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MAFIA CAPITALE, L’INTRECCIO TRA ODEVAINE, CL E NCD

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

TREMA IL PARTITO DI ALFANO: SUL CARA DI MENO IL RUOLO CHIAVE DI CASTIGLIONE, SOTTOSEGRETARIO E BRACCIO DESTRO DI ALFANO

La “scossa” è in una delle tante intercettazioni di Luca Odevaine, colui che costruì un business sui migranti, attraverso Tavolo di Coordinamento Nazionale sull’accoglienza.
In una telefonata con il suo commercialista Stefano Bravo parla non solo del suo ruolo di “raccordo” col Viminale, ma anche del sostegno che Comunione e Liberazione dava al partito di Alfano.
Eccola, la conversazione:
ODEVAINE: … Castiglione si è avvicinato molto a Comunione e Liberazione, insieme ad Alfano e adesso loro … Comunione e Liberazione di fatto sostiene strutturalmente tutta questa roba di Alfano e del Centro Destra…
BRAVO: Comunione e Liberazione appoggia Alfano?
ODEVAINE: si … stanno proprio finanziando … sono tra i principali finanziatori di tutta questa ..
BRAVO: apposta regge …
ODEVAINE: questa roba sì… e Lupi è … (si accavallano le voci) … e si sta dentro … Lupi … (si accavallano le voci) … e infatti è il Ministro del … del coso … delle Opere Pubbliche …
BRAVO: e si Infrastrutture …
ODEVAINE: Infrastrutture eh … e Castiglione fa il sottosegretario… all’Agricoltura … però … ed è il loro principale referente in Sicilia … cioè quello che poi gli porta i voti … perchè poi i voti loro … ce li hanno tutti in Sicilia..
Nelle carte dell’inchiesta della Terra di Mezzo c’è un filone che porta al cuore del partito del ministro dell’Interno Angelino Alfano.
In una nota, l’ufficio stampa del partito smentisce i finanziamenti: “Non abbiamo il piacere di conoscere il dott. Odevaine, ma sappiamo benissimo che Cl non ha mai finanziato il nostro partito”.
Ma a microfoni spenti l’imbarazzo è tangibile.
E riguarda il titolare del Viminale, al centro di un possibile macroscopico conflitto di interessi.
È colui che, da ministro dell’Interno, dovrà  affrontare il dossier sullo scioglimento o meno del Comune di Roma. Ed è un leader di partito che non pare immune, stando alle carte, dal “sistema Odevaine”.
Anzi gli sviluppi dell’inchiesta sia sul filone romano sia su quello siciliano che porta al sottosegretario Castiglione, uno dei fedelissimi di Alfano e uno che Odevaine lo conosceva bene, configurano un intreccio stretto tra Ncd e il “sistema Odevaine”.
È stato lo stesso Odevaine a spiegare ai magistrati il suo ruolo di “raccordo” tra la cooperativa La Cascina e il Viminale: “Quello che facevo io… era di facilitare il Ministero da una parte nella ricerca degli immobili che potessero essere messi a disposizione per l’emergenza abitativa”.
Nelle conversazioni con i manager della cooperativa, spiega meglio: il mio compito, spiega infatti ad un dipendente de La Cascina, “non è tanto stare direttamente dentro ai Centri…il lavoro che gli faccio è di collegamento con il ministero dell’Interno soprattutto per trovare…poi…la possibilità  di implementare il lavoro…e facciamo accordi sugli utili in genere…insomma ci si dividono un po’ gli utili”.
Ecco attorno a questo sistema si sviluppano gli “accordi corruttivi” Odevaine e la cooperativa vicina a Comunione e Liberazione, cuore pulsante del partito di Alfano. Al centro dell’indagine che ha portato agli arresti dei manager de La Cascina c’è appunto il “ramificato sistema di corruzione” creato per favorire un cartello di imprese interessato alla gestione dei centri di accoglienza, in grado di accedere ai consistenti finanziamenti pubblici stanziati per i flussi migratori.
È un triplice intreccio quello che emerge dalle carte.
La facilitazione tra Odevaine e il Viminale, tra Odevaine-Viminale e la Cascina, e il risultato, secondo quanto sostiene Odevaine nelle intercettazioni, è: “Si … stanno proprio finanziando … sono tra i principali finanziatori di tutta questa… (il riferimento è Ncd, ndr).
Ed è su questo terreno che dall’inchiesta romana si sviluppa un altro filone su cui stanno indagando le procure siciliane.
Quello relativo alla gara d’appalto per la gestione del Cara di Mineo, il centro richiedenti asilo più grande d’Europa.
Un affare da cento milioni, assegnato da una commissione in cui sedeva Luca Odevaine.
Una gara d’appalto che, per l’Anticorruzione, sembra “cucita addosso” ai vecchi gestori, capaci nuovamente di aggiudicarsi quel bando a nove cifre nel giugno 2014. Nell’ambito dell’inchiesta è indagato il potente sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione, il quale però ha sempre negato di esserlo. È certo che, come ha scritto Claudia Fusani sull’HuffPost, sulla questione dei centri d’accoglienza Ncd ha sempre avuto un’ossessiva attenzione, come quando ottenne dal governo nella scorsa legge di stabilità  altri tre milioni di euro per il Centro di Mineo.
E c’è una coincidenza tra consenso elettorale del partito di Alfano e presenza sul territorio dei centri di accoglienza attorno a cui si sviluppano le inchieste.
Alle Europee, primo test elettorale di Ncd, nel collegio della Sicilia orientale, il partito ha ottenuto il 40 per cento dei consensi. In un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Palazzotto di Sel (leggi qui: articolo di Claudia Fusani) si legge che è stato proprio Castiglione, quando era presidente delle province italiane (Upi), a nominare Odevaine come esperto al Tavolo di coordinamento nazionale per l’emergenza Nord Africa 2011 aperto presso il ministero dell’Interno.
Dunque, Odevaine, l’uomo del business sui migranti aveva tre ruoli. E fu sempre Castiglione a nominarlo consulente del centro di accoglienza di Cara Mineo.
Proprio in questo groviglio di intrecci, dentro Ncd, in parecchi vedono la fine del partitino di Alfano nelle carte dell’inchiesta: “Se il sistema Incalza — sussurrano — è stato fatale per Lupi, qui è fatale per tutti”.
Anche perchè l’inchiesta piomba su un partito in pieno psicodramma da post voto. Perchè quando non si vota in Sicilia orientale praticamente Ncd stenta a prendere il 4 per cento.
E, quantomento politicamente, l’inchiesta tocca il ruolo di Alfano: “Che dirà  — si chiedono in molti — quando dovrà  spiegare come arrivano i finanziamenti al suo partito? Che dirà  quando la posizione di Castiglione sarà  difficile da difendere al governo? E come affronta il tema dello scioglimento di Roma?”.
Per ora tace

(da “Huffingtonpost”)

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LUCA GRAMAZIO E I SILENZI DI FORZA ITALIA: NIENTE DIMISSIONI DOPO IL PRANZO CON CARMINATI

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

ERA STATO GIA’ COINVOLTO NELLA PRIMA TRANCHE DELL’INCHIESTA MA SI ERA LIMITATO A DIMETTERSI DA CAPOGRUPPO RESTANDO CONSIGLIERE

Non è bastato il pranzo con Massimo Carminati, un pezzo di storia criminale italiana, alla trattoria Er Bruttone.
E poco importa se nelle carte dell’inchiesta Mafia capitale del dicembre scorso le frequentazioni con l’ex terrorista nero sono descritte in termini di “confidenza e trama continuativa di relazioni”.
In Forza Italia nessuno ha pensato a chiederne conto a Luca Gramazio, che in questi sei mesi ha conservato il seggio di consigliere regionale del Lazio e non è stato colpito da alcun provvedimento da parte del partito guidato da Silvio Berlusconi.
Fino all’arresto di questa mattina, con le accuse di associazione mafiosa e corruzione, nella seconda tranche dell’inchiesta che scuote Roma mettendo a nudo i legami tra politica, criminalità  e appalti pubblici ben sintetizzati dal “mondo di mezzo” citato in un’intercettazione dallo stesso Carminati.
Indagato già  nella prima puntata Gramazio, figlio del parlamentare missino-pidiellino Domenico e recordman di preferenze per l’allora Pdl alle regionali del 2013 con oltre 10mila voti, si era dimesso soltanto dalla carica di capogruppo del parito in consiglio, “per dedicarmi con tutto il mio impegno alla difesa della mia onorabilità  e della mia storia politica, caratterizzata da coerenza, impegno sociale e lealtà ”, aveva spiegato. Neppure la grave ipotesi formulata già  allora dai magistrati, messa nera su bianco negli atti dell’indagine, aveva scalfito il proverbiale garantismo di Forza Italia: “Le indagini”, scriveva il gip, “hanno delineato un quadro indiziario tale da indurre ad ipotizzare che Gramazio possa essere un collegamento dell’organizzazione (il gruppo mafioso secondo gli inquirenti guidato da Carminati, ndr) con il mondo della politica e degli appalti”. Ipotesi che nella prosecuzione delle indagini si sono rafforzate, dato che il gip ha firmato per lui un ordine di custodia cautelare.
Gramazio non ha mai negato il pranzo con Carminati, la cui epopea criminale è universalmente nota e rivaleggia con quella della Banda della Magliana, a maggior ragione entro le mura capitoline.
“Incontro tantissime persone, non ho da rimproverarmi nulla sulla mia condotta”, ha affermato davanti alle telecamere di Announo. Ma è normale che un politico incontri un personaggio come quello, lo incalzava il giornalista Luca Bertazzoni? “Io incontro milioni di persone”.
La famosa cena da Er bruttone risale al 23 luglio 2013 ed è stata documentata dagli investigatori del Ros, come risulta dagli atti di Mafia Capitale uno.
I partecipanti sono, oltre a Luca Gramazio, il padre Domenico che fino a marzo sedeva in Senato per il Pdl, e “er cecato” Carminati (ma il terzetto s’incontra anche in altre occasioni, quando Gramazio senior è senatore in carica, per esempio al Bar Valentini il 19 novembre 2012).
A tavola, l’ex terrorista promette fra l’altro di interessarsi alla nomina, niente meno, del presidente della Commissione trasparenza del Comune di Roma: “Mo te sto a guarda’ ‘sta cosa per la..(…) commissione trasparenza, mo devo parlare con coso, con Michele”.
Il gruppo conversa anche su una rapina notturna al Centro iniziative sociali che fa capo al senatore Gramazio. Carminati, che se ne intende, teme sia un   trucco della polizia per piazzare microfoni e videocamere, dunque suggerisce: “Faglie fa ‘na bonifica”.
Conversazione curiosa per un ex senatore e un capogruppo regionale, ma nessuno nel palazzo pare impressionarsi.
Luca Gramazio ha continuato a frequentare il consiglio regionale fino a ieri. Anche il Pd, fra l’altro, aveva il suo consigliere regionale indagato, Eugenio Patanè, non coinvolto dalle misure cautelari di oggi, che si è dimesso soltanto dalla presidenza della Commissione cultura.
Uno a uno, palla al centro e nessun dibattito pubblico sull’opportunità  che il commensale di Carminati conservasse seggio e tessera del patito Azzurro.
Così si arriva la disvelamento del secondo filone d’inchiesta.
Dove il consigliere regionale laziale è così descritto dal gip Flavia Costantini: “Luca Gramazio svolge un ruolo di collegamento tra l’organizzazione da un lato e la politica e le istituzioni dall’altro, ponendo al servizio della stessa il suo ‘munus publicum’ e il suo ruolo politico e può ricondursi al capitale istituzionale di Mafia Capitale“.

Mario Portanova
(da “il Fatto Quotidiano”)

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ECCO I VERI RISULTATI DELLE REGIONALI: PD 33%, M5S 15,5%, LEGA 14,4%, FORZA ITALIA 11,2%, FDI 3,9%, NCD 3,8%, SEL 3,7%

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

L’ANALISI DE “LA STAMPA” ATTRAVERSO L’ACCORPAMENTO ESATTO DELLE LISTE DEI PRESIDENTI PERMETTE UNA VISIONE COMPLESSIVA

Una storia molto italiana.
A quattro giorni dallo scrutinio, nessuno sa quali siano i dati finali ottenuti dai vari partiti alle elezioni Regionali, un deficit che ha determinato un balletto di numeri, ma soprattutto letture più o meno interessate su chi abbia vinto o perso.
Ora “La Stampa” è in grado di fornire – oltre ai dati finali – anche una lettura ragionata su vincitori e vinti. Con alcune sorprese.
In particolare per il Pd e per le liste civiche progressiste, che hanno sostenuto i candidati alla Presidenza.
Viminale “incompetente”
Il paradosso dei dati ancora indisponibili è determinato da un incrocio di motivi.
Il Viminale non ha un obbligo istituzionale a presentare un riepilogo nazionale; un Istituto specializzato come il Cattaneo ha prodotto analisi a caldo, col passare delle ore rivelatesi carenti nella valutazione delle liste civiche, mentre studi di singoli hanno finito per sovrastimare il dato, delle liste non di partito a sostegno dei candidati presidenti del Pd.
Pd in calo  
Nelle sette regioni nelle quali si è votato il Pd ha ottenuto 2 milioni e 134mila voti, pari al 24,9%, 550mila in meno rispetto alle Regionali del 2010 e 2 milioni e 100mila in meno rispetto alle Europee del 2104: nelle sette regioni allora la percentuale era stata del 41,5%, in linea col dato nazionale.
E’ stato osservato da dirigenti del partito di Renzi e da uno studioso come Salvatore Vassallo (autore dello Statuto del Pd) che il dato del Partito democratico, così deficitario rispetto alle Europee, è fortemente influenzato dalla “concorrenza” di liste civiche e del Presidente, che hanno pescato tra elettori che nel passato e nel futuro si possono potenzialmente attribuire al Pd.
L’equivoco liste civiche
Premessa concettuale fondata quella sulle civiche “confinanti”, ma non tutte quelle le liste sono di area democratica.
Non lo sono quelle vicine a Sel e all’Udc (in Puglia), non lo sono quelle vicine al Partito socialista, soprattutto non lo sono diverse liste che hanno appoggiato i candidati presidente.
Da una ricerca ad hoc risulta che liste che genericamente fanno riferimento a candidati ed elettori “contigui” al Pd abbiano ottenuto un risultato complessivamente molto significativo (700mila voti, pari all’8,1%).
Dunque, assommando il 24,9% del Pd a queste civiche si ottiene la percentuale del 33%.
Ammesso (ma non universalmente concesso) che sia corretto un paragone tra elezioni diverse come Europee e Regionali, gli elettori che non hanno replicato il voto al Pd di un anno fa sono due milioni e 100 mila, ma se vi si sottraggono i 700mila delle civiche, il deficit diventa meno corposo ma pur sempre rilevante: un milione e 400mila di voti in meno e un calo del 7,5% in percentuale.
Il resto del mondo  
Il Movimento Cinque Stelle ha ottenuto il 15,5% (21,5% alle Europee); la Lega (includendo la Lista Zaia) il 14,4% (5,0%); Forza Italia l’11,2% (17,4%); Fratelli d’Italia il 3,9% (3,7%); l’Ncd il 3,8% (4,3%); Sel il 3,7% (3,9%).
Per quanto riguarda il Cinque Stelle è significativo che i suoi candidati-Presidenti ottengano ovunque un numero di voti assoluti sempre superiori a quelli conseguiti dalla lista.

Fabio Martini
(da “La Stampa”)

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TANTI ELETTORI NON VOTANO IL PARTITO, MA SOLO IL CANDIDATO GOVERNATORE

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

COALIZIONI TRADIZIONALI ALLA PARI

Come molti commentatori avveduti hanno avuto occasione di dire in questi giorni, il voto regionale è stato un voto, appunto, locale, caratterizzato da dinamiche che ci pare assolutamente indebito proiettare a livello nazionale
La correlazione dei risultati dei partiti alle Regionali con quelli delle precedenti Europee o Politiche è inopportuna per molti ordini di ragioni.
Il primo e più evidente è che il voto regionale prevede la presenza di candidati oltre che di partiti.
E che i candidati attraggono, lo vedremo tra un attimo, una quantità  importante di voto esclusivo, che cioè non si riversa sui partiti.
Ancora, il voto per i candidati è in qualche misura indipendente dal voto politico.
Non è azzardato supporre, ad esempio, che per Zaia abbiano votato elettori di area renziana o per Emiliano elettori di area centrodestra, premiandone le capacità  amministrative
Le logiche quindi che governano il comportamento degli elettori nelle diverse consultazioni sono sensibilmente diverse e, appunto, è meglio essere molto cauti nei confronti. Ancora, va tenuto conto delle diverse affluenze.
Alle elezioni europee, abbiamo già  avuto occasione di dirlo, il successo riscosso dal Pd è molto correlato alla scarsa affluenza. L’astensione ha colpito maggiormente il centrodestra. E a proposito di affluenze va ribadito che alle elezioni regionali molti elettori hanno espresso il proprio voto solo per i candidati, senza esprimersi sui partiti.
Sul totale dei voti validi espressi il 9% degli elettori ha votato solo per il candidato, esattamente come è successo nel 2010.
Se consideriamo questo dato otteniamo che complessivamente stiamo facendo analisi su circa il 45% degli aventi diritto. E addirittura in Liguria, siamo al di sotto del 40%.
Diventa davvero difficile dire chi vince e chi perde in un quadro di questo genere. Lo stesso vale, a nostro parere, per l’enfasi posta sul tripolarismo a partire dal voto alla lista del Movimento 5 Stelle. Vero, questa formazione si colloca al secondo posto. Ma se guardiamo al voto per i candidati le cose cambiano
Se sommassimo al centrodestra i voti di area (Schittulli e Tosi, Lega e FdI) e altrettanto facessimo per il centrosinistra, sommando i voti delle liste di sinistra, avremmo due schieramenti assolutamente prevalenti ed equilibrati: il centrodestra al 41% e il centrosinistra al 40,4%.
Tutto starà  nell’offerta delle prossime elezioni politiche. Se si formeranno partiti coalizionali il panorama cambierà  profondamente.
Che ci sia stata una difficoltà  del PD è fuori dubbio. Innanzitutto si è però trattato di un problema nel rapporto con il territorio: le due candidate di Veneto e Liguria ne hanno pagato le conseguenze.
Che la Lega abbia ottenuto ottimi successi è altrettanto fuori dubbio. Ma, per stare al Veneto, è davvero difficile attribuire alla Lega, come alcuni hanno fatto, i voti della lista Zaia. Allo stesso modo risulta arbitrario attribuire al principale partito i voti di liste civiche collegate al candidato. Insomma, occhio ai numeri e ai contesti.
Il rischio è di trarre lezioni sbagliate.

Istituto Ipsos
(da “il Corriere della Sera”)

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COMMISSIONE CULTURA, GALAN INAMOVIBILE ANCHE CON LA CONDANNA

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

HA PATTEGGIATO 3 ANNI DI CARCERE E UNA CONFISCA DI 2,6 MILIONI DI EURO MA NON LASCIA LA CARICA PERCHE’ LA LEGGE GLIELO CONSENTE

È ancora imbullonato lì.
Dopo aver patteggiato due anni e 10 mesi di carcere e la confisca di 2,6 milioni di euro.
Dopo aver tignosamente ricorso in Cassazione contro il suo stesso patteggiamento. Dopo aver fatto spallucce all’invito della Presidenza della Camera a mollare la poltrona che dovrebbe esser occupata «con disciplina e onore».
Macchè: Giancarlo Galan non si schioda dalla presidenza della commissione Cultura. E non c’è modo di sollevarlo di peso.
Trecentosessantacinque giorni: è passato tantissimo tempo dal giorno in cui esplose, con raffiche di arresti, lo scandalo del Mose. Un anno esatto.
Nel corso del quale è emerso un andazzo da fare accapponare la pelle.
Basti dire, come documentano in Corruzione a norma di legge Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi, che le paratie mobili, che dovevano costare meno di 2 miliardi, ne hanno inghiottiti 6,2: il doppio del costo dell’Autosole.
Soldi finiti spesso in un pozzo nero: «La nostra stima è che i maggiori costi dovuti al “peccato originale” di aver affidato i lavori in monopolio ammontino a oltre 2 miliardi di euro».
Uno finito in mazzette, «consulenze» strapagate, regalie…
Sotto la grandinata di nuove rivelazioni, nuove accuse, nuovo pattume, l’ex Ras veneto prostrato dal carcere (in infermeria) dopo il via libera all’arresto, decise di patteggiare.
Nel libro Governatori il nostro Goffredo Buccini ricorda la testimonianza di Daniela Santanchè: «Ho trovato un uomo finito, che per un’ora mi ha detto soltanto di volersi uccidere, di non poter più resistere».
L’accordo, ricostruiscono in Mose. La retata storica Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese, è questo: Galan accetta «una condanna a 2 anni e 10 mesi e di farsi confiscare 2.600.000 euro, quasi il 54% dei 4.830.000 euro che, stando ai conti della Finanza, avrebbe incassato in maniera illecita (parte dei quali già  prescritti)».
Il Gip ci sta e Galan torna a casa: «Dovrà  restare a villa Rodella per un bel po’ di mesi, ai domiciliari, dopo aver passato in carcere 2 mesi e mezzo. Una prigione dorata, dicono in molti. Una villa del Trecento di 1.700 metri quadrati adagiata su una collina che Galan immaginava “abbellita” da un albergo di lusso e da un agriturismo extralusso».
«Prigione» che dovrebbe lasciare a breve. Il 15 luglio. Per scadenza della custodia cautelare.
«Tutto qui?», si chiedono tanti cittadini.
«Abbiamo privilegiato l’aspetto pecuniario della sanzione», replica il procuratore aggiunto Carlo Nordio.
«Di fronte alla prospettiva di un processo lungo, del rischio di prescrizione e di una pena detentiva comunque incerta, nel bilanciamento di interessi prevale la riscossione immediata di somme considerevoli a titolo di confisca».
In fondo, aggiunge, in un’intervista a Renzo Mazzaro, negli Stati Uniti il patteggiamento «risolve oltre il 90% dei processi».
Vero, conferma Stefano Marcolini, avvocato, docente universitario, autore del libro Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale negoziata.
Laggiù, però, chi patteggia si dichiara colpevole e ciao: «L’unico ricorso alla Corte Suprema, che io sappia, fu di un certo Henry Alford, arrestato per omicidio. Disse d’essere stato spinto a patteggiare per evitare la pena di morte. Affari tuoi, gli rispose la Corte: hai patteggiato, fine».
Qua no. Dopo aver patteggiato il trasloco dal carcere alla villa sui colli, Galan ha potuto, grazie all’articolo 111 della Costituzione (rimasto appeso anche dopo la nuova legge) far ricorso in Cassazione contro, come dicevamo, il suo stesso accordo coi giudici.
E la mitica «riscossione immediata» dei soldi? Quando sarà  il momento, concluso l’iter in Cassazione, in ogni caso la villa è stata confiscata, niente fretta, si vedrà … Nel frattempo, per dimostrare d’essere in condizione di pagare i due mutui spropositati per la villa nonostante dichiarasse al Fisco solo 29.700 euro netti, poco prima di essere arrestato, Galan è andato a mostrare la busta paga a L’aria che tira di Myrta Merlino: un’indennità  sui cinquemila euro netti più 13.335 di diarie e rimborsi vari.
Per un totale di oltre 18 mila: «A questo punto meglio essere considerato “Casta” che non ladro».
Le diarie, dopo l’arresto, non le prende più. All’ultimo privilegio della Casta, però, si è aggrappato come una patella allo scoglio.
La legge, come ha ricordato Laura Boldrini («Certo, sarebbero opportune le dimissioni») non consente di rimuoverlo.
E lui, in attesa che arrivi il ricambio «scontato» con la scadenza di metà  legislatura, resta lì. Per tigna.
Non può partecipare da un anno a una sola riunione?
E vabbè…

Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)

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PIANTAGIONI DI CROTONE

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

LA DISERZIONE DALLA SCUOLA DELL’OBBLIGO   E LA DURA LOTTA QUOTIDIANA CONTRO L’APPETITO

L’Ottocento piomba in redazione con una notizia che sembra uscita da un romanzo di Dickens.
I carabinieri di Petilia Policastro, provincia di Crotone, hanno denunciato venti genitori i cui figli non frequentano da mesi la scuola dell’obbligo.
Altro che Europa a due velocità .
In Italia le velocità , e le lentezze, risultano molte di più.
I bambini calabresi che non perdono tempo con l’alfabeto sono figli di poveri agricoltori oppure di ricchi mafiosi.
I primi sostituiscono i libri di scuola con il lavoro nei campi, i secondi bivaccano nei bar di paese per imparare l’arte dell’intimidazione e del ricatto.
Sui genitori mafiosi c’è poco da dire, anche se ci sarebbe molto da fare, per uno Stato degno di questo nome.
Non me la sento invece di gettare la croce addosso ai genitori contadini, convinti in buona fede che lo sviluppo delle facoltà  mentali dei figli non offra loro la minima possibilità  di riuscita nella vita.
Cos’altro potrebbero mai pensare, se le strade del Sud sono solcate da torme di giovani intellettuali disoccupati e frustrati, che nel migliore dei casi emigrano e nel peggiore intristiscono?
Qualsiasi nobile discorso sul ruolo sociale della scuola, e sull’istruzione come strumento per trasformare un suddito in cittadino, collassa di fronte alla prosa della realtà  quotidiana, rappresentata da una dura lotta contro l’appetito.
Alla fine le due anomalie, dei contadini e dei mafiosi, si tengono insieme in un abbraccio mortale.
Uno Stato che tollera al suo interno uno Stato parallelo non può dare altro lavoro che la miseria e altra istruzione che la distruzione.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)

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POLIZIA CONTRO TOTI: “E’ UN DEMAGOGO, SI RAFFORZI IL COMPARTO SICUREZZA INVECE CHE INVOCARE L’ESERCITO”

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

NON DOBBIAMO NEUTRALIZZARE UN ATTACCO DELL’ISIS, MA SOLO RISOLVERE IL PROBLEMA DI UN MERCATINO ABUSIVO… PERCHE’ TOTI NON SI DEDICA A COMBATTERE LA ‘NDRANGHETA CHE OTTIENE APPALTI PUBBLICI ?

“Toti è un demagogo”. Il primo attacco al nuovo governatore della Liguria Giovanni Toti gli arriva proprio dal comparto a cui aveva dedicato le sue prime riflessioni: la sicurezza.
Le dure critiche gli arrivano dalla polizia, in particolare dal sindacato Silp.
“Dopo nemmeno 48 ore dal suo insediamento — si legge in un comunicato a firma di Roberto Traverso, segretario generale –   il nuovo governatore della Liguria inizia a farsi sentire con la demagogia sull’argomento sicurezza. L’incapacità  dimostrata in questi anni da chi aveva il dovere di occuparsi delle sicurezza dei genovesi, a partire dal mancato coordinamento istituzionale, non si affronta a colpi di slogan mediatici! Il Comune di Genova non è stato in grado di risolvere il problema sociale del mercatino abusivo di via Turati e Toti invece di pensare a rafforzare il dialogo istituzionale si butta a capofitto a lanciare messaggi pericolosi”
“Esercito nelle strade e stop ai profughi sul territorio ligure — continua la nota – demagogia allo stato puro. Genova non ha bisogno dell’esercito ma di un Comparto Sicurezza rafforzato con investimenti seri. Ribadiamo con fermezza il nostro No all’utilizzo dell’esercito, in quanto incompetente a svolgere qualsiasi tipo di attività  rientrante nelle competenze del Comparto Sicurezza e invitiamo il nuovo Presidente Toti ad informarsi sulle reali criticità  presenti sul   territorio ligure inerenti la sicurezza dei cittadini: dall’esponenziale aumento della criminalità  mafiosa, dal costante incremento   della microcriminalità    organizzata e il dilagante fenomeno dello sfruttamento della prostituzione”
Ma il Silp si rivolge anche al Comune: “Su fenomeni di disagio sociale come quello del caos di via Turati che non possono e non devono essere scaricati esclusivamente sulle Forze dell’ordine. È inaccettabile che a causa delle carenze istituzionali che hanno evidenziato i limiti del Comune di Genova sulla gestione di fenomeni prettamente di carattere sociale come quello di via Turati, gli operatori delle Forze dell’ordine debbano accollarsi la responsabilità  giuridica di procedere con atti che potrebbero rivelarsi illegittimi”.

(da “La Repubblica”)

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A TOTI NON BASTANO QUATTRO INQUISITI, VUOLE ANCHE BERTOLASO PER FARE CINQUINA

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

LE PRIME MOSSE DEL GABIBBO BIANCO: CHIEDERE TRE CONSIGLIERI IN PIU’ PER ACCONTENTARE LE FAMELICHE TRUPPE, CREARE PURE I SOTTOSEGRETARI E RECUPERARE INDAGATI… CHI MEGLIO DI MARONI INDAGATO PUO” DARGLI CONSIGLI?

Operazione governabilità  al via. Ed è il centrodestra di Giovanni Toti a scatenare l’offensiva attaccando la legge elettorale della Liguria e chiedendo tre seggi supplementari «al fine di garantire che il rapporto dei seggi tra la coalizione vincente e le opposizioni sia almeno del 55%», come prevede la normativa elettorale nazionale dalla quale discende appunto quella ligure.
In questo modo il centrodestra potrebbe contare non più su 16 consiglieri, compreso il presidente, ma su 19.
Beffa, tremenda beffa perchè la legge alla quale si appella Toti è il famoso “Tatarellum” e la Liguria è l’ultima regione ad applicarla, bloccata dai veti incrociati dei partiti, dalle convenienze politiche del momento.
Ieri il neo governatore ligure ha conferito mandato al costituzionalista Daniele Granara di rappresentare la sua lista davanti alla commissione elettorale regionale istituita in Corte d’Appello.
L’audizione è in programma venerdì. Le richieste sono due e alquanto originali.
La prima: attribuire alla lista Toti, che ha ottenuto il 34,44% dei voti validi, 18 seggi oltre al presidente.
La seconda è subordinata: se non c’è l’attribuzione dei tre seggi in più, garantire comunque la governabilità  «con il 55% dei seggi attribuiti al consiglio», il che significherebbe sottrarne uno al centrosinistra.
Facendo due conti a rimetterci sarebbe il quarto eletto di Genova, ovvero il segretario regionale del Pd Giovanni Lunardon.
La questione è complicatissima.
La tesi di Granara e del centrodestra è che poichè la Liguria non ha mai cambiato la legge elettorale nazionale con il suo complesso sistema di premi di maggioranza, questa va applicata completamente.
Anche in quella parte (comma 3 della legge 43/1995) in cui mira ad assicurare la governabilità  nel caso in cui la coalizione vincente non superi il 40% dei voti validi e non ottenga con le sue forze almeno il 55% dei seggi. È esattamente il caso ligure.
E in merito all’esecutivo regionale, l’idea di Toti è questa.
«Lo Statuto della Regione Liguria non va bene: 7 assessori sono pochi, servono anche alcuni sottosegretari da impiegare negli assessorati più corposi».
Così Giovanni Toti, neo governatore della Liguria, a proposito della riorganizzazione e degli assetti della Liguria.
Il presidente, che si insedierà  nel palazzo di De Ferrari nei prossimi giorni, ha in mente il modello della Lombardia dove oltre gli assessorati lo statuto prevede anche i sottosegretari.
«Serve anche un sottosegretario alla presidenza della Regione, una figura che funzioni come coordinatore» ha aggiunto. Secondo Toti la modifica dello Statuto della Regione Liguria potrebbe essere fatto rapidamente. «Non penso che il Pd sia in disaccordo. Se non ricordo male anche Raffaella Paita prevedeva una figura simile immaginando un capo di segreteria».
Nel toto-giunta anche Bertolaso
«Non ho fatto nemmeno un nome», giura Giovanni Toti, «ovviamente ho delle idee ma tutto verrà  discusso con gli alleati», taglia corto, prima di entrare ad Arcore dove lo attende Silvio Berlusconi.
Il neo presidente non vuole ancora mettersi nella palude del toto-giunta, ma consiglieri, alleati, simpatizzanti e pure gli avversari fanno circolare le ipotesi e le richieste più varie.
Lo schema generale, comunque, dovrebbe essere quello di tre assessori in quota Lega e tre per Forza Italia più uno per Fratelli d’Italia.
In queste quote, però, rientreranno anche i “tecnici” che dovrebbero andare alla Sanità  e al Bilancio oppure alla Protezione civile.
Per quest’ultimo ruolo gira il nome clamoroso dell’ex commissario nazionale Guido Bertolaso, all’epoca vicino al governo Berlusconi.
Potrebbe essere lui il “supercommissario” con delega sulle opere anti-alluvione ma da Toti, come detto, non arriva alcuna conferma.

(da “il Secolo XIX”)

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ALEMANNO CHIESE I VOTI A BUZZI CHE CHIAMO’ LA ‘NDRANGHETA: LA CANDIDATURA AL SUD PER FRATELLI D’ITALIA ALLE EUROPEE

Giugno 4th, 2015 Riccardo Fucile

L’APPOGGIO DELLA COSCA MANCUSO DI LIMBADI

Per le elezioni al Parlamento europeo del maggio 2014, Gianni Alemanno chiese l’appoggio a Salvatore Buzzi.
Quest’ultimo si sarebbe mosso per ottenere il sostegno alla candidatura anche con gli uomini della cosca ‘ndranghetista dei Mancuso di Limbadi.
È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Roma Flavia Costantini su richiesta del procuratore aggiunto Michele Prestipino e dei pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, che ha portato in carcere 44 persone, arrestate nell’ambito della seconda tranche dell’inchiesta Mondo di mezzo, che ha svelato il volto di Mafia capitale, l’organizzazione mafiosa cresciuta attorno all’ex Nar Massimo Carminati.
Si legge nell’ordinanza: “Un ulteriore tassello idoneo a corroborare il rapporto di reciproco riconoscimento e di ‘interscambio’ tra le due organizzazioni criminali (Mafia capitale e ‘Ndrangheta, ndr) è costituito dai riscontri intercettivi effettuati in occasione delle elezioni del Parlamento europeo 2014, che hanno visto il politico Giovanni Alemanno (risultato essere vicino a esponenti del sodalizio di Mafia Capitale) candidato nella lista Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale, nella circoscrizione Sud”.
Secondo il gip, “a fronte di una richiesta di sostegno da parte di Alemanno, sin dalla fine del mese di marzo 2014, in vista delle elezioni europee del 25 maggio 2014, Salvatore Buzzi aveva espressamente richiesto, per il tramite di Giovanni Campennì, appoggio all’organizzazione criminale calabrese (di cui quest’ultimo è ritenuto espressione), per procurare i necessari consensi in occasione della campagna elettorale dell’ex sindaco di Roma”.
Buzzi, in una conversazione con Massimo Carminati intercettata il 21 marzo del 2014, riferiva l’esito di un incontro avuto poco prima con Alemanno presso gli uffici della Commissione Commercio a Roma.
“Buzzi – scrive il gip – riferiva del sostegno richiesto in quell’occasione dall’ex primo cittadino (“no, no era pè la campagna elettorale … una sottoscrizione e poi se candida al sud”) e rappresentava al sodale come avesse individuato Campennì, indicato con il solo nome di battesimo, quale strumento idoneo per assecondare tale richiesta (“.. da Giovanni … gli famo fa ..”).
Buzzi, il giorno seguente contattava “Giovanni Campennì, al fine di interessarlo per “da ‘na mano a Alemanno … in campagna elettorale …”.
Il tentativo “di Buzzi di mascherare, in maniera evidentemente strumentale con l’interlocutore (“sto numero è intercettato … però so telefonate legali ..”), l’illecita richiesta pervenutagli, facendola passare come innocua e legittima istanza volta ad ampliare il consenso elettorale (“basta che non sia voto di scambio …. tutto è legale … uno pò votà  gli amici???!!!”), nell’ambito di una circoscrizione elettorale particolarmente ampia (“… mica può venire li!!! Scusa … no perchè la circoscrizione è grandissima …. è Abruzzo …. Campania …. la Calabria …. Puglia …. Basilicata ….. come cazzo fa? … èèè ….”), veniva perfettamente compreso da Campennì, il quale, avendo evidentemente ben inteso il vero senso della richiesta (“ah ste chiamate so legali??? …”), aderiva prontamente alla richiesta, non potendo evitare, tuttavia, di sottolineare la propria capacità  di poter attingere a un ampio bacino di consensi pilotabili, facendo ricorso a una metafora particolarmente espressiva (“va bene …. allora …. è qua la famiglia è grande … un voto gli si dà “)”.

(da “Huffingtonpost”)

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