Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
SECONDO L’ESPONENTE DI FDI, ORFINI AVREBBE DOVUTO RINUNCIARE ALLA SCORTA, COME SE NON SAPESSE CHE NON E’ L’INTERESSATO CHE LA RICHIEDE MA CHE VIENE ASSEGNATA D’AUTORITA’… E NON LA PAGANO I ROMANI, MA TUTTI GLI ITALIANI… GUARDARE IN CASA PROPRIA MAI, EH?
“Sotto protezione” Matteo Orfini, presidente del Pd e commissario del Pd Roma dopo il terremoto di Mafia Capitale.
Da qualche tempo gli è stata assegnata una scorta per ragioni di sicurezza, o meglio un “accompagno” ossia una “misura di protezione” non per il ruolo nazionale ma per la battaglia ai clan del malaffare della Capitale e del litorale di Ostia e per minacce di ambienti anarchici.
Le misure sarebbero scattate tre giorni fa, tecnicamente con la motivazione di “eccesso di esposizione”.
“La misura di protezione adottata dalla Prefettura a favore di Matteo Orfini conferma che il prezioso lavoro che sta portando avanti per il contrasto dell’illegalità a Roma. A Matteo va la solidarietà mia e di tutta la città e l’invito a non mollare” dichiara in una nota il sindaco di Roma, Ignazio Marino.
Per il governatore del Lazio Nicola Zingaretti “Orfini sta svolgendo in prima linea un compito delicatissimo con rigore e passione per contrastare ogni forma di illegalità . Voglio esprimergli la personale solidarietà e vicinanza e quella dell’Amministrazione regionale per la misura di protezione adottata dalla Prefettura che si è resa necessaria –
E solidarietà trasversale è arrivata anche da tutti i municipi della capitale e da esponenti locali e nazionali del partito ma anche di Forza Italia.
“Accanto a Matteo Orfini. Il suo impegno contro la corruzione e per la trasparenza è di tutto il Pd” ha twittato il vicesegretario Pd, Lorenzo Guerini.
Solidarietà anche dal senatore di Forza Italia Francesco Giro che dice: “Anche a nome di Fi voglio esprimere al presidente del Pd e amico Matteo Orfini la solidarietà mia personale e del mio movimento”.
“Roma sta vivendo un momento drammatico e la lotta per la legalità deve essere condivisa al di là delle rispettive appartenenze politiche – conclude – A Matteo va allora il mio incoraggiamento a non desistere nel suo impegno”.
Unica voce stonata quella di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia: “Marino aveva detto che avrebbe rinunciato alla scorta. Ora ce l’ha lui e anche il suo badante. A pagare sempre i romani”.
Dato che la Meloni non è stupida nè sprovveduta, le sue parole risuonano ancora più fuori luogo e improntate a mera demagogia.
In primo luogo la scorta viene assegnata d’autorità in base alle risultanze e agli allarmi segnalati dalle forze dell’ordine, non è richiesta dall’interessato.
Se la Meloni ha degli argomenti giuridici per dimostrare che non vi sono elementi che inducono a tutelare Orfini li renda noti.
Altrimenti fa solo la figura di voler negare che Orfini sia esposto nella lotta ai clan di Ostia, mentre un autorevole esponente di FDI è indagato per associazione mafiosa.
Ed eviti di dire che la scorta a Orfini o chi per lui è pagata dai romani: le scorte le paga il ministero degli interni e quindi tutti gli italiani.
D’estate le insolazioni sarebbe sempre meglio evitarle.
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Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
LA RICERCA RESEARCH: ITALIANI ATTENTI A EQUILIBRIO E SOSTENIBILITA’ DEL PROGRESSO
Viviamo una metamorfosi inconsapevole, una stagione segnata da trasformazioni sociali ed economiche radicali.
Ciò nonostante, fatichiamo a comprenderne la portata reale. Siamo immersi in un «presente continuo» generato dalle nuove tecnologie che fondono passato e futuro in qualcosa che appare tutto contemporaneo.
Senza rendercene conto, stiamo riscrivendo i paradigmi dello sviluppo.
L’occasione di Expo sotto questo profilo è emblematica.
Una molteplicità di Paesi espone non solo architetture o cibi, ma le idee di progresso che li connotano.
Un’evoluzione diversa da quella che ha originato le nostre società , e che ancora fatichiamo a prefigurare in modo compiuto. Quel che è certo, è che non è più destinata a una crescita lineare e progressiva, ma molteplice e multidimensionale; non può più contare su una disponibilità illimitata di risorse e deve immaginarsi più equa e sostenibile.
Diversi progressi
Tutto ciò, all’interno di un quadro complicato dal fatto che alcune parti (minoritarie) del globo hanno già conosciuto lo sviluppo industriale, mentre altre (maggioritarie) si stanno affacciando in questi anni. Proprio per questi motivi, le teorie sul progresso stanno conoscendo rivisitazioni profonde.
Studiosi come Senn, Attali, Latouche propongono prospettive diverse per lo sviluppo, passando dal considerare fondamentali la crescita delle capabilities individuali, fino all’idea di una decrescita felice.
La stessa misura della ricchezza di una nazione, attraverso il Prodotto interno lordo (Pil) è da anni messa in discussione e si cercano nuovi indicatori.
Di considerare come la ricchezza non sia solo frutto della produzione materiale, ma anche della salute, dell’istruzione, del benessere psico-fisico di una popolazione.
La ricerca
Su questi temi, la ricerca di Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa, ha interpellato gli italiani per comprendere quale sviluppo economico ritengano auspicabile.
Un elemento svetta in modo netto e coinvolge circa i tre quarti (72,0%) della popolazione, in particolare fra gli abitanti del Nord-Est e del Centro-Sud.
Non è pensabile fermare il progresso e la crescita economica, è necessario continuare a produrre e lavorare, ma mutandone il carattere: bisogna prestare attenzione soprattutto alla sostenibilità e alla qualità dello sviluppo.
Dunque, è diffusa l’idea che il progresso abbia traiettorie non arginabili. Pur tuttavia, è urgente indirizzarlo all’insegna di un maggiore equilibrio con l’ambiente e nei confronti delle diverse aree del pianeta.
Soprattutto, che metta al centro la qualità della vita.
All’opposto, troviamo quanti ritengono non si debba uscire dalla strada fin qui percorsa, che si debba continuare a lavorare e produrre come abbiamo fatto finora perchè altrimenti rischieremmo di perdere la ricchezza costruita.
È una quota marginale (5,0%) e con una particolare concentrazione nel Mezzogiorno.
Fra queste posizioni, si collocano due punti di vista diversi, ma prossimi fra loro.
Da un lato, quanti esprimono in modo manifesto l’idea che la qualità della vita sia determinata da una riduzione drastica di ritmi di produzione e consumi.
Anche questo caso annovera un nucleo di persone contenuto (17,6%), ma non marginale soprattutto al Nord-Ovest, dove lo sviluppo industriale di matrice fordista ha avuto la maggiore presenza.
D’altro lato, si osserva un orientamento difensivista. Il benessere attuale può bastare: l’importante è difenderlo (5,4%).
I profili
Volendo offrire una misura di sintesi, abbiamo costruito il profilo degli orientamenti verso lo sviluppo economico.
Il gruppo più cospicuo è formato dai «sostenibili» (72,0%) che mettono l’accento sull’equilibrio e la qualità del progresso.
Tale posizione è particolarmente presente presso la componente maschile, dei 60enni e degli studenti.
Molto distante troviamo il gruppo dei «declinisti felici» (23,0%). È una quota minoritaria, ma non esigua e che trova diffusione in particolare presso donne, 50enni, laureati e abitanti nelle aree di più antica industrializzazione (Nord-Ovest).
Infine, i «conservativi» (5,0%) che propongono di non mutare il modello di sviluppo fin qui perseguito. È una quota marginale, diffusa tra gli ultra 65enni, casalinghe, abitanti nel Mezzogiorno e con basso titolo di studio.
Sostenibilità ambientale, equilibrio dello sviluppo globale, centralità della qualità della vita costituiscono le aspettative verso lo sviluppo economico per la grande maggioranza degli italiani.
Daniele Marini
(da “La Stampa”)
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Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
RENZI VORREBBE PORTARE IL TESTO SUBITO IN AULA, GRASSO RICORDA CHE DEVE PRIMA PASSARE IN COMMISSIONE
Tra Matteo Renzi e la ‘Buona scuola’ c’è Pietro Grasso.
Raccontano al Senato che sia stato il presidente a dare un freno all’impeto del giovane premier, fortemente tentato di portare in aula il testo di riforma della scuola, saltando il voto in commissione, dove pesano i duemila emendamenti presentati da opposizione e minoranza Dem.
“Noi stiamo al regolamento”, segnalano dalla presidenza del Senato.
E il regolamento impone che i testi collegati alla manovra di bilancio – come la scuola, che prevede voci di spesa e non a caso è stata sottoposta a parere della commissione Bilancio — debbano essere presentati in commissione, dove si deve anche riaprire il termine dei subemendamenti, e solo dopo in aula.
Non è possibile saltare, come è successo prima di Natale con la legge elettorale. Domattina i relatori di maggioranza Francesca Puglisi del Pd e Franco Conte di Area Popolare faranno l’ultimo tentativo in commissione per cercare un accordo politico che riduca gli emendamenti.
Ma tra i renziani nessuno scommette sul successo della manovra.
Quindi? Sarà braccio di ferro con Grasso?
Per ora, agli atti, c’è solo l’avvertimento arrivato dagli uffici della presidenza.
Un cartellino giallo piuttosto normale nelle dinamiche parlamentari, che però va ad intralciare l’idea del premier di saltare del tutto il voto in commissione, come è successo sull’Italicum.
E poi a Palazzo Chigi non è piaciuto quel richiamo a Grasso contenuto nella nota diffusa ieri da Miguel Gotor, senatore di minoranza.
“Spero che il governo e la maggioranza del Pd abbiano la sensibilità politica di ascoltare le parole del presidente del Senato Pietro Grasso — dice Gotor — il quale ha auspicato che su un provvedimento significativo come quello sulla scuola non sia mesa la fiducia, ma il Parlamento sia lasciato libero di esprimersi e di migliorare la legge”.
Ora, la fiducia è una decisione che spetta al governo.
E il premier resta convinto che quella sia la strada obbligata per superare le difficoltà della maggioranza in Senato e ottenere l’ok sulla ‘Buona scuola’.
Quanto a Grasso, sabato scorso, alla festa dell’Unità a Roma si è solo limitato ad auspicare che non si arrivi alla fiducia, come di solito fanno tutti i presidenti di Camera e Senato, in difesa delle prerogative del Parlamento, e dunque “Se si potesse evitare, certamente…”, ha detto Grasso rispondendo a domanda.
Ma dalle parti di Renzi non si nasconde un certo fastidio.
Come è successo quest’estate, quando la bolgia scatenata da opposizione e minoranza Pd sulla riforma costituzionale, diede adito ai renziani di diffondere veleni sul presidente. Veleni, appunto, che sulla scuola potrebbero riproporsi.
A Palazzo Madama le sentinelle renziane tengono le antenne dritte, gli uffici parlamentari studiano il regolamento, si cerca una via d’uscita dignitosa per tutti, ma certo la questione resta complicata.
Renzi se la cava così: “Decide il Parlamento. Se passa, ci saranno 100mila assunzioni, se non passa o se non passa in tempo per le assunzioni, ci saranno solo quelle del turn over, che sono circa 20-22mila persone”.
Perchè, anche a voler aprire il termine dei subemendamenti, il governo in Commissione Cultura rischia di non avere la maggioranza.
Oggi è venuto allo scoperto Walter Tocci, componente di minoranza Pd in commissione, di solito parco di dichiarazioni stampa.
Sulla ‘Buona scuola’ invece ha scritto un lungo post sul suo blog, smontando pezzo per pezzo la riforma di Renzi.
“L’unica novità è l’applicazione ossessiva di uno solo al comando anche nel mondo della scuola — scrive Tocci – Nessuno dei veri problemi viene affrontato, nè la riforma dei cicli, nè l’abbandono degli studenti, nè il neo-analfabetismo degli adulti. I centomila sono utilizzati come una clava per imporre scelte inutili o dannose. Uno, nessuno e centomila, è il titolo di un dramma che racconta lo smarrimento del protagonista”.
Con Tocci anche Corradino Mineo, che pure critica l’idea di porre la questione di fiducia sul testo.
E in commissione pesano poi le perplessità del senatore a vita Carlo Rubbia. Sono tre voti in dissenso possibili: bastano per mettere a rischio una maggioranza di 15 a 12 in commissione.
A sera, dopo riunioni fiume con i tecnici del Miur per comporre il ‘testo di sintesi’ di Puglisi e Conte, dalla cerchia parlamentare del premier arrivano rassicurazioni: “Ci atterremo al regolamento”.
Di uno scontro con Grasso non si sente il bisogno. Ma va superata l’impasse, in qualche modo.
“Pd andrà avanti su #labuonascuola, Una legge per valorizzare autonomia, merito e assunzioni. Domani alle 10,30 seduta 7 commissione”, twitta Andrea Marcucci, presidente della Commissione Cultura.
I relatori dovrebbero proporre cambiamenti sul tetto di 100mila euro per lo ‘School bonus’ e sulla commissione di valutazione dei docenti, che nella nuova formulazione dovrebbe comprendere anche due professori in più e un membro esterno.
Quindi, da regolamento, il testo verrà depositato in commissione.
Le opposizioni diranno la loro. Lo stesso vale per la minoranza Dem.
Ma se la mole di emendamenti resterà ancora lì a spiaggiare il testo sulla scuola, già domani – prevedono i renziani – potrebbe riunirsi una conferenza dei capigruppo per discutere della possibilità di inviare il testo direttamente in aula.
Accadrà ?
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
I DEM VOTERANNO CONTRO LE MOZIONI DELL’OPPOSIZIONE
L’ordine di scuderia è già partito.
È nel corso della discussione generale alla Camera che viene affidato al parlamentare del Pd Marco Miccoli il compito di dire di no alle dimissioni del sottosegretario Castiglione, indagato per turbativa d’asta sulla vicenda del Cara di Mineo: “Saranno i processi, che speriamo vengano celebrati presto, a stabilire le responsabilità . Per noi un avviso di garanzia è un atto dovuto, non è una condanna e come tale va trattato”. Parole concordate col capogruppo Ettore Rosato.
Dunque il Pd voterà contro le mozioni che chiedono il ritiro delle deleghe al sottosegretario.
Ce ne sono tre alla Camera. Quella di Sel, della Lega e dei Cinque stelle.
Il voto è previsto per martedì 22, ma potrebbe anche slittare di un giorno.
Cambiando l’ordine dei giorni, però, il risultato non cambia: “È un voto scontato — spiegano fonti del Pd vicine a Rosato — perchè da che mondo è mondo la maggioranza respinge le mozioni delle opposizioni”.
Parole dietro le quali si capisce che l’altro ordine di scuderia è “minimizzare”, tenere basso il passaggio parlamentare.
Perchè il salvataggio di Castiglione è la vittoria della ragion di governo sulla questione morale: “Non ci sono alternative” dicono nel Pd.
In parecchi ricordano le parole, minacciose, che dal carcere Buzzi consegnò ai pm: “Mi ci dovete far pensare un attimo, perchè su Mineo casca il governo”.
Attorno all’inchiesta aleggia un alone di tensione. Il primo a sapere che la posizione del sottosegretario è imbarazzante è Renzi.
Il quale sa bene che Cantone definì “illegittima” la gara.
E sa che Cantone scrisse lo scorso 27 maggio al ministero dell’Interno. E che ha annunciato il commissariamento di Mineo, nonostante gli attacchi dei Castiglione boys.
Anche Gennaro Migliore, circa un mese fa, dopo che era andato in Sicilia con la sua commissione per una verifica diretta, consegnò al premier un giudizio assai preoccupante: “Castiglione — questo il senso del ragionamento – ci sta dentro fino al collo”. Pochi giorni dopo sarebbe arrivata la seconda puntata di Mafia Capitale (leggi qui l’articolo sul “sistema Castiglione”).
Il problema però è che, in questa storia, le responsabilità di Castiglione portano alla “copertura politica” della casella più delicata del governo, quella di Angelino Alfano: “Castiglione — ripetono i renziani — è Alfano. E se salta a quel punto salta Ncd, nel senso che si sfaldano i gruppi e il governo non ha più certezza dei numeri”.
È questo il grande scambio in nome della governabilità .
Mentre su Azzollini il partito del ministro dell’Interno non si è immolato, su Castiglione la questione è stata chiarita il giorno in cui è uscita la notizia che il sottosegretario era indagato. In un primo momento a palazzo Chigi era stata valutata la richiesta di un passo indietro del sottosegretario.
Dopo un pomeriggio difficile, la parola d’ordine diventò: “linea garantista”. In mezzo la valutazione del sisma sulla maggioranza di governo.
E oggi, dopo il silenzio, arriva il “salvataggio” del sottosegretario. E il colpo di spugna anche sulle sue responsabilità politiche.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
“BARCA CI DOVEVA AIUTA’ NON AMMAZZARE”
«E sono qui al Circolo. Lo so che è domenica, ma che ci vuoi fare, stiamo scrivendo la risposta a Barca. C’è chi la chiama pazzia e chi passione».
Claudia Santoloce è la segretaria dello storico circolo Testaccio.
Uno dei 27 definiti dannosi dal rapporto di Fabrizio Barca.
Se lo aspettava?
«Macchè. Una mazzata. E dire che siamo stati gentilissimi quando sono venuti».
Voi rientrate nei circoli in cui prevale la logica «potere per il potere».
«Non è vero, quale circolo feudale. Io sono segretaria da fine 2013. E lavoro gratis».
Vi contestano un aumento «spropositato» di tessere.
«Loro dicono spropositato, io dico rinnovato rinvigorimento. Qui dal 2009 governano insieme Pd e Udc. Poi le due realtà sono confluite e i due consiglieri Udc sono passati al Pd. Così sono arrivati i nuovi. Nessuna guerra di potere».
Il rapporto vi riconosce anche meriti .
«Infatti, poi però ci boccia. Si fa di tutta l’erba un fascio e si usa una terminologia dannosa e pericolosa. Barca è stato anche gentile e ci ha ascoltato. E il suo rapporto può essere utile per fare pulizia. Ma bisogna stare attenti. C’è gente iscritta da 40 anni qui. Ci si confonde con Mafia Capitale, con le ruberie. Così è un tritacarne».
Enrico Letta abita a pochi passi.
«Sì, ha presentato il suo libro da noi il 16 giugno. Viene spesso, è una persona squisita, gli vogliamo bene».
Voi che fate per il quartiere?
«Siamo aperti tutti i pomeriggi, gli eletti parlano tutte le settimane con i cittadini. Abbiamo riqualificato Campo Testaccio».
Che direte a Barca?
«Spero che faccia una nota aggiuntiva. E poi voglio dirgli che ci doveva aiuta’, non ammazza’».
Alessandro Trocino
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
SI’ ALLA REDISTRIBUZIONE DI 40.000 PROFUGHI, MA SULLE QUOTE DECIDONO I GOVERNI
Sì ai quarantamila migranti da redistribuire, ma saranno gli stati dell’Unione europea a decidere come spartirseli, entro luglio.
Ecco il compromesso a dodici stelle possibile sui migranti, la ricetta per chiudere le polemiche sull’obbligatorietà della ripartizione chiesta alle capitali dalla Commissione Ue e sgradita a metà dei governi dell’Unione, la soluzione con cui si spera di salvare la faccia dell’Europa solidale, incrinata dalle divisioni e dalle incertezze davanti alla tragedia dei morti nel Mediterraneo.
La bozza di conclusioni del vertice europeo in programma a Bruxelles giovedì e venerdì, di cui La Stampa ha ottenuto una copia, scrive che gli stati membri «approvano la redistribuzione per due anni da Italia e Grecia verso gli altri stati membri di 40 mila persone che abbiano evidente bisogno di protezione temporanea».
Allo stesso tempo, chiedono al Consiglio, cioè al conclave dei governi nazionali, «la rapida adozione di una decisione che istituisca il meccanismo temporaneo ed eccezionale» proposto dal Team Juncker e stabiliscono che «tutti gli Stati membri concorderanno, entro la fine del mese di luglio, sulla distribuzione di queste persone».
Chiaro, no? L’Europa sceglie di dare un aiuto iniziale ai paesi di prima linea, la Grecia e l’Italia, ma rifiuta che “le quote” (che nessuno chiama ufficialmente così) siano determinate dalla Commissione o da altre istituzioni.
Per questo si impegnano a definirle i governi, con una forma di riallocazione coordinata che assomiglia molto a una “obbligatorietà volontaria”.
In pratica, si scioglie il nodo senza creare un precedente di diktat, e si passa il messaggio che sono gli stati ad avere l’ultima parola e non le istituzioni.
Alla prova dei fatti, il risultato concreto è lo stesso: Italia e Grecia saranno aiutate.
Quello che manca è un impegno vero a ripetere l’operazione in futuro, dunque ad costruire una vera politica dell’Immigrazione comune con regole automatiche in caso di crisi. Per questo, ci vorranno ancora discussioni e parecchio tempo.
Nel testo – che rispecchia l’orientamento del Consiglio Interni di giovedì scorso e che, naturalmente, potrebbe subire modifiche nei prossimi quattro giorni che ci separano dall’ultimo minuto del summit europeo – si chiede anche «la creazione di zone di frontiera e servizi strutturati negli stati in prima linea» con il sostegno attivo di esperti di altre capitali, dell’ufficio per l’Asilo, di Frontex e Europol in modo da «garantire la rapida identificazione, la registrazione e la presa delle impronte digitali dei migranti».
Sono gli “hotspots” in cui va concentrata l’azione di ricevimento, i centri in cui assicurare che le procedure di identificazione e controllo siano complete.
Il governo Renzi ha offerto una sede in Sicilia. Non sarà l’unica, probabilmente.
Ad ogni buon conto, la bozza rileva come il Consiglio approva «la fornitura immediata di assistenza finanziaria rafforzata» a Italia e Grecia per «contribuire ad alleviare i costi per la ricezione e il trattamento delle domande di protezione temporanea».
Oltre a questo, i Ventotto sono chiamati ad accogliere «il principio secondo cui tutti gli Stati membri parteciperanno al reinsediamento di 20.000 sfollati in evidente bisogno di protezione internazionale».
Anche qui cade l’idea, originariamente intavolata dalla Commissione, si stabilire un meccanismo obbligatorio di ripartizione. E anche qui, i governi dovrebbero impegnarsi a decidere loro come distribuirli volontariamente.
Se il vertice europeo adotterà questa linea, il via libera potrebbe venire dalla riunione dei ministri degli Interni Ue in programma a Lussemburgo il 9 luglio.
L’entrata in vigore sarebbe rapida e, per l’Italia, avrebbe effetto retroattivo sino al 15 aprile.
Un passo avanti. Piccolo, ma sempre meglio che niente e, comunque, qualcosa su cui si potrà provare a costruire altro.
Per i tempi di emergenza e magari anche no.
Marco Zatterin
(da “la Stampa”)
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Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
LA CAMPANIA LA REGIONE PIU’ GIOVANE, LA LIGURIA QUELLA PIU’ VECCHIA
I piccoli italiani sono sempre meno e crescono prevalentemente con un solo genitore, spesso senza fratelli e sorelle.
Un quarto degli adolescenti, poi, si sente escluso dallo Stato perchè nota che nessuna istituzione arriva in aiuto della sua famiglia o per trovare un lavoro.
È questo, in sintesi, quanto emerge dalla relazione annuale del Garante nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, presentata al Senato dal presidente Vincenzo Spadafora.
I minorenni calano continuamente di numero: sono poco più di 10 milioni (dati del 2014) e la decrescita continuerà visto che l’anno scorso sono nati soltanto 509mila bambini, il picco più basso mai registrato.
La Campania è la regione più giovane, la Liguria quella più vecchia: il Belpaese sembra refrattario a crescere bimbi, esistono 154 anziani ogni 100 minorenni.
La causa, secondo il Garante, è la mancata stabilità economica di molti giovani che preferiscono attendere un contratto sicuro prima di procreare.
Le italiane hanno un tasso di fecondità molto basso (1,4 figli ciascuna, secondo una media piuttosto crudele) e per gli estensori del rapporto “l’andamento temporale del numero di figli per donna, unitamente al tasso di disoccupazione, sembra confermare che la crisi economica che il Paese sta attraversando a partire dagli ultimi anni potrebbe avere influito sulla decisione di fare figli”.
Quando vengono al mondo, i giovani italiani non sentono di essere particolarmente ben accolti dalla società .
Più del 25% dei minorenni e del 37% dei giovani provano un “senso di esclusione rispetto allo Stato a causa della difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro”.
Il dato è stato raccolto da un un sondaggio svolto da Swg per il Garante dell’infanzia. Tuttavia la sfiducia non è totale: i ragazzi dicono di apprezzare le istituzioni soprattutto quando reprimono il malaffare politico e la corruzione. L’inno di Mameli, poi, piace a tutti.
I minorenni italiani sono comunque sempre più soli, e non in senso esistenziale o lavorativo.
Le loro famiglie sono sempre più “strette” e “lunghe”.
Il 62,4% vivono classicamente con mamma, papà e fratelli. Ma aumentano coloro che crescono soltanto con il padre e la madre (17,9%), o soltanto con la mamma (6,5%). Così, se si osservano le tipologie delle famiglie con bambini e ragazzi con meno di 18 anni, emerge non solo che è ormai dominante per ciascuna di esse il modello del figlio unico ma quasi raddoppiano le famiglie monogenitoriali che passano da 535 mila nel 1999-2000 a 954 mila nel 2013-2014.
Le regioni dove le coppie si fermano a un solo figlio sono soprattutto quelle centrali: Toscana al primo posto, e poi Friulia-Venezia Giulia e il Lazio. In Campania, Sicilia e Veneto invece i ragazzi hanno maggiori possibilità di avere uno o più fratelli
“Le coppie con figli minorenni sono in totale 5 milioni 676 mila, la percentuale di quelle con un solo figlio è il 51,6%, quelle con due il 39,9% e quelle con tre o più l’8,5%. Le coppie non coniugate con minori sono 520mila e presentano una quota di figli unici maggiore rispetto alle coppie coniugate (rispettivamente 66,5% e 50,0%).
Spesso nei divorzi (33,1%) e nelle separazioni (48,7%) sono coinvolti minorenni: nel 2012 hanno visto la famiglia spezzarsi quasi 90mila bambini e ragazzi.
Nella maggior parte dei casi con affido condiviso (89,9%).
Per la crisi economica, molti hanno smesso di vivere con i genitori entrambi occupati: erano il 43,8% nel 2008, oggi sono il 37,7%.
Se la quota della popolazione straniera sul totale dei residenti (italiani e stranieri) è attualmente dell’8,1%, i minorenni rappresentano il 22,1% della popolazione straniera (4.922.085) e l’11% del totale dei minorenni.
Sostanzialmente stabile la quota di minorenni non comunitari presenti in Italia, che è pari al 23,9%; nel 2013 era del 24,1%.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
SONDAGGIO DEMOS: TRA L CATEGORIE CONTRARIE ANZIANI E PERSONE RELIGIOSE
Gli italiani continuano a dividersi, nell’indicare la propria “idea” di famiglia.
Tuttavia, quando si parla di matrimonio gay – la più divisiva tra le questioni in materia – da qualche mese si è verificato un “sorpasso” molto significativo.
Le indagini di Demos lo hanno registrato, per la prima volta, lo scorso autunno.
E l’ultima rilevazione dell’Atlante politico, conclusasi pochi giorni fa, conferma che i favorevoli sono oggi diventati maggioranza.
Con un leggero assestamento verso il basso del dato, rispetto ad ottobre, ma statisticamente irrilevante: il 53% degli intervistati dice “sì” al riconoscimento delle nozze tra persone dello stesso sesso.
Solo due anni fa, l’equilibrio tra favorevoli e contrari era completamente opposto, e i secondi superavano ancora la soglia del 50%.
Ci troviamo di fronte, dunque, a un mutamento rilevante, negli orientamenti dell’opinione pubblica. In un tempo relativamente breve.
Che contrasta con i passi lenti e cauti della politica, impegnata, proprio in questi giorni, a cercare il giusto varco, nel calendario parlamentare, per far avanzare entro l’estate il disegno di legge Cirinnà .
Proposta che riguarda ancora le “unioni civili”, ma estende alle coppie omosessuali alcuni importanti diritti dell’istituto matrimoniale.
In modo coerente con le posizioni assunte, da tempo, dal premier Matteo Renzi, determinato a dribblare gli ostacoli sui quali inciampò il secondo governo Prodi, all’epoca dei Pacs/Dico.
Del resto, al di là dei giudizi di merito, una opposizione sociale formata da oltre quattro persone su dieci “spiega” le esitazioni dei partiti.
Certo, non tutti, all’interno di questo blocco, sposano l’atteggiamento, intransigente e pronto alla mobilitazione, del popolo del Family Day.
Ma il “no” ai diritti Lgbt diventa prevalente in precise categorie sociali.
Netta, in particolare, la relazione di tale orientamento con l’età e la pratica religiosa delle persone interpellate dal sondaggio.
Si schiera a favore appena il 36% dei praticanti assidui.
E il 33% degli over-65 (contro il 75% dei giovani di età compresa fra i 18 e i 26 anni).
A tali considerazioni, va poi aggiunto un elemento politico tutt’altro che trascurabile: la maggioranza registrata nel Paese non coincide con la maggioranza in Parlamento. Anzi, su questa specifica partita, i partner di governo sono su posizioni diametralmente opposte.
Sicuramente lo sono i rispettivi elettorati.
Il 59% di chi vota Pd, infatti, si schiera a favore delle nozze gay.
Un dato superato solo dalle opposizioni dell”altra sinistra” (76%) e del M5s (62%).
Le maggiori resistenze si osservano, per converso, proprio tra gli elettori delle formazioni alleate di Renzi: i centristi di Ncd, Udc e Scelta civica (22%).
Spaccato a metà , infine l’elettorato della Lega e di Forza Italia.
Fabio Bordignon
politilogo Demos
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Giugno 22nd, 2015 Riccardo Fucile
RIMBORSI GONFIATI DI 1,5 MILIONI DI EURO DA 24 ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO, 32 INDAGATI TRA CUI I DIRETTORI DELLA ASL
Ammontano a quasi 1,5 milioni di euro i rimborsi ‘gonfiati’ di 24 associazione di volontariato finite al centro di un’inchiesta della Procura di Brescia che ha fatto luce su una maxi truffa sul trasporto in ambulanza dei dializzati.
Sono 32 gli indagati, i rappresentanti legali delle associazioni, che devono rispondere di truffa aggravata e falsità ideologica, oltre al direttore generale e al direttore sanitario dell’asl di Brescia.
Questi ultimi devono rispondere di abuso d’ufficio perchè “i vertici dell’Asl hanno applicato normative diverse rispetto a quelle stabilite da Regione Lombardia”, come ha spiegato il comandante della guardia di finanza di Brescia, Giuseppe Arbore.
L’inchiesta è nata da un esposto presentato in Procura da un cittadino, vittima di questo sistema.
Sarebbero oltre due milioni i chilometri mai percorsi per i quali le associazioni coinvolte avevano richiesto e ottenuto rimborsi.
La guardia di finanza ha controllato 38.800 bolle di servizio relative al periodo 1 gennaio 2011- 30 giugno 2013 e installato sistemi di gps sulle ambulanze per verificare i percorsi effettuati.
La truffa è ai danni dell’Asl di Brescia e del servizio sanitario regionale: secondo la Procura è stata posta in essere a vantaggio degli enti coinvolti.
(da agenzie)
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