati che tuttoggi, pervicacemente, a rischio quotidiano della vita, cercano la verità sulla trattativa Stato-mafia e sui retroscena politico-istituzionali delle stragi del 1992-’93, si era mobilitato con gli scarponi chiodati tutto il potere che conta: il presidente Napolitano, il suo vice Vietti, tutti i membri laici del Csm messi lì dai partiti e quelli togati della corrente di destra MI, più i vertici della Cassazione.
Pronti a tutto, anche a calpestare ogni precedente, ogni regola interna, ogni circolare, pur di premiare il candidato meno titolato, ma più gradito ai partiti e alle retrostanti lobby di ogni colore e risma.
Che, di fatto, fu il primo procuratore della Repubblica nominato dal potere politico. Lo Voi ha 9 anni in meno di Lo Forte e Lari, non ha mai diretto nè organizzato un ufficio giudiziario, non è mai stato nè procuratore capo nè aggiunto, ma solo sostituto (e per tre anni appena).
L’unico incarico di prestigio della sua anonima carriera l’ha ottenuto su nomina politica, addirittura per grazia ricevuta dal governo Berlusconi: quella a delegato italiano in Eurojust (la cosiddetta “procura europea”, che non è neppure un organo giurisdizionale, ma “amministrativo” — come scrive lo stesso Tar — tant’è che molti paesi membri dell’Ue ci mandano degli impiegati o dei poliziotti).
A Palazzo dei Marescialli si sapeva benissimo che il candidato con maggiore anzianità di servizio e con più esperienza professionale era Lo Forte: infatti l’estate scorsa la commissione Incarichi direttivi del vecchio Csm gli tributò 3 voti, contro 1 a Lari e 1 a Lo Voi.
Mancava solo la ratifica del Plenum, quando arrivò il diktat del solito Napolitano, che tramite il segretario generale del Colle Donato Marra bloccò la votazione, in base a un principio inedito e inaudito, mai applicato dal Csm: quello dell’ordine cronologico da seguire, a cominciare dagli uffici giudiziari da più tempo vacanti, come se un Tribunale dei minori avesse la stessa delicatezza della prima Procura antimafia d’Italia.
Un abuso di potere bello e buono. Anzichè difendere le proprie norme e la propria dignità , il vecchio Csm si piegò fantozzianamente all’ukase quirinalizio e rinviò la votazione fino alla propria scadenza.
E il nuovo Csm, nel frattempo eletto, capì l’antifona e assecondò i desideri del Colle e dei partiti, violando le proprie stesse regole premiando il meno meritevole.
Che però, in una tragicomica relazione firmata dalla forzista Elisabetta Casellati, veniva dipinto come Er Più proprio perchè il governo degli amici di Dell’Utri, di Mangano e di Cuffaro l’aveva promosso a Eurojust e questo incarico rappresentava “lo snodo fondamentale nella straordinaria carriera del dott. Lo Voi”.
Roba da non credere. Il risultato fu quello di normalizzare e commissariare la Procura di Palermo, isolando i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia, fino alla pantomima dell’altro giorno, quando la Procura di Lo Voi ha convocato d’urgenza via email 50 giornalisti perchè non prendano impegni a metà giugno, quando saranno interrogati i due criminali più pericolosi della Sicilia: Antonio Ingroia e Rosario Crocetta.
Naturalmente Lo Voi e Lari fecero ricorso al Tar Lazio, competente a giudicare la legittimità delle delibere del Csm.
Che ieri ha giudicato illegittima quella che nominava Lo Voi e l’ha annullata per “vizi sintomatici dell’eccesso di potere, sia delle violazioni di legge in ordine al procedimento valutativo”, ritenendo che “non superi il vaglio di legittimità ” a causa della motivazione “non coerente rispetto agli indici di valutazione del parametro attitudinale”, “illogica”, “irrazionale”, e addirittura “apodittica” dove “disconosce le esperienze pregresse del dott. Lo Forte in ordine alle peculiari caratteristiche dell’ufficio da ricoprire, idonee a denotare non in assoluto, ma in concreto, la particolare attitudine del magistrato a soddisfare le esigenze organizzative, di direzione e coordinamento, e di funzionalità dell’ufficio per le peculiarità che lo caratterizzano” per preferirgli Lo Voi che, “non ha mai svolto funzioni direttive e semidirettive specifiche”.
Idem per il ricorso gemello di Lari.
Ora il Csm è condannato a pagare 3 mila euro di spese legali a ciascun ricorrente. E — a meno che il Consiglio di Stato non ribalti il verdetto del Tar — dovrà bandire un nuovo concorso per nominare finalmente il miglior procuratore di Palermo.
Cioè tornare a essere l’organo di autogoverno della magistratura per difenderne l’indipendenza, e non l’eterogoverno del Quirinale e dei partiti per metterle il guinzaglio.
Per questo, al di là dei casi personali, la sentenza del Tar è fondamentale. Perchè ripristina la legalità a lungo aggirata nell’interminabile regno di Sua Maestà Giorgio di Borbone.
Perchè ridà speranza ad altri valorosi magistrati esclusi dal Csm con motivazioni politiche anzichè tecniche a vantaggio di colleghi meno titolati ma più “graditi” (Davigo aspirante presidente della Corte d’appello di Torino; Di Matteo, candidato a sostituto della Procura nazionale antimafia; Greco e lo stesso Lo Forte, in corsa per diventare Pg a Milano).
E soprattutto perchè spazza via tutte le scemenze della propaganda impunitaria dell’ultimo ventennio: quelle di chi strilla alla presunta guerra dichiarata dalla magistratura alla politica, mentre l’unica vera guerra vista in questi anni è quella scatenata dai politici indecenti contro i magistrati indipendenti.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
NON PASSA GIORNO CHE QUALCUNO CHIEDA LE SUE DIMISSIONI… PER UN MOTIVO O PER IL MOTIVO OPPOSTO
Nel volgere di poche ore, l’opposizione ha chiesto le dimissioni di Alfano due volte e per motivi
opposti.
Prima perchè avrebbe lasciato entrare in Italia un giovane marocchino senza accorgersi che era un terrorista dell’Isis.
E poi perchè lo avrebbe messo in galera nonostante fosse improbabile che si trattasse di un terrorista dell’Isis.
Alfano ovviamente non ha fatto una piega. Ci è abituato. Da anni non passa giorno senza che qualcuno non chieda le sue dimissioni.
Anch’io, nel mio piccolo, le ho reclamate in un paio di occasioni: la vicenda Shalabayeva e il divieto ai prefetti di trascrivere i matrimoni gay.
Ma tutti ricorderete la faccia abbastanza spaventosa di Salvini mentre intima la cacciata del ministro dopo i disordini del primo maggio all’Expo, la devastazione di piazza di Spagna da parte dei tifosi olandesi, i ritardi nei soccorsi agli alluvionati di Genova e qualsiasi altra calamità naturale o umana abbia attraversato questo martoriato Paese.
Come il Malaussène della saga di Pennac, Alfano sembra disegnato apposta per il ruolo di capro espiatorio. Un capretto, più che altro.
Poco ingombrante ma inamovibile, anche se sempre in discussione.
Di Renzi le opposizioni (e parte della maggioranza) dicono le peggio cose, eppure nessuno si sogna di chiederne le dimissioni.
E’ lui semmai che ogni tanto le minaccia, ovviamente per finta.
Alfano invece non finge: è sinceramente attaccato a una poltrona che occupa però con impalpabile discrezione.
Al punto che, il giorno in cui si dimettesse davvero, nessuno se ne accorgerebbe e tutti continueremmo a chiedere le sue dimissioni.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Maggio 22nd, 2015 Riccardo Fucile
LA REGIONE PRESENTA I NUMERI DELLA RICOSTRUZIONE TRA PROGETTI REALIZZATI E OBIETTIVI ANCORA LONTANI
A tre anni dal terremoto che ha distrutto abitazioni, fabbriche e chiese, togliendo il tetto a migliaia di famiglie, sono ancora tanti i segni visibili, le ferite ancora aperte dalle scosse. A cominciare da chi una casa vera e propria, dopo 36 mesi, non ce l’ha: quasi 1300 persone dormono ancora tra le lamiere dei container.
È l’anniversario più difficile per l’Emilia Romagna: è il 20 maggio del 2012 quando la terra trema per la prima volta, tra le province di Reggio Emilia, Modena, Bologna e Ferrara, lasciando dietro si sè macerie e vittime.
Nove giorni dopo ci sarà un’altra scossa, ancora più devastante. I morti alla fine saranno 27. E 45mila in tutto le persone coinvolte.
Oggi il bilancio disegna un quadro poco esaltante, in cui molto è stato fatto, sì, ma restano allo stesso tempo parecchie situazioni in sospeso.
Bastano i numeri presentati dalla Regione per fare il punto in occasione dell’anniversario. La ricostruzione di abitazioni e imprese ha raggiunto il 60 per cento.
Le previsioni dicono che serviranno almeno altri due anni per arrivare al 100%: secondo il presidente Stefano Bonaccini, la parola fine si potrà scrivere, di questo passo, nel 2017.“C’è ancora tanto da fare — ha detto — ma siamo determinati: non saremo tranquilli fino a che non sarà posato l’ultimo mattone. È per questo che, dopo aver ottenuto dall’Unione europea la proroga per gli interventi sui fabbricati danneggiati delle imprese agricole, ora attendiamo che a breve arrivino le risposte positive del Governo alle richieste che, assieme ai sindaci dei Comuni colpiti, abbiamo avanzato: dalla proroga al 2017 dello stato di emergenza alle proroghe fiscali, per arrivare all’istituzione delle cosiddette zone franche urbane con lo stanziamento ad hoc di un fondo di 50 milioni di euro. Questa fascia di terra dove si produceva oltre il 2% del Pil nazionale rinascerà più bella, più forte e più sicura di prima”.
I lavori sulle abitazioni hanno permesso di rimettere a norma e ristrutturare 15800 case, dove sono tornate a vivere oltre 25mila persone.
Le famiglie che hanno bisogno di assistenza e che ancora ricevono un assegno sono 4645, 20% in meno rispetto all’anno scorso, e 71% in meno rispetto alle prime settimane dopo il terremoto, quando erano oltre 16mila.
Il capitolo più critico rimane però quello dei Map, ossia i Moduli abitativi temporanei dove è stata sistemata una parte degli sfollati.
A gennaio la Regione aveva promesso di smantellarli entro la fine del 2015, ma intanto 1288 persone (700 in meno rispetto a un anno fa) si preparano ad affrontare la terza estate tra i container.
Delle 757 montate all’inizio, oggi nel cratere rimangono occupate 410 casette provvisorie.
In tutto, i contributi concessi per la ricostruzione di case, imprese e negozi raggiungono quota 1 miliardo e 770mila euro, ma di questi solo 800 milioni, meno della metà , sono già stati liquidati.
Per le abitazioni sono stati dati quasi 536 milioni, su 1 miliardo e 89mila euro concessi, e approvato il 70% dei progetti presentati.
Più ridotta la cifra saldata per le imprese: 245 milioni di 682 milioni concessi, ossia circa un terzo.
Molti centri storici sono ancora nascosti dietro metri e metri di impalcature e ponteggi. Una situazione di cui soffrono più di tutti i commercianti ritornati nei negozi del centro, che faticano a sopravvivere e a ripartire.
Da viale Aldo Moro fanno sapere che sono “536 i milioni messi a disposizione dalla struttura commissariale — che si aggiungono a 407 derivanti da cofinanziamenti (assicurazioni, fondi propri,e donazioni) — per sostenere 935 interventi di ricostruzione e riparazione degli edifici pubblici e dei beni culturali danneggiati, tra i quali le chiese”. Anche se, ha ricordato Bonaccini, dal Governo devono ancora arrivare 800 milioni di euro per completare la ricostruzione delle opere pubbliche.
“Non vogliamo un euro in più, ma nemmeno un euro in meno di quanto serve”.
Per quanto riguarda la pianificazione per la ricostruzione dei centri storici, la Regione assicura che si sta andando avanti con l’individuazione delle Umi (Unità minime di intervento) e la redazione di 24 Piani organici.
“Dal bilancio regionale stanziati 11 milioni e 700 mila euro che si aggiungono a quelli destinati alle opere pubbliche e ai beni culturali”.
La giunta si mostra comunque ottimista.
“Nessuna multinazionale ha abbandonato la nostra terra, eppure quel rischio c’era — ha precisato l’assessore alla Ricostruzione, Palma Costi — Nessuna cassa integrazione con motivazione sisma è attiva, i dati del 2014 confermano al contrario una ripresa dell’occupazione. Le risorse stanziate restano in larga parte sul territorio: l’80% delle imprese impegnate nella ricostruzione delle abitazioni sono emiliano romagnole”.
Giulia Zaccariello
(da “il Fatto Quotidiano“)
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