Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
“VERGOGNA, MAI PIU’ UN VOTO AL PD”… SUPERSCORTA PER LA GIANNINI…E RENZI NON HA PIU’ LA MAGGIORANZA AL SENATO
“Basta! Qui ci vuole la guerra civile! La rivoluzione!!”. Giacca blu, barba, furioso fino al midollo, comincia a battere con le mani sul primo banco che si trova davanti.
E’ uno degli insegnanti appena usciti dalla tribuna del Senato, da dove hanno assistito al voto di fiducia sulla ‘Buona scuola’. “Resistenzaaaa!”.
Dalla tribuna non se ne volevano andare. I commessi riescono a fatica ad accompagnarli fuori.
Ma lì nel corridoio, è putiferio. “Vergogna! Mai più un voto al Pd!”. Scene di isteria collettiva, lacrime e urla.
“Occupiamo il Senato! Noi non ce ne andiamo da qui!”. I commessi non sanno che pesci prendere. I ‘rivoltosi’ non se ne vanno.
Dalla tromba delle scale si affaccia qualche dipendente del palazzo: il clima peggiora. Dopo un brutto quarto d’ora, si convincono a scendere, uscita laterale su via del Salvatore.
E intanto agli uffici Pd di Palazzo Madama arriva una telefonata di alert della polizia: “Il ministro Giannini, la relatrice Puglisi e il presidente della commissione Cultura Marcucci facessero attenzione all’uscita dal Senato”.
Dallo sciopero del 5 maggio, dalla piazza pur piena davanti a Palazzo Madama, la protesta contro la ‘Buona scuola’ arriva direttamente in aula.
Lì in tribuna, per assistere e contestare in diretta, mentre davanti al tavolo della presidenza scorrono i senatori che votano la fiducia, sì e no, contestazioni e applausi. Negli scranni senatoriali, intanto, il M5s è scatenato: applausi con sarcasmo per gli ex grillini che votano a favore, applausi compiaciuti per il Dem Roberto Ruta che vota no. Corradino Mineo e Walter Tocci invece non partecipano al voto.
Fischi per Sandro Bondi ed Emanuela Repetti, gli ex berlusconiani che invece votano sì. Fischi per il senatore a vita Giorgio Napolitano.
E poi magliette e striscioni, lumini da cimitero, fasce nere al braccio: fin dal mattino, da quando il ministro Maria Elena Boschi annuncia in aula la scelta deI governo di porre la questione di fiducia.
Pietro Grasso, serafico, si trova di nuovo a gestire il caos in aula. “Con quella maglietta non può parlare”, prova a dire alla senatrice Maria Mussini, del Misto. “Che faccio mi spoglio?”, replica lei con la t-shirt ‘Diritto allo studio’.
E si spogliano i senatori di Sel per mostrare anche loro le magliette che indossano sotto le giacche. Il leghista Paolo Arrigoni se la prende con il ministro Giannini, che in aula non prende mai la parola sul provvedimento che pure porta il suo nome. “Ministro commissariato”, urla.
Intanto i professori in tribuna cercano di mantenersi calmi durante il voto. Non sempre ci riescono. Grasso li redarguisce. Loro si rimettono in riga per non essere espulsi.
Ma non si tengono quando Centinaio, prima di votare, li provoca: “Che voto?”. “Noooo!”.
Poi si tengono per mano durante il conteggio dei voti e quando arriva il 159 finale contro i 112 no, urla e strepiti.
Una giovane docente si aggrappa alle colonne: “Non ce ne andiamo da qui!!”. Il commesso è costretto a strattonarla per strapparla all’abbraccio con un pezzo di architettura del Senato.
E poi il delirio, nel corridoio del guardaroba.
Il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani sentenzia che “il governo non ha più la maggioranza assoluta al Senato. Solo 159 i voti alla fiducia, al di sotto della soglia di 161, cioè la metà più uno degli aventi diritto”.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
PROCESSO RUBY: LE RAGAZZE HANNO REGISTRATO DI NASCOSTO LE CONVERSAZIONI, LA PROCURA CHIEDE AL SENATO LA POSSIBILITA’ CHE SIANO ACQUISITE AL PROCESSO
Dopo l’assoluzione definitiva di Silvio Berlusconi per il caso Ruby, la Procura di Milano ha terminato la nuova indagine, sollecitata dal tribunale, sulla presunta corruzione di testimoni nello stesso processo.
Tra le prove acquisite dai pm c’è una serie di video-registrazioni compromettenti: telefonate con Berlusconi, registrate di nascosto da alcune delle ragazze che avevano partecipato alle feste sexy di Arcore.
L’ex premier avrebbe tentato di corrompere delle ragazze, che però lo hanno registrato di nascosto. E la procura chiede al Senato l’autorizzazione di usare le registrazioni come prove contro di lui
Le ragazze hanno memorizzato e conservato segretamente, in particolare, le telefonate in cui chiedevano soldi a Berlusconi dopo essere state chiamate a testimoniare in tribunale per ricostruire il caso Ruby, cioè i rapporti del 2010 tra l’allora premier e la minorenne marocchina.
I file audio e video, realizzati dalle stesse testimoni, sono stati scoperti dalla polizia giudiziaria con le perquisizioni del febbraio scorso.
Il caso richiama il precedente di Patrizia D’Addario, la escort di Bari che nel 2008 fu la prima a registrare segretamente i suoi incontri notturni con l’allora presidente del consiglio.
La notifica dell’atto d’accusa finale viene data per imminente.
L’inchiesta per corruzione parte dalle telefonate e dagli appunti di Ruby su «cinque milioni che devo avere da Berlusconi».
Ora i magistrati stanno valutando, scrive sempre “l’Espresso”, la posizione di 21 testimoni che risultano aver incassato denaro proveniente da Berlusconi mentre era in corso il processo Ruby: le somme variano da 80 a 250 mila euro per ciascuna, per un totale di oltre due milioni e mezzo.
Gran parte delle testimoni hanno ricevuto anche altri regali, in particolare un’automobile per ciascuna.
Due ragazze, inoltre, hanno beneficiato di due ville gemelle, del valore di circa due milioni, concesse in uso gratuito per i prossimi vent’anni.
Alla luce dei risultati dell’inchiesta, scrive ancora “l’Espresso”, i magistrati stanno valutando di chiedere al Senato l’autorizzazione a utilizzare come prove anche una decina di intercettazioni telefoniche di Berlusconi, realizzate casualmente quando era ancora parlamentare.
Il leader di Forza Italia non era intercettato, ma ha chiamato un geometra, che era sotto intercettazione per altri motivi, per chiedergli di trovare case di lusso per due belle ragazze.
Le stesse che sono poi comparse tra le testimoni del processo Ruby.
Paolo Biondani
(da “L’Espresso”)
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Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
IL GOVERNO NON E’ IN GRADO DI DARE UN RENDICONTO E I GRILLINI LANCIANO L’ALLARME
Una spesa di 50 milioni di euro per una social card aggiuntiva. Che è diventata un mistero.
Perchè nessuno fornisce un resoconto di come siano stati utilizzati quei soldi.
Eppure il provvedimento del governo prevedeva di spiegare le modalità di investimento delle risorse, non solo per trasparenza, ma anche per verificare l’effettivo funzionamento del piano anti-povertà .
Questa ulteriore social card prende il nome di “sostegno all’inclusione attiva” (abbreviato nella sigla Sia) ed è un impegno di spesa che va a sommarsi alla social card voluta e lanciata dal governo di Silvio Berlusconi tra il 2008 e il 2009.
Il progetto sperimentale ha riguardato 12 città italiane con l’obiettivo di sostenere i ceti meno abbienti.
Ma ora si scopre che potrebbe essere “tutto uno spreco”, come accusa Giulia Di Vita, deputata del Movimento 5 Stelle.
Come mai, dopo tanti anni di esperienza resta ancora un mistero?
Semplice: dopo essere stata varata dal governo di Enrico Letta nel gennaio 2013, l’esecutivo di Matteo Renzi non è ancora riuscito a rendere noto l’esito della fase sperimentale.
Nonostante nel Documento di economia e finanzia (Def) 2015 ne abbia esteso gli effetti a tutto il Mezzogiorno. Con una ulteriore, possibile moltiplicazione della spesa.
CITTA’ CAMPIONE
Il progetto pilota ha viste coinvolte le città italiane con oltre 250 mila abitanti: Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Verona.
“Il target di riferimento è la lotta alla povertà minorile a partire dalle famiglie in cui chi lavorava ha perso il posto di lavoro e non ha più diritto a sussidi”, spiega il sito del Ministero del Lavoro.
Erano state anche previste diverse modulazioni di finanziamento: i nuclei familiari con 2 membri avevano diritto a 231 euro, quelli con 3 membri a 281 euro fino ai 404 euro per le famiglie con 5 componenti.
Ma c’è un problema: i comuni coinvolti nell’iniziativa non sono stati in grado sinora di fornire dati completi sull’utilizzo delle card.
CARD MILIONARIE
Per questo Giulia Di Vita ha presentato un’interrogazione al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per sapere come sono stati effettivamente impiegati i 50 milioni delle card.
“La verità è che la misura è stata attuata in maniera disorganica, non c’è uno studio del problema”, attacca la deputata che ha anche provveduto a inviare una richiesta via posta elettronica certifica ai Comuni interessati dalla misura.
L’obiettivo? Avere un “report relativo allo stato di attuazione del Sia, evidenziando in particolare gli aspetti positivi e le criticità emerse, nonchè il resoconto anche sommario dei progetti personalizzati che eventualmente fossero stati definiti e organizzati in favore dei beneficiari”, racconta Di Vita.
Ma sinora le risposte sono state poche e parziali.
Alimentando ancora di più il mistero sull’impiego dei 50 milioni delle card.
Stefano Iannaccone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
“UN NUCLEO DI 15 AGENTI SEGRETI USAVA ESPLOSIVI”
Quindici agenti segreti super addestrati sospettati di essere collegati con le bombe del 1993, e le telefonate della Falange Armata che partivano dalle sedi coperte del Sismi. È un racconto che arriva dal passato l’ultimo tassello inedito sulla Falange Armata, l’oscura sigla criminale che nei primi anni Novanta rivendicava ogni singolo fatto di sangue andato in onda nel Paese: dai delitti della banda della Uno bianca alle stragi mafiose del 1992 e 1993.
Un mistero mai risolto quello dei telefonisti del terrore che chiamavano i centralini dell’agenzia Ansa per firmare eccidi e stragi con cui nulla avevano probabilmente a che fare.
Adesso però, a più di vent’anni di distanza, emerge un particolare nuovo: quelle chiamate sarebbero state fatte dalle stessa zone in cui all’epoca il Sismi aveva localizzato le sue basi periferiche.
A raccontarlo è l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, punta di diamante della diplomazia italiana negli anni ’80, al vertice del Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza) tra il 1991 e il 1993, oggi presidente della Ferrero.
Le chiamate del terrore dalle sedi del Sismi
“C’era questa storia della Falange Armata e allora incaricai questo analista del Sisde, si chiamava Davide De Luca (oggi deceduto ndr), gli chiesi di lavorare sulle rivendicazioni”, è l’incipit del racconto di Fulci, che dopo essere stato interrogato dai pm di Palermo Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo nell’aprile del 2014, ha deposto oggi al processo sulla Trattativa Stato — mafia.
“Dopo alcuni giorni De Luca venne da me e mi disse: questa è la mappa dei luoghi da dove partono le telefonate e questa è la mappa delle sedi periferiche del Sismi in Italia, le due cartine coincidevano perfettamente, e in più De Luca mi disse che le chiamate venivano fatte sempre in orario d’ufficio”, racconta Fulci nell’aula bunker del carcere Ucciardone, davanti alla corte d’Assise di Palermo, che sta processando politici, boss mafiosi e ufficiali dei carabinieri per il patto segreto tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra.
Ma perchè pezzi del Sismi avrebbero dovuto rivendicare le stragi di mafia?
Fulci non lo dice, spiega però di “essersi convinto che tutta questa storia della Falange Armata faceva parte di quelle operazioni psicologiche previste dai manuali di Stay Behind, facevano esercitazioni, creare il panico in mezzo alla gente e creare le condizioni per destabilizzare il Paese”.
Questa è la mappa dei luoghi da dove partono le telefonate e questa è la mappa delle sedi periferiche del Sismi in Italia: le due cartine coincidevano perfettamente
Falange, Gladio e la guerra non convenzionale
Nel gergo militare si chiama guerra non convenzionale: una strategia che prevede anche l’inquinamento dei flussi informativi, per aumentare il livello di tensione.
È a questo che servono le chiamate della Falange nei primi anni Novanta quando le stragi al tritolo sconquassano l’Italia?
Per contestualizzare il racconto di Fulci, bisogna fare un salto indietro nel tempo e arrivare fino al 27 ottobre del 1990 quando al centralino dell’Ansa di Bologna arriva arriva una chiamata che rivendica l’omicidio di Umberto Mormile, educatore carcerario del penitenziario milanese di Opera, ucciso sei mesi prima.
“Il terrorismo non è morto, ci conoscerete in seguito” recita una voce al telefono: è la prima rivendicazione della Falange Armata, che arriva due giorni dopo il celebre discorso con cui Giulio Andreotti rivela alla Camera dei Deputati l’esistenza di Gladio, affiliata alla rete Stay Behind, l’organizzazione militare segreta costituita in ottemperanza al Patto Atlantico. Fulci non collega esplicitamente le telefonate della Falange a Gladio, ma si lascia sfuggire: “forse in effetti si trattava di qualche nostalgico”.
L’elenco dei 15 agenti segreti e le bombe del ’93
Ma non solo. Perchè nella sua permanenza ai vertici del Cesis, Fulci non riceve informazioni solo sulle telefonate della Falange. Scopre infatti che dentro la VII divisione del Sismi esiste un servizio speciale coperto composto da 15 agenti segreti super addestrati.
“All’interno dei Servizi c’è solo una cellula che si chiama Ossi, che è molto esperta nel fare guerriglia urbana, piazzare polveri, fare attentati”, ha spiegato Fulci nella sua deposizione.
Si riferisce agli Operatori Speciali Servizio Italiano, che un documento riservato del Sismi definisce come “personale specificatamente addestrato per svolgere in territorio ostile e in qualsiasi ambiente, attività di carattere tecnico e operativo connesse con la condotta della guerra non ortodossa”.
Nei due anni trascorsi al vertice del Cesis, Fulci riceve minacce di ogni genere, scopre addirittura di essere spiato nella sua stessa abitazione: chiede e ottiene, quindi di avere tutti i nomi che fanno parte di quel reparto speciale.
“Li copiai su un foglietto che nascosi poi nella mia libreria, dicendo a mia moglie che se fosse successo qualcosa era lì che bisognava cercare: dopo aver lasciato l’incarico ed essere andato a New York alle Nazioni Unite provai a dimenticare quella brutta esperienza”.
All’interno dei Servizi c’è solo una cellula che si chiama Ossi, che è molto esperta nel fare guerriglia urbana, piazzare polveri, fare attentati
“Riina chiudi la bocca”: il ritorno della Falange
E invece pochi mesi dopo avere lasciato l’Italia, Fulci si ricorda di quel foglietto con quei 15 nomi.
“Dovete considerare- ha spiegato Fulci — che i servizi devono raccogliere informazioni, non utilizzare esplosivi e bombe, piazzare polveri e cose simili. Siccome avevo letto le notizie di queste bombe a Firenze e a Roma e i giornali facevano cenno ai soliti servizi deviati, mi dissi: questa cosa si può chiarire. Presi il foglietto e lo portai generale dei carabinieri Luigi Federici spiegandogli: per essere certi che i servizi non c’entrano niente, questi sono i nomi delle persone che sanno maneggiare esplosivi all’interno dei servizi”.
Ai quindici nomi, però, Fulci ne aggiunge un altro: quello del colonnello Walter Masina, che però non fa parte della VII divisione e degli Ossi.
“Non avrei dovuto farlo ma volevo fargliela pagare, dato che Masina era quello che spiava la mia abitazione”.
Cosa succede dopo che Fulci consegna quell’elenco ai carabinieri?
“Mi accusarono di avere montato un depistaggio con gli americani“. È mentre la denuncia di Fulci cade nel vuoto, le stragi targate Cosa Nostra finiscono all’improvviso, la prima Repubblica è ormai crollata sotto il peso di Tangentopoli e parallelamente scompaiono pure le rivendicazioni della Falange.
Un silenzio durato fino al dicembre del 2013, quando al carcere di Opera, a Milano, arriva una lettera indirizzata al superboss Totò Riina.
C’è scritto: “Riina chiudi la bocca, ricordati che i tuoi familiari sono liberi, al resto ci pensiamo noi”.
Sono i mesi in cui il boss corleonese si lascia andare a confidenze e rivelazioni durante l’ora d’aria, mentre la Dia di Palermo registra ogni cosa: un’informazione nota soltanto agli investigatori.
Chi è dunque che manda quella lettera?
La firma è sempre la stessa: Falange Armata.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
APPROVATA LA PATACCA SPACCIATA PER RIFORMA DELLA SCUOLA… MA IL CAPO DEI KILLER HA POCO DA RIDERE: PERDE I PEZZI PER STRADA E ALTRE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI VOTI
L’Aula del Senato con 159 sì e 112 no ha approvato la richiesta di fiducia avanzata dal Governo sul maxi-emendamento interamente sostitutivo del Ddl di riforma della scuola.
La chiama si è svolta tra le contestazioni dell’opposizione e con presenti 271 senatori su 320 totali.
Non hanno partecipato al voto, non esprimendo la fiducia al Governo, i senatori del Pd, Corradino Mineo, Walter Tocci, Roberto Ruta e Felice Casson.
Il provvedimento, con le modifiche contenute nel nuovo testo, torna ora alla Camera.
Numeri comunque bassi: mancano infatti due voti per la maggioranza assoluta.
“Ce l’abbiamo fatta”. La ministra Stefania Giannini ha mandato questo messaggio al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, appena uscita dall’aula del Senato che aveva approvato la fiducia.
Intanto, sia dentro l’aula sia fuori, un gruppo di insegnanti ha protestato contro la riforma.
Momenti di tensione si sono registrati soprattutto in corso Rinascimento, di fronte all’accesso principale di palazzo Madama. Qui una ventina, tra insegnanti e personale della scuola, ha rumorosamente contestato l’approvazione del ddl. Si sono sentite urla, si è visto qualche spintone e qualcuno ha tentato di avvicinarsi al portone del palazzo. La strada è stata anche chiusa al traffico per precauzione.
“Questa fiducia — sostiene Stefano Fassina — serve a rendere ancora più distante la società dalla politica. E’ un atto sbagliato nei confronti del popolo che ha chiesto di dialogare e intervenire su un testo che non funziona. E’ un grave errore sul piano della democrazia e sul piano della politica”.
Su una linea d’onda simile la grillina Paola Taverna, secondo cui quello ad ddl è “un sì alla morte della scuola pubblica, un sì per una scuola azienda, un sì a capo chino per garantirsi una poltrona e qualche anno ancora fino alla pensione”.
Il giudizio di Beppe Grillo invece, è categorico: “Hanno ucciso la scuola pubblica”.
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Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
UN SINDACATO DI POLIZIA CHE INVITA UN ISTIGATORE ALL’ODIO: L’ITALIA E’ TUTTA UNA COMICA… IL REATO DI TORTURA ESISTE IN TUTTA EUROPA E PUNISCE SOLO GLI ECCESSI
Matteo Salvini contro il capo della polizia Alessandro Pansa.
“Ritengo – dice il segretario della Lega Nord a una manifestazione del Sindacato autonomo di Polizia – che l’attuale capo della Polizia di Stato non sia il miglior capo della Polizia di Stato possibile” e “credo che mai come in questo periodo gli uomini della polizia si siano sentiti abbandonati non solo dalla politica ma anche da alcuni dei loro dirigenti”.
l leader della Lega, Matteo Salvini, si schiera contro il reato di tortura, al centro di un aspro dibattito dopo la sentenza della Corte di Strasburgo sul G8 di Genova e casi come quello di Stefano Cucchi.
In una manifestazione davanti a Palazzo Chigi insieme al Sap: “La Corte europea dei diritti umani potrebbe occuparsi di altro. Per qualcuno che ha sbagliato non devono pagare tutti (e infatti non è così…n.d.r.). “Le forze di polizia devono avere libertà di azione assoluta, se poi un delinquente lo devo prendere per il collo e si sbuccia il ginocchio… Cazzi suoi” (peccato che non c’entri un cazzo con il reato di tortura…n.d.r.)
“Idiozie come questa legge – ha aggiunto – espongono le forze dell’ordine al ricatto dei delinquenti”. O forse è più idiota chi la contesta.
Domani ricorre però la giornata internazionale contro la tortura: in Italia, ad oltre 26 anni dalla ratifica della convenzione delle Nazioni Unite, il Codice penale ancora non prevede questo reato.
“La posizione del Sap è fuori dalla Comunità Internazionale – dichiarano in una nota Patrizio Gonnella (Antigone), Massimo Corti (Acat) e Franco Corleone (coordinatore dei garanti dei detenuti) – la polizia deve essere un corpo che protegge i diritti umani e non deve aver paura del reato di tortura”.
“Affermare che il reato di tortura sarebbe un regalo agli estremisti e ai violenti è inaccettabile – si legge ancora nel comunicato – praticamente tutti i paesi a democrazia avanzata dell’Europa hanno il reato nel loro codice. Anche il Vaticano grazie a Papa Francesco ha codificato il crimine di tortura così come chiesto dall’Onu di Ban Ki-Moon”.
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Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
IL LEADER LEGHISTA AD ARCORE HA DATO IL VIA LIBERA PER LANCIARE LA CANDIDATURA DELL’IMPRENDITORE ROMANO… MARCHINI PERO’ PENSA UN “LABORATORIO” BIPARTISAN
La cena di Arcore, martedì sera, tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini (presente anche Licia Ronzulli), ha avuto un risvolto romano.
Nel quadro delle alleanze, presenti e future, il leader di Forza Italia ha esposto a quello leghista il suo piano per Roma: «Il nostro candidato – gli ha detto – è Alfio Marchini».
Messaggio che Berlusconi ha già veicolato ai suoi luogotenenti romani: Antonio Tajani, il coordinatore Davide Bordoni, il senatore Francesco Giro (che un pensierino, sulla candidatura, lo stava facendo…).
Dunque, Marchini. E Salvini, questa è la notizia, non ha opposto il veto.
Anzi: «A Roma voglio vincere, uniti si può fare», il senso del suo discorso.
Del resto, era quello che nello staff dell’imprenditore si aspettavano da qualche settimana: «Vedrete che Salvini non dirà no…», ragionavano i suoi. Così è stato.
Per Salvini contano due aspetti.
Presentarsi a Roma, ma senza doversi «misurare» con un suo vero e proprio candidato.
Evitare la candidatura di Giorgia Meloni, capofila di un pezzo di destra che ha condiviso l’esperienza della giunta Alemanno (che ora è in Fdi).
Marchini, sarebbe l’uomo giusto per riunire il centrodestra sotto mentite spoglie. L’imprenditore, infatti, lavora alla formazione di due liste: una esclusivamente civica (col suo nome), l’altra più «politica», dove ci saranno anche ex centrodestra ed ex centrosinistra.
È possibile che, per varare questa sorta di «laboratorio», i partiti non presentino i loro simboli: anche gli Ncd alfaniani sarebbero su questa strada.
In questo modo, ragiona chi sta intorno a Marchini, «si può superare il 30% al primo turno e poi giocarcela al ballottaggio».
Lui, l’imprenditore, continua a ripetere: «Come va a finire non lo so, Marino è come il toro che ignora il torero voltandosi dall’altra parte. Dovrebbe dimettersi per garantire quell’agibilità politica che oggi non c’è».
Scioglimento per mafia o corruzione? «Chi ama Roma, e noi tutti amiamo Roma, l’ultima cosa che vogliamo è uno scioglimento del comune per fenomeni criminali».
Roberto Morassut (Pd) lo critica: «A differenza di Marchini, penso che invece c’è assoluto bisogno di ristabilire le differenze fra destra e sinistra».
Controreplica di Marchini: «Dal 2013 il bipolarismo, a Roma, non esiste più».
Ernesto Menicucci
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
“IL PROBLEMA NON E’ IL PD, MA IL SOCIALISMO EUROPEO, DIVENUTO FENOMENO IRRILEVANTE”
Stefano Fassina spiega che il «problema è il Pd» e la colpa di Renzi è quella di «esserne l’interprete estremo».
È «l’impianto culturale del Partito democratico » che non funziona perchè nasce sulla base della democrazia plebiscitaria «che poi diventa l’Italicum» e intorno al «liberismo presente già al Lingotto, dove non a caso c’era Pietro Ichino, l’autore, assieme a Sacconi, del Jobs Act».
In fondo il problema non è nemmeno il Pd «ma il socialismo europeo, una forza sostanzialmente inutile, un club irrilevante dove il leader del partito socialista più antico d’Europa, Sigmar Gabriel, mette in discussione la possibilità di presentare alle prossime elezioni un candidato alternativo alla Merkel. Più irrilevanti di così». Adesso, per l’ex viceministro, i punti di riferimento mondiali sono Syriza e Podemos ma prima ancora Papa Francesco che «solleva una critica al capitalismo estranea da decenni alla sinistra. E che lascia quasi senza parole».
Nell’addio quanto c’entra il duello con Renzi? Si ricorderà la battuta “Fassina chi”.
«Zero. Non è una questione di battute, è questione di scelte fatte e che hanno pesato. La riforma del lavoro ha tolto qualche residua tutela a milioni di lavoratori senza dare nulla ai precari. L’intervento sulla scuola incide sulla libertà di insegnamento e sulle condizioni lavorative di migliaia di persone».
Dopo il 41 per cento delle Europee lei disse a Repubblica: «Renzi è un leader, mi ero sbagliato». Cosa è successo dopo?
«Ho riconosciuto quel successo, ho sperato che nascesse una leadership in grado di ascoltare diversi punti di vista. Invece è successo che Renzi ha interpretato quel voto come una forma di autosufficienza, come un’investitura totale. Con i guai che ne sono seguiti».
Lo considera un usurpatore della Ditta?
«Assolutamente no. Anzi, è l’interprete fedele ed estremo del Pd che fu costruito al Lingotto. Bersani purtroppo è stata solo una parentesi. Il Pd ha nel suo statuto una cultura plebiscitaria che poi si riflette nelle sue azioni. Persino sulla scuola abbiamo assunto l’ispirazione dell’uomo solo al comando, il preside, che disciplina gli insegnanti sfaticati».
Secondo lei Bersani resta nel Pd solo perchè ne è stato il segretario?
«Con Bersani e con altri c’è la condivisione dell’analisi sullo strappo che si è prodotto con una parte significativa del nostro mondo attraverso le scelte del governo. Ma no, non resta solo perchè è l’ex segretario. Ci ho parlato, lui crede ci sia lo spazio per una funzione nel Pd. Sa però che per me è importante fare fino in fondo quello che sento».
Lei dice che nel Pd si vede soprattutto l’establishment, la finanza internazionale. Oltre a Marchionne, a chi si riferisce: a Serra, a Costamagna?
«Nel momento in cui Cassa depositi e Prestiti deve espandere il suo intervento sull’economia reale, il governo nomina un professionista di prima qualità , ma che è espressione della finanza internazionale. C’è un’enorme contraddizione e vedo uno spostamento dell’asse verso interessi forti, quelli del big business industriale e finanziario. Costamagna non è l’unico. Si mettono grandi banchieri d’affari ovunque».
Tipo?
«Ce n’è uno stuolo a Palazzo Chigi, tutti consiglieri del premier ».
Bersani dice: «Se vado via dal Pd, mi rifugio in Vaticano». Solo uno scherzo?
«L’esortazione Evangelii Gaudium e l’enciclica Laudato Sii contengono una critica radicale al capitalismo che la sinistra non è in grado di esprimere da almeno tre decenni. Consideriamo il riformismo un adattamento passivo alla situazione data, senza nessuna ambizione di correzione di rotta che rimetta la persona al centro. È la politica della Merkel e prima di lei di Schroeder, tanto celebrato a sinistra ».
Sembra quasi dire che Renzi c’entra poco o nulla.
«Il processo non è recente. Il punto è: vogliamo invertirlo o rimaniamo subalterni al dominio tedesco sull’eurozona rappresentando interessi forti e sacrificando in cambio quelli diffusi della gente? Il Pd è quello dei cittadini o di Marchionne e delle banche d’affari internazionali? ».
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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Giugno 25th, 2015 Riccardo Fucile
“IL PREMIER E’ MOSSO SOLO DA CALCOLI ELETTORALI, MA MARINO DEVE CREARSI UNO STAFF ALL’ALTEZZA DELLA GRAVITA’ DEL PROBLEMA”
“Io spero che a Roma le cose non precipitino, ma vedo purtroppo la volontà da parte del governo di farle precipitare. La cosa più brutta è che Renzi abbia deciso che Marino debba andar via”.
Sono le parole dell’ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli, durante la trasmissione “Ditelo a RomaUno”, su RomaUno Tv.
L’ex vicepresidente del Consiglio analizza dettagliatamente la situazione della Capitale: “Marino è stato eletto dai cittadini e dunque se ha dentro di sè la forza di continuare è giusto che continui e vada avanti. Il suo rapporto con la città , però, non è buono. Ma è grave la strategia di Renzi, che ha deciso di far cadere Marino per un motivo politico-elettorale: non vuole che le prossime elezioni comunali nelle altre città siano di fatto imperniate su una crisi di Roma”.
L’ex ministro dà alcuni consigli al primo cittadino: “Marino avrebbe dovuto fare forse una giunta più forte e mettere in campo una squadra molto più grande, tanto più perchè la situazione della città è difficile perchè ha ereditato dalla giunta Alemanno veramente un sacco di guai. Quando nacque la nostra amministrazione, nel ’93, la situazione era molto, molto, molto peggiore: avevamo avuto in carcere la metà della giunta capitolina, tutti i responsabili delle aziende erano finiti in galera, si era scoperto un sistema di corruzione sistemico guidato dalla politica di allora. Ma noi avevamo 100 persone che lavoravano per risolvere la situazione”.
“Marino — continua, rifilando una nuova stoccata a Renzi — “deve cambiare tutto ma non perchè, come si dice a Roma, è arrivato il Cacini. Non bisogna fare il “ghe pens imi”, che è una tendenza politica attuale. Oggi si dice: ‘Ci penso io, vado in televisione, faccio i miei tweet’. No, tu devi stare chino sulle carte, studiare, vedere le procedure, vedere le trappole e al contempo avere con te 80-100 persone. Questo certamente non è avvenuto, però si può fare ancora in tempo”.
E aggiunge: “Marino deve avere la forza di fare una nuova giunta di altissimo livello e mettere in campo due task force, di cui una per il Giubileo. Va organizzato senza grilli per la testa, mancano pochi mesi, il governo ha perso 100 giorni da quando il papa lo ha annunciato”.
Al conduttore Andrea Bozzi che gli chiede se questa è una strategia di Renzi oppure fantapolitica, l’ex sindaco risponde ironicamente: “Non è fanta, che è un’aranciata, ma è politica, non c’è dubbio. E’ evidente che il governo da mesi non ha trovato il modo per stabilire chi si debba occupare del Giubileo”
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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