Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
L’ACCUSA: “LO HA SCARICATO PER SALVARE CASTIGLIONE”
Il partito di Alfano assomiglia alla più classica maionese impazzita, attorno al frullatore delle inchieste.
E il “caso Azzollini” sta già producendo ancora più grumi.
Il segnale di ciò che potrà accadere è nella risposta di Renato Schifani a domanda se ci saranno ripercussioni del governo sull’arresto di Azzollini: “Sono due piani diversi, non ci sono collegamenti, qui si discute della libertà di una persona”.
Il che significa che Angelino Alfano ha già dato garanzie di tenuta della maggioranza. Certo difenderà il suo senatore, ma non drammatizzerà fino a mettere in difficoltà Renzi e non si immolerà sull’altare della difesa del presidente della Commissione Bilancio.
Ed è proprio attorno a questa manovra del ministro dell’interno tesa a non spezzare l’asse che lo lega a Renzi che aumentano i grumi della maionese.
E non è un caso che ieri alla riunione dei senatori di Ncd Alfano non abbia partecipato, rimandando la sua presenza alla riunione di martedì prossimi.
E non è un caso che, negli ultimi giorni, sulla scuola e non solo la maggioranza sia andata sotto per colpa di assenze “mirate” di senatori di Ncd.
E non è un caso nemmeno che ormai i rapporti tra Alfano e Quagliariello si sono così incrinati che ormai il mite ex ministro alle Riforme viene descritto “in rotta con Angelino”.
Al Senato il partito centrista è diviso in tre bande. E, delle tre, aumenta di consistenza quella di chi, come Quagliariello, pensa che “così non si può andare avanti”, e dunque o si negozia un “patto complessivo” con Renzi oppure si finirà per arrivare a una lenta e inesorabile estinzione.
Dove nel patto complessivo c’è tutto: dalle riforme, compresa la modifica della legge elettorale, alla difesa di Castiglione e Azzollini.
Tra questi c’è Schifani e il vicepresidente del Copasir Giuseppe Esposito, uno che parla poco, ma quando parla manda segnali molto chiari: “Marino e Zingaretti — ha scritto in una nota – dovrebbero dimettersi il prima possibile. Se dal punto di vista giudiziario vale per tutti la presunzione di innocenza, in chiave politica non è possibile lasciar passare che il sindaco della capitale e il governatore del Lazio siano stati eletti anche grazie ai voti ottenuti per effetto di connivenze tra il malaffare e il proprio partito. Per molto meno ministri, sottosegretari e presidenti di Regione hanno dovuto compiere un passo indietro”.
E c’è un motivo se il warning è già scattato a palazzo Chigi.
Dove è tangibile una certa tensione, e da dove è partito l’ordine di scuderia di non giocare col fuoco.
Perchè basta un attimo e scoppia l’incendio. E per questo Orfini dopo aver dichiarato inevitabile il voto “sull’arresto di Azzollini” uscito da palazzo Chigi ha dichiarato che certo “le carte vanno lette”.
Il nervosismo riguarda tutto, ma nel tutto il timore che la gamba di centro della maggioranza possa franare è concreto.
Avanza nel gruppo al Senato una certa insofferenza verso la linea Alfano per cui, dicono in parecchi, “Lupi e Azzollini pari sono” purchè resti salda la sua posizione al Viminale, mentre non si dice nulla su Marino e Roma.
E soprattutto il sacrificio di Azzollini, attraverso una finta difesa, viene visto come la mossa di Alfano per avere da Renzi una difesa vera di Castiglione: “Io — dice un senatore di Ncd — le carte su Azzollini le ho lette e c’è poco. La vicenda Castiglione è politicamente rilevante, ma Castiglione è Alfano. E Angelino pensa che difendendo Castiglione difende se stesso, secondo me sbagliando, perchè così tiene il Viminale al centro dell’attenzione. Ma evidentemente non può permettersi di scaricarlo”.
Ma non ci sono solo gli insofferenti che dicono “o patto o rottura”.
Ci sono quelli — sette, otto senatori – che ormai si sentono “renziani” e che vorrebbero direttamente entrare nel Pd e il cui punto di riferimento è Beatrice Lorenzin, come Chiavaroli, Bianconi, Langella.
E c’è un gruppo che oscilla, come quello dei calabresi, tra le sirene di Verdini e la suggestione di un nuovo centro-destra.
Su 35 senatori, stando ai ben informati, di fedelissimi, il ministro dell’Interno ne conta 7-8. La Lorenzin su una linea filo Pd altrettanti. Gli altri venti, tra critici e dubbiosi, sono una ventina.
Le elezioni anticipate non le vuole nessuno ma al Senato si balla.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
I PARLAMENTARI ROMANI VEDONO LA PRESA DELLA CAPITALE, MA IL GURU NON VUOLE CONCEDERE DEROGHE AL REGOLAMENTO
I parlamentari romani 5 Stelle vogliono la Capitale. Ora e subito.
Il loro capo è “Dibba”, ma Casaleggio dice “no”. Ora che la “giunta Marino è debole, ora che è scoppiata la vergogna di Mafia Capitale bis, il sindaco deve dimettersi”, così ragionano i pentastellati capitolini.
Quindi che fare? “Andare al voto e vincere con Alessandro Di Battista”.
Senatori e deputati, nei vari capannelli tra i corridoi di palazzo Madama e Montecitorio, pensano che la carta vincente da giocare, in questa fase, sia proprio quella del deputato romano, molto amato dalla base capitolina e componente del Direttorio.
Tra l’altro il tam tam “Alessandro Di Battista sindaco di Roma” è partito una settimana fa su Facebook, dove gli attivisti non hanno nascosto di sognare la volata dei 5 Stelle al Campidoglio.
Così sono stati gli stessi parlamentari romani, secondo quanto viene raccontato, a sottoporre al guru Gianroberto Casaleggio la questione, consapevoli che tuttavia un problema ci sarebbe.
Tra le regole auree dei 5 Stelle figura infatti il divieto di abbandonare, per intraprendere una nuova corsa, il mandato per il quale si è stati eletti.
Per questo Di Battista sarebbe fuori dai giochi.
Ma una possibilità c’è: concedere una deroga, dopo ovviamente aver consultato gli iscritti al blog di Beppe Grillo.
Ed è a questa ipotesi che si sono attaccati i parlamentari romani 5 Stelle che chiedono con insistenza, direttamente a Casaleggio, se la strada della deroga sia percorribile. Ma il guru non ne vuole sapere.
In questi giorni, a più riprese, secondo quanto viene riferito dall’Adnkronos, Casaleggio ha spiegato ai suoi che non ha niente di personale contro Di Battista ma “ogni volta che deroghi ad una regola praticamente la cancelli”. E poi ancora: “Siamo un Movimento, non un partito ed è fondamentale tenere le distanze e marcare le differenze”. Quindi la risposta è “no”.
Per Casaleggio, in sostanza, vige la stessa intransigenza mostrata sulla vicenda liste e corsa alle regionali.
Anche perchè nei mesi scorsi molti parlamentari, ma anche molti attivisti, hanno fatto notare che tante regole sono state violate.
Prima fra tutte quella dell’ “uno vale uno”, venuta meno con la nomina di un Direttorio.
Pertanto, concedere una deroga per candidare Di Battista alla poltrona di primo cittadino della Capitale creerebbe non pochi malumori.
I parlamentari romani 5 Stelle continueranno a insistere. E anche se Di Battista, che ogni volta che va a protestare davanti al Campidoglio si muove da sindaco in pectore, dice in via ufficiale che deve “finire il mandato da deputato”, i deputati e senatori romani tra loro ripetono: “Dobbiamo vincere. Al Nazareno c’è già lo spettro Dibba”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
SMENTITE LE BALLE LEGHISTE: IN BASE AI PARAMETRI ABITANTI E RICCHEZZA SONO TRA LE REGIONI MENO OSPITALI
Lombardia, Veneto e Liguria all’attacco sui migranti: ne hanno troppi, denunciano. Non possono riceverne di più, dicono.
E snocciolano le cifre. Ma la politica, si sa, è brava a piegare e interpretare i dati. C
he però a volte raccontano anche un’altra storia.
Diversa, e quasi opposta.
Così Roberto Maroni, sulla base dei dati resi noti dal ministero dell’Interno, rivendica: la Lombardia è al terzo posto in Italia per numero di migranti accolti. “Basta così”, dice. Seguito da Luca Zaia e da Giovanni Toti.
È vero: La Lombardia è la terza regione italiana, dopo Sicilia e Lazio, come percentuale di presenze di migranti nelle strutture di accoglienza.
Ma vediamo nel dettaglio i numeri: la Sicilia ha accolto 16.010 migranti, il Lazio 8.611 e la Lombardia 6.599, rispettivamente, in percentuale sul totale dei 73.943 migranti ospitati in questo momento in Italia, il 21,7%, l’11,6% e 8,9%.
Medaglia di bronzo della solidarietà , dunque, secondo il calcolo del Carroccio che mette la Regione tra le prime della classe.
I dati sui migranti sono aggiornati al 6 maggio e sono contenuti in una tabella del Viminale dove c’è la ripartizione regione per regione dei migranti nei Cara, i centri per richiedenti asilo, nello Sprar, il sistema di accoglienza per i rifugiati, e nelle strutture temporanee.
Ma la storia non è tutta qui.
Il calcolo fatto dal governatore leghista sembra dimenticare un fatto semplice, eppure determinante: non tutte le regioni sono uguali.
Non lo sono per popolazione, non lo sono per superficie, e tantomeno per ricchezza. Prendiamo ad esempio la popolazione: la Lombardia scivola in fondo alla classifica se solo si calcola la percentuale di migranti accolti in relazione al numero di abitanti, secondo gli ultimi dati Istat disponibili.
La Lombardia ha accolto 66,7 profughi ogni 100mila abitanti.
Pochi, se si pensa che l’assai più piccolo Molise ha sul proprio territorio 396,8 migranti ogni 100mila.
La Lombardia infatti ha quasi 10 milioni di abitanti contro i 314mila del Molise.
Guardando la ‘classifica’ dell’accoglienza da questa prospettiva, la situazione è ben diversa da quella che raccontano Maroni, Zaia e Toti.
Veneto e Lombardia (superate solo dalla Valle d’Aosta) sono tra le regioni meno ospitali, con la Liguria che arriva 13 ª, con 90 migranti accolti nei centri di accoglienza sempre su 100mila abitanti.
I dati parlano chiaro: è il sud a sopportare, proporzionalmente alla popolazione, il peso maggiore dei 73mila migranti attualmente in Italia. In testa, come detto, c’è il Molise che ha accolto sei volte più migranti di quelli in Lombardia.
Subito dopo ci sono Sicilia, con 314,2 migranti e la Calabria con 240,8 profughi (ogni centomila abitanti). Quarta la Basilicata (171) e poi il Friuli Venezia Giulia (167).
Calcolare la percentuale dei migranti per regione senza tener conto della popolazione è fuorviante: la Lombardia è la prima regione in Italia per numero di abitanti, nulla di strano dunque se a Maroni tocca una quota maggiore.
Altro che terza regione più penalizzata: al momento è una delle meno ‘cariche’.
Ma in questi giorni di numeri se ne sono sentiti molti.
Luca Zaia analizza così la situazione: “Noi abbiamo ospitato fino ad ora il 5% dei profughi, la Toscana il 6%, ma loro non hanno l’11% della popolazione immigrata”. Intanto, i numeri non sono questi: il Veneto ha accolto il 4% dei migranti sul totale e non il 5%, e la Toscana il 4,3% e non il 6%.
Di più: il Veneto non ha l’11% di stranieri residenti, bensì il 10,4%.
Praticamente la stessa della Toscana: il 10,3%. Non sembra ci siano le differenze che il governatore veneto denuncia.
Tutt’altro: se guardiamo il numero di migranti nei centri di accoglienza del territorio in proporzione alla popolazione, la Toscana è più virtuosa: accoglie 84 migranti ogni centomila abitanti contro i 60 del Veneto.
Siamo poi proprio sicuri che la popolazione di stranieri residenti vada rapportata o sia da confrontare con quella dei profughi o dei richiedenti asilo?
Intanto sono cifre non comparabili.
La Lombardia ha 1,1 milioni di stranieri residenti e ha accolto 6.599 migranti. Un numero irrisorio, in un certo senso sarebbe come sommare mele e pere. E questo vale per tutte le regioni.
Di sicuro, la popolazione straniera influisce sulla ricchezza.
Stranieri che lavorano e producono reddito sono parte integrante di quel sistema virtuoso che rende le regioni del nord più ricche di quelle meridionali.
Anche per questo al nord risiedono più stranieri.
Allora andiamo a guardare anche i dati del Pil.
Nuova sorpresa: le quattro Regioni a ospitare il maggior numero di profughi sono tra le più povere d’Italia.
Si tratta di Molise, Sicilia, Calabria e Basilicata che rispettivamente hanno il 37, 55, 66 e 40% in meno della regione più ricca, la Valle D’Aosta.
Che è quella che ne accoglie di meno in assoluto.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
SEGUE L’EX COLLEGA PEPE…E GIUSTAMENTE ATTACCA IL PROVVEDIMENTO PATACCA VOTATO DAI GRILLINI
“Le legge sugli Ecoreati è una sconfitta per tutti”. Paola De Pin, senatrice fuoriscita dal Movimento 5 Stelle passa ai Verdi e come prima cosa attacca uno dei provvedimenti sostenuto dai grillini (tra i firmatari del ddl il M5S Salvatore Micilio). “E’ stata la molla”, ha detto in conferenza stampa, “che ha fatto scattare la mia decisione. Siamo stati solo tre senatori a votare contro, io, Bartolomeo Pepe e Francesco Molinari, e non è stato facile. Renzi l’ha fatta passare come una vittoria invece è una sconfitta per tutti noi. Introduce cinque Ecoreati ma poi si assicura totale incertezza ai processi”.
De Pin aveva lasciato il gruppo 5 Stelle al Senato poche settimane dopo l’ingresso in Parlamento e dopo l’espulsione della collega Adele Gambaro.
A ottobre 2013 aveva votato la fiducia al governo Letta ed era scoppiata in lacrime per gli attacchi degli ex colleghi.
Oggi ha deciso di seguire il senatore grillino Bartolomeo Pepe che ha fatto la stessa scelta qualche settimana fa e ha ufficializzato il passaggio alla federazione.
“Siamo fiduciosi che nei prossimi giorni possano esserci nuove adesioni”, ha detto in conferenza stampa il coportavoce Angelo Bonelli.
“Le attuali politiche di questo governo sono drammatiche dal punto di vista ambientale. Questo governo ha messo in ginocchio il settore delle energie rinnovabili mentre altri paesi, come la Germania, su questo settore hanno progetti ambiziosi”
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Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
LA LIGURIA AVRA’ COSI’ QUALCHE INDAGATO PER PECULATO IN MENO, BASTANO GIA’ QUELLI CHE CI SONO
Giovanni Toti è stato proclamato ufficialmente presidente della Regione Liguria dall’Ufficio elettorale regionale presso la Corte d’Appello di Genova.
Lo si apprende in ambienti di Palazzo di Giustizia.
L’ufficio elettorale regionale della Liguria ha proclamato eletti anche i sei consiglieri componenti del ‘Listino’ del presidente. Si tratta di Sonia Viale (Lega Nord), Giacomo Giampedrone, Stefania Pucciarelli (Lega Nord), Andrea Costa (Area Popolare), Ilaria Cavo, Gianni Berrino (Fratelli D’Italia).
Per la definizione completa del nuovo Consiglio regionale manca la proclamazione dei consiglieri eletti
Il Consiglio regionale uscito dalle urne assegna al momento 16 seggi alla maggioranza di centrodestra (15 più il presidente), composta da Lega Nord, Fi e Fratelli d’Italia, e 15 all’opposizione, composta da Pd, M5S e Rete a Sinistra.
L’ufficio elettorale regionale ligure ha confermato che non può essere superato il numero di trenta consiglieri regionali più il presidente.
E’ quanto si apprende dall’ufficio elettorale che si è riunito per valutare le memorie presentate dal centrodestra e quelle in opposizioni del Pd e del M5S. Il centrodestra può ora presentare ricorso al Tar.
Il centrodestra ricorrerà subito contro la decisione dell’ufficio elettorale ligure che ha ribadito che il numero di consiglieri regionali non possa superare quota 30. Lo ha riferito l’avvocato Daniele Granara, il quale ha spiegato che adesso ci sono trenta giorni per presentare il ricorso.
In caso di bocciatura anche da parte del Tar, il centrodestra farà ricorso al Consiglio di Stato, ha detto Granara. Per quanto riguarda i trenta consiglieri eletti sono gli uffici circoscrizionali provinciali a doverli proclamare e questo potrebbe avvenire fra domani e lunedì.
Sul tema è intervenuta anche Raffaella Paita con un comunicato:”L’ufficio elettorale centrale regionale ha respinto la richiesta di Toti di poter avere 3 consiglieri in più o, al limite, di sottrarre alla minoranza consiglieri democraticamente eletti. Il tentativo maldestro di modificare le regole da parte di un centrodestra che sa che avrà grossi problemi di governabilità non è passato. Si apre un nuovo scenario sulla vittoria elettorale e sul futuro del governo della Regione: Toti è stato proclamato Presidente, ma la sua maggioranza ha un solo consigliere in più. Questo renderà difficile se non impossibile governare la Regione. Noi non faremo mai da spalla o da stampella a questa maggioranza risicata.”
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Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
I DEM ASPETTERANNO LA RELAZIONE DEL PREFETTO GABRIELLI CHE ARRIVERA’ ENTRO FINE LUGLIO
Ignazio Marino non si tocca, è blindato, il Pd su questo argomento non può e non deve permettersi fratture e distinguo.
La linea dunque non cambia, l’hanno decisa insieme Matteo Renzi e Matteo Orfini, il commissario di Roma.
«Il sindaco ha portato le carte in Procura, ha aperto il Campidoglio alla Guardia di Finanza. La sua onestà è a prova di bomba».
Ma intorno a Marino l’inchiesta esplode e le schegge si avvicinano pericolosamente alla giunta. Per questo, nelle ultime ore a Palazzo Chigi e Largo del Nazareno si ragiona, in linea teorica, di un piano B.
L’ipotesi di far scivolare la situazione fino allo scioglimento per mafia va esclusa a priori. Sarebbe un danno d’immagine planetario, per di più alla vigilia del Giubileo.
Tendendo le orecchie verso la Procura e verso la Prefettura, si anticiperà questo possibile catastrofico esito e solo a quel punto a Marino verrà chiesto, o meglio imposto, il passo indietro.
Orfini garantisce che nessuna delle ipotesi peggiori si realizzerà . «Non avrei fatto lo scudo umano se avessi avuto qualche dubbio».
Le carte degli atti amministrativi che la commissione consegnerà lunedì al prefetto di Roma Franco Gabrielli sono state lette e spulciate da Orfini e da un pool di tecnici per verificare eventuali infiltrazioni.
«Non ci sono, anzi sono state respinte dall’attuale amministrazione », ripete il presidente del Pd. Ci mette non la faccia ma la mano sul fuoco, più doloroso se dovesse sbagliarsi. Però tutto intorno all’inappuntabile e incorruttibile Marino, brucia il Pd e brucia il sistema della Capitale. Gabrielli ha fatto sapere che si prenderà tutti i 45 giorni che la legge gli assegna per leggere il migliaio di pagine in arrivo lunedì. In tutto questo periodo gli occhi del Pd e del governo saranno puntati sulla prefettura. Ma non basta.
Cos’altro hanno in mano i sostituti guidati dal procuratore Giuseppe Pignatone?
C’è il rischio che un avviso di garanzia per 416 bis (mafia) piombi dentro l’aula Giulio Cesare?
Il Pd ha deciso di resistere. Fare pulizia dentro di sè e quadrato intorno a Marino.
Gianni Cuperlo ieri mattina Omnibus ha adombrato la possibilità che il sindaco sia costretto a dimettersi per poi ricandidarsi come uomo della discontinuità assoluta.
Anche per non aprire una crepa nel fronte delicatissimo di Mafia capitale, l’ex presidente del Pd invita a risentire la registrazione: «Marino è la soluzione del problema non il problema. Se non ci sono novità deve andare avanti».
Orfini giura che le novità non potranno essere negli atti amministrativi dell’attuale giunta. «Non esiste un solo passaggio che autorizzi a pensare di un’infiltrazione mafiosa in Campidoglio negli ultimi due anni».
Viene letta con un sospiro di sollievo la dichiarazione del comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette. Il capo dell’Arma esclude «una contiguità del’organizzazione criminale con le cosche tradizionali ». Significa che al momento non si vedono elementi per lo scioglimento del Comune
Il fenomeno è talmente vasto da rendere insufficienti anche i segnali positivi e sicuramente le parole del comandante generale rientrano nella categoria buone notizie in mezzo a una bufera di soli disastri. Orfini giura sulle delibere di Marino. Ma incombe il mare di intercettazioni ancora non rese pubbliche, quelle che giacciono nei cassetti di Piazzale Clodio.
Nessuno al Pd può garantire che non esca altro. Per il momento, la linea non cambia.
Pulizia totale nel Pd romano, strenua difesa di Marino da qualche giorno però associato alla figura di Nicola Zingaretti. Una mossa che a messo sul chi va là alcuni.
Perchè è chiaro che la regione e la giunta Zingaretti non sono lontanamente coinvolti al pari del Campidoglio. Quindi l’”accoppiamento” serve a rafforzare la blindatura. Durante la prima ondata di Mafia capitale non era successo. Largo del Nazareno stavolta ha sentito la necessità di un di più.
Usando il governatore del Lazio per fare da scudo al sindaco. E per coinvolgere l’intero partito nella battaglia per contrastare la forza dell’inchiesta visto che Zingaretti non è vicino a Renzi, anzi è considerato dalla minoranza l’unica vera alternativa alla leadership del premier
Dalla giunta arrivano segnali di tenuta.
La figura di Alfonso Sabella, magistrato prestato all’assessorato per la legalità , funziona sul piano pratico per i suoi atti anticorruzione e sul piano politico per le insospettabili doti di resistenza.
Il vicesindaco Luigi Nieri è finito nelle intercettazioni, ma secondo Orfini gli atti amministrativi dimostreranno semmai che anche lui ha respinto le infiltrazioni invece di agevolarle.
Questo raccontano le delibere del Campidoglio dall’ascesa di Marino in qua
Cosa abbia in mano la procura, che pure ha stabilito un collegamento diretto con Marino, rimane un mistero.
Troppo grandi le ramificazioni, troppo profondo il marcio romano per essere sicuri al 100 per cento che non servirà un piano B.
Goffredo De Marchis
(da “la Repubblica”)
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Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
I DUE IN PRESSING SU BERLUSCONI PER LANCIARE UN NUOVO PATTO CON RENZI…MA IL CERCHIO MAGICO VUOLE LA ROTTURA, SENZA INTESA SARA’ SCISSIONE
Un nuovo patto del Nazareno. Con un nome diverso, stavolta: “Opposizione repubblicana”.
Ci lavora da mesi Denis Verdini. E da ieri lo sostiene apertamente anche Gianni Letta, alleato discreto ma tenace dell’ex coordinatore azzurro.
I due si sono ritrovati riservatamente, per oltre due ore. Un faccia a faccia utile ad analizzare il summit di martedì notte con l’ex Cavaliere, ma anche a mettere nero su bianco la strategia in vista del nuovo vertice fissato per martedì prossimo a Palazzo Grazioli.
Nel frattempo, naturalmente, il ras toscano continua a lavorare anche al piano B: la scissione. Non a caso, ieri sera ha convocato i suoi senatori avvertendoli: «State pronti»
Da tempo Verdini e Letta sono i nemici giurati del cerchio magico. Ribattezzati “duo tragico” dalla tesoriera Maria Rosaria Rossi, provano a convincere Berlusconi che non è più tempo di restare isolati. Meglio varare un nuovo organigramma nel partito e siglare un armistizio con il presidente del Consiglio.
Non sono gli unici a tifare per un nuovo patto con Palazzo Chigi, fra l’altro.
Con loro c’è Fedele Confalonieri, in stretto contatto con Verdini.
E pure buona parte della galassia aziendale,con l’eccezione significativa di Marina. «Ho ancora la speranza che Renzi riesca a cambiare ciò che va cambiato — ha detto ieri Piersilvio Berlusconi — ma siamo vicini alla scadenza del tempo. Il governo deve darsi una mossa».
Le colombe non mancano neanche al Senato. Una è il capogruppo Paolo Romani: «Invece di contare sulle uscite di alcuni dei nostri, Renzi dovrebbe parlare con la gente giusta e con interlocutori credibili. Certo, ci sarebbe qualche modifica alla riforma costituzionale, ma il testo passerebbe senza intoppi »
Se gli eventi non dovessero precipitare prima — e il cerchio magico lavora invece, alacremente, affinchè precipitino — Berlusconi e Verdini torneranno a incontrarsi martedì prossimo. Solo allora il capo di FI risponderà all’ultimatum di Denis. Nella giacca del big toscano ci sarà anche un elenco di dieci senatori
Se mancheranno risposte adeguate, sarà scissione. «Per Berlusconi — ragiona il verdiniano Saverio Romano — è il momento di capire che non ha senso inseguire Salvini».
E però la resistenza è strenua, basta ascoltare un falchissimo come Renato Brunetta: «Un nuovo patto con Renzi? Non esiste. Un’opposizione alla Verdini? Non esiste. Un disgelo? Non esiste”. L’ultima parola, come sempre, a Silvio Berlusconi.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
RAPPORTO EURYDICE: IL CONFRONTO CON GERMANIA, FRANCIA E SPAGNA
Gli insegnanti più anziani e che lavorano per più tempo, i salari più bassi e i minori finanziamenti statali.
E’ questa la fotografia della scuola in Italia messa a confronto con i sistemi scolastici di Spagna, Francia e Germania.
A scattarla sono i rapporti annuali Eurydice che permettono di farsi un’idea precisa delle condizioni di salute di cui il sistema scolastico italiano gode oggi, nel momento storico in cui il governo Renzi procede a una riforma fortemente contestata da alunni, docenti e sindacati. Anche in Francia è tempo di cambiamenti strutturali: il Consiglio superiore dell’educazione ha infatti da poco approvato un importante provvedimento in materia di scuola media che ha, come in Italia, mobilitato il corpo docente sceso in piazza a manifestare.
Parliamo in ogni caso di un sistema scolastico che, insieme a quelli di molti altri Paesi europei, gode di miglior salute rispetto a quello di casa nostra. Ma andiamo per gradi.
Percentuale docenti attivi nell’insegnamento
I docenti italiani sono i più anziani. Se in Francia gli insegnanti attivi prima dei 30 anni sono l’8,2 per cento, in Spagna il 6,1 e in Germania il 4,3, in Italia il dato è quasi senza possibilità di confronto: solo lo 0,4 per cento dei docenti italiani è già professionalmente impegnato prima dei 30 anni.
Al preoccupante ritardo col quale si accede alla professione si aggiungono le altrettanto preoccupanti percentuali in uscita: se infatti in Spagna dopo i cinquant’anni è professionalmente attivo solo il 29,3 per cento dei docenti e in Francia il 32.3, l’Italia svetta su tutti i restanti Paesi dell’Unione con un sonoro 59,3 per cento.
Salari minimi e massimi.
Ad aggravare la situazione italiana sono anche i dati circa i minimi e massimi salariali, da inizio a fine carriera: se un docente in Spagna viaggia tra i 32mila e i 45mila euro lordi annui e in Germania addirittura tra i 46mila e i 64mila euro, il docente italiano si accontenta di un minimo di 24mila e un massimo di 38mila euro, quasi la metà di quello tedesco e sempre meno del collega francese, che registra un minimo salariale di circa 25.500 euro e un massimo di 47.500. Qualcuno potrebbe sollevare a questo punto l’ipotesi (immaginifica) per cui il docente italiano lavora, di media, meno dei colleghi europei, ma, come sottolinea il Presidente nazionale di ANIEF Marcello Pacifico, i dati confermano altro: “L’orario d’insegnamento annuale dei docenti italiani è in media rispetto ai colleghi degli altri Paesi”.
Anche il Papa è intervenuto sull’argomento bollando il tutto come un’ingiustizia, mentre secondo un rapporto Uil del 2012 “le retribuzioni dei docenti italiani sono costantemente al di sotto della media degli altri Paesi Ue, con uno spread che parte dai 4.000 euro annui all’inizio della carriera, per arrivare ai 10.000 a fine carriera (…) le retribuzioni iniziali dei nostri docenti assicurano un tenore di vita al di sotto di quello medio italiano”.
Finanziamento pubblico all’istruzione.
Lampante la differenza che si registra nel finanziamento pubblico al mondo dell’istruzione che si registra tra l’Italia e diversi altri Paesi europei: se nel giugno del 2013 il bilancio francese poteva vantare una spesa di quasi 79 miliardi di euro, nello stesso periodo quello italiano si assestava intorno ai 48 miliardi, poco più della metaà del primo, mentre quello inglese, per una popolazione che conta circa 7 milioni di persone in meno rispetto all’Italia, vantava il corrispettivo di ben 80 miliardi di euro di spesa pubblica.
Infine, tanto per tirarci su di morale, ragionando in proporzione la Norvegia spende complessivamente per l’istruzione il triplo dell’Italia: se infatti la spesa norvegese, nel periodo da noi preso in considerazione e su una popolazione di circa 5 milioni di persone, si assesta sui 12 miliardi e mezzo d’euro, basta fare le dovute proporzioni per ottenere il risultato già tristemente annunciato.
Valutazione dei docenti.
Direttamente collegato al tema delle retribuzioni è quello inerente le nuove proposte del governo circa la valutazione degli insegnanti.
I docenti italiani accetterebbero molto più di buon grado la valutazione del proprio lavoro se lo stesso venisse adeguatamente e più equamente valorizzato.
Se infatti in Europa sono al momento solo quattro i Paesi, tra cui l’Italia, a non prevedere alcun sistema di valutazione dell’insegnante (insieme a Scozia, Norvegia e Finlandia), in molti riterrebbero più opportuno scegliere il modello più consono al particolare tessuto sociale e culturale italiano.
I modelli francese, tedesco e portoghese per esempio si basano tutti su un sistema misto risultante da una valutazione interna del capo d’istituto coadiuvata da quella esterna dell’ispettorato scolastico.
In ogni caso la valutazione dei docenti da parte di alunni e genitori, annunciato in questa nuova riforma, non sembra conoscere precedenti nel resto d’Europa.
Licenziamento.
In molti negli ultimi tempi, hanno invocato la possibilità di licenziamento per i docenti simili a quelle dei lavoratori impiegati nel settore privato.
Se però, anche ora, si va a confrontare l’insegnamento pubblico italiano con quelli dei predetti Paesi europei, i dati confermano identiche dinamiche in ordine di licenziamento che, essendo gli insegnanti funzionari pubblici, risulta essere ovunque un evento molto raro (ad es. nel caso di perdita della cittadinanza).
Classi pollaio.
Falso invece, sempre in relazione alla situazione europea, risulta l’allarme relativo alle cosiddette classi pollaio: in questo caso la media italiana, di 21,3 studenti per classe, viaggia in linea con quella europea, che si assesta sui 21,1 allievi.
Assunzione.
Passando infine a un altro dei temi bollenti di questi giorni, quello del reclutamento dei docenti, l’Europa si divide tra metodi “aperti”, dove cioè la responsabilità del reclutamento spetta alla singola scuola (spesso però congiuntamente all’autorità locale) e metodi centralizzati, dove cioè la responsabilità della gestione delle assunzioni è tutta demandata all’amministrazione pubblica.
Il modello verso il quale il nuovo ddl Scuola si indirizza è quello aperto, seppur però con aspetti preoccupanti.
Uno su tutti la responsabilità unica, nella cosiddetta chiamata diretta, del dirigente scolastico che, volendo fare un salto nel passato, trova un precedente nero e buio nella riforma della scuola di epoca fascista.
In Germania, come anche in Francia e in Spagna, la responsabilità nelle assunzioni non è demandata alle singole scuole ma gestita dalle autorità pubbliche: in Germania il tutto spetta ai singoli Laender, in Spagna entrano in gioco le comunità autonome e in Francia direttamente il ministero.
Fabrizio Basciano
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 11th, 2015 Riccardo Fucile
ORFINI: “DA VALUTARE LE CARTE, MA INEVITABILE”… QUAGLIARELLO: “DECISIONE POLITICAMENTE GRAVE”
“Mi pare evidente. Per una richiesta del genere si devono valutare le carte, ma mi pare che sia inevitabile votare a favore dell’arresto”.
Lo ha detto il commissario del Pd di Roma e presidente nazionale del partito, Matteo Orfini, lasciando il Campidoglio al termine di un vertice con il sindaco Ignazio Marino, a chi gli chiedeva cosa farà il Partito democratico in merito alla vicenda di Antonio Azzollini, senatore di Ncd del quale la procura di Trani ha chiesto l’arresto.
La procura ha chiesto l’arresto del senatore per associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta dell’ex ospedale psichiatrico “Casa Divina Provvidenza” di Bisceglie.
Azzollini è anche indagato, assieme ad altri 60 tra funzionari comunali, ex amministratori e politici, in una maxi truffa da 150 milioni di euro legata all’opera di costruzione del porto di Molfetta, appaltata nel 2007 e mai terminata.
Quagliariello: “Pd decida dopo aver letto le carte”.
“Abbiamo espresso solidarietà sia umana che politica al senatore Azzolini. In questa vicenda bisogna conoscere per deliberare, noi non conosciamo ancora le carte, non le conoscono nemmeno i componenti della Giunta per le autorizzazioni. Credo che la Giunta ha delle prerogative costituzionali molto precise e a quelle si deve attenere”. Lo ha detto il coordinatore nazionale di Ncd, Gaetano Quiagliariello, ai microfoni del Gr1, in merito alla richiesta di arresto avanzata dalla procura di Trani nei confronti di Antonio Azzollini.
“Diffido fortemente in questo momento di chi fa dichiarazioni in un senso o nell’altro, magari soltanto sulla base di articoli di giornale. Prima bisogna conoscere e poi prendere delle decisioni”, ha aggiunto Quagliariello che, in merito alla posizione del pd, afferma: “se fosse un sì pregiudiziale e ideologico noi riterremo questo sì ingiustificato e politicamente grave. Riteniamo che anche il Pd, che ha certamente una cultura diversa dalla nostra, debba giudicare sulla base dei fatti. Non ci dobbiamo sostituire alla autoritaà giudiziaria, ma abbiamo alcune prerogative costituzionali: quelle di verificare la competenza e verificare la mancanza di fumus, e lo dobbiamo esercitare in maniera rigorosa. Sia noi che il Pd, come l’ultimo senatore”, ha concluso Quagliariello.
Per Giovanardi “la dichiarazione del presidente Pd Orfini che straccia l’art. 68 Della costituzione e le competenze della giunta, anticipando l’ inevitabile il si del Pd all’arresto prima ancora che la giunta e l’assemblea abbiano avuto modo di conoscere la consistenza delle accuse, è un ulteriore segno di imbarbarimento della vita politica e di subordinazione del parlamento non alle ragioni della giustizia ma a quelle di una procura della Repubblica”.
(da “Huffingtonpost”)
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