Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
BUND, LA PIU’ GRANDE ORGANIZZAZIONE AMBIENTALISTA TEDESCA DI ORIENTAMENTO CONSERVATORE, SFILERA’ INSIEME ALLA GALASSIA ANTAGONISTA CONTRO LA RIUNIONE DEI GRANDI
Tra le migliaia di manifestanti che protestano in Baviera in occasione del G7 ci sono anche loro, gli ambientalisti bavaresi conservatori di Bund fà¼r Umwelt und Naturschutz Deutschland, una delle principali organizzazioni tedesche che si occupano di ambiente e conservazione della natura.
In un’insolita alleanza — scrive il Financial Times — i conservatori di Bund sfilano accanto a una galassia antagonista composta da marxisti, anarchici e gruppi radicali come Blockupy, il collettivo che all’inizio dell’anno ha bloccato le strade di Francoforte, scontrandosi duramente con la polizia.
Per i sostenitori di Bund, si tratta di una compagnia decisamente insolita.
“Veniamo da un background borghese e conservatore, ma vogliamo lo stesso un cambiamento radicale nel mondo”, ha spiegato il presidente dell’organizzazione, il 68enne Hubert Weiger, che ha contribuito alla sua fondazione nel 1975.
L’organizzazione oggi può contare su oltre 500mila membri soltanto in Baviera, lo Stato più conservatore della Germania, molti dei quali votano per la Christian Social Union bavarese, partito cristiano e conservatore che sostiene a livello regionale la CDU di Angela Merkel.
I conservatori di Bund non sono tuttavia l’unico gruppo “insolito” per una manifestazione anti-G7.
Il Financial Times spiega che alle proteste partecipano anche organizzazioni protestanti e cattoliche, gruppi di allevatori e coltivatori, e altre organizzazioni di stampo conservatore.
È massima l’allerta per il rischio scontri, sia tra i manifestanti e la polizia che tra le varie anime della protesta.
“C’è una gamma di cittadini estremamente ampia”, ha commentato Weiger. “Ci sono dei manifestanti violenti. Ma i gruppi pacifici sono cento volte più grandi”.
Per gli ambientalisti di Bund, la priorità è la lotta al degrado ambientale e al cambiamento climatico.
Altri gruppi, invece, sono a Garmisch-Partenkirchen (la cittadina più vicina a Elmau, dove si terrà il vertice del G7) per far sentire la loro voce contro povertà , fame e ineguaglianza, e chiedere ai leader dei 7 Paesi uno sforzo maggiore in fatto di diritti, lavoro e solidarietà . In tutto sono attesi oltre 10mila manifestanti.
Già dalle prime ore di oggi, un migliaio di manifestanti si sono riuniti con tende e sacchi a pelo in un campo che circonda la città , mentre da tutto il Paese ne stanno arrivando altri in autobus.
Gli organizzatori di ‘Stop Elmau’ auspicano che le proteste non siano violente.
Più di 20mila poliziotti sono stati dispiegati per garantire la sicurezza al summit, cui parteciperanno i leader di Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Italia, Francia, Giappone e Germania.
I manifestanti contro il G7 hanno dato il via alle loro proteste giovedì scorso, quando in circa 35mila si sono riuniti a Monaco di Baviera chiedendo, tra l’altro, ai leader del vertice di intervenire per scongiurare la minaccia del riscaldamento globale.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
DICHIARAZIONI DI VOTO SU VOTI NON EFFETTUATI, VALANGHE DI INTERROGAZIONI E PROPOSTE SENZA BASE LEGALE PER VINCERE LA CLASSIFICA DELLA PRODUTTIVITA’
Ultima sessione plenaria di Strasburgo, pomeriggio del 19 o del 20 maggio, al bar dei deputati si trovano gomito a gomito due veri e propri stakanovisti del Parlamento europeo, Nicola Caputo, Pd, e Mara Bizzotto, Lega Nord.
I due, scherzando, si accusano reciprocamente di voler fare le scarpe all’altro nel Mep Ranking, una delle due classifiche di produttività redatte da altrettante società britanniche – l’altra è Vote Watch, specializzata sui voti – grazie al generoso finanziamento della stessa eurocamera: 300 mila euro all’anno per fare le pulci alle attività degli eurodeputati.
A guidare il Mep Ranking è il liberaldemocratico croato Ivan Jakovcic, primo con 591 punti, frutto di una somma statistica tra il numero degli interventi in aula, comprese le dichiarazioni di voto, la quantità di rapporti firmati come titolare e come relatore ombra (ossia il relatore per il proprio gruppo politico), la cifra delle risoluzioni proposte e quella delle dichiarazioni scritte.
Dietro il croato, il podio è tutto azzurro, appannaggio proprio dei nostri due litiganti: il casertano Caputo a quota 555 si gioca l’argento con la bassanese Bizzotto, distanziata di 30 punti.
E poi ancora tanta Italia nella top ten: i grillini Ignazio Corrao, Marco Valli e Fabio Massimo Castaldo si piazzano quinto, settimo e nono.
Cinque italiani nei primi 10 e subito fuori ecco Barbara Matera, Forza Italia, 12esima, Giovanni La Via, Ncd, due gradini più sotto e quindi a seguire Lara Comi e Aldo Patriciello, altri due di Forza Italia, quindicesima e sedicesimo.
In totale nove nei primi venti, meglio della valanga azzurra di Thoeni e Gros.
Tanto per fare un paragone tra le grandi nazioni, il primo degli spagnoli, l’ex ministro di Zapatero Pepe Blanco è ottavo ed è l’unico nei primi 20, il primo dei britannici, il laburista Sion Simon 19esimo, la prima dei francesi, Dominique Bilde del Front National 44esima ed ancora più indietro la capofila dei tedeschi: Beatrix von Storch del partito anti euro Alternative fà¼r Deutschland, viaggia in 146esima posizione.
Vuol dire che lavoriamo e ci facciamo sentire a Strasburgo più dei tedeschi ?
Guardando alle cifre ci sarebbe di che sfatare il mito dell’italiano fannullone, se non fosse che la rosea classifica di alcuni dei nostri rappresentanti — alcuni, assolutamente non tutti – nasconde altri miti italici, legati alla furbizia.
Andiamo per specialità .
Patriciello, Forza Italia, va forte nelle dichiarazioni di voto, tanto forte che giustifica anche voti a cui non ha partecipato.
In questo spicchio di legislatura – gli eurodeputati sono stati eletti giusto un anno fa e sono arrivati a Strasburgo nel luglio 2014 – per 28 volte Patriciello ha spiegato il perchè del suo Sì (quasi mai del suo No) su voti realizzati in plenaria in cui non era fisicamente presente, quindi non poteva votare.
Per altre 7 volte era a Strasburgo, ma aveva altro da fare, niente voto nemmeno in questi casi, ma poco importa, una dichiarazione non si nega a nessuno.
Andando poi alla sostanza delle sue dichiarazioni di voto, sono praticamente tutte uguali: riprende due o tre paragrafi del testo della risoluzione votata e quindi alla fine aggiunge “per tali ragioni ho espresso il mio voto favorevole”.
La Bizzotto è invece è la indiscussa numero 1 nella categoria proposte di risoluzione: ne ha presentate 181, ad un ritmo di oltre una ogni due giorni, dalla tutela del Prosecco al finanziamento del terrorismo islamico, dall’estrazione di idrocarburi in Croazia al cyberbullismo in Italia.
Temi differenti ma una sola struttura: un paio di considerando e un invito alla Commissione Ue a studiare il caso.
Poco lavoro, tanto nessuna di queste proposte di risoluzione ha mai visto la luce, cioè è mai stata sottoposta al voto del Parlamento, nè ha speranze di vederla visto che i deputati del Carroccio sono marginalizzati nel gruppo dei Non Iscritti.
Anche se non vanno da nessuna parte queste risoluzioni quasi in fotocopia, se non fosse per l’argomento, fanno comunque punteggio, eccome.
Su questo terreno il suo avversario Caputo, che eccelle nelle dichiarazioni di voto e nel numero degli interventi in aula, è facilitato dall’appartenenza al gruppo S&D, il secondo dell’emiciclo.
Delle 101 risoluzioni che ha firmato si tratta nella quasi totalità di risoluzioni presentate da altri membri del suo gruppo o di risoluzioni comuni realizzati con altri gruppi e da lui sottoscritte. Una firma e via che il punteggio sale.
Come sale con le interrogazioni parlamentari, e qui si apre il capitolo forse più scabroso dell’iperattività di molti eurodeputati.
La Bizzotto ne ha depositate 303, quasi una al giorno, seconda solo alla maltese Marlene Mizzi, imbattibile a quota 376.
Altri, come Lara Comi, ferma a 171, vanno a ondate, lei ne ha firmate 92 nella stessa giornata, il 31 marzo.
Dalla Commissione fanno notare che dall’inizio dal primo gennaio al 31 maggio sono piovute 7.773 interrogazioni, se si mantiene il trend dei primi 5 mesi del 2015, per fine anno si arriverà alla cifra astronomica di oltre 18.500.
Ognuna va registrata e classificata, quindi inviata alla Commissione, lì ad occuparsene è un unità di otto persone, che le valuta e le smista alla Direzione o alle Direzioni Generali competenti.
Una volta ricevute le risposte, vengono assemblate, tradotte, classificate e rinviate al Parlamento, il tutto per un costo medio, assicura il Pd David Sassoli, relatore per l’Eurocamera del rapporto sul bilancio 2015 della Ue, “di 1.200-1.500 euro per interrogazione”.
Facendo i conti la Bizzotto ha già fatto spendere ai contribuenti Ue tra i 360 ed i 450 mila euro. Se nel 2015 si supererà quota 18.500 interrogazioni totali, l’esborso complessivo sarà di oltre 22 milioni di euro.
“Il problema”, spiega ancora Sassoli, “è che in grandissima parte queste interrogazioni non hanno base giuridica”, in sostanza non servono a nulla, se non a fare, ancora una volta, punteggio.
Nella scorsa legislatura un deputato portoghese ne aveva inviate di colpo 175, la domanda era sempre la stessa: “qual è la relazione commerciale tra la Ue e” e poi di seguito una domanda per ogni paese dell’Onu, avendo almeno l’accortezza di escludere i 28 dell’Europa Unita.
Una mole di lavoro impressionante per i servizi della Commissione e il tutto, spesso, per partorire il nulla, non c’è base legale, o informazioni di scarso interesse politico.
Ma una mole che permette di dire a chi firma l’interrogazione di essere al top della produttività del Parlamento.
Un po’ l’ambizione dei nostri Caputo e Bizzotto (non a caso in un tabloid fatto uscire prima delle scorse europee l’esponente del Carroccio campeggiava con una foto con sullo sfondo la plenaria e due dati: 1° Europarlamentare italiano; 5° Europarlamentare su 766, ossia la classifica della scorsa legislatura) anche se non hanno mai firmato una direttiva o un regolamento.
Discorso in buona parte diverso invece per i tre grillini Corrao, Valli e Castaldo che li seguono in classifica.
Al di là di una certa tendenza all’interrogazione facile, il risultato è dovuto al fatto che nel loro gruppo, l’Efdd, sono praticamente gli unici a lavorare, visto che gli euroscettici britannici del Ukip si vedono bene dal fare alcunchè.
Interventi in aula, rapporti, come relatori o relatori ombra, interventi e risoluzioni sono quindi cosa loro e questo è lavoro vero, non solo un prodotto da classifica.
“Ma anche per noi si sente il bisogno di essere in una buona posizione nel Mep Ranking”, ammette un eurodeputato grillino mentre sullo smartphone controlla la sua posizione nella classifica per nazione, “anche perchè pure io prima di arrivare qui guardavo alla produttività dei deputati. Il problema è che questa classifica è puramente quantitativa, non dice nulla sulla qualità e l’importanza del lavoro che stai facendo”.
E qui si arriva al nocciolo della questione: Mep Ranking, come l’altro sito di analisi Vote Watch, calcola solo i chili spalati da ogni eurodeputato, non la qualità del materiale spalato.
“È un’analisi molto approssimativa”, spiega ancora Sassoli, “valuta solo il lavoro in plenaria e non in commissione e poi c’è tutta una gamma di attività legislativa che non viene valutata: per fare la direttiva Bolkestein o la riforma della Pac, la Politica agricola comune, ci vogliono almeno 2 anni di lavoro mentre per altri provvedimenti bastano 15 giorni. E poi c’è il superattivismo nelle interrogazioni, le dichiarazioni di voto che vengono contate come interventi in un dibattito quando non hanno alcun interesse, tutte cose ridicole che influiscono nella disfunzione dell’attività parlamentare”.
Come soluzione Sassoli intende proporre un’analisi che sia anche qualitativa del lavoro e l’introduzione di un filtro per le interrogazioni parlamentari in modo da bloccare sul nascere, già in Parlamento, quelle senza base giuridica.
E, infine, mettere in discussione la sovvenzione da 300 mila euro che ricevono le due società britanniche.
“I fondi vengono affidati senza appalti, ho chiesto che si apra una gara e che si cambino i criteri, l’ho detto pure a Schulz: guarda che con questi criteri sei in fondo alla classifica”. Il Presidente del Parlamento, che pure ha una discreta mole di lavoro da sbrigare, non può firmare risoluzioni, votare o partecipare ai dibattiti, in sostanza non può fare punteggio. Lo stesso David Sassoli, Vicepresidente dell’emiciclo, è terzultimo tra gli italiani, 653esimo in assoluto, pur avendo per le mani anche il Secondo Pacchetto Ferroviario, un dossier importante, che però vale come una manciata di interrogazioni.
Dietro a Sassoli solo Renato Soru e Giovanni Toti, ultimo, ma su questa posizione la statistica c’azzecca: il neo governatore della Liguria a Strasburgo e Bruxelles è stato praticamente un fantasma.
Alberto D’Argenzio
(da “L’Espresso”)
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Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
PARADOSSO ITALIANO: MAFIA CAPITALE INDEBOLISCE L’IMMAGINE DI UN PAESE INCAPACE DI RIPRISTINARE LA LEGALITA‘
Immaginate di essere Cameron, il premier britannico, che ha il referendum sull’Europa a breve.
O Rajoy, il suo collega spagnolo, che ha le elezioni a novembre.
Oppure Hollande, bocciato nei sondaggi da 8 francesi su 10; o il suo primo ministro Valls, che ogni volta non sa se ritroverà la poltrona.
O sua maestà Merkel, che tra tante debolezze rischia il delirio di onnipotenza.
Vi è appena arrivata dall’Italia l’ennesima richiesta di aiuto sull’immigrazione: navi da impiegare nel Mediterraneo, quote di africani e siriani da accogliere, denari da spendere.
E nello stesso momento vi è arrivata la rassegna stampa con le notizie dalla capitale italiana sulla banda bipartisan – destra e sinistra in società – che dall’immigrazione trae la sua ricchezza.
Le intercettazioni tradotte dal romanesco perdono un po’ di virulenza linguistica, ma il quadro è chiaro: la politica dell’accoglienza in Italia è in mano (anche) ad avanzi di galera, che si fanno pagare due euro al giorno preferibilmente in nero per ogni migrante, che possono scendere a un euro se i migranti sono almeno cento; tanto le cifre variano a piacimento, perchè di nessuno viene registrata l’identità ; non sono persone, sono numeri su cui speculare.
Che figura ci facciamo?
Quale Paese è un Paese che finisce sui giornali del mondo con notizie così?
Con quale credibilità possiamo chiedere soccorso all’Europa?
Come non capire che in questo modo forniamo un alibi perfetto agli egoismi delle altre nazioni?
Intendiamoci: l’Europa non ha la coscienza pulita. Di fatto i Paesi confinanti con l’Italia hanno sospeso gli accordi di Schengen, e gli stranieri sbarcati a Lampedusa e in Puglia vengono bloccati a Ventimiglia e al Brennero; per tacere della nuova emergenza, i profughi in arrivo sulla frontiera orientale.
Di fronte a un evento destinato a segnare la nostra epoca, la risposta europea è fiacca e meschina.
Cameron offre navi per salvare i naufraghi – che vanno salvati sempre, s’intende – purchè finiscano tutti in Italia.
Hollande e Valls ricordano il vecchio Arafat, che all’estero parlava di pace in inglese e a casa rinfocolava le folle in arabo: quando vengono in Italia si profondono in assicurazioni e promesse, subito dimenticate al rientro in patria.
Il governo fa bene a protestare e a insistere: sull’immigrazione si gioca popolarità e credibilità .
Ma vicende come quelle di «Mafia Capitale» indeboliscono l’intero Paese.
Nessuno scandalo potrà far dimenticare l’umanità degli abitanti di Lampedusa, il gran lavoro dei marinai e degli altri uomini in divisa, la generosità dei volontari, la mobilitazione del mondo cattolico.
Ma non basta limitarsi a dire che chi ha sbagliato deve finire in galera.
È un sistema politico che dev’essere rifondato, all’insegna della legalità e dell’efficienza.
Fino a quando l’Italia sarà la terra della corruzione e dell’impunità del male, sarà sempre l’anello debole dell’Europa.
Per contare qualcosa nella comunità internazionale non bastano la fantasia, l’estro, la bellezza, il genio; occorre anche un po’ di onestà .
Gli altri europei non sono meno corrotti di noi per natura (come dimostra la penosa vicenda Fifa); sono soltanto più rigorosi con la corruzione.
E non mancheranno di rinfacciarcelo
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
“TINEBRA MI DICEVA CHE DOVEVO CONSIDERARLO UN LAVORO, LA PALMA MI CONSOLAVA DICENDO CHE AVREI ACCUSATO COMUNQUE DEI CRIMINALI”
“Lo sapevano tutti che ero un falso pentito. Lo dicevo anche ai pm che io, con l’omicidio del dottor Borsellino, non c’entravo nulla”.
L’esame di Vincenzo Scarantino nel Borsellino Quater è andato avanti per tre giorni, con pazienza gli inquirenti stanno ricomponendo un puzzle impossibile.
E’ la fotografia di un clamoroso depistaggio di Stato ciò che per 20 anni si è nascosto dietro la strage di via D’Amelio.
L’ex picciotto della Guadagna racconta che l’allora procuratore generale di Caltanissetta, il dottor Giovanni Tinebra, provava a lenire il suo senso di colpa spiegandogli che avrebbe dovuto prendere la sua falsa collaborazione come un lavoro, mentre la dottoressa Anna Maria Palma lo consolava spiegandogli che i nomi che lo spingevano a fare, nella fantasiosa ricostruzione della strage, erano comunque colpevoli di altri crimini. Dichiarazioni pesanti, a Scarantino trema la voce, ma è stanco di mentire, è stanco di fingere e più volte in aula scoppia a piangere.
“Mi sento addosso 130 anni. Credetemi, ho visto di tutto nella mia vita, imploro pietà , vorrei solo essere lasciato in pace”.
Enzino dice di aver paura, lascia intendere di subire ancora pressioni, ma su domanda specifica, dopo un lungo silenzio, con un filo di voce aggiunge “è meglio che non parliamo di queste cose”.
Allora si parla d’altro, si torna indietro nel tempo e dei suoi rapporti con gli uomini del gruppo Falcone-Borsellino.
“Il dottor Bo voleva che mi accollassi anche un duplice omicidio. Ricordo che era stato ucciso un poliziotto insieme alla moglie in cinta”.
E’ l’omicidio, tutt’oggi avvolto nel mistero, di Nino Agostino e della sua giovane sposa. Una dichiarazione che completa ciò che il papà di Agostino, appena un anno fa aveva pubblicamente denunciato.
“Nella disperata ricerca di Faccia da Mostro, nel 1990 il dottor Arnaldo La Barbera mi ha convocato diverse volte in questura per mostrarmi delle fotografie dei possibili autori dell’omicidio di mio figlio. Tutte le volte puntava il dito su un tipo biondino che non avevo mai visto prima. Solo dopo la strage di via D’Amelio, quando vidi in televisione il volto del pentito cardine di quel processo riconobbi che si trattava di Scarantino”.
Un fantoccio perfetto, ignorante, emarginato e ricattabile. Pronto all’uso per qualsiasi crimine da insabbiare, mistificare o depistare.
E’ questo il profilo di Scarantino che emerge dall’ultima udienza del Borsellino quater. “Mi facevano studiare sul libro di Buscetta per imparare a essere un bravo collaboratore di giustizia, prima degli interrogatori mi dicevano cosa dovevo dire”, riprende Scarantino dopo una lunga pausa.
“Ci risulta che lei fosse in possesso dei verbali da lei stesso resi prima ancora che venissero depositati, chi glieli dava?” chiede il pm Gabriele Paci commentando che “questo è il teatro dell’assurdo”.
Glieli dava la dottoressa Palma tramite il funzionario di polizia Mattei, spiega Scarantino, “faceva parte del mio indottrinamento perchè a volte sbagliavo e bisognava correggere il tiro per far collimare le mie dichiarazioni con quelle degli altri due pentiti, Candura e Andriotta”.
In fondo all’aula, ad ascoltare le dichiarazioni di Scarantino c’è Tanino Murana, un povero cristo che ha scontato 19 anni di 41bis per colpa delle false dichiarazioni di Enzino. Non si è perso neanche un’udienza, è parte civile e in ballo c’è la sua vita.
Il pentito farlocco gli chiede perdono, ma Tanino l’ha perdonato da un pezzo. “Enzo è una vittima, proprio come me”.
Il prossimo 19 luglio saranno passati 23 anni dalla morte del giudice Borsellino e degli uomini della sua scorta. C’è solo da augurarsi due cose: che nella vetrina di via D’Amelio nessuno si batterà più il petto dicendo che quella stage è orfana della verità e che la dottoressa Palma, di recente trasferita alla procura generale di Catania, faccia un passo indietro quando alla sua Procura verrà chiesto di revisionare il Borsellino bis.
Dina Lauricella
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
I SENATORI DELLA MINORANZA PD POTREBBERO VOTARE CONTRO, RESTANO APERTE LE TRATTATIVE, MARTEDI’ UN ODG POTREBBE MANDARE SOTTO IL GOVERNO
«Questo provvedimento mette in cattedra 100 mila persone: voglio proprio vedere chi si prende la responsabilità di bocciarlo», tenta di esorcizzare la preoccupazione la relatrice Pd in Senato del testo sulla Buona scuola, Francesca Puglisi, mentre scorre l’elenco dei membri della Commissione Istruzione. 14 a 12 per la maggioranza, considerando però nei 14 anche il senatore a vita Rubbia, che nel Pd non danno per scontato («è un indipendente») e tre della minoranza del partito (Tocci, Mineo e Martini).
Uno scarto risicato che potrebbe mettere in difficoltà il governo già martedì, quando si comincerà a votare il testo: andrà al voto un ordine del giorno di Tocci e Mineo che dà mandato al relatore per stralciare le assunzioni dei precari dalla riforma, proposta già fatta in passato a Renzi e sempre rispedita al mittente.
«Non voglio fare l’incendiario, ma la legge è un disastro. Stralciamo le assunzioni, da fare subito, e prendiamoci il tempo per ridiscutere il resto », predica Mineo.
Se al voto suo e di Tocci si unissero quelli dei 12 commissari d’opposizione, il governo finirebbe sotto.
In attesa della Direzione
Ma molto dipende dalle trattative in corso, e dalla Direzione del partito di lunedì.
Dal messaggio che vorrà lanciare il segretario-premier Renzi: «Chiederà di farla finita con esponenti del Pd che vanno nei talk show a parlar male del Pd», prevede un renziano ben informato.
Che però, allo stesso tempo, esclude toni fiammeggianti: «Con i ballottaggi delle comunali in vista e il Pd sotto attacco per via degli arresti romani, cercherà di mantenere unito il partito».
Tenterà , perlomeno, di non perdere la parte più dialogante della minoranza: non a caso le trattative sono aperte sulle modifiche al ddl scuola, il primo scoglio da affrontare.
Non è un testo blindato: sui poteri del preside la relatrice è favorevole a un emendamento che fissa in sei anni al massimo la permanenza di un preside nella stessa scuola, per evitare che si trasformi nel «padrone» dell’istituto.
Si discute di rafforzare il sistema di valutazione dei dirigenti scolastici, e anche di come rivedere il meccanismo per attribuire premi ai docenti (tra le ipotesi, quella di rinviare la scelta a un decreto delegato del governo successivo alla legge); è previsto anche di inserire un tetto allo school bonus, che dà credito d’imposta a fronte di finanziamenti alle scuole (anche paritarie).
Si sta ragionando anche su come, eventualmente, allargare il bacino delle assunzioni dei precari (dalla minoranza insistono che ci sono soldi per altri 37 mila ingressi): il problema è come individuare, tra i precari di seconda fascia, chi abbia titolo maggiore di altri.
«No patto del Nazareno»
Tentativi di rasserenare il clima in vista di passaggi complicati.
«In tutte le Commissioni del Senato la maggioranza è di 1-2 membri», ammette Giorgio Tonini.
E proprio lì al Senato si concentrano ora testi rischiosi, dalla Rai alle unioni civili, fino alla riforma costituzionale.
Con la minoranza che già avverte: «Bisogna evitare un patto del Nazareno sulla scuola». Cioè, svela un malizioso timore il bersaniano Miguel Gotor, «è solo un’impressione: ma non vorrei che il governo assumesse i precari Tfa, il percorso individuato quando ministro era la Gelmini, e si assicurasse in cambio il voto di Forza Italia al testo senza modifiche». Loro non ci starebbero: «Non vogliamo fare una riforma di destra».
Francesca Schianchi
(da “La Stampa“)
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Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
PROPOSTO DALL’ENTE INDIPENDENTE PER LA TRASPARENZA UN ADEGUAMENTO DEL 10%,,, CAMERON: “LE BUSTE PAGA DEI DIPENDENTI PUBBLICI SONO CONGELATE DA ANNI, LA POLITICA DIA L’ESEMPIO”
Mentre in Italia ci sdegniamo per l’oscenità di Mafia Capitale — ennesimo affondo alla reputazione del Paese, già percepito come uno tra i più corrotti in Europa (a pari merito con Romania, Grecia e Bulgaria), in Uk la polemica del giorno è ben più prosaica: si discute, e animatamente, di una proposta di aumento del 10% dello stipendio base dei parlamentari.
Parliamo qui dei soli membri della Camera dei Comuni, visto che i membri della Camera dei Lords non ricevono uno stipendio ma soltanto un gettone di presenza che varia dalle 150 alle 300 sterline al giorno.
L’aumento del 10% è stato proposto come parte di un pacchetto di riforme, che prevede anche una revisione di pensioni, rimborsi spese e buonuscita, dall’Ipsa, Independent Parliamentary Standards Authority, un ente indipendente istituito per garantire equità e trasparenza nella regolamentazione e gestione di stipendi e rimborsi dei parlamentari.
Ipsa, dopo un attento esame e varie consultazioni pubbliche ha infatti stabilito che lo stipendio base dei parlamentari dovrebbe aumentare dalle attuali 67,060 sterline annue a 74,000 sterline.
Oltre allo stipendio, i parlamentari che ricoprono incarichi particolari ricevono compensi aggiuntivi che variano dalle 14,876 sterline per il Presidente di una Commissione Parlamentare alle 75,000 sterline aggiuntive per il Primo Ministro.
E c’è da dire che gli stipendi a Westminster non sono frugali come quelli dei parlamentari spagnoli ma sembrano comunque sotto la media internazionale .
Inoltre tutti i parlamentari hanno diritto a un rimborso per vitto e alloggio e per spese d’ufficio.
Tutti i dati storici relativi ai rimborsi sono pubblicati sul sito di Ipsa che rivela i dettagli di tutte le spese dei parlamentari mese per mese.
Un’innovazione recente, nata dopo le polemiche su alcuni abusi scoperti nel 2009 e che ora garantisce trasparenza e permette lo scrutinio costante di giornalisti e cittadini.
Il nodo della questione? I parlamentari questo aumento di stipendio non lo vogliono assolutamente.
Il Primo Ministro si è appellato a Ipsa chiedendo che la proposta venga ritirata perchè l’aumento di circa 7000 sterline sembra davvero “fuori luogo” visto sopratutto che gli stipendi dei dipendenti pubblici sono congelati da anni.
Esponenti di spicco dei partiti di opposizione come la Laburista Yvette Cooper e il Liberal Democratico Tim Farron hanno dichiarato di voler rifiutare l’aumento e molti altri parlamentari incluse Harriet Harman, leader dei Laburisti e Nicky Morgan, Ministro dell’Istruzione, affermano che l’aumento è ingiustificabile e se non potranno rifiutarlo daranno la somma in beneficienza.
Non passa giorno che un parlamentare più o meno in vista non chieda un microfono per esprimere sdegno, in aula è tutto un susseguirsi di impegni formali al rifiuto e su twitter i parlamentari non esitano a definire quelle 7000 sterline di aumento “semplicemente immorali”.
No, i politici britannici non sono tutti probi martiri del servizio pubblico animati da grande spirito di sacrificio, ma sanno benissimo che se è vero che il loro salario è inferiore a quello di medici di famiglia (circa 90,000 sterline all’anno), presidi (circa 79,000 sterline) e giudici (circa 132,000 sterline) è anche vero che i costi della politica, in Uk come nel resto d’Europa, sono i più indigesti per i contribuenti.
Gli elettori, infatti, nonostante risarcimenti volontari, dimissioni eclatanti e impegno a una maggiore trasparenza, non hanno ancora perdonato ai parlamentari gli abusi venuti a galla nel 2009, che in realtà erano spesso frutto di poca chiarezza nelle linee guida più che di dolo.
Fin ora soltanto due parlamentari si sono espressi apertamente in favore dell’aumento. Ed è probabile che pochi altri correranno il rischio di venire criticati duramente da stampa ed elettori visto che già esistono gruppi che monitorano le dichiarazioni e le intenzioni in merito dei parlamentari.
Alcuni commentatori però fanno notare che per Parlamento e governo sarebbe moralmente e costituzionalmente sbagliato interferire nelle decisioni di un ente la cui indipendenza è fondamentale al buon esercizio delle sue funzioni.
Gli economisti dell’Ipsa in fondo stanno solo facendo il loro lavoro: giustificano la proposta con comparazioni accurate agli stipendi medi per ruoli con un livello di responsabilità equiparabile a quello dei parlamentari e assicurano che vista la riforma delle pensioni e i nuovi limiti ai rimborsi, i costi della politica non aumenteranno di un solo penny.
E’ difficile prevedere come si risolverà la faccenda. E’ chiaro però che sarà Ipsa, in totale autonomia, ad avere l’ultima parola sull’attuazione in toto o meno del pacchetto di riforme proposte e, in effetti, basta guardare i numeri per constatare che davvero il costo dei parlamentari per i contribuenti non aumenterà .
Ciò che però rende quasi impossibile per i parlamentari accettare l’aumento senza protestare non è soltanto la memoria viva dello scandalo dei rimborsi, ma soprattutto il timore di danneggiare ulteriormente il filo sottile di fiducia che li lega agli elettori. Se è vero che l’economia britannica è in via di ripresa, è altrettanto vero che il reddito di molti in termini reali è rimasto fermo ai livelli pre-crisi e il programma di drastici tagli alla spesa pubblica continua.
Inconcepibile quindi continuare a chiedere sacrifici e pazienza agli elettori mentre si accetta di buon grado un aumento di stipendio: potrebbe essere il preludio a un suicidio reputazionale che la classe politica britannica non si sognerebbe mai di rischiare.
Alice Pilia Drago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
PER CHI AVESSE AVUTO ANCORA DUBBI SULLA SUA “IMPRESENTABILITA'”… CONDONO IN VISTA PER 80.000 IMMOBILI ABUSIVI: QUESTA SAREBBE LA LEGALITA’ TARGATA SCERIFFO PD
Se qualcuno aveva dubbi sul carattere esclusivamente formale o anche sostanziale della “impresentabilità ” di Vincenzo De Luca, il suo primo atto di governo – fortunatamente solo annunciato – aiuta a dissiparli.
Il sindaco decaduto di Salerno e presidente “decadendo” della Regione Campania ha detto in un’illuminante intervista al “Mattino” che procederà immediatamente a condonare gli 80 mila immobili abusivi presenti nella sua regione.
A parte l’aberrazione giuridica di tali dichiarazioni – solo una legge nazionale può introdurre nuove sanatorie -, esse dimostrano chi è veramente De Luca: un notabile espressione della peggiore politica meridionale degli ultimi decenni, un perfetto rappresentante di quelle larghe intese campane che da tempo stanno cercando di condonare le migliaia di abusi edilizi non sanabili in base alle leggi vigenti, e così di perpetuare la condizione di endemica illegalità urbanistica, di distruzione territoriale costata alla Campania non solo danni incalcolabili all’ambiente ma una condizione generale di dissesto del suolo che da Sarno a Ischia ha provocato centinaia di morti e feriti.
Per De Luca e per i suoi “simili”, tre sanatorie generalizzate in meno di trent’anni (1985, 1994 e 2003) non sono bastate, non hanno distrutto sufficiente territorio e aggravato a dovere l’insicurezza abitativa che vede centinaia di migliaia di cittadini, moltissimi campani, vivere in case costruite illegalmente e perciò spesso costruite in zone dove abitare è pericoloso.
Si può fare di più e di peggio: questa la loro battaglia che ora ha trovato in De Luca un nuovo campione.
A questo punto vi è un’ottima ragione in più per augurarsi che De Luca sia sospeso il prima possibile, e che con altrettanta urgenza la Corte Costituzionale dichiari illegittimo anche il recente condono mascherato varato dal suo degno predecessore Caldoro con una legge regionale.
Ma questa prima esternazione pubblica di De Luca da presidente neo-eletto della Campania pone un tema molto più generale e ancora più preoccupante.
Il centrosinistra italiano si era sempre opposto ad ogni proposta, iniziativa che abbassasse la guardia nella lotta all’abusivismo edilizio, piaga tutta italiana che in particolare nel Mezzogiorno ha provocato ferite inguaribili all’ambiente e al paesaggio.
Secondo le stime di Legambiente, oltre il 20% di tutte le case costruite nel Sud negli ultimi decenni è illegale: un business colossale, che in molti casi è gestito in prima persona dalle ecomafie e che ha evaso tasse per miliardi.
Proprio la Campania è la regione in cui il mattone illegale ha imperversato di più, letteralmente sfigurando città e campagne, coste e sponde fluviali: basta vedere le migliaia di case illegali sorte sulle pendici del Vesuvio, dove l’alto rischio vulcanico imporrebbe di non tirare su nemmeno un metro cubo, o all’isola d’Ischia dove la magistratura ha ordinato centinaia di demolizioni.
Contro tutto questo, ripetiamo, il centrosinistra si era sempre battuto, almeno nelle aule legislative (Parlamento e Consigli regionali).
Vorremmo sapere se per il Pd questa regola vale tuttora, o se tra le grandi innovazioni cui tiene Matteo Renzi vi sia pure la rinuncia definitiva a quell’ingombrante, anacronistico, fastidioso principio per cui l’abuso edilizio è reato e gli immobili illegali vanno semplicemente demoliti.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
KERMESSE DI DUE GIORNI NELLA CAPITALE CON L’ADESIONE DI ASSOCIAZIONI ED ESPONENTI DI VARI PARTITI
Lui continua a ripetere che «non sarà un partito». Anche se a prima vista potrebbe sembrare il contrario.
Nel frattempo, ha fissato l’appuntamento per oggi e domani al centro congressi Frentani di Roma.
Lo stesso che in passato ha ospitato le convention di Rifondazione comunista ma anche quello dal quale, due anni fa, Maurizio Landini “minacciò” di occupare le fabbriche se agli operai fossero stati chiesti ulteriori sacrifici.
Questa volta, però, il leader della Fiom ha deciso di fare le cose in grande e lanciare la “sua” Coalizione sociale, un progetto a cui ha lavorato pancia a terra negli ultimi mesi coinvolgendo associazioni e movimenti della società civile.
E che ora è ufficialmente pronto al battesimo. «La Coalizione va nel senso di costruire delle pratiche e di ricostruire una cultura politica e solidale», ha recentemente spiegato il numero uno dei metalmeccanici al Fatto.
Perchè «non c’è solo la crisi dei partiti ma anche quella dei corpi intermedi e del sindacato».
Una creatura che, quindi, guarderà non soltanto agli astenuti ma soprattutto a quellafetta di elettorato deluso dalla sinistra e dal Partito democratico di Matteo Renzi. Uno che per Landini è addirittura «peggio di Berlusconi», visto che «agisce con una logica padronale» e che col suo modo di fare «mette a rischio la tenuta della democrazia del nostro Paese».
DIECI PER CENTO
Certo è che, malgrado la macchina non abbia ancora nemmeno iniziato il rodaggio, le ambizionidel numero uno della Fiom sono grandi.
«Se si lancia un progetto — dice Landini — lo si fa per governare». Difficilmente, però, si potrà arrivare a Palazzo Chigi senza l’aiuto di quei soggetti, o di una parte di essi, che già siedono in Parlamento.
Come spiega ailfattoquotidiano.it il direttore di Ipr Marketing, Antonio Noto, «la Coalizione sociale con al suo interno la sinistra del Pd e l’elettorato scontento di Renzi vale oggi il 10%. Ma solo nel caso in cui si creasse il cosiddetto Partito della Nazione», cioè quello che accoglierebbe, fra gli altri, i transfughi di Scelta Civica, Sinistra ecologia e libertà (Sel) e Movimento 5 Stelle.
Altrimenti, dice ancora il sondaggista, «se Landini dovesse confrontarsi con il Partito democratico così com’è attualmente il suo consenso scenderebbe intorno al 6-8%». Anche perchè, aggiunge Noto, «il leader dei metalmeccanici è un soggetto che da solo può dare vita ad un’area di sinistra» ma «un partito-Fiom non avrebbe grande seguito» in vista delle elezioni. Vicine o lontane che siano.
Per il numero uno di Swg, Roberto Weber, il peso elettorale della Coalizione sociale oscilla al momento fra il 5 e il 10%.
Percentuali confermate da Nicola Piepoli, amministratore delegato dell’omonimo istituto.
«Questo tipo di raggruppamento anticonformista — dice Piepoli — ha avuto successo in Liguria nelle recenti elezioni Regionali, trascinando i “dissidenti” e portando la candidata del Pd, Raffaella Paita, alla sconfitta. È stato sicuramente un buon banco di prova».
MOVIMENTI IN ARRIVO
Ecco perchè nel weekend, al Frentani,non ci saranno solo le associazioni: da Libera di don Ciotti ad Emergency di Gino Strada fino a Libertà e Giustizia (Sandra Bonsanti, Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare), Articolo 21 e Arci.
O esponenti di spicco della società civile, come il giurista Stefano Rodotà .
Ma anche alcuni rappresentanti di quelle forze politiche che oggi puntano a ricostruire un’area di sinistra radicale.
Sel, ad esempio, sarà rappresentata dal coordinatore nazionale Nicola Fratoianni e da Giorgio Airaudo, ex segretario nazionale della Fiom.
«Trovo rispettoso andare lì ad ascoltare — spiega Airaudo a ilfattoquotidiano.it —. Condivido l’idea di Landini di dare vita ad un soggetto che sappia cogliere i bisogni di quelle persone che non si sentono più rappresentate. Personalmente, credo che stia nascendo qualcosa di più importante di un partito, cioè un patto di mutuo soccorsofra soggetti che ogni giorno risolvono problemi reali. Mi auguro che questo, in seguito, generi una domanda politica».
Non sarà presente fisicamente, invece, Giuseppe Civati. Il quale, uscito di recente dal Partito democratico, nei giorni scorsi ha lanciato il suo nuovo movimento: Possibile. L’ex sfidante di Matteo Renzi alle primarie dice comunque di guardare con «grande disponibilità e attenzione» all’iniziativa di Landini, con cui rivela di essere in contatto. «L’ultima volta che ci siamo sentiti è stato prima delle elezioni», spiega.
Poi, dalle colonne del suo blog, ribadisce: «Penso che ci siano molte cose che si possano condividere immediatamente, ad esempio le proposte che riguardano il reddito minimo e la progressività fiscale, due punti su cui stiamo insistendo da tempo. La domanda c’è: c’è quella sociale e c’è quella politica. Pensiamoci», conclude Civati.
ORDINE SPARSO
Anche Stefano Fassina osserverà con occhio attento a quanto accadrà nella due giorni romana. Perchè «il raccordo fra le domande sociali che oggi sono isolate, per arrivare ad esprimerne una politica, per me è fondamentale», dice l’ex viceministro dell’Economia, uno dei leader della minoranza del Pd.
Chi invece al Frentani ci sarà , anche se «in maniera piuttosto defilata», è Francesco Campanella, senatore ex Movimento 5 Stelle oggi nel Gruppo Misto. Con lui sarà presente il collega Fabrizio Bocchino. Mentre Maria Mussini, Maurizio Romani e Alessandra Bencini, che a marzo avevano partecipato alla prima iniziativa di Landini nella Capitale, non saranno alla kermesse ma continuano a guardare con interesse a ciò che si muove intorno alla Coalizione sociale.
«Non vogliamo partecipare in qualità di politici ma di cittadini attratti da questo nuovo processo», spiega Campanella. «Ci interessano gli aspetti innovativi della linea di Landini in un periodo nel quale il sentiment dei cittadini che partecipano al voto si sta spostando a destra. Un approccio orientato alla società civile è interessante — aggiunge il senatore —, ci piacerebbe capire come questo si declinerà . Preclusioni nei confronti delle altre forze politiche? Non direi. Chi è in condizione di esprimere una propria rappresentanza sincera va incluso: siamo stati espulsi dal Movimento», conclude Campanella, «proprio perchè eravamo convinti che andasse adottata una politica di alleanze».
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 6th, 2015 Riccardo Fucile
IL CONSULTO CON RENZI SUL VICE DA NOMINARE
Il governo non cambierà la Severino. Non ci sarà un decreto ad hoc, ma il presidente della Campania Vincenzo De Luca potrà insediare il Consiglio regionale e formare la giunta prima di ricevere il provvedimento di sospensione secondo la stessa legge per una condanna in primo grado.
L’intesa tra il premier Matteo Renzi e il nuovo governatore della Campania è stata raggiunta nel pomeriggio durante un incontro di un’ora a Palazzo Chigi.
Un’intesa che è stata preceduta da ampie dichiarazioni, avviate la scorsa settimana in campagna elettorale a Napoli dal ministro Maria Elena Boschi che sul caso De Luca aveva parlato di “passaggi successivi alle elezioni”. Interventi chiusi ieri mattina alla Camera da Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno, in risposta ad un’interrogazione parlamentare di Forza Italia: «La legge regionale campana prevede che la comunicazione al Consiglio regionale nel primo insediamento costituisce notifica dell’avvenuta proclamazione ».
Perchè sia efficace la proclamazione degli eletti, secondo Bubbico, è dunque necessario che sia insediato il Consiglio regionale.
E proprio questo passaggio in aula consentirà a Vincenzo De Luca di nominare la giunta, compreso il suo vice che, nelle settimane della sospensione, avrà il compito di governare la Campania. Renzi e De Luca hanno infatti anche parlato di una rosa di nomi sul possibile vicepresidente della giunta.
Su questo punto non è trapelato nulla, ma tra i nomi in discussione i più gettonati restano quelli del segretario regionale Assunta Tartaglione e di Fulvio Bonavitacola, avvocato e deputato salernitano.
Ovviamente dopo la sospensione De Luca ricorrerà subito al giudice ordinario.
«C’è già un precedente — ricorda — quello della Corte d’Appello di Bari che rigettò la sospensione reintegrando un consigliere regionale ».
Prima di andar via il presidente della Campania ha confermato al premier che dopodomani tornerà a Roma per partecipare alla riunione della Direzione nazionale del Partito democratico e, uscendo da Palazzo Chigi, ha attaccato di nuovo Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia, che il venerdì prima del voto lo ha inserito nella lista di “impresentabili”.
De Luca l’ha già querelata: «Bisogna farle ringoiare parole ignobili. Quella della Bindi è stata un’iniziativa gravissima, un modo per colpire il presidente del Consiglio».
La road map definita dal governo e da De Luca non piace però a tutti.
Non la contesta solo Forza Italia ma anche Gianluigi Pellegrino del movimento “Difesa dei cittadini”, l’avvocato che ha vinto in Cassazione ottenendo che sia il giudice ordinario e non più il Tar a decidere sui ricorsi relativi alla legge Severino.
«Non bisogna essere addetti ai lavori — sostiene Pellegrino, che contesta le dichiarazioni del viceministro Bubbico — per sapere che la proclamazione è un atto pubblico immediatamente efficace e valido erga omnes »
Mentre De Luca era a Roma, intanto, la Procura di Salerno ha depositato il ricorso in appello chiedendo la sua condanna non solo per abuso di ufficio ma anche per peculato proprio nel processo che lo vede condannato in primo grado per una nomina nel progetto di un termovalorizzatore. I legali dell’ex sindaco chiedono invece l’assoluzione piena perchè “il fatto non sussiste”.
In serata il presidente della Campania è rientrato frettolosamente per festeggiare vittoria del 31 maggio con i napoletani alla Mostra d’Oltremare ove è stato accolto da un’ovazione. In prima fila il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis.
Ottavio Lucarelli
(da “La Repubblica”)
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