Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
ANALISI DEL VOTO REGIONE PER REGIONE
Peggio della Ditta di Pier Luigi Bersani.
I numeri raccontano che non solo il Partito della Nazione è evaporato, ma il Pd è tornato sotto i livelli della Ditta dei “rottamati”, quelli che come ama ripetere Renzi “hanno portato la sinistra al 25 per cento”.
Per l’esattezza il Pd passa dal 25,9 di Bersani (alle regionali del 2010) al 25,2 di oggi. E allora, andiamo con ordine, nell’analisi dei numeri.
Un primo termine di paragone, per capire la portata della battuta d’arresto, sono le Europee dello scorso anno, quelle del 40 per cento in cui il Pd risultò “il partito più votato d’Europa”.
Secondo l’analisi dell’Istituto Cattaneo di Bologna, sui dati definitivi, il Pd ha perso oltre due milioni di voti: “Questo risultato negativo — scrive l’Istituto Cattaneo — può essere attribuito solo in parte al fenomeno delle cosiddette liste del presidente”. Le “civiche”, infatti, non sono solo molto “disomogenee”, ma in alcune regioni come Toscana, Umbria e Liguria non ci sono e il Pd ottiene, secondo il Cattaneo, “risultati deludenti rispetto al passato”.
È chiaro che i risultati vanno incrociati anche col crollo dei livelli di partecipazione, ovvero col boom dell’astensione sia rispetto all’anno scorso sia rispetto alle politiche del 2013.
Ci sarà tempo per analizzare i “flussi” e quanto abbia pesato a livello nazionale il tema degli “impresentabili”, i conflitti sulla scuola, la crisi, la guerra di Renzi contro la sua sinistra.
Dal dato quantitativo già si può dire che il Partito della Nazione, se ancora si può usare la formula non sfonda al centro e perde a sinistra.
E questo risulta evidente anche se come il termine di raffronto non si usano le Europee, ma le performance del Pd di Bersani, proprio quelle che Renzi ha sempre giudicato deludenti. In termini assoluti e su scala nazionale, nelle regioni in cui si è votato, Renzi perde rispetto alle politiche del 2013 1.083.557 voti.
I segnali della disaffezione sono eclatanti nelle zone rosse. Federico Fornaro, senatore del Pd, viene considerato un “Celso Ghini”, il mitico uomo dei numeri del Pci, dei tempi moderni.
All’Huffington Post consegna la sua prima analisi del voto su cui è impegnato dall’alba, incrociando i dati definitivi:
Rispetto alle regionali 2010 i candidati delle coalizioni di centro sinistra arretrano dappertutto: Liguria 27,8% nel 2015 contro il 52,1% del 2010; Veneto 22,7% (29,1%); Toscana 48,0% (59,7%); Marche 41,1% (53,2%); Umbria 42,8% (57,4%); Campania 41,0% (43,0%); Puglia 47,3% (48,7%).
Per quanta riguarda il voto alle liste del PD, nel 2015, dopo il travolgente risultato delle Europee 2014, si registra un aumento rispetto al 2010 soltanto in due regioni: la Toscana, dove passa dal 42,2% al 46,3% e nelle Marche dal 31,1% al 35,1%.
I democratici calano, invece, nelle altre cinque regioni: Liguria (25.6% contro 28,3%), Veneto (16,7% rispetto al 20,3%), Umbria (35.8% – 36,2%), Campania (19,8% – 21,4%), Puglia (19,3% – 20,7%).
Dunque, peggio della Ditta.
I numeri crudi consentono di sfatare anche l’effetto ottico creato da Renzi dopo il voto.
Ovvero quello in base al quale in Liguria si è perso per colpa della sinistra “masochista” di Civati e Pastorino. Non è così.
Ecco i numeri. In Liguria la Paita prende 183.191 voti (27,8) rispetto agli 424.044 di Burlando del 2010 (52,1).
Il risultato di Pastorino 61.988 non basta a colmare il Gap.
Anche sommando Pastorino alla Paita il Pd sarebbe andato peggio della Ditta.
Proprio il paragone col 2010 — anche allora c’erano le liste civiche — consente di fotografare l’emorragia del Pd sulle sue liste.
In Liguria passa d 211.500 voti a 138.190. In Veneto da 456.309 a 307.609.
Tra l’altro, dato nel dato, i due volti nuovi del renzismo — Moretti e Paita — sono le candidate che vanno peggio su scala nazionale.
Proseguendo in Toscana, con lo stesso candidato governatore, il Pd passa da 641.214 a 614.406. In Umbria da 149.219 a 125.777.
Nelle Marche da 224.897 a 186.357. In Campania da 590.592 a 442.511.
In Puglia da 410.395 a 313.151.
Proprio nelle due regioni del Sud la vittoria di Emiliano e De Luca si configura come una vittoria in perfetto stile “cacicchi” meridionali, grazie a coalizioni messe su dal candidato presidente che in Campania — il caso di De Luca – ha stretto l’accordo con De Mita, fiero oppositore di Renzi, e i cosentiniani e in Puglia — il caso di Emiliano — ha esteso i confini della coalizione a pezzi di destra.
Ma questo è un altro capitolo. Un dato però è interessante.
Nel 2010 Vendola vinse col 48.7 rispetto al 47,1 di Emiliano.
De Luca ha invece vinto col 41,1 mentre nel 2015 prese di più, il 43, ma perse perchè Caldoro aveva dietro di sè il Pdl che non era nemmeno paragonabile a Forza Italia di oggi.
Quindi, anche dove vince, Renzi prende meno voti di Bersani.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
SALVINI NE GUADAGNA 250.000
Ci sono due milioni di italiani che un anno fa hanno votato per il Pd e che ieri o non sono andati alle urne o hanno scelto qualche altro partito.
È quanto emerge dall’analisi dell’Istituto Cattaneo sui consensi raccolti dai principali partiti all’ultma tornata elettorale.
Nel dettaglio, rispetto alle elezioni europee, il Partito democratico ha perso 2.143.003 voti, 1.083.557 rispetto invece alle politiche 2013, quando era segretario Pier Luigi Bersani.
Una flessione pesante che ha interessato, complice l’alta astensione, quasi tutti i partiti.
Il Movimento 5 Stelle ad esempio ha perso rispetto al 2014 circa 893 mila voti, 1.953 mila rispetto all’exploit del 2013.
Particolarmente forte la caduta di consensi in Veneto: dal 2013 ad oggi il M5s ha perso il 75% dei voti.
Significa, in altri termini, che su quattro elettori che due anni fa avevano espresso la propria preferenza per il M5s, tre di questi alle ultime elezioni non hanno confermato il proprio voto, astenendosi o scegliendo un altro partito.
Forte calo anche per Forza Italia. il partito di Silvio Berlusconi ha perso 840 mila voti rispetto alle europee 2014 e 1.929mila in confronto alle politiche 2013.
Anche per gli azzurri il calo in Veneto è particolarmente rilevante: in due anni Forza Italia ha perso quasi l’80% dei consensi.
L’unico che può festeggiare un po’ di segni più sui propri dati è Matteo Salvini.
La Lega Nord ha infatti guadagnato 256.803 voti rispetto alle europee e 402.584 rispetto alle politiche.
Ma sono alcuni dati in regioni cosiddette “rosse” ad impressionare.
In confronto al 2013, In Toscana il numero di consensi per la Lega è salito del 1220%, cioè i voti sono più che decuplicati, in Umbria addirittura del 1499%.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
LADY MASTELLA E ALESSANDRO GAMBINO (FDI) INCASSANO 10.000 PREFERENZE… LE INDICAZIONI DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA SONO STATE IGNORATE
Non solo Vincenzo De Luca, eletto governatore in Campania con il 41 percento delle preferenze e quasi un milione di voti.
C’è pure lady Mastella, che con 10 mila voti di preferenza potrebbe tornare a sedersi in Consiglio regionale.
E il meno noto Alberico Gambino (Fratelli d’Italia), che ha ottenuto anche lui oltre 10 mila voti proprio nella Salerno di De Luca.
Se serviva ad allontanare gli elettori, la lista degli “impresentabili” varata dalla commissione Antimafia pare non aver centrato granchè il risultato.
E non solo per il successo di De Luca.
Senza contare il futuro presidente della Regione Campania, nel complesso – ha calcolato IL VELINO – i candidati presenti nella black list hanno ottenuto 43 mila voti.
Messi tutti assieme, fanno circa il 2 per cento dei voti validi.
E oltre al candidato di centrosinistra, eletto presidente, anche un paio di esponenti del centrodestra potrebbero essere eletti.
Mentre molti degli altri finiti nella black list, anche se senza speranze, sono risultati i più votati della lista.
Proprio come Sandrina Lonardo in Mastella, imputata per concussione a Napoli (la prossima udienza è fissata per mercoledì): con 10.218 voti è stata la forzista più votata. In tutta la provincia di Benevento solo il democratico Mino Mortaruolo, con 15 mila preferenze, ha fatto meglio.
Insomma, lady Mastella qualche possibilità di farcela ce l’ha.
Se scattasse il seggio per Fratelli d’Italia (arrivato sesto a livello regionale, col 5,4 per cento), andrebbe invece all’ex sindaco di Pagani, Alberico Gambino, consigliere regionale uscente, arrestato e condannato a due anni e dieci mesi per violenza privata al termine di un processo dove era imputato di collusioni col clan camorristico Frezza-Petrosino.
Accuse dalle quali Gambino è stato assolto ma nei confronti del quale pende un’inchiesta bis della Dda di Salerno, culminata in una nuova richiesta di arresto. Gambino è stato il più votato, con 10.157 preferenze (mancano ancora 6 sezioni su 158).
E proprio nella circoscrizione di Salerno il partito di Giorgia Meloni ha riportato il miglior risultato: 10,3 per cento, quasi il doppio della media regionale e a pochi decimali da Forza Italia.
Gli altri “impresentabili” sono fuori gioco ma qualcuno ha riportato comunque risultati significativi.
Luciano Passariello (rinviato a giudizio per impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) è il più votato di Fratelli d’Italia a Napoli, con quasi 5.500 voti. Idem per Fernando Errico, imputato per concussione e candidato con Ncd a Benevento: 6.967 preferenze, nella circoscrizione più fortunata per gli alfaniani (che in tutto ha ottenuto 9 mila voti, l’8,3 per cento).
Oltre 7 mila voti sono andati invece a Napoli al forzista Antonio Ambrosio (nono in classifica), che ha patteggiato due anni per concussione (reato dichiarato estinto) e in un altro procedimento è stato rinviato a giudizio per tentata concussione.
Un altro migliaio di elettori napoletani (1.073) ha invece optato per Domenico Elefante di Centro democratico-Scelta civica, condannato in primo e secondo grado a Napoli per concussione a due anni e 8 mesi (reato prescritto).
Qualche centinaia voti invece per tutti gli altri: Sergio Nappi, candidato con la lista Caldoro presidente e rinviato a giudizio per truffa e peculato per la Rimborsopoli regionale, 806 voti (ma nell’avellinese sono ancora da scrutinare metà delle sezioni); Raffaele Viscardi, Francesco Plaitano e Antonio Scalzone, coi Popolari per l’Italia, rispettivamente 875, 280, 56 e voti (dati non definitivi); Carmela Grimaldi (Campania in rete), 205 voti.
(da “L’Espresso”)
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
E I COSENTINIANI ESULTANO: “NOI DETERMINANTI”
Vincenzo D’Anna, senatore vicino a Nicola Cosentino, lo dice senza tanti giri di parole: “Concordo con quanto affermato dall’ex presidente della giunta regionale, Stefano Caldoro: i voti di Campania in rete (lista vicina a Nick ‘o merikano, ndr) e quelli dell’Udc di De Mita si sono rivelati fondamentali nel determinare lo scarto che ha consentito a Vincenzo De Luca di vincere”.
De Mita e i cosiddetti “impresentabili”.
Senza di loro De Luca non avrebbe vinto la Campania. Vediamo.
Il candidato del Pd vince col 41,15 per cento. In termini assoluti i suoi voti sono 987.651, rispetto ai 920.957 di Stefano Caldoro (38,37 per cento).
Vince per 67mila voti circa.
Basterebbe, a spiegare il successo, il dato dell’Udc di Ciriaco De Mita, fiero avversario di Renzi a livello nazionale.
L’Udc prende 53.601 voti. Me non c’è solo De Mita dietro il successo di De Luca.
Un risultato importante è quello della lista Campania “Campania Libera”, grande fabbrica del riciclo a sostegno di De Luca, che prende 108.872 voti (il 4,78 per cento”. Il king maker dell’operazione di “Campania Libera” è Tommaso Barbato, che, personalmente, ha raccolto ben 3955 preferenze.
Ex braccio destro di Clemente Mastella, determinate per la caduta del governo Prodi, Barbato è passato alle cronache per lo sputo in Aula a Nuccio Cusumano.
Da più di un anno Barbato è indagato per una presunta compravendita di voti alle ultime elezioni politiche.
L’ipotesi degli inquirenti è di un sostegno elettorale a una lista minore del centrodestra berlusconiano, 3L di Giulio Tremonti, in cambio della promessa di un paio di assunzioni.
Ma non è solo a questo che è legato l’imbarazzo di pezzi di Pd locale.
L’indignazione è legata all’inchiesta “Croce nera” della Dda di Napoli, in relazione al sistema Zagaria: un perverso intreccio di camorra, politica e imprenditoria che si era impadronito degli appalti dell’ospedale di Caserta.
La struttura sanitaria, ora sciolta per infiltrazione camorristiche, era diventata una sorta di succursale della fazione del clan dei Casalesi che prende il nome dell’ex primula rossa Michele Zagaria.
Un sistema che, secondo la Dda di Napoli “si reggeva grazie alle coperture politiche di esponenti Pdl e Udeur”.
Barbato non è indagato, ma compare in diverse intercettazioni con Ferruccio Zagaria, cognato del capo clan: “In quegli anni a cui fa riferimento l’inchiesta – ha dichiarato – ero stato nominato commissario provinciale, in quel tempo avrò visto e sentito centinaia di persone, non potevo mica conoscere le questioni private di tutti quelli che incontravo”.
In Campania Libera c’è anche Franco Malvano (542 preferenze), ex senatore di Forza Italia.
Altra straordinaria fabbrica del riciclo la lista “Campania in rete”, il cui king maker — oltre a D’Anna — è l’ex senatore Arturo Iannaccone (481 preferenze) che nella scorsa legislatura sosteneva il governo Berlusconi.
È la lista che ospita il consigliere regionale Carlo Aveta — quello che non ha rinnegato il Duce e che fu eletto con la Destra di Storace — il quale ha raccolto ben 1637 preferenze, e parecchi cosentiniani.
Tra loro Enricomaria Natale (884 preferenze), il cui padre è stato accusato di essere il prestanome dei Casalesi.
La candidatura che ha dato il la alla denuncia di Saviano.
E c’è Rosalia Santoro (1656 preferenze), moglie dell’editore del sito online Notix Nicola Turco, vicino a Nick ‘o merikano.
È la lista dei cosiddetti “impresentabili” per eccellenza. Utili però alla causa di De Luca.
Pure Attilio Malafronte (1021 preferenze), mister Calibro 12, il consigliere comunale di Pompei che nello scorso gennaio finì agli arresti domiciliari per una presunta compravendita di sepolture al cimitero comunale. In casa, raccontò il Fatto, “i poliziotti trovarono e sequestrarono un fucile Breda calibro 12”. Campania in rete raggiunge 34.316 voti (1,50 per cento).
Importante anche l’apporto del Centro democratico di Pisacane, ex responsabile di Berlusconi che figura ancora come primo dei non eletti di Forza Italia alla Camera, che alla causa di De Luca ha portato 62.954 voti.
Sua moglie, candidata a Napoli ha raccolto 3673 preferenze.
Ecco, ricapitolando: De Mita, Campania in Rete e Campania Libera hanno garantito a De Luca la vittoria.
Il Pd, invece, rispetto non solo alle europee ma anche alle scorse regionali, ha perso voti. E non pochi.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
SWG, FLUSSI ELETTORALI… IL PD PERDE IN LIGURIA IL 10%: IL 6% SI E’ASTENUTO, IL 4% HA VOTATO PASTORINO
L’istituto demoscopico Swg ha realizzato, sulla base dei risultati elettorali presenti e passati e di interviste a campione, un’analisi dei flussi elettorali delle regionali di domenica scorsa, facendo un interessante paragone con le elezioni europee dello scorso anno.
Ecco la parte che riguarda la Liguria.
Come si sono mossi gli elettori liguri rispetto alle loro preferenze di voto di un anno fa alle elezioni europee?
Il 41,7% di cui aveva beneficiato il Pd, si è ridotto al 29,1% (considerato le civiche e il voto al candidato), con un’uscita di consensi verso l’astensione del 5,9% e un 4% verso Pastorino.
Il Movimento di Grillo perde il 3,7% dei consensi, vivendo un percorso in entrata da Pd (1,4) e un equilibrio tra quanti perde e recupera dall’astensione.
Infine cede il 2,9% dei consensi a Pastorino e 2,3% alla Lega.
La Lega Nord guadagna oltre il 14% dei consensi, recuperando oltre il 6% dei voti da quanti lo scorso anno si erano astenuti e rubando il 2,3% a M5S, il 4% a Forza Italia e l’1,3% al Pd.
Decisiva per comprendere il risultato elettorale in Liguria è l’analisi dell’astensione.
Il 20% degli elettori Pd ha deciso di rimanere a casa e lo stesso ha fatto il 23% degli elettori dell’M5S e il 30% degli elettori di Forza Italia.
Il caso Liguria segna un netto scartamento del centrosinistra.
Sommando sia i voti dei partiti di Raffaella Paita, sia di quelli di Pastorino, l’area complessiva arriva a circa 199mila voti, contro i 203mila voti del centrodestra.
La riduzione dei consensi del Pd è stata sia rispetto alle Regionali del 2010 (da 211mila voti a 155mila), sia rispetto alle elezioni Europee dello scorso anno (in cui il Pd aveva preso 323mila voti).
Netto anche il calo di Forza Italia che passa dai 218mila voti delle Regionali 2010 e dai 107mila voti delle Europee agli attuali.
Un calo che è compensato dal traino della Lega Nord che passa dai 43mila voti delle Europee e dai 76mila voti delle Regionali agli attuali 109 voti.
Cattive notizie anche per il Movimento di Grillo.
Rispetto alle elezioni del 2014 scende dai 201mila voti a 120mila.
La caduta di M5S è frenata dal candidato che porta a casa il 35% dei consensi in più rispetto al suo movimento.
Performance personale di Pastorino, con un +74% rispetto la somma dei consensi presi dai partiti delle sua area.
Più o meno simile la spinta di traino dei candidati di centrodestra e centrosinistra: + 11% per Toti e + 12% per Paita.
(da “il Secolo XIX”)
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
LA POLI BORTONE SCONFITTA DI 4 LUNGHEZZE E LA LEGA RESPINTA CON APPENA IL 2,3%… FITTO: “ORA SI PASSI DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA, PRIMARIE SUI PROGRAMMI E NON SOLO SUI NOMI”… “DEMOCRAZIA INTERNA E MERITOCRAZIA PER RICOSTRUIRE UN CENTRODESTRA VINCENTE”
“Abbiamo dovuto fare in un solo mese una lista per legittima difesa e il risultato e’ uno straordinario punto di partenza per un centrodestra che guardi senza specchietto retrovisore alla sua prospettiva politica”: così il leader di “Conservatori e riformisti” Raffaele Fitto commenta il successo dell’oncologo Francesco Schittulli in Puglia.
Al di là della scontata affermazione di Emiliano (47,10%), l’attenzione dei media nazionali era rivolto alla lotta tutta interna al centrodestra su chi, tra il candidato fittiano e la Poli Bortone, appoggiata da Forza Italia e Lega, avrebbe tagliato per primo il traguardo.
E nonostante l’impegno di Berlusconi in persona, Davide ha battuto Golia, sfiorando addirittura il secondo posto per appena 1.500 voti: la grillina Laricchia al 18,40%, Schittulli al 18,31%.
Ma soprattutto relegando al quarto posto la Poli Bortone ferma al 14, 42%.
E non è un caso che la presenza di una lista fittiana radicata sul territorio abbia bloccato ogni velleità alla Lega di Salvini che puntava a un risultato oltre il 5% e invece ha rimediato la scoppola del 2,3%.
Ha buon gioco Fitto ora a dire che “Il centrodestra si deve riunire, con l’unico strumento che e’ quello della partecipazione popolare, non si puo’ stare in una lista se si e’ simpatici o antipatici, bisogna passare dalla monarchia alla repubblica, immagino un centrodestra aperto e competitivo”.
Coglie il punto anche Daniele Capezzone: “Raffaele Fitto, a cui vanno i complimenti per la bellissima battaglia in Puglia, che ha dovuto fare per rispondere agli errori di chi ha voluto e cercato una divisione assurda, ha segnalato il punto politico di fondo per avere un centrodestra unito davvero, la via maestra (come accade in America) è quella delle elezioni primarie, con una competizione di idee e programmi. Altrimenti, avremo solo cespugli intorno alla Lega”.
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
TRA GLI INQUISTI PER PECULATO RIELETTI RIXI, BRUZZONE (LEGA) , SCAJOLA (FORZA ITALIA) E MATTEO ROSSO (FRATELLI D’ITALIA)… TROMBATI MELGRATI, SIRI, GARIBALDI E DELLA BIANCA A DESTRA, DONZELLA, ROSSI E CAPURRO A SINISTRA… TRA GLI ESCLUSI ANCHE LA FAVORITA LILLI LAURO… TOTI AVRA’ 15 CONSIGLIERI SU 30, SONO SETTE I LEGHISTI (5 + 2 DEL LISTINO), DUE FDI (1+1), SEI DI FORZA ITALIA (3+3)
Vince il centrodestra, perde il Pd, mentre il M5S si conferma il partito più forte a Genova e provincia con 74 mila voti e una percentuale che è oltre il 25% e la Lega Nord diventa l’azionista di maggioranza a destra.
Al Partito democratico la magra, magrissima consolazione di restare in Liguria (ma non a Genova) il primo partito.
Alla fine il risultato è questo: Giovanni Toti 34,44; Raffaella Paita 27,84; Alice Salvatore 24,84.
Ecco gli eletti
Il prossimo consiglio regionale sarà composto da 15 consiglieri di centrodestra oltre Giovanni Toti.
Entrano i sei del listino e dunque: Sonia Viale, Giacomo Giampedrone, Stefania Pucciarelli, Andrea Costa, Berrino e Ilaria Cavo.
Dalle liste provinciali, con il sistema proporzionale, entrano nell’emiciclo di via Fieschi 5 leghisti che sono Edoardo Rixi, Francesco Bruzzone (che dovrà scegliere tra il seggio di Genova o quello di Savona lasciando dunque il posto a Stefano Mai), Giovanni De Paoli e Alessandro Piana.
Tre di Forza Italia: Claudio Muzio, Marco Scajola e Angelo Vaccarezza.
Torna in consiglio regionale anche l’uscente Matteo Rosso, sotto le insegne di Fratelli d’Italia.
Coalizione di centrosinistra
La coalizione di centrosinistra elegge 7 consiglieri oltre a Raffaella Paita, candidata presidente, la grande sconfitta, e sono tutti esponenti del Partito Democratico: Luca Garibaldi, Sergio Rossetti, Valter Ferrando e Giovanni Lunardon o Michele Malfatti a Genova e provincia; il recordman di preferenze (oltre le 5000), il savonese Luigi De Vincenzi, sindaco di Pietra Ligure; poi Juri Michelucci alla Spezia e Giovanni Barbagallo a Imperia.
Coalizione di Pastorino
La coalizione del civatiano Luca Pastorino elegge un solo consigliere ed è Gianni Pastorino di Rete a Sinistra.
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
L’OPINIONE DI STEFANO FOLLI DE “LA REPUBBLICA”
Sotto la Lanterna si consuma la prima sconfitta politica di Renzi: ha pesato la scissione di Civati e Pastorino.
Perde la sua candidata, perde il Pd diviso, vincono i Cinque Stelle come quasi ovunque nel resto d’Italia.
La Liguria era la regione chiave per decidere il verso delle elezioni regionali.
La risposta delle urne è impietosa. Il 41 per cento del voto europeo è lontano, la magìa del premier rottamatore si è appannata. E il peggio è che questo non accade solo in Liguria.
Anche un’altra regione «rossa», l’Umbria, è rimasta in bilico fino all’ultimo voto. Ovviamente insieme alla conferma del leghista Zaia in Veneto, ma questa era prevista.
Il quadro che emerge è dunque molto negativo per il premier-segretario del Pd. L’ondata delle liste anti-sistema, dai grillini a Salvini, è significativa, condiziona e modifica i vecchi equilibri.
Il Pd sconta l’attacco del populismo, un po’ come è accaduto giorni fa in Spagna con l’avanzata di Podemos. Ma non riesce a reggere il colpo anche perchè l’astensione è vicina al 50 per cento: circa un italiano su due è rimasto a casa, segno che il messaggio riformatore non ha fatto breccia, mentre le divisioni nel centrosinistra – è plausibile – hanno provocato delusione e scetticismo nell’elettorato.
Da oggi Renzi dovrà rivedere qualcosa nella sua strategia politica.
Tre fronti aperti sono troppi anche per lui. E le regionali hanno dimostrato che i fronti sono proprio tre.
Il primo è la persistenza delle liste anti-sistema. La scommessa del renzismo consisteva nel recupero del voto populista, da prosciugare dopo l’exploit del 2013.
Ma i Cinque Stelle e la Lega sono da collocare fra i veri vincitori di ieri e quindi il quadro cambia profondamente.
Secondo punto.
Si attendeva che il partito di Renzi avrebbe visto la luce in tempi brevi, cambiando la fisionomia del vecchio Pd. Oggi questo percorso dovrà essere rivisto e il premio dovrà negoziare qualcosa con i suoi avversari. Il che urta con la sua personalità e il suo carattere.
Ma non ci sono altre soluzioni, se Renzi vuole salvare il suo governo e il cammino di medio termine verso le elezioni politiche del 2018.
Di sicuro verificheremo la duttilità del premier, se esiste: tutti i grandi statisti sono diventati tali dopo una sconfitta, reagendo a un passo falso.
Finora Renzi è passato di vittoria in vittoria, ora deve ridefinire la sua identità e il suo rapporto politico con il resto del centrosinistra.
Terzo punto.
L’astensione poteva essere persino un vantaggio per il premier in carica, leader del partito di maggioranza relativa. Cessa di esserlo nel momento in cui i movimenti anti-sistema confermano la loro forza e si pongono come una minaccia per le forze di governo.
Quindi anche l’astensione diventa ostile, segno di un elettorato fragile e incerto che marca il proprio distacco dalle istituzioni.
C’è anche un altro motivo di riflessione da sviluppare nelle prossime ore.
I candidati vicini a Renzi, la Paita in Liguria, la Moretti in Veneto e forse la Marini in Umbria hanno incontrato forti difficoltà .
Chi vince sono due figure non vicine al presidente del Consiglio. Emiliano in Puglia, sicuro vincitore contro un centrodestra spezzettato, ha una sua storia personale che c’entra poco con Renzi.
E De Luca in Campania è il controverso protagonista di una campagna vittoriosa, sì, ma macchiata dalla polemica sugli impresentabili.
E soprattutto non in grado di governare, in base alla legge Severino.
La sensazione è che il pronunciamento della presidente dell’Antimafia non abbia danneggiato più di tanto De Luca in Campania (forse lo ha persino favorito), ma abbia appannato di molto l’immagine di Renzi al Nord.
E il Nord è essenziale per il successo del l’esperimento politico renziano.
Al punto che non si può escludere un messaggio a Berlusconi, uscito a sua volta sconfitto dal voto, ma forte per i numeri di cui dispone in questo Parlamento.
Stefano Folli
(da “La Repubblica”)
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Giugno 1st, 2015 Riccardo Fucile
L’OPINIONE DI MARCO DAMILANO DE “L’ESPRESSO”
La lunga notte di Matteo Renzi nella sede del Pd si consuma tra i dati maledettamente ballerini di Liguria e Umbria, due roccaforti della sinistra assediate dal centrodestra. Una notte amara distante anni luce da quella di dodici mesi fa, le elezioni europee trionfali.
Per un anno il premier aveva potuto sfoderare quello storico 40,8 per cento di fronte a tutti: critici, editorialisti, avversari interni e esterni, gufi e rosiconi, perfino di fronte alla Merkel.
E se gli chiedevi cosa diavolo fosse il suo Pd, il Pd di Renzi, rispondeva sicuro: quello del 25 maggio, quello del 40,8 per cento.
Più che una percentuale. Un progetto politico. Il progetto del Partito della Nazione, un partito che chiudesse per sempre la stagione della vecchia sinistra arroccata nella sua tradizionale composizione sociale, geografica, ideologica.
Il risultato di questa notte riporta il Pd nei suoi confini. Non sfonda fuori dal suo bacino elettorale, anzi, sembra arretrare.
Perde in Liguria, si ferma sotto la Lanterna, sulle sponde del Bisagno, oggi che fa caldo una bava d’acqua, in autunno torrente killer, dopo una serie incredibili di errori. Perde il vecchio Pd di Claudio Burlando, dominus per dieci anni e più del partito ligure, consociativo e immobilista.
Ma perde anche il nuovo Pd targato Renzi, respinto da una parte di elettorato di sinistra che vota un altro candidato, anche il buon Luca Pastorino, non certo il carismatico Sergio Cofferati, pur di non appoggiare il partito.
Il vecchio e il nuovo Pd si erano incontrati nella figura di Raffaella Paita, rigettata come troppo legata al vecchio da una parte di elettorato e come troppo renziana per un altro pezzo.
Per mesi Renzi ha messo nel conto l’ipotesi di veder nascere qualcosa alla sua sinistra. Lo aveva detto alla Leopolda nel mezzo dello scontro più duro, con la Cgil e con la minoranza del Pd sull’articolo 18: qualcosa di nuovo a sinistra nascerà .
E io, il mio Pd, sottintendeva, lo sconfiggerà . Il progetto del Pd di Renzi è tutto qui. Perdere la vecchia sinistra per guadagnare altri pezzi di elettorato. Berlusconiani in fuga da Arcore. Elettori barricati nell’astensione.
Giovani che hanno votato Movimento 5 Stelle, cui Renzi ha promesso una rivoluzione appena più dolce di un vaffa, ma forse più brutale.
Questa notte si torna nei confini. Quelli del Pd che non vinceva. Dei dirigenti che non scendevano in sala stampa a commentare o se la pigliavano con il nemico interno.
Il Pd di stanotte, insomma, assomiglia da vicino al Pd di Bersani.
Il centrodestra si ricompone, sotto la guida di Salvini e quel che resta di Forza Italia. A sfondare fuori dal suo perimetro è l’altro Matteo, Salvini: il 16 per cento in Umbria, il 20 in Liguria, un trionfo in Veneto. Spazzato via gli alleati Alfano e cespugli centristi, sia sotto forma di Tosi in Veneto che di Spacca nelle Marche.
Non un voto di destra trasloca nel Pd. Anzi, nel Veneto, nonostante il buon giudizio degli imprenditori sulla riforma del lavoro del governo Renzi, la candidata Alessandra Moretti si blocca a un misero 23 per cento, abissalmente lontano dal 37,5 delle elezioni europee: meno 19 per cento. Un 25 maggio 2014 alla rovescia.
Il Movimento 5 Stelle tiene e anzi supera i risultati di un anno fa, punta a essere il primo partito in alcune regioni, raccoglie consensi nei ceti popolari e tra i giovani che si sentono esclusi dal nuovo miracolo italiano targato Renzi.
C’è una parte del paese ormai tutta controllata dal Pd, il Sud d’Italia. Ma con figure controverse, destinate a creare più problemi alla leadership nazionale.
Michele Emiliano, il maverick del centrosinistra, autonomo, incontrollabile, che già stanotte chiede un’alleanza con M5S.
E Vincenzo De Luca che Renzi ha provato a lungo ad allontanare come un calice imbevibile e che poi si è fatto piacere.
Troppo tardi, però, perchè nei prossimi giorni Renzi, nella sua veste di capo del governo, sarà costretto a sospendere il neo-presidente per via della legge Severino.
Si può dimenticare questa nottata poco felice con una considerazione rassicurante. Non si votava per Renzi, quando sarà personalmente in campo la musica cambierà . Ma con Salvini in sfondamento, Berlusconi redivivo, il 5 Stelle senza Grillo stabile sul 20 per cento ovunque e una sinistra in movimento si può, al contrario, cominciare a costruire un partito nuovo, con una classe dirigente non replicante e non cortigiana, una cultura politica, un’organizzazione.
Tutto quello che il Pd di Renzi finora non ha.
Marco Damilano
(da “L’Espresso”)
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