Giugno 5th, 2015 Riccardo Fucile
IN TANTI SVOLGONO LAVORI NON QUALIFICATI… ANCORA DIFFUSO LO SFRUTTAMENTO
Altro che palla al piede.
I migranti, per l’Italia, sono una ricchezza: producono l’8,8% del Pil, pari ad oltre 123 miliardi di euro.
È il dato che emerge dal Dossier Caritas/Migrantes “Migranti, attori di sviluppo“, presentato al Conference center di Expo.
La paga dei migranti resta più misera di quella, sempre bassa, degli italiani: in media un italiano al mese guadagna 1.326 euro, un cittadino comunitario ne prende 993, gli extracomunitari in media 942.
In questo pesano i casi di sfruttamento legati ad alcuni settori come quello del cibo: una delle contraddizioni che emerge maggiormente in questo rapporto presentato nell’Expo dell’alimentazione.
Secondo i dati raccolti dalle diverse esperienze della Caritas nelle campagne italiane, un migrante per raccogliere frutta arriva ad essere pagato anche un euro all’ora.
Per i migranti è ancora necessario svolgere lavori non qualificati. Lo fanno il 35,9%, contro il 7,8% degli italiani.
Forse anche questo contribuisce a mantenere più alto il tasso di occupazione rispetto agli italiani.
Per quanto il contesto generale veda una live flessione degli occupati rispetto all’anno precedente (-0,1%) il trend è positivo per comunitari e non comunitari, che aumentano rispettivamente del 4,6% e del 3,5%.
Ma gli stranieri in Italia sono sempre più imprenditori: l’ultimo dato disponibile è di Unioncamere e risale al 2013.
Segna in un anno un aumento del 4,5% arrivando a un totale di quasi 316 mila imprese. La maggior parte è in Lombardia (18,6% del totale nazionale), seguita dalla Toscana (10,3%), dal Lazio (10,7%) e dalla Emilia Romagna (9,5%).
Aumentano anche i nuovi italiani (dato 2012): sono 65.383, di cui 14.728 sono persone originarie del Marocco e 9.493 dall’Albania.
Le due provenienze rappresentano da sole più del 40% dei nuovi italiani.
La popolazione straniera censita nel 2014 è di 4,92 milioni ma le proiezioni Istat per la fine del 2015 prevedono di sfondare il muro dei 5 milioni.
La Lombardia ne ha più di un quinto: 1,12 milioni, seguita dal Lazio a 616mila e Veneto a 514mila.
Il lavoro è la prima causa di migrazione (48,2% dei permessi di soggiorno rilasciati) seguito dalla famiglia (40,8%).
Quasi quattro ricongiungimenti familiari su dieci riguardano uomini: un dato nuovo che sottolinea come l’immigrazione sia sempre più femminile.
Terzo motivo, in forte aumento, è la richiesta di protezione umanitaria o di asilo politico, che riguarda il 4,8% degli stranieri in Italia.
Fino all’ultimo rapporto, il quarto motivo era lo studio. Tra i motivi per cui si chiede protezione, acquistano sempre più spazio carestie e fughe da crisi alimentari, tanto che il rapporto dedica un capitolo agli “eco-profughi”.
Il settore dell’accoglienza, con gli ultimi arresti di Mafia Capitale, si dimostra ancora una volta uno dei più rischiosi.
Il dossier Caritas/Migrantes ricorda poi che l’Italia non è l’unica meta dei migranti.
Anzi, è undicesima per numero di persone accolte al mondo.
Primi sono gli Stati Uniti, seguiti da Russia e Germania.
Asia ed Europa insieme accolgono il 62% dei 232 milioni di migranti che si muovono nel mondo.
Dal 1990 la crescita delle migrazioni globale è del 50,2%. Il rapporto poi che il mercato delle rimesse è sempre più vasto: nel 2014 sono stati 435 miliardi di dollari.
Un quinto delle rimesse mondiali è diretta alla Cina, il 15,7% alla Romania e il 6,3% al Bangladesh.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 5th, 2015 Riccardo Fucile
LA PROTESTA SUI CIELI DI EXPO 2015
“L’agricoltura industriale fa male al Pianeta, invertiamo la rotta“: ecco il messaggio che sta
sorvolando Milano “a bordo” del nostro dirigibile, indirizzato ai Ministri dell’agricoltura riuniti a Expo 2015 per il Forum Internazionale dell’Agricoltura.
Quale migliore visibilità di uno striscione di quasi 200 metri quadrati nel cielo, per chiedere un cambiamento radicale dell’attuale sistema agricolo e di produzione del cibo?
Ai ministri, impegnati nelle prossime ore a discutere sul futuro di agricoltura e produzione del cibo, vogliamo infatti ricordare che c’è bisogno di un cambio di rotta: non possiamo continuare ad alimentare un sistema fatto di pesticidi e fertilizzanti di sintesi, OGM e monocolture intensive, e controllato da un ristretto gruppo di multinazionali.
Molti agricoltori sono già pronti ad adottare pratiche agricole più sostenibili, ma sono ostacolati da un sistema economico che rende ancora troppo difficile abbandonare la dipendenza da sostanze chimiche, costose e inquinanti.
La verità è che i Paesi che partecipano a EXPO non dovrebbero permettere alle grandi multinazionali di promuovere un modello di agricoltura vecchio e malato che antepone il profitto alle persone, snaturando il senso che in origine aveva questo evento
Non possiamo più aspettare: servono impegni reali e concreti per promuovere un’agricoltura davvero sostenibile.
La buona notizia? Migliaia di persone sono già parte del cambiamento e si stanno mettendo in gioco in prima persona sul nostro sito SoCosaMangio.Greenpeace.it con impegni concreti da mettere in atto ogni giorno per cambiare il futuro del cibo e del Pianeta.
Partecipa anche tu
(da “greenpeace.org”)
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Giugno 5th, 2015 Riccardo Fucile
“SI’ ALL’EUROPA DEI POPOLI, NO A QUELLA DELLA FINANZA E DELLA PERDITA DI SOVRANITA'”… “CON L’INIZIATIVA DI FITTO QUALCOSA NEL CENTRODESTRA SI STA MUOVENDO, SIAMO SOLO ALL’INIZIO”
È stata l’antesignana e, per certi versi, la “curatrice” della mossa di Fitto di lasciare il Ppe per aderire al gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), guidato da David Cameron.
Susy De Martini, neuropsichiatra, ex europarlamentare del Pdl, e oggi rappresentante in Italia dell’Ecr, due anni fa — prima italiana — ha deciso di abbandonare il Partito Popolare Europeo, inaugurando di fatto una nuova strada per il centrodestra.
Onorevole De Martini, è corretto dire che Fitto ha ripercorso una strada da lei indicata?
«Io sono uscita dal Ppe per una coerenza nei confronti degli elettori: non si può criticare in Italia l’atteggiamento della Merkel, e poi andare in Europa e indossare un’altra casacca, quella del Ppe, cioè del partito della Merkel, in una forma di schizofrenia politica. Facendo questo, si diventa complici del vero patto del Nazareno, che avviene a Bruxelles tra Ppe e Partito socialista e costringe l’Europa all’austerity. Apprezzo pertanto il gesto di Fitto, che ha avuto il coraggio di sottrarsi a quell’abbraccio mortale e di appoggiare Cameron in tempi non sospetti, prima ancora che lui vincesse».
Cosa comporta, in soldoni, stare dalla parte di Cameron e non della Merkel?
«Significa chiedere di abbassare le tasse, di ridurre la spesa pubblica superflua, di investire nella produttività , di creare posti di lavoro, cosa che la Gran Bretagna sta già facendo, con oltre 1000 occupati in più al giorno e 2 milioni di posti in più negli ultimi due anni. E poi significa rifiutare la logica dell’uomo solo (o della donna sola) al comando, come capita in Europa con la Merkel, e come è capitato e sta capitando in Italia prima con Berlusconi e adesso con Renzi».
Si potrebbe sintetizzare la vostra posizione, dicendo che non siete nè euro-entusiasti alla Renzi nè euroscettici alla Grillo o alla Le Pen?
«Preferisco metterla in positivo: noi siamo eurocritici. Va bene l’Europa della pace e dei popoli, ma non quella delle tasse e della perdita di sovranità nazionale. Sui temi della politica estera, riteniamo che sia inutile affidarsi a una difesa unica europea: meglio valorizzare la Nato. Quanto all’immigrazione, riteniamo che si dovrebbe rivedere il trattato di Dublino (quello secondo cui il migrante può ottenere diritto d’asilo solo nel Paese europeo in cui arriva, ndr), stabilire un programma di aiuto ai Paesi africani per contenere i flussi e controllare le partenze dei migranti, attraverso navi dell’Alto Commissariato dell’Onu. Basta con la retorica buonista di accogliere tutti».
Eppure queste proposte sembrano non essere ascoltate dall’Ue e dalla Mogherini…
«Federica Mogherini è una persona perbene, ma non adatta a quell’incarico, non al livello degli altri leader internazionali. Perdipiù il suo ruolo non ha alcun peso politico, come ha già dimostrato il suo predecessore, Catherine Ashton. I veri commissariati che contano in Europa sono quelli economici».
Alcuni contestano al vostro gruppo un’apparente contraddizione: è impossibile essere conservatori e riformisti insieme.
«La verità è che la rivoluzione conservatrice e quella liberale sono due movimenti che si tengono. Lo aveva capito bene Margaret Thatcher, che è stata la prima a coniare lo slogan “conservare e riformare”. La semplice conservazione dei valori è un atteggiamento da ottusi; così come lo è la volontà di riformare o di rottamare tutto. Il segreto sta invece nel rendere vivo, adeguato ai tempi, il deposito della tradizione».
La scelta del vostro gruppo, anche a livello internazionale, sembra netta: dalla parte di Washington e non di Mosca…
«Certo, perchè i Conservatori e riformisti fanno capo a un’alleanza più vasta, di cui sono parte i Repubblicani americani. E con quel mondo bisogna interloquire, arrivando alla firma del Ttip, il trattato commerciale con gli Usa, che consentirebbe di eliminare le barriere doganali tra Europa e Stati Uniti e creare un mercato unico. Quell’accordo garantirebbe 400mila posti di lavoro in più nel nostro continente e l’aumento del 30% delle nostre esportazioni. Ma la firma del trattato è osteggiata dalla Germania, che così facendo vedrebbe minacciata la sua egemonia sul commercio interno europeo».
Venendo in Italia, Fitto ha appena creato il gruppo dei Conservatori e riformisti in Senato. Da quali temi si riparte, e con chi si inizierà a dialogare per un’alternativa a Renzi: Tosi, Meloni, Passera?
«Il movimento di Fitto è ambizioso: punta ad attirare investimenti in Italia, ad abbassare le tasse, a non far andar via i giovani dal nostro Paese. Quanto alle alleanze, i nomi che lei fa sono tutti validi e sarebbe bello costruire con loro qualcosa insieme».
Intanto, ritiene soddisfacente la performance di Fitto in Puglia (18,3%)?
«È stato un risultato straordinario, se si considera che ha avuto solo venti giorni per mettere su la lista e il suo candidato, Schittulli, ha ottenuto 4 punti in più rispetto alla Poli Bortone».
E la vittoria di Toti nella sua Liguria, invece?
«Lì il trionfo è stato di Salvini, non di Toti. E comunque è imbarazzante che Forza Italia abbia scelto un candidato che non sapeva neppure dove fosse Novi Ligure, uno convinto che l’acquario di Genova venisse gestito dal Comune e non dai privati, uno che vuole Bertolaso come assessore alla Sanità . A questo punto, gli suggerirei di scegliere Schettino per guidare il porto di Genova…».
Gianluca Veneziani
(da “L’lntraprendente“)
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Giugno 5th, 2015 Riccardo Fucile
LO STATO MAGGIORE FORZISTA ALZA LE BARRICATE PER ARGINARE IL CARROCCIO
La grande paura di morire leghisti. Sotto la cappa di Matteo Salvini. 
Dentro Forza Italia è la sindrome più diffusa, palpabile nei capannelli che tornano a formarsi dopo il voto nel Transatlantico di Montecitorio, nella buvette del Senato.
Tra i berlusconiani la lotta per la sopravvivenza cammina di pari passo con quella per non essere schiacciati dal tritasassi del Carroccio. «Pronto a sfidare anche Berlusconi nel nuovo centrodestra », diceva ieri Salvini a Repubblica , ormai calato nei panni dell’“ anti-Renzi”
L’ex Cavaliere ha gradito pochissimo la sortita, racconta chi lo ha sentito in filo diretto da Arcore. E se non replica a tamburo battente, è per la campagna dei ballottaggi in pieno svolgimento, che lo riporterà per altro oggi in piazza a Segrate in sostegno del candidato sindaco (stavolta quello di centrodestra, senza lo svarione dell’altra settimana, assicurano).
Le primarie da organizzare su due piani per consegnargli la vittoria a mani basse «Matteo se le scorda », gli hanno sentito confidare in privato.
La portavoce Deborah Bergamini mette in chiaro: «Noi siamo altra cosa rispetto alle uscite di Salvini. Lavoriamo al cantiere di un nuovo grande centrodestra. L’elettore ormai è fluido, non può essere racchiuso in schemi. Vuole dei rappresentanti che sappiano risolvere i problemi, non dei bravi comunicatori. Primarie? Non correrei tanto»
Il fuoco di sbarramento è tenuto alto soprattutto dai lombardi.
Dal capogruppo al Senato Paolo Romani – convinto che «noi dobbiamo lavorare all’area dei moderati, con la destra di Salvini non si è mai andati al governo » – alla coordinatrice lombarda Mariastella Gelmini.
Il neo governatore ligure Giovanni Toti, alleato del Carroccio, una prima apertura alle primarie di Salvini l’ha fatta, appena eletto. Ma giusto quella. Ed è sembrata più un gesto di cortesia.
«Da livornese ho fatto di tutto per non morire comunista, ho combattuto una vita per non diventare democristiano, ora farò di tutto per non finire leghista», racconta il senatore Altero Matteoli.
«Neanche il nostro vecchio Msi usava slogan come quelli di Salvini. Anche Bossi urlava al Nord, poi a Roma si comportava da uomo di governo. Come faremo ad arginare questo Salvini? Intanto niente primarie, non è così che si costruisce una classe dirigente. E poi facendo funzionare Forza Italia, strutturandola e radicandola nei territori».
Facile a dirsi, non è mai avvenuto in vent’anni. Ma in tanti ormai non vogliono darla vinta all’altro Matteo.
«Per come si sta muovendo adesso, le primarie le può fare giusto con la Meloni, non con noi» racconta la sua collega in Europarlamento, la forzista Lara Comi.
«La Lega è avanzata giusto un po’, passando dal Po all’Arno, ma ha un paio di punti più di noi solo perchè non si è votato al Sud, dove Salvini non esiste. Dunque, o si presenta da solo puntando al ballottaggio con Renzi, oppure sposi il progetto di un partito e una lista unica di centrodestra, ma a quel punto accettando di cambiare politica, toni e contenuti. Noi siamo popolari in Europa, non possiamo convivere con chi predica l’uscita dall’euro, solo per dirne una».
Poi c’è chi, come Augusto Minzolini l’altra sera al gruppo al Senato, sostiene invece che le primarie ormai Salvini le ha imposte, tanto vale cercare di disciplinarle. Anche perchè, sostiene poi Michaela Biancofiore, «Berlusconi le vincerebbe col 90 per cento».
Per non dire del fatto che il cappello di Salvini sta frenando il riavvicinamento di chi nell’Ncd lavora per la ricostruzione del centrodestra.
Tra loro potrebbe esserci il capogruppo al Senato, Renato Schifani, se non fosse per quel macigno: «È impensabile una coalizione a trazione Salvini, sarebbe un destracentro».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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