Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
I DOSSIER DI MIGLIORE: “CASTIGLIONE CI STA DENTRO FINO AL COLLO”
È stato quando nel corso dei lavori della commissione d’inchiesta sul sistema d’accoglienza è stato pronunciato il nome di Giuseppe Castiglione che è sceso il gelo. E il Pd ha preso tempo.
Alla richiesta del parlamentare di Sel Erasmo Palazzotto di una immediata audizione del sottosegretario indagato per turbativa d’asta su Cara di Mineo, il presidente Migliore ha risposto stabilendo un iter più lungo.
Prima Pignatone, poi il sottosegretario.
Tempo, perchè attorno allo scandalo di Cara Mineo aleggia un fantasma che fa davvero paura. Quello della crisi di governo.
In molti, nelle stanze che contano del Pd, hanno vissuto come profetiche le parole, minacciose, che Buzzi ha consegnato ai pm: “Mi ci dovete far pensare un attimo… perchè su Mineo casca il governo”.
E ancor più minacciose sono le notizie che arrivano da altri interrogatori. Perchè non ha iniziato a parlare uno qualunque, ma quello che dalle carte emerge come il “genio criminale” di Mafia Capitale, Luca Odevaine.
Su Roma, ma anche sulla vicenda del Cara.
Per questo attorno agli sviluppi dell’inchiesta aleggia un alone di panico. E di insofferenza.
Nel quartier generale renziano il nervosismo è palpabile. Perchè il primo a sapere che la posizione del sottosegretario è imbarazzante è Renzi.
È stato proprio Migliore un paio di settimane fa, dopo che era andato in Sicilia con la sua commissione per una verifica diretta, a consegnare al premier un giudizio assai preoccupante: “Castiglione — questo il senso del ragionamento – ci sta dentro fino al collo”.
Pochi giorni dopo è arrivata la seconda puntata di Mafia Capitale.
Il problema però è che, in questa storia, le responsabilità di Castiglione portano alla “copertura politica” della casella più delicata del governo, quella di Angelino Alfano: “Castiglione — ripetono i renziani — è Alfano. E se salta a quel punto salta Ncd, nel senso che si sfaldano i gruppi e il governo non ha più certezza dei numeri”.
E allora, per capire l’entità della bomba pronta ad esplodere, bisogna mettere in fila gli elementi che emergono, oltre che dalle carte dell’inchiesta, dai “dossier” politici consegnati a Migliore da parecchi che sono stati auditi dalla Commissione nel corso della sua visita siciliana. Che dal Cara di Mineo portano direttamente al titolare del Viminale.
Il sistema Castiglione
Si parte dal “sistema Castiglione”. Un sistema che nasce nel 2011, quando al governo c’era ancora Berlusconi, e ministri erano Maroni all’Interno e Alfano alla Giustizia. Nell’ambito della gestione dei profughi a Mineo viene stabilito un modello “unico” rispetto al resto d’Italia.
Mentre infatti in tutti i Cara italiani (Bari, Crotone) il soggetto attuatore è il viceprefetto vicario del capoluogo di Regione — dunque un funzionario del governo — a Mineo viene indicato non il viceprefetto di Palermo ma il presidente della provincia di Catania. E cioè Castiglione, braccio destro (e sinistro) di Alfano in Sicilia e presidente dell’Upi (unione province italiane) ruolo che gli consente di indicare Odevaine al tavolo del ministero che gestisce i flussi dei profughi.
L’unicum prosegue anche successivamente.
Perchè Castiglione resta “soggetto attuatore” anche quando non ricopre più la carica di presidente della Provincia, in una fase di transizione.
Fase in cui si procede per affidamenti diretti a quelle imprese, come “La Cascina global service”, che poi si ritrovano nell’inchiesta di Mafia Capitale e i cui manager sono finiti in carcere.
La terza tappa del “sistema” Castiglione, esempio di come a Mineo le regole si piegano al potere, è quando si arriva alla Gara d’Appalto di 100 milioni.
Anche in questo caso un unicum, rispetto al resto d’Italia.
Nel feudo siciliano del partito del ministro dell’Interno, dove raggiunge percentuali del 40 per cento un partito che su scala nazionale prende il tre per cento, accade questo: mentre in tutti i Cara d’Italia le gare d’Appalto le indice la prefettura, a Mineo viene inventato un nuovo soggetto istituzionale, il Consorzio Calatino Terre di Accoglienza, un consorzio dei comuni della zona.
E viene stabilito un regime di “convenzione” della prefettura col Consorzio per la gara d’appalto. E questo è uno snodo cruciale nel business. Perchè la convenzione, ad esempio, prevede un costo per lo Stato.
Nella convenzione è previsto che il Consorzio riceva 40 centesimi al giorno ad immigrato (dallo Stato, ovviamente senza gara) il che in tre anni corrisponde a una cifra attorno al milione e mezzo di euro, su cui la Corte dei Conti ha sollevato più di un interrogativo.
Perchè è chiaro che il sistema della “convenzione” determina un incremento dei costi per la pubblica amministrazione.
Prima ancora che penale è tutta politica la responsabilità di Castiglione che a fronte di un fiume di denaro che arriva sul Cara di Mineo non ha mai risposto sul fatto che numerose inchieste giornalistiche (e non solo) hanno documentato che gli immigrati, di fatto, si trovano in una fogna.
E Castiglione del Consorzio è stato presidente, nella fase transitoria, per poi passare la mano ad Anna Aloisi, sindaco Ncd di Mineo, feudo di Ncd.
La prefettura, che dipende dal Viminale, ha giustificato la “convenzione” dicendo che — essendo il centro di Mineo molto grande – si rende necessario chiedere il Coinvolgimento dei comuni perchè hanno il personale necessario (geometra, ingegnere, giardiniere…).
Nella pratica, però, come in parecchi hanno raccontato a Migliore, non è mai stato utilizzato il personale dei comuni consorziati.
Castiglione e Odevaine
E non solo il personale dei Comuni non viene utilizzato, ma sulla madre di tutte le gare, quella dei cento milioni di euro, arrivano i rinforzi.
E viene assunto proprio Luca Odevaine. Un’operazione, anche questa, condotta dagli uomini di Castiglione.
Ecco cosa succede: prima della gara il direttore generale del Consorzio Calatino, Giovanni Ferrera (già dirigente della Provincia di Catania ai tempi di Castiglione e suo uomo di fiducia) determina una modifica della dotazione organizzativa del Consorzio introducendo una nuova figura: “l’esperto di finanziamenti europei”. Incarico affidato a Luca Odevaine, prima come consulente esterno poi assunto dal consorzio.
È una casella fortemente voluta dall’uomo di fiducia di Castiglione. Che fa di tutto per far assumere Odevaine.
In un dossier consegnato a Migliore nel corso delle audizioni in Sicilia è scritto: “Prima dell’assunzione, il consiglio di amministrazione del Consorzio chiese, in una delibera, che il direttore generale verificasse se vi fossero figure professionali idonee allo scopo tra i funzionari dei comuni consorziati per poi riferire al medesimo cda che in ultima istanza si era riservato la facoltà di esprimere l’assenso sull’assunzione. L’assunzione in questione, invece, venne disposta senza un nuovo passaggio nel cda e tale modo di procedere risulta del tutto inspiegabile.
Ciò vieppiù ove si consideri che tale forzatura è stata perpetrata pochi giorni prima della nomina della commissione della gara d’appalto necessaria all’individuazione del soggetto gestore del centro e subito dopo la sua assunzione, Odevaine è stato nominato membro di tale commissione”.
Dunque Odevaine, su volere dei colonnelli di Castiglione, viene assunto non perchè esperto di fondi europei, ma perchè esperto di immigrazione.
Da assunto e da componente del tavolo tecnico presso il ministero degli Interni che gestiva i flussi dei migranti è inserito nella commissione di gara che avrebbe dovuto aggiudicare un servizio di circa 100 milioni di euro.
La gara d’appalto “illegittima”, lo scontro con Cantone e il silenzio di Alfano
È chiaro che su questi presupposti la gara è vinta, come è scritto nell’ordinanza, dalle società che la dovevano vincere.
Fondamentale pare essere stato il contatto tra Odevaine e Castiglione.
Nella carte si legge un episodio illuminante.
Parlando con Stefano Bravo, il suo commercialista, Odevaine racconta: “Giuseppe Castiglione… quando io ero andato giù… mi è venuto a prendere lui all’aeroporto, mi ha portato a pranzo… arriviamo al tavolo… c’era un’altra sedia vuota… dico eh chi?… e praticamente arrivai a capì che quello che veniva a pranzo con noi era quello che avrebbe dovuto vincere la gara”. È quando dopo la gara entra in campo Cantone che si manifesta in tutta la sua solidità il legame strettissimo tra Castiglione e il ministro dell’Interno.
Il 25 febbraio 2015 Cantone firma un parere sulla gara vinta dal Consorzio comprendente la Cascina: “illegittima” perchè “in contrasto con i principi di concorrenza, proporzionalità , trasparenza, imparzialità e economicità ”.
Parole che lasciano indifferenti la Aloisi, presidente del Consorzio, il direttore generale Ferrera, ovvero i Castiglione boys, e lasciano indifferenti anche Castiglione e il ministro dell’Interno Alfano.
Anzi, accade che il prefetto Mario Morcone, che ha un rapporto stretto col ministro dell’Interno, dice davanti ai parlamentari del comitato Schengen: “Ho qualche dubbio sulla decisione del presidente Cantone”. A quel punto i Castiglione boys, il 13 aprile, chiedono a Cantone il riesame del parere.
Cantone il 6 maggio risponde che la gara è illegittima, ma nonostante questo Ferrera firma e pubblica la determina perchè l’Anticorruzione ha solo parere consultivo.
Ecco che il 27 maggio Cantone scrive ad Alfano una lettera, come documentato dal Fatto che l’ha pubblicata.
Le domande ad Alfano che fanno tremare il governo
Ed è a questo punto, dopo la seconda retata di inizio giugno che il caso diventa una bomba per il governo.
Perchè, è la tesi di Migliore, “Castiglione c’è dentro fino al collo”, ma pure Alfano non può dirsi estraneo alla gestione politica della vicenda.
Perchè il ministro dell’Interno non può non rispondere a poche, semplici, domande. 1) Perchè tra gli arresti di Mafia Capitale 1 e Mafia Capitale 2, non spiega che a Cara di Mineo è stato creato un sistema unico, sin dall’inizio, teso a garantire un sistema di potere? 2) Perchè Alfano non spiega il perchè il Viminale fa, per tramite della prefettura, una convenzione che porta ad aumentare le spese? 3) E perchè Alfano non spiega come mai, dopo Mafia Capitale 1, e preso atto che Odevaine (arrestato) era componente della Commissione che ha aggiudicato la gara, non ha fatto alcun atto a Cara di Mineo, tipo ispezioni e controlli? 4) E perchè il ministro dell’Interno resta silente dopo che Cantone dice che la gara è illegittima? 5) E perchè non risponde alla lettera del 27 maggio di Cantone, che in sostanza chiede: che cosa ne pensa il ministro dell’Interno dell’appalto di Mineo per il quale Odevaine pretendeva mazzette di 10-20mila euro mensili, dai manager della Cascina grazie a una gara “illegittima”? 6) È possibile che al Viminale nessun funzionario lo avesse informato del ruolo di Odevaine? 7) Si sente di escludere quello che Odevaine dice nelle intercettazioni e cioè che il “sistema Castiglione” al Cara di Mineo serviva a finanziare il suo partito? 8 ) E sarebbe pronto a dire che, se fosse arrivato un solo euro direttamente o indirettamente al suo partito da “La Cascina” sarebbe pronto a dimettersi?
È in queste domande, oltre che nella posizione processuale di Castiglione, la bomba sotto il governo: “Se salta Castiglione — ripetono i bel informati – salta Ncd e al Senato si balla. E soprattutto la valanga stavolta rischia di travolgere Alfano”.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Alfano | Commenta »
Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
TEMPI DURI PER LA SELEZIONE DEL CARROCCIO, DOPO I TAGLI AI FONDI… A DEBRECEN LA RUSPA POTREBBE SUBIRLA DAI ROM
Agli Europei di calcio ConIfa (la federazione calcistica cui sono affiliati gli stati non riconosciuti, le minoranze etniche e linguistiche e i popoli senza stato) che si terranno a Debrecen, in Ungheria, dal 17 al 21 giugno la nazionale dell’immaginario territorio padano è stata inserita nel girone con Abkhazia, Isola di Mann e Rom.
La partita inaugurale sarà proprio tra Nazionale della Padania e la Nazionale dei Rom: una nemesi storica per la squadra il cui politico di riferimento Matteo Salvini non manca ogni giorno di insultare Rom e Sinti.
Per non parlare della mitologia delle ruspe con cui vorrebbe radere al suolo i loro insediamenti.
Il team manager della squadra Fabio Cerini tiene a precisare come la squadra non sia più affiliata al partito.
“Dopo la bufera della Lega e l’abbandono della famiglia Bossi la Nazionale della Padania è stata ricostruita da un gruppo di tifosi — continua Cerini -, ovvero da me, Alberto Rischio (direttore europeo della ConIfa, che sul sito del club è definito libero professionista ndr.), Ivan Orsi (gerente del Centro Sportivo, ndr.) e John Motta (che appare come Business Development Manager Oil&Gas per la Russia, en passant grande sostenitrice della Lega Nord ndr.), facciamo tutto da soli con l’aiuto degli sponsor, per la trasferta di Debrecen il budget è di 7mila euro”.
Finiti i tempi delle vacche grasse per la squadra che serviva a Renzo Bossi, che ne era team manager, per alimentare le sue manie di grandezza: non si badava a spese (la spedizione in Lapponia per i mondiali del 2008 costò almeno 100mila euro) per convincere ex giocatori di Serie A come Ganz, Piovani e i fratelli Cossato a farne parte, e per vincere così tre Mondiali su tre partecipazioni.
La squadra non chiedeva da dove venissero i soldi e i rimborsi spese, il Trota alloggiava in meravigliosi castelli da mille e una notte, tra saune e tappeti rossi.
Ma nonostante quei tempi siano lontani, i legami con la Lega Nord non sembrano recisi del tutto.
I dirigenti sono tutti sostenitori del Carroccio, il team manager Cerini dice di averla votata e i profili social degli altri dimostrano lo stesso.
E anche il segretario della Lega Matteo Salvini ha dichiarato: “Non ha più senso finanziare la nazionale di calcio, che è una roba da pirla”.
Quindi Cerini, come la mettiamo? “Non so come abbia potuto fare questa dichiarazione, nè quest’anno nè lo scorso abbiamo ricevuto finanziamenti, si sarà sbagliato: la Asd Padania Fa è totalmente indipendente”.
In squadra, convocato per il torneo europeo di Debrecen insieme a Enoch Balotelli, c’è pure Riccardo Grittini, che si dimise da assessore allo sport (leghista) del Comune di Corbetta dopo che fu indagato.
Luca Pisapia
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: LegaNord | Commenta »
Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
IL 44% DEGLI ITALIANI PENSA CHE GLI IMMIGRATI SIANO TROPPI, MA QUANDO VENGONO INFORMATI SUI NUMERI REALI LA PERCENTUALE SCENDE AL 22%
Quanti sono gli immigrati in Liguria? Il 10 , il 20, il 30% della popolazione totale? Quanti gli irregolari: più o meno della metà ? Quanti delinquono: due su tre, uno su quattro? Quanti sono i profughi nelle nostre strutture di accoglienza: più o meno di 10mila?
Sono domande facili alle quali molti lettori risponderebbero sbagliando per eccesso, e non per colpa loro.
Per tutta la campagna elettorale il centrodestra ha ingigantito un fenomeno certo preoccupante, ma molto più contenuto rispetto ad altre regioni italiane (la Liguria è dodicesima) e soprattutto ad altri Paesi europei.
Il risultato è che il panico da invasione ha travolto anche molti elettori di centrosinistra e che la minaccia di Roberto Maroni di tagliare i fondi ai Comuni disposti ad accogliere migranti ha trovato insospettabili sostenitori.
In questo clima non serve a molto ricordare che
1. Le Regioni non hanno competenza in materia.
2. La competenza è del governo, che la esercita attraverso i prefetti, ai quali fanno capo i sindaci.
3. La reazione di Maroni, Zaia e Toti rende più difficile la vita al governo, che a fine mese, al tavolo del Consiglio europeo, cercherà di convincere i partner dell’Ue a redistribuire le quote di profughi.
Il primo passo per affrontare il problema è conoscerlo.
Secondo una ricerca di Transatlantic Trends, il 44% degli italiani ritiene che gli immigrati siano troppi.
Ma se la domanda viene fatta dopo aver svelato le cifre reali dell’immigrazione, la stessa risposta crolla al 22%.
In Svezia e in Germania, i Paesi europei con più immigrati, la forbice fra apocalittici disinformati e scontenti consapevoli rimane compresa fra il 17 e il 21%.
Dopo i greci, gli italiani sono i più preoccupati dalla presenza di stranieri (76%). I tedeschi si fermano al 51, gli svedesi al 27.
Queste cifre sono una risposta alla lettera che lo storico Antonio Gibelli ha scritto a caldo sul Secolo XIX di ieri dopo aver sentito le dichiarazioni di Maroni e Toti.
Da uomo di sinistra, impegnato in mille battaglie sociali, Gibelli parla di omissione di soccorso.
No, professore, quella di Maroni è solo disinformazione.
Da ministro dell’Interno, fu lui a decidere le quote che ora, governatore di una Regione con 1,3 milioni di immigrati, contesta per convenienza politica.
Ma non bastano le nobili invettive e la statistica a placare le ansie di un popolo fiaccato da sette anni di crisi, che dopo aver sfruttato in nero gli stranieri per tenere puliti i nostri vecchi e le nostre case, mandare avanti a basso costo imprese e negozietti e favorirci con la loro invisibilità fiscale e previdenziale, ha deciso che sono troppi e che fanno paura.
Non aiuta a risolvere il problema una sinistra che ignora il sentimento popolare.
Il sindaco di Genova Marco Doria, che si indigna nobilmente in nome della solidarietà , dovrebbe spiegare perchè ha affidato al solo assessore alla Legalità la trincea del mercatino abusivo di Genova, un piccolo grande scandalo che rischia di consegnare al centrodestra anche il Comune.
Bisognava affrontarlo facendo rispettare le regole della concorrenza leale, senza attenuanti.
Che c’entra che i venditori abusivi sono disagiati? Dobbiamo difendere gli ambulanti regolari, che non sono certo una casta di privilegiati.
È con queste disattenzioni che si alimenta il pregiudizio razziale anche in chi non lo ha mai praticato, è qui che si perde la battaglia di civiltà contro il lepenismo strisciante di una regione accogliente, ma non troppo.
P. S. Ecco le risposte alle domande iniziali: gli immigrati in Liguria sono l’8,7% dei residenti, gli irregolari sono il 20% degli stranieri, uno su 200 finisce in carcere, i profughi arrivati finora sono 2.000 e ne sono rimasti 910, lo 0,05% dei liguri.
Alessandro Cassinis
(da “il Secolo XIX”)
argomento: denuncia | Commenta »
Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
FA COMODO SCARICARE SUL MERIDIONE I COSTI SOCIALI DELLA SOLIDARIETA’ CHE IL NORD IGNORA
Il rifiuto dei governatori delle Regioni del Nord ad accogliere anche un solo immigrato in più, la minaccia di Maroni di punire i Comuni (oggi rientrata) non possono essere accantonate come un atto del conflitto maggioranza-opposizione e di quello interno al centrodestra.
È un vero e proprio atto di insurrezione, una secessione vissuta con tanto più gusto in quanto lascia il Sud, luogo di approdo dei migranti che vengono dal mare, a sbrogliarsela da solo.
Non si tratta più di bruciare bandiere o di inveire contro Roma ladrona (anche perchè si è scoperto che il ladrocinio non ha frontiere nè geografiche nè ideologico-partitiche).
È l’annuncio di una disobbedienza sistematica, condita di minacce – illegali – a chi non si adegua.
Qualsiasi privato cittadino chiamasse all’insurrezione verrebbe immediatamente denunciato.
Si può lasciar passare senza sanzioni che lo facciano dei governatori di Regione, incluso un ex ministro dell’Interno che chiede di disobbedire oggi a una norma che ha fatto ieri?
In un’Italia sempre più frantumata nella difesa di diritti e interessi categoriali, sempre più impaurita da una crisi troppo lunga di cui, specie i ceti più modesti non vedono una via di uscita a tempi brevi, i flussi migratori incontrollati offrono il capro espiatorio perfetto.
Lasciare che chi ha responsabilità di governo utilizzi questo capro espiatorio non solo per soffiare sulla xenofobia, ma anche per rompere il patto di solidarietà territoriale che costituisce l’Italia in una nazione, è doppiamente pericoloso.
Sia chiaro, i numeri di chi viene soccorso in mare e viene sbarcato sulle nostre coste – al di là delle importanti distinzioni tra profughi, richiedenti asilo e migranti economici – è davvero impressionante e pone problemi seri e per certi versi inediti.
È una emergenza, non perchè fosse del tutto imprevista, al contrario, stante il permanere e l’incancrenirsi delle cause che inducono migliaia di persone a lasciare il loro Paese.
È una emergenza perchè poco o nulla si è fatto sia per modificare le situazioni di partenza, sia per attrezzarsi a fronteggiare il flusso degli arrivi.
La solidarietà dell’Europa è vergognosamente latitante e finora si manifesta nel paradosso delle navi inglesi che collaborano sì al salvataggio in mare, ma si lavano immediatamente le mani di chi raccolgono portando il loro carico nel più vicino porto greco o italiano.
Anche lo striminzito accordo per redistribuire ventiquattromila dei potenziali rifugiati ora presenti in Italia tra i diversi Paesi è stato sconfessato dal rifiuto di molti Paesi di accoglierne qualcuno.
L’Europa così pronta ad imporre le proprie regole draconiane di austerity a Italia e Grecia, poco o nulla si interessa di come questi due Paesi possano fare fronte alla necessità di alloggiare, nutrire, offrire conforto alle migliaia che ogni giorno arrivano sulle loro coste.
Certo non aiuta a chiedere maggiore solidarietà , in Europa e in Italia, scoprire che i finanziamenti – inclusi quelli europei – dati a questo scopo sono in larga misura finiti nelle tasche di faccendieri rapaci, che, come gli scafisti, hanno fatto della migrazione e del sostegno ai disperati un business che lascia ai destinatari solo briciole condite da inciviltà .
Ma è paradossale che a pagare il prezzo di questa sfiducia siano proprio le vittime del malaffare. Ed è ancora più paradossale che i tre governatori motivino il proprio rifiuto di accoglienza anche con quello ricevuto dall’Europa.
Dato che il governo non è riuscito ad ottenere solidarietà dall’Europa, le regioni del Nord destro-leghista la rifiutano a loro volta, confermando il cinico scarica barile dal Nord al Sud, da chi può permettersi di rifiutare (ma Germania, Inghilterra e Francia hanno molti più richiedenti asilo di quanti non ne abbiano in proporzione Lombardia e, soprattutto Veneto e Liguria) a chi non può farlo, salvo ributtare a mare chi arriva sulle sue coste
La Sicilia, dove abita solo l’8,4% della popolazione residente, ospita nelle varie strutture di prima accoglienza il 22% dei migranti.
La Lombardia, con il doppio dei residenti, ne ospita solo il 9%, poco più della Campania, che però ha solo il 9,7% dei residenti, e molto meno del Lazio, che con il suo 9,7% di residenti accoglie nei centri il 12% dei migranti.
Il Veneto, con l’8,7% dei residenti, ospita nei suoi centri il 4% dei migranti, mentre la Liguria ha un rapporto quasi alla pari: 2,6% di residenti, 2% di immigrati nei centri di prima accoglienza. Saremmo un po’ più forti nelle nostre negoziazioni con l’Europa se il nostro record amministrativo nella gestione dei fondi per l’emergenza migranti fosse un po’ più specchiato, le condizioni dei centri di accoglienza più civili, la solidarietà territoriale interna più salda e visibile. Affrontare questa drammatica emergenza umana, prima che organizzativa, all’ombra di discorsi xenofobici e minacce secessioniste favorisce solo il malaffare, non certo la ricerca, difficile, di soluzioni praticabili nell’immediato e nel medio periodo.
Chiara Saraceno
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »
Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
EX MINATORE MINACCIATO DI ESPULSIONE PERCHE’ POTREBBE DIVENTARE UN PESO
Vito Sabia dal 1967 si trova in Belgio, dove la sua famiglia si è trasferita da Potenza, ma dopo anni di lavoro è stato minacciato di espulsione perchè ritenuto “troppo povero” dalle autorità belghe.
Fino all’inizio degli anni ’90, come racconta Il Fatto Quotidiano, ha lavorato come minatore nella zona del Limburgo, una regione al confine con l’Olanda.
Il 14 maggio scorso però l’ufficio immigrazione di Bruxelles gli ha notificato un mandato di espulsione perchè la sua condizione economica potrebbe diventare un peso a carico del sistema di sicurezza sociale belga.
Eppure la sua pensione è di circa 1600 euro netti, con cui però ha dovuto pagare gli alimenti ai 5 figli nati dalla prima moglie.
La storia di Vito, racconta Il Fatto Quotidiano, si intreccia con le sue dinamiche familiari.
Nel 2009 si risposa con Andrea, una donna rumena da cui avrà un’altra figlia, e decide di stabilirsi in Romania con lei.
“Ad agosto 2014 ricevo un foglio dell’ufficio pensioni belga che mi notifica come mi sarebbe stata tolta la pensione”.
Infatti i figli della prima moglie, benchè ormai maggiorenni, si sono rivolti al giudice di pace belga per chiedere aiuto economico al padre.
“Così ho preso la macchina e sono rientrato a Genk (la città del Limburgo vicino a cui Vito vive) per risolvere la situazione”.
Fino a novembre l’ex minatore rimane senza soldi, aiutato solo dagli amici.
Finchè arriva la decisione delle autorità che gli comunicano che dalla sua pensione sarebbero stati tolti circa 500 euro. Così, precisa Il Fatto Quotidiano, la sua pensione arriva a malapena a 1100 euro.
Troppo povero per non essere un peso per il welfare?
Ma come, se hanno deciso che posso pagarmi l’avvocato privato?”, protesta.
L’ex minatore si è fatto sentire e la sua storia è arrivata all’attenzione di quotidiani e televisioni delle Fiandre.
“Le autorità belghe hanno ammesso essersi trattato di un errore”, ha infine spiegato l’ambasciatore italiano a Bruxelles Alfredo Bastianelli.
In sostanza hanno considerato Sabia un “nuovo residente” dopo gli anni in Romania, costretto quindi a dover dimostrare le sue fonti di reddito per poter restare nel Paese.
Eppure, come spiega l’attivista Lara Ciabattoni che fa parte della piattaforma anti-espulsioni EU for People, casi come quello di Vito sono stati tanti negli ultimi anni. Spiega a Il Fatto Quotidiano: “Succede a chi magari ha perso il lavoro, o chi lo cerca per più di tre mesi e si ritrova momentaneamente senza reddito”.
Così si esce dalla protezione sociael e si diventa di fatto sans-pepiers cittadini di serie B senza diritti, nonostante si tratti di europei.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »
Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
MARONI INVITA I PREFETTI ALLA VIOLAZIONE DI LEGGE, MA NON LO CAGA NESSUNO…. IL GABIBBO BIANCO IN LIGURIA, DIVENTATO UN SERVO PADAGNO, TROVA TUTTI I COMUNI CONTRO
Doveve essere la giornata della insurrezione leghista contro i profughi che stavolta non sono riusciti a far affogare come in passato.
E’ finita con l’occupazione non delle Prefetture, altrimenti prendevano due calci in culo e una denuncia, ma con quella delle linee telefoniche (ammesso che qualche coglione abbia telefonato).
Cacasotto Salvini, esperto in fughe e nel lanciare il sasso e nascondere la mano, ha invitato (gli altri, ovvio) a chiamare le Prefetture per protestare.
“Se i prefetti cercano casa per migliaia di clandestini allora “facciamogli sentire cosa ne pensiamo!”.
Al post correla la lista dei numeri di telefono delle varie prefetture.
L’eroe della padagna del magna magna ulula “armiamoci e partite”, anzi state a casa e telefonate, così si cambia l’Italia.
E ancora “una telefonata costa poco, se ne arrivano tante almeno capiscono che la gente si è rotta le balle”.
Alla fine i coglioni che hanno telefonato sono ben pochi e la rivoluzione via Telecom è fallita.
In mattinata Maroni aveva poi scritto ai prefetti: “Sospendere le assegnazioni in Lombardia”, invitandoli a violare la legge (ma in Italia ai padagni è tutto consentito).
Beccandosi la risposta di Claudio Palomba, presidente del Sinpref, associazione sindacale dei funzionari prefettizi: “i prefetti della Lombardia non rispondono certo al governatore. È una materia di competenza dello Stato per cui bisogna attenersi alle direttive che arrivano dal ministero dell’Interno e dal governo. La nostra è una posizione chiara e netta, il nostro rapporto giuridico e funzionale non può essere con i singoli amministratori: in presenza di un invio, siamo tenuti a provvedere alla sistemazione”.
Alla fine della giornata in cui non li ha cagati nessuno, arriva anche il Gabibbo Bianco Toti, governatore ligure per caso che ripete la lezioncina leghista (di cui ormai ha la tessera ad honorem): non fa in tempo a sparlare che tutti i comuni liguri si schierano per l’accoglienza dei profughi.
I pataccari leghisti ripiegano: dovevano occupare le prefetture, hanno forse occupato qualche linea telefonica.
Lunga vita ai profughi veri che fuggono dalla guerre, non ai clandestini padagni e ai loro servi.
argomento: LegaNord | Commenta »
Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
STRANE ASSENZE DI NCD E IL VOTO DI MAURO DETERMINANTI
Governo battuto sul parere di costituzionalità alla riforma della scuola.
Con 10 voti contrari e 10 favoreli il parere in commissione Affari Costituzionali del Senato non passa per il “voto determinante” di Mario Mauro senatore di Gal che nei giorni scorsi ha annunciato l’uscita dalla maggioranza.
“Da un punto di vista costituzionale la riforma della buona scuola è scritta male – osserva Mauro – pertanto fermiamoci e riscriviamola meglio”.
Secondo quanto si apprende, la presidente della commissione Anna Finocchiaro avrebbe votato “si” (per prassi i presidenti di commissione di solito non votano) e il Pd avrebbe votato compatto a favore.
Sarebbero invece mancati i voti dei senatori di Ncd, assenti, oltre a quello di Mario Mauro.
“Il Pd era rappresentato in Commissione Affari costituzionali da tutti i suoi componenti, che si sono espressi in maniera positiva sul parere da esprimere. E’ evidente che mancavano rappresentanti delle altre forze politiche di maggioranza. Si tratta a nostro parere, comunque, di un infortunio che non pregiudica in alcun modo il percorso della riforma della scuola a Palazzo Madama” dice la senatrice Doris Lo Moro, capogruppo del Pd nella Commissione Affari costituzionali.
“E’ la prima battuta d’arresto – sottolinea in una nota Loredana De Petris del gruppo Misto-Sel al Senato – per una riforma che non piace a nessuno dei soggetti coinvolti ma che Renzi vuole imporre a tutti i costi. E’ ora che il governo si decida a discutere le sue scelte e a correggere i suoi errori in un democratico confronto con il parlamento. Noi continueremo la nostra battaglia in Parlamento e nel paese per battere questa riforma pessima e dannosa per tutti”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: scuola | Commenta »
Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
“ABBIAMO SOFFERTO PIU’ DI TUTTI”
Premier greco da appena quattro mesi, eletto all’insegna del rifiuto dell’austerity, Alexis Tsipras è il campione della nuova sinistra europea che contesta liberismo, privatizzazioni, impoverimento della classe media, riduzione dello Stato sociale e dei diritti sindacali. Per lui sono tutte conseguenze delle ricette economiche sin qui seguite per ordine delle autorità comunitarie e che, per salvare la Grecia e l’Europa vanno ribaltate. Come?
Lo spiega in questa intervista esclusiva al «Corriere della Sera».
Presidente Tsipras, mercoledì incontrerà Merkel e il presidente francese Hollande. La Cancelliera ha detto che «tutti stanno lavorando intensamente, ma non resta molto tempo». Eppure da settimane il team greco sfoggia ottimismo, la controparte no. Che cosa intende proporre di diverso per arrivare a un compromesso?
«Credo che domani la discussione entrerà nel merito dei progressi raggiunti. Definiremo dei tempi chiari per l’accordo. Noi abbiamo presentato un testo completo che include il terreno comune individuato delle trattative tecniche al Bruxelles Group. Lavoreremo per annullare le distanze sulle finanze statali, portando delle proposte alternative lì dove vi sono delle richieste illogiche e non accettabili. Tutto ciò, tuttavia, avrà senso se anche da parte delle istituzioni vi sarà la volontà di trovare soluzioni serie sulla sostenibilità del debito. Vogliamo porre definitivamente termine a questa orrenda discussione sul Grexit che rappresenta da anni un freno alla stabilità economica in Europa. Non che il problema sia riciclato ogni sei mesi».
Quali sono le misure che i creditori hanno già accettato e quelle che state ancora discutendo?
«Penso che siamo molto vicini ad un accordo sull’avanzo primario per i prossimi anni. Basta che ci sia un atteggiamento positivo sulle proposte alternative al taglio delle pensioni o all’imposizione di misure recessive. Il nostro obiettivo è che le misure contengano l’elemento della redistribuzione e della giustizia sociale. La cosa più importante è trovare un accordo, non solo su come chiudere il programma di assistenza al debito greco, ma anche sull’alba del nuovo giorno, cioè su come la Grecia tornerà il prima possibile sui mercati con una economia competitiva. Un ruolo centrale ha la soluzione del problema finanziario a breve termine. Ci sono soluzioni tecniche che possono evitare un terzo programma di aiuti e contemporaneamente fornire una prospettiva sostenibile a medio termine per quel che riguarda la restituzione del debito, così da riportare la Grecia nuovamente sui mercati più velocemente di quanto possiate immaginare».
Perchè alle tre istituzioni, Fmi, Commissione europea e Banca centrale europea, non piacciono le vostre proposte?
«Non credo che non piacciano. Il problema è che alcuni sono restii a riconoscere che le riforme greche del quinquennio passato sono fallite, perchè questo comporterebbe un costo. L’Europa e le Istituzioni devono riconoscere che l’austerità è fallita. Non è una decisione facile, dobbiamo pensare però al costo economico di una crisi perpetua o, peggio ancora, al costo storico di un fallimento».
Cosa, invece, non vi è piaciuto della proposta delle istituzioni?
«Quella proposta è stata infelice ma in una trattativa succede. Ci dispiace il fatto che non riflettesse affatto gli accordi già raggiunti nei negoziati nel Bruxelles Group. Non possiamo proseguire un programma che è chiaramente fallito. Non è possibile che ci si chieda di applicare misure che nessuno ha applicato in Europa, o che si esiga dalla Grecia di muoversi come se non ci fossero state quattro mesi fa, elezioni che hanno cambiato il governo. È una questione di principio, ma anche di sostanza. Dopo 5 anni di austerità è inconcepibile che ci venga richiesto di abolire le pensioni più basse e i sussidi che riguardano i cittadini più poveri. O di aumentare del 10% il costo dell’energia elettrica per le famiglie, in un Paese nel quale migliaia di persone non hanno accesso all’elettricità . Di abolire il sussidio per il riscaldamento mentre si muore dal freddo. Sono delle proposte che non possiamo accettare non solo perchè si pongono al di fuori del mandato popolare che abbiamo ricevuto, ma perchè se le accettassimo assesteremmo un colpo durissimo all’Europa della democrazia e della solidarietà sociale alla quale, alcuni di noi, continuano a credere con passione».
L’austerità è stata applicata in molti Paesi europei. Perchè la Grecia deve essere differente?
«La differenza è che in Grecia l’austerità è stata attuata con una brutalità mai vista e ha portato a conseguenza economiche e sociali rovinose. Questo appare chiaramente anche come si è ridisegnato il Paese negli ultimi anni. Disoccupazione dal 12 al 27% in tre anni, Pil sceso del 25%, sulle classi medie e su quelle più povere della società è gravato un peso fiscale enorme, con la crisi umanitaria i senza tetto e coloro che vivono ai margini della società sono aumentati ogni giorno. Basta guardare i programmi di Irlanda e Portogallo per capire che si tratta di paragoni “infelici”. Nessuno ha sofferto quanto la Grecia».
Tutta la rinegoziazione del debito greco è stata caratterizzata dallo scontro tra i sostenitori dell’austerity e chi crede negli stimoli alla crescita. Solo una questione di teoria economica o sfida politica?
«Le teorie economiche vengono costruite per sostenere specifici interessi sociali. Ed è per questo che non esiste una scuola economica unica, ma molte. Basta confrontare gli indicatori di disuguaglianza sociale della Grecia e dell’Europa prima e dopo la grande crisi del 2008. Le ricette attuate miravano alla riduzione del costo del lavoro, ma anche alla deregolamentazione del mercato del lavoro con l’obiettivo di creare incentivi per maggiori profitti, per aumentare gli investimenti. La grande promessa era che lo sviluppo si sarebbe allargato a tutta la società . Purtroppo non ha funzionato. È una ricetta che fallisce costantemente e ovunque nel corso degli ultimi 30 anni».
In caso di Grexit l’Europa scricchiolerebbe sia dal punto di vista economico che geopolitico. Per voi è un vantaggio negoziale. Ma è giusto che i contribuenti europei paghino un fallimento economico?
«Non vogliamo mettere paura o ricattare. Sappiamo che anche altri affrontano difficoltà e contemporaneamente mostrano solidarietà . D’altra parte la Grecia resta uno Stato sovrano che ha l’obbligo di fronte ai suoi cittadini e alla comunità internazionale di discutere con tutti la stabilità economica e geopolitica. Voglio essere chiaro. La Grecia iceve prestiti. Nessuno le regala dei soldi. Secondo l Parlamento tedesco, la Grmania ha gudagnato 360 milioni di euro dai prestiti che ci a concesso».
Il fallimento della Grecia sarebbe anche il fallimento dell’euro?
«Penso sia evidente. Sarebbe l’inizio della fine ell’eurozona. Se la leadership politica europea on può gestire un problema come quello della Grecia che rappresenta il 2% della sua economia, quale sarà la reazione el mercati per Paesi che affrontano problemi molto più grandi, come la Spagna o l’Italia che ha un debito pubblico di 2 mila miliardi? Se la Grecia fallisce i mercati andranno subito a cercare il prossimo. Se dovesse fallire la trattativa, il costo per i contribuenti europei sarà enorme. È per questo che sono profondamente convinto che ciò non convenga a nessuno. Lo dico per far comprendere che il mio governo non tratta egoisticamente. Al contrario. Se la Grecia otterrà qualcosa di buono da questa trattativa — ad esempio minore austerità — la strada si aprirà per tutti. Per questo, specialmente i Paesi del Sud, dovrebbero appoggiare la posizione greca nel loro proprio interesse».
Per Matteo Renzi è impensabile che gli italiani paghino le baby pensioni ai greci.
«Parlerò con Matteo e gli spiegherò che su questo punto ha sbagliato. Sulle baby-pensioni ci siamo impegnati ad abolirle. Tuttavia, i paragoni sono fuori luogo. La Grecia in 5 anni ha ridotto le pensioni fino al 44%, ridotto gli stipendi nel settore privato fino al 32%, distrutto il suo mercato del lavoro, demolito lo Stato sociale, salassato fiscalmente dipendenti e classe media, raggiunto 1 milione e mezzo di disoccupati su una popolazione attiva di 6 milioni».
Come esce la Grecia dalla crisi?
«Il problema centrale è che l’intero peso della crisi è ricaduto sui poveri e sulla classe media. Quello che ci saremmo aspettati dai nostri partner era la possibilità di sfruttare il fatto che in Grecia c’è finalmente un governo pronto a scontrarsi che l’oligarchia economica e che ci aiutassero a combattere l’evasione fiscale, il contrabbando e il lavoro nero. Siamo gli unici a poter fare queste riforme. Solo così l’Europa potrà rilegittimarsi agli occhi dei cittadini europei, ma anche dei greci. È la grande sfida dell’Europa e della Grecia».
Se alla fine l’accordo non arrivasse, tornerebbe alle elezioni?
«Non prevedo e non voglio elezioni. Abbiamo ricevuto l’investitura popolare appena 4 mesi fa e i sondaggi mostrano che abbiamo moltiplicato la nostra influenza. Nell’arco dei quattro anni previsti,porteremo a termine il nostro lavoro. Non tradiremo il popolo greco».
Andrea Nicastro
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Europa | Commenta »
Giugno 9th, 2015 Riccardo Fucile
TROPPE ANOMALIE, ALTRA UDIENZA PER APPROFONDIRE LA VICENDA
Le «anomalie» non sono troppe soltanto agli occhi di qualche creditore.
Anche il giudice dell’indagine preliminare Roberta Bossi ritiene che l’indagine per bancarotta a carico di Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio, Matteo, allo stato non possa essere archiviata.
Perciò nei prossimi giorni sarà comunicata la data – da scremare in una rosa di tre-quattro giornate “papabili” – in cui celebrare un’udienza per approfondire la vicenda.
Nei giorni scorsi Vittorio Caporali, uno dei creditori della Chil Post Srl, specializzata in marketing editoriale e in passato di proprietà di Renzi senior, ha presentato tramite il legale Ernesto Rognoni una memoria allo stesso giudice Bossi.
La sua azienda “Genovapress” era titolare dei locali dove aveva avuto sede Chil proprio ai tempi di papà Renzi, e vanta un credito di 8000 euro.
Sostiene che sarebbe prematuro archiviare la posizione di Tiziano, e rimarca una serie di presunte anomalie registrate anche nel periodo della sua dirigenza.
Il padre del presidente del Consiglio, dopo essere stato alla guida della compagine dalla sua nascita, aveva ceduto le quote all’ultrasettantenne Gianfranco Massone nell’ottobre 2010, e amministratore unico era diventato Antonello Gabelli.
Nello spazio di due anni e mezzo Chil è naufragata.
E la prima ipotesi degli inquirenti era che Renzi senior avesse concorso a quel dissesto. In particolare, il procuratore aggiunto Nicola Piacente e il sostituto Marco Airoldi sostenevano che Tiziano avesse “regalato” alla moglie Laura Bovoli, titolare della Eventi 6, attiva nello stesso campo, l’unico pezzo funzionante del gruppo, e poi mollato ciò che rimaneva a un prestanome.
Da lì in avanti, gravata dai debiti, ha collassato ed ecco spiegato il primo avviso di garanzia.
Matteo Indice
(da “il Secolo XIX”)
argomento: Giustizia | Commenta »